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VENERDÌ 29 APRILE 2016
INVESTIMENTI ALL'ESTERO, PER 7 IMPRENDITORI ITALIANI SU 10 TORNA IL
SOGNO AMERICANO
Argomenti: Economia, Fatti Internazionali, Numeri, Studio
Gli Stati Uniti rappresentano uno dei mercati più attrattivi per i
capitali delle aziende di tutto il mondo e storicamente occupano una
posizione di leadership per i nuovi investimenti delle imprese.
Secondo ben 7 imprenditori italiani su 10 infatti (7 2 %) il mercato
statunitense è il migliore dove investire i propri capitali.
Le motivazioni principali? Può contare su un’economia solida e in
continua espansione (6 2 %) , u n s i s t e m a f i s c a l e c e r t o e
trasparente (5 8 %) e u n a tassazione vantaggiosa (5 5 %). Tra
l e preoccupazioni principali c h einibiscono gli investimenti
all’estero la burocrazia (6 8 %), la scarsa conoscenza del sistema
legale (6 2 %) e la lenta ripresa economica(5 7 %). Dubbi raccolti
dagli esperti in campo di tutela legale degli investimenti, che
raccomandano di operare con il supporto diprofessionisti con
grande esperienza internazionale per non rischiare di andare incontro a controversie fiscali e legali.
È quanto emerge da un’indagine promossa da K&L Gates Legal Observatory, l’osservatorio della sede
di Milano dello studio internazionale K&L Gates, che analizza il panorama legale nel contesto italiano e
internazionale. L’indagine è stata condotta in occasione del convegno “Investire in USA: crescita e
opportunità per le imprese”, organizzato dall’American Chamber of Commerce in Italy e K&L Gates in
collaborazione con Banca Popolare dell’Emilia Romagna e Confindustria Emilia Romagna, ha preso a
campione 150 imprenditori delle maggiori città italiane proponendo loro un questionario volto a
comprendere come le aziende italiane considerano e valutano gli investimenti negli Stati Uniti e se
pensano di effettuarne nel loro futuro.
Sala Umberto, dal 3 maggio MICHELA
ANDREOZZI in "A LETTO DOPO
CAROSELLO .. DELUXE"
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Camera di Commercio Americana
Codice abbonamento:
“Il primo ostacolo per gli investitori è confrontarsi con un sistema fiscale diverso dal nostro –
spiega Vittorio Salvadori di Wiesenhoff, partner della sede milanese dello studio legale internazionale
K&L Gates e responsabile del dipartimento di diritto tributario – Il primo e fondamentale step è valutare
le conseguenze fiscali derivanti dalla tipologia d’ingresso che viene effettuata sul mercato
statunitense. Anche in assenza di una presenza fisica sul territorio infatti c’è il rischio della creazione di
una ‘stabile organizzazione’, instaurabile in alcuni casi anche con un accordo commerciale con terzi (ad
esempio, con un distributore locale), che implica il pagamento di imposte negli Stati Uniti. Qualora,
invece, si decida di avere una presenza più strutturata nel Paese, con la costituzione di una società in
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Dall’indagine è emerso inoltre che, nonostante molti imprenditori non abbiano mai investito negli Stati
Uniti (6 8 %) o all’estero (5 7 %), ben 7 s u 1 0 considerano un’operazione negli USA la migliore
opportunità per lo sviluppo della propria azienda (7 2 %) e hanno preso in considerazione la possibilità
di farlo in futuro (6 9 %). Ad incoraggiare le aziende verso tale orientamento sono la presenza di
un mercato maturo e solido che può contare su quasi 320 milioni di abitanti (6 2 %), un sistema fiscale
certo e trasparente che non ammette“furbetti” (5 8 %) sia per quanto riguarda l’import, sia per quanto
riguarda l’export, e una tassazione concretamente vantaggiosa per le aziende straniere che vogliono
investire negli USA (5 5 %).
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“Il mercato statunitense si sta affermando come uno dei principali mercati di riferimento per le
imprese emiliano-romagnole – d i c h i a r aG i n o C o c c h i, P r e s i d e n t e d e l l a C o m m i s s i o n e
Internazionalizzazione di Confindustria Emilia-Romagna – L’Emilia-Romagna, con la suaeconomia
fortemente orientata ai mercati esteri (siamo la prima regione d’Italia per export pro capite, la terza per
investimenti diretti all’estero), gioca un ruolo di primo piano nei rapporti di interscambio del nostro
Paese con gli USA: con il 17% del totale delle esportazioni nazionali, siamo la seconda regione, dopo
la Lombardia, per export verso il mercato statunitense. Il riemergere degli USA quale principale mercato
di sbocco per l’Italia si deve da un lato all’apprezzamento e alla crescente attenzione degli americani
per i prodotti del “made in Italy”, simbolo di qualità e di stile, dall’altro dalla particolare congiuntura
dei mercati internazionali che sta premiando i Paesi, come gli USA, che possono vantare stabilità e
dinamicità economica, ma soprattutto un sistema di regole e leggi certo e trasparente”.
Il sondaggio effettuato da K&L Gates Legal Observatory porta, inoltre, alla luce quegli aspetti che gli
imprenditori percepiscono come difficoltà maggiori nell’approcciare gli investimenti oltreoceano che,
s p e s s o , p r o p r i o a c a u s a d i q u e s t e d i f f i c o l t à v e n g o n o a b b a n d o n a t i : i n p r i m i s l equestioni
burocratiche (6 8 %) , l a scarsa conoscenza nella tutela legale (6 2 %) e l a lenta ripresa
economica (5 7 %), nonché la perplessità sulla possibilità di creare una rete di vendita capillare ed
efficace (4 7 %) e la mancanza di banche italiane su cui fare affidamento (3 8 %). Molti degli imprenditori
interrogati ritengono però che tali criticità siano controbilanciate però da un grande potere d’acquisto
delle famiglie statunitensi (6 6 %) , dall’affinità di gusti e tendenze tra il mercato italiano e
quello d’oltreoceano, in particolare dall’apprezzamento americano per il made in Italy, (53%) e da
un vastissimo numero di consumatori (5 1 %).
Arturo Meglio, avvocato partner di K&L Gates esperto in ambito societario: “Dal nostro punto di
vista la prima difficoltà riguarda la poca dimestichezza degli imprenditori con la normativa legale
americana che peraltro non è unitaria ma differisce su base statale oltre a prevedere anche una
regolamentazione federale in alcune materie. Si tratta di un sistema molto competitivo che può offrire
tante opportunità, ma che fa incontrare anche delle difficoltà oggettive, come le dimensioni notevoli del
mercato, la lingua, la scarsa conoscenza del sistema e la difficile gestione organizzativa che richiede
u n team specializzato di professionisti che segua tutte le fasi: dalla scelta della banca, fino alla
costituzione della società ed all’attività sia ordinaria che straordinaria della stessa. Per quanto riguarda
invece gli stati più attrattivi per i capitali italiani si possono citare quello di New York, la California, la
Carolina del Nord, che per esempio a Charlotte e Carolina del Sud, con Charleston, offrono degli
incentivi, e il Delaware che presenta una normativa societaria più flessibile. Tutte queste considerazioni,
in aggiunta al sempre centrale tema fiscale oltre che ovviamente a valutazioni di business, impattano
sulla scelta d’iniziare con una sede di rappresentanza o una più operativa o addirittura aprire degli
stabilimenti; temi importanti per riuscire a sfruttare appieno lemaggiori potenzialità del mercato
americano, ovvero la certezza del diritto, la ricchezza di un mercato maturo e un sistema politico
stabile. Esistono anche altri mercati importanti, come quello di Cina e India, ma non danno le stesse
garanzie politiche, giuridiche e finanziarie”.
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Se Olanda, Giappone e Svizzera sono i primi tre paesi investitori negli USA con flussi rispettivamente di
€29,3 miliardi, €25,4 miliardi e € 17,7 miliardi, secondo i dati diffusi dalla Farnesina l’Italia nel 2014 ha
fatto affluire nel mercato americano ben €2,8 miliardi, un aumento che sfiora il 50% rispetto agli €1,5
miliardi nel 2013. Una tendenza che vede un ritorno dei capitali italiani, oltre che negli Stati Uniti, anche
in altre parti del mondo. Secondo gli esperti, gli altri mercati dove si stanno maggiormente
concentrando gli investimenti sono l’Iran, grazie alla revoca delle sanzioni internazionali, a seguito
dell’accordo sul nucleare del luglio 2015, la Cina, l’India e il Brasile. Mercati che, sebbene abbiano
progressivamente aumentato la loro redditività, a causa della loto instabilità economica e politica,
rappresentano ancora territori ad alto rischio per gli investimenti stranieri.
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loco, occorre, da un lato, valutare quale sia la tipologia societaria più adatta, non solo sotto il profilo
fiscale, al perseguimento dei propri obiettivi, e, dall’altro, scegliere lo Stato dove procedere alla
costituzione (la scelta ricade di frequente sul Delaware, in considerazione di una legislazione societaria
estremamente evoluta e flessibile; tuttavia, per gli insediamenti produttivi c’è di solito coincidenza tra lo
Stato in cui si trova l’insediamento e quello in cui viene costituita la società). In conclusione, le
problematiche maggiori e gli ostacoli più frequenti sono di carattere conoscitivo, ovvero la scarsa
familiarità con una fiscalità diversa dalla nostra: il suggerimento è di non andare allo sbaraglio, e
rendersi conto che ci si sta affacciando in un mercato diverso che richiede l’assistenza di consulenti
esperti per trarre i maggiori vantaggi da questa economia incredibile”.
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