Rivista Diocesana Novarese

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Rivista Diocesana Novarese
R ivista D iocesana N ovarese
Bollettino Ufficiale per gli Atti del Vescovo e della Curia di Novara
Sommario
ANNO XCIV - Nº 7 - AGOSTO-SETTEMBRE 2009
LA PAROLA
DEL VESCOVO
LA PAROLA
DEL
PAPA
CENTRO MISSIONARIO
Il Vescovo tra noi
Lettere conclusive della Visita pastorale delle
Unità pastorali di Gravellona Toce e Villadossola
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Nella festa patronale della polizia penitenziaria
436
Tradurre il Vangelo nella storia
Di fronte alla nuova Enciclica di Benedetto XVI
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Consegna dell’Enciclica “Caritatis in veritate”
ai responsabili della vita politica e socioculturale
440
Sacerdote da cinquant’anni: riflessioni e ricordi
Intervista rilasciata a “Eco risveglio”
442
S. Giovanni Vianney, il Santo Curato d’Ars
“esempio per i parroci”
447
Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale
451
Presentazione dell’Ottobre Missionario 2009
454
COORDINAMENTO
UFFICI PASTORALI
“Camminare insieme nella comunione per la missione”
Assemblea Pastorale Diocesana a Boca
457
UFFICIO CATECHISTICO
Progetto di formazione dei catechisti
dell’iniziazione cristiana
417
460
UFFICIO LITURGICO
Canti per la liturgia: nuova edizione
464
ECONOMATO
Relazione al bilancio della Curia Diocesana
465
UFFICIO BENI
CULTURALI
Pratiche di restauro - Iniziative culturali
469
INFORMAZIONI
Conferenza stampa di presentazione
dell’Enciclica “Caritas in veritate”
473
Dioecesis
486
Don Mauro Botta
488
IN MEMORIA
INSERTO
CAMMINARE INSIEME NELLA COMUNIONE PER LA MISSIONE
Proposte e percorsi formativi degli Uffici e Centri Diocesani
nell’anno pastorale 2009-2010
Ufficiale per gli Atti di Curia Attività Pastorali in Diocesi Direttore Responsabile Mons. Giuseppe Cacciami
Reg.Tribunale di Novara n. 4 del 18-08-1948
Per abbonamento: CANCELLERIA CURIA DIOCESANA
Via Puccini 11 - 28100 NOVARA • Tel. 0321/661.661 • Fax 0321/661.662
C.C.P. n. 15682289
Copia distribuita solo in abbonamento ABBONAMENTO PER IL 2009
€. 40
IN COPERTINA:
SAN PAOLO APOSTOLO
Ambrogio da Fossano detto il Bergognone (1450-1522)
Chiesa Parrocchiale di Galliate (Novara)
- Inventario dei Beni Culturali Ecclesiastici Edizione della Stampa Diocesana Novarese - Fotocomposizione in proprio
Stampa - Tipografia San Gaudenzio - Novara
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
Il Vescovo tra noi
Visita all’Unità Pastorale di Gravellona Toce, Granerolo, Casale Corte Cerro,
Ramate, Montebuglio, Ornavasso, Migiandone, Mergozzo, Albo e Bracchio
6 - 8 marzo 2009
LETTERA CONCLUSIVA DEL VESCOVO
Miei cari,
ho vissuto con gioia tre giorni con voi seguendo un programma
molto intenso che voglio anzitutto riepilogare, per poi fermarmi su alcuni
incontri che riguardano in maniera esplicita l’Unità Pastorale.
Il venerdì 6 marzo ho iniziato la Tre Giorni con un momento di preghiera
offerto ai ragazzi delle elementari e delle medie di Gravellona Toce. Erano le
7.30 del mattino. Mi è sembrato un momento ben partecipato.
Lungo la mattinata ho fatto colloquio con i sacerdoti e nel pomeriggio ho vissuto momenti di preghiera a Montebuglio, a Ramate, alle Brughiere, per poi
celebrare la santa Messa nella chiesa parrocchiale di Casale Corte Cerro. Dopo
cena si è tenuto l’incontro con gli operatori pastorali, i catechisti e gli animatori di tutta l’Unità Pastorale.
Il sabato 7 marzo, ho anzitutto trascorso un breve momento con le Religiose,
per poi partecipare, a Ornavasso, a un incontro con gli amministratori, i
responsabili dei settori sociali e gli insegnanti di tutta l’Unità Pastorale. Il
pomeriggio mi ha permesso di incontrare le parrocchie di Migiandone, di Albo,
Bracchio e Mergozzo, dove ho celebrato l’Eucaristia.
Nella domenica 8 marzo ho celebrato la santa Messa a Ornavasso. Nel
pomeriggio mi sono trovato nella chiesa parrocchiale di Gravellona Toce con i
genitori dei bambini e dei ragazzi. Ho poi fatto visita all’Oratorio e, alle 18.00,
ho celebrato la Messa conclusiva con la comunità parrocchiale.
1. ASSEMBLEA
DEGLI OPERATORI PASTORALI
La sera del 6 marzo abbiamo vissuto un’assemblea di natura pastorale.
Dopo aver ascoltato i vari interventi, ho raccolto la sintesi attorno a tre capitoli: la sfida educativa; famiglie e “gruppo-famiglia”; Caritas.
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
Ragazzi, adolescenti, giovani, catechiste e animatori
Quanto ho ascoltato mi ha condotto a rivolgere l’invito a guardare ai ragazzi
e agli adolescenti come a un “soggetto” e non semplicemente un “oggetto” del
lavoro educativo. Ciò significa coltivare delle relazioni personali e, sulla scia di
don Bosco, cercare di aderire il più possibile alla realtà buona dei ragazzi per
valorizzarla secondo la fede cristiana.
L’Unità Pastorale può dare il contributo soprattutto dalla preadolescenza in
avanti. Con i ragazzi, le Parrocchie possono fare molto, mentre negli anni dell’adolescenza rischiano di essere troppo deboli, soprattutto se piccole. Il Vicario
Parrocchiale di Gravellona potrà offrire un prezioso servizio per la formazione
degli animatori dell’Unità Pastorale.
L’adolescenza rimanda inevitabilmente agli anni che la precedono e al lavoro
educativo che chiamiamo della “Iniziazione cristiana”. C’è una svolta, proposta
nella Lettera Pastorale Splendete come astri nel mondo: è quella di pensare il
cammino come tempo che comprende significative esperienza spirituali da proporre ai ragazzi. Il momento del catechismo è necessario, e non lo si curerà mai
abbastanza, ma i ragazzi vanno portati all’incontro con Gesù, nel senso della
conoscenza e dell’amore verso di lui, e vanno condotti a “fare il Vangelo”.
Qualcosa di meno non basterebbe a farli crescere cristiani e potrebbe preludere a un abbandono, dopo la celebrazione del sacramento della
Confermazione, anche da parte di ragazzi di per sé buoni.
La questione di base sta nel riconoscere, in ciascuna delle nostre Parrocchie,
che l’Iniziazione cristiana e la cura dei giovani costituiscono una grande sfida
che la Chiesa non deve assolutamente abbandonare e che, qualora venga vigorosamente affrontata, mostra che la nostra Chiesa ha davvero un volto missionario. Converrà tenere presente che in quanto sto dicendo non vi è nulla di
ovvio o di automatico: è un impegno da distendere, in modo costante e sistematico, lungo l’anno pastorale.
Famiglia e “gruppi famiglia”
Riprendendo quanto ho ascoltato a proposito della famiglia, credo che anche
in questo caso sia da affrontare una questione di fondo. Tutti parlano della crisi della famiglia. Sembra che a noi sia chiesto altro, e cioè di offrire a
tutti gli uomini e le donne di buona volontà una luce attraverso la testimonianza di famiglie che vivono secondo il Vangelo e che portano questa
esperienza dentro la società di oggi, dove spesso la famiglia è disprezzata o
combattuta.
Proprio per questi motivi i sacerdoti non daranno mai troppo peso alle famiglie. Tale attenzione dovrà cominciare già con i fidanzati: intendo dire che se i
corsi avvengono a livello più ampio delle singole Parrocchie, ogni sacerdote farà
bene a curare il contatto dei giovani fidanzati della sua Parrocchia, così da preparare bene un loro futuro cristiano, fatto di perseveranza nella partecipazione alla vita della Chiesa. Si può dire anche di più: l’attenzione ai giovani che
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
chiedono di sposarsi in chiesa va intesa anche come un’opportunità per far
emergere nella vita della Parrocchia coppie di sposi che sono energie vive e fresche per tutta la comunità.
Quest’ultima considerazione può essere collegata a quanto si diceva circa i
“gruppi famiglia”. Se ci si chiede quando tali gruppi possono germinare, mi
sembra di poter rispondere che la stagione buona è quella che precede la stagione del matrimonio, quando i fidanzati sperimentano un tempo di grazia e
possono essere particolarmente sensibili alla vita di fede. Quanto poi alla missione dei “gruppi famiglia” essa si manifesta nella premura di una coppia cristiana che si fa carico di cercare un’altra (anche una sola) coppia a cui fare la
proposta di partecipare a un cammino di approfondimento cristiano della vita
familiare. Questo metodo molto umile, poiché passa attraverso la testimonianza di una fede viva, è da considerare molto valido.
Caritas
Condivido pienamente l’idea che sia un bene costituire un centro di ascolto
a livello di Unità Pastorale. Il punto sul quale invito a riflettere riguarda il modo
di pensare la Caritas. Mi sembra urgente dire che deve pensarsi come “relazione” con i poveri, tenendo conto delle varie forme di povertà. Intendo con
questo dire che non basta, anche se evidentemente è necessario, distribuire il
pacco con i vestiti. Meno la Caritas è anonima, meglio la Caritas lavora. In questa linea è sorta, diversi secoli fa, l’iniziativa lanciata da san Vincenzo de’ Paoli.
Essa è validissima come termine di paragone anche per la Caritas, che non
può essere solo organizzazione della carità.
Ricordo che un giovane come il beato Pier Giorgio Frassati, membro della
“San Vincenzo” di Torino, saliva nelle soffitte a trovare i poveri. Aggiungo che
la Caritas deve inoltre pensarsi come educazione alla prossimità nella mente
e nel cuore di tutti i fedeli delle nostre comunità. In questo sta la sua specificità. Invito, a questo proposito, a studiare, come testo base, l’Enciclica Deus
caritas est (seconda parte). E concludo osservando che chi prende la responsabilità di esprimere la Caritas deve mettere in conto un cammino formativo
personale. A questo proposito, la Caritas diocesana potrà fare da utile sostegno.
Osservazioni conclusive
I tre capitoli a cui si è fatto riferimento indicano tre passi da compiere come
Unità Pastorale. Non sarà facile, a cominciare dal primo, e occorrono soprattutto persone disponibili a “tirare il carro”. Solo così si eviterà che le parole
rimangano tali o sembrino delle velleità.
Con l’aiuto dei sacerdoti e dei laici andrà indicato un “referente” per i singoli capitoli. Potrà così costituirsi una piccola équipe dell’Unità Pastorale guidata dal “coordinatore”. Il cammino che ci aspetta è lungo. Per compierlo sarà da
favorire il più possibile che, insieme con i sacerdoti, vi sia la collaborazione dei
laici.
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
Prego anch’io, come faceva l’apostolo Paolo nei confronti dei Filippesi. Egli
ringraziava il Signore a motivo della cooperazione che i fedeli davano alla diffusione del Vangelo, già a cominciare dal giorno in cui si sono convertiti. Paolo
era anche persuaso che essi avrebbero perseverato, per grazia di Dio: “Sono
persuaso che colui che ha iniziato in voi questa opera, la porterà a compimento
fino al giorno di Cristo Gesù” (Fil 1,3ss).
Dobbiamo mantenere viva la certezza che Dio è capace di far sorgere anche
oggi, nelle nostre Parrocchie, dei laici “evangelisti”. Gli operatori pastorali
(catechisti, animatori, responsabili di ragazzi, adolescenti e giovani, guide per
i fidanzati e giovani coppie, eccetera) non sono da pensare come “forza-lavoro”,
bensì come frutto dello Spirito Santo, come un avvenimento teologale. È necessaria la grazia di Dio e occorre una risposta vera e generosa della libertà dei
nuovi servitori del Regno di Dio nella storia dell’uomo. Dovremo avere la massima cura per mantenere chiara questa prospettiva teologica.
2. INCONTRO
CON GLI AMMINISTRATORI PUBBLICI,
I RESPONSABILI DEI SETTORI SOCIALI E GLI INSEGNANTI
Il mattino del 7 marzo ho vissuto un incontro di carattere aperto alla considerazione di vari ambiti della vita della società. Ne conservo un bel ricordo. Vi
è stata notevole partecipazione. Il suo svolgimento è stato segnato da passione, intelligenza e competenza. È bello toccare con mano che questo possa avvenire in un incontro non immediatamente “ecclesiale” ma pubblico con il
Vescovo.
Ho colto rispetto e gratitudine per il fatto che sia stata offerta l’opportunità
di comunicare con il Vescovo su alcuni problemi e su alcune scelte ritenute
importanti per il bene della nostra gente. Intervenendo, alla fine, con una sintesi, non mi sono soffermato ad approfondire dettagliatamente tutti i problemi
illustrati. Anche per brevità ho privilegiato le indicazioni dei passi che si possono compiere e che è urgente compiere sui seguenti punti: la questione “lavoro”, la questione “famiglie e minori”, la questione “scuola”, la questione “immigrazione”.
Lavoro
A questo proposito è stato detto che un sentiero da percorrere riguarda direttamente il Governo: è quello degli ammortizzatori sociali da prevedere, tenendo conto della grave crisi economica che può scuotere una democrazia e che
ha un’ampiezza internazionale.
C’è poi il sentiero che va percorso da parte dei Comuni e che si traduce nelle iniziative che essi possono prendere direttamente, sia pure non senza difficoltà (si è accennato a tariffe, a prezzi). Opportunamente si sono ricordati i
sentieri che potrebbero risultare positivi per il futuro del nostro territorio: il
turismo, casalinghi, innovazioni sull’energia, “Domo 2”.
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
Si è poi accennato a due questioni sulle quali la Chiesa è direttamente chiamata in causa. Innanzitutto quella degli “stili di vita”: la crisi può diventare
infatti un forte invito a evitare gli sprechi, il “surplus” e a fare scelte di semplicità e di essenzialità. Si è poi affermata con grande forza l’urgenza di mettere
l’uomo al centro della questione del lavoro e dell’economia. Egli non è riducibile a “cliente” o “consumatore” perché è ben di più. Nell’impresa, e più ampiamente nel processo economico, va riconosciuto come il centro. La storia dell’attuale grave crisi permette di comprendere che sarà particolarmente capace
di reggere in futuro quella impostazione dell’economia che si ricorda dell’uomo. Là dove invece i criteri fossero quelli del guadagno ad ogni costo e dell’accumulo della ricchezza, l’economia stessa imploderà.
Famiglie e minori
Condivido il suggerimento di dare maggior peso alla “creatività” per trovare
risposte adeguate alla realtà con la quale dobbiamo fare i conti. A questo proposito, credo anch’io che nulla, più dello “stare costantemente sul territorio”
favorisca la flessibilità e la creatività negli interventi. Ringrazio tutti coloro che
già stanno operando, a livello di servizi sociali, seguendo questa metodologia.
È stata fatta un’osservazione acuta quando si diceva che, per ben affrontare
i problemi del presente, occorre valorizzare le specifiche competenze di ognuno, ma che non basta la singola specifica competenza. Ci si deve aprire alla
molteplicità delle competenze per avere una “visione di insieme” e poter così
prendere le decisioni nel modo più saggio.
Mi ha molto positivamente colpito l’affermazione secondo la quale, per ben
affrontare i problemi della famiglia e dei minori, va promossa una “comunità
accogliente, solidale”, che mette “in rete” le energie dovunque si trovino (nel
pubblico, nel privato, nell’associazionismo, nelle comunità parrocchiali).
Dinanzi a questa osservazione non potevo non dire che, proprio su questo punto, deve emergere il contributo che la Chiesa può offrire all’intera società. Tale
contributo esprime la sua vocazione propria, che è quella di essere strumento
della comunione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano.
Scuola
L’intervento del Dirigente scolastico mi ha condotto a sottolineare due punti.
Il primo è di tipo sociale e politico: consiste nell’affermazione - che spesso rimane purtroppo soltanto un “flatus vocis” - della rilevanza fondamentale della
scuola per la vita della nostra nazione. Evidentemente viene chiamato in causa
il Governo nazionale, con le sue scelte di politica scolastica. In questi mesi vi è
stata molta polemica proprio su tali scelte, ma non è questo il contesto giusto
per entrare nel merito dei singoli provvedimenti. L’impressione è però che la
scuola non venga considerata un capitale davvero essenziale per il futuro.
Il secondo punto: occorre un’alleanza tra scuola, famiglia, istituzioni civili,
comunità ecclesiale. Tutti sono chiamati ad essere attenti a ciò che dà fondamento e senso all’esistenza dell’uomo. In questo la Chiesa si sente chiaramente chiamata in causa. A chi - più che a lei - deve premere che i ragazzi cresca-
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
no “in sapienza, età e grazia”? Sono stati opportunamente suggeriti due livelli
della “cooperazione” tra i vari soggetti interessati alla crescita di ognuno dei
ragazzi di oggi. Il primo consiste nell’individuazione di un denominatore comune relativo ad alcuni valori nei confronti dei quali si intende esprimere una sollecitudine che va al di là delle pure parole e che diventa azione educativa quotidiana. Il secondo è quello di individuare alcune iniziative concrete che possono essere utilmente portate avanti in collaborazione tra il civile e l’ecclesiale
(si citava, come esempio, il “Grest estivo”).
Immigrazione
Mi è stata posta anche una domanda sull’immigrazione e, più precisamente,
sulla presenza islamica e circa il problema concreto di permettere, da parte di
un Comune, il costituirsi di un Centro islamico sul territorio.
Rispondendo, ho indicato il compito specifico della Chiesa e quello che investe la responsabilità propria degli amministratori e dei politici.
La Chiesa educa e sostiene la “prossimità”. Inoltre considera la “libertà religiosa” come un diritto fondamentale da riconoscere in ogni nazione. La Chiesa cattolica chiede questa libertà, mentre in molte nazioni le è negata; non può quindi non volerla per persone appartenenti ad altre religioni e residenti in Italia.
C’è poi un compito proprio delle istituzioni politiche e amministrative. A loro
tocca “governare” la questione immigrazione (anche al di là degli islamici, che
sono poco meno del 50% degli immigrati). La risposta dovrà essere anche legislativa e, a questo livello, si dovranno studiare tempi, modi, dimensioni del
fenomeno. Alle istituzioni tocca poi riflettere e favorire scelte concrete che siano in favore dell’accoglienza di chi viene dall’estero e della loro integrazione.
Nel contempo è loro compito garantire condizioni di vita degne dell’uomo (penso al lavoro e alla casa) per chi arriva e condizioni di sicurezza per chi in Italia
è nato e vive da sempre.
Conclusione
Tutto quanto ho ascoltato nella bella riunione pubblica di Ornavasso sospinge noi tutti a metterci, senza confusioni di ruoli, “in rete”. Ma qualcuno ha fatto notare che, se questa è la strada giusta da imboccare, di fatto oggi la “rete”
ancora non c’è. Vi è una miriade di iniziative, ma non la volontà di una vera
sinergia. Di qui la domanda: come, in concreto, costruirla? La risposta suggerita è stata quella di creare una rete di comunicazioni e di relazioni; di individuare alcuni progetti comuni sui quali tutti ci impegniamo a riflettere e a precisare come procedere, per poi verificare quanto viene messo in atto, così da
fare passi ulteriori.
Tutto ciò a cui ci siamo riferiti nello scambio che abbiamo insieme vissuto
attende uomini e donne che esprimono e diffondono “speranza”. Il mondo va
avanti perché ci sono costruttori di speranza. E tali costruttori sono desiderati ed attesi da tutti. Ho citato Marthe Robin. Disse a Jean-Paul Couchou:
“Quando le sue schede su «guerra e pace» saranno attraversate dalla speranza, pubblichi il libro. Quello è il momento giusto”.
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
3. INCONTRO CON I GENITORI
DELL’INIZIAZIONE CRISTIANA
Il pomeriggio di domenica 8 marzo, nella chiesa parrocchiale di
Gravellona, ho vissuto un incontro stimolante con i genitori, anche se i presenti non mi sono parsi moltissimi. Mi sono state poste, in particolare, alcune
domande: una sull’Iniziazione cristiana, una seconda sui bambini della Prima
Comunione, una terza sui cresimandi, una quarta su certi segnali preoccupanti di razzismo.
Bambini, genitori, catechiste come “soggetti”
dell’Iniziazione cristiana
Quanto all’Iniziazione cristiana si è posta la domanda circa i protagonisti.
Occorre aggiungere (l’ho già notato più sopra nella sintesi relativa all’assemblea degli operatori pastorali) che i bambini stessi e i ragazzi vanno considerati e coltivati come “soggetto” del cammino spirituale che viene loro proposto.
Ma non ci possiamo fermare qui perché vi è un altro soggetto che va affermato, anche se talvolta viene trascurato: si tratta dei genitori. A loro riguardo
occorre, per un verso, svelare la responsabilità che è loro propria e, per un
altro verso, dare prova di costante speranza di poterli coinvolgere da parte dei
sacerdoti e delle catechiste.
La Prima Comunione nella vita del bambino
e nella vita della famiglia
Una seconda domanda: che cosa qualifica positivamente il cammino spirituale dei bambini?
Una prima risposta consiste semplicemente (ma non è cosa da poco) nel dire
che grande dono è offrire loro un’atmosfera di amore. Questa esperienza, infatti, avrà grande pregio nella strutturazione della loro personalità e nel loro
modo di manifestarsi quando saranno adulti.
La decisione di essere vicini ai bambini nel loro cammino spirituale conduce
a interpretare l’insegnamento come qualcosa che passa, il più largamente possibile, attraverso fatti concreti e attraverso i simboli che valorizzano la loro
capacità di intuizione.
Il bambino che si prepara alla Prima Comunione compie un cammino che
può influire molto positivamente sulla famiglia alla quale appartiene. Lo disse,
nell’ottobre 2005, Benedetto XVI ai bambini della Prima Comunione radunati
in piazza san Pietro. Rispose infatti alla domanda posta da una bambina di
nome Giulia dicendo che il giorno del Signore, partecipato da tutta la famiglia,
è una benedizione per tutta la famiglia perché, stringendosi attorno al Signore,
la famiglia viene guarita nelle sue ferite e viene rafforzata nella sua unità, e
aiutata a superare tutte le tentazioni di divisione e a coltivare l’unità e la
fedeltà nel tempo.
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
Certo, il giorno della Prima Comunione va vissuto, da parte dei bambini, con
quella meravigliosa profondità che ci è testimoniata, per esempio, da san
Giovanni Bosco che si accostò alla sacra Mensa, accompagnato da sua mamma, nel giorno di Pasqua, quando aveva dodici anni. La consapevolezza di quel
ragazzino e di sua madre ci interroga perché molto spesso, forse, prevale un
clima che, se è festoso, rischia di essere anche distratto. Vincere questo rischio
è importante perché l’incontro del bambino con Gesù nell’Eucaristia è l’incontro più importante della vita: così pensava la madre di san Giovanni Bosco.
Quel ragazzo non lo dimenticò più.
Preadolescenza e cresimandi
Mi venne posta anche una domanda relativa ai preadolescenti: come affrontare questi anni così turbolenti che rischiano di portare i figli lontani dal
Signore e dalla Chiesa?
Credo che una prima risposta, di carattere anche molto pratico, consista nella decisione di dare ogni giorno un po’ di tempo ai figli, anche da parte dei
papà.
Penso inoltre che occorra stabilire un confronto, anche serrato, con i figli e
sperimentarlo a tutto campo nei momenti più normali della vita familiare:
mentre si è a tavola o si vede la tv; facendo riferimento alla scuola o a tante
altre vicissitudini che entrano nella vita dei figli.
In terzo luogo, credo che si debba dare molto peso alla questione delle amicizie, sulla quale non si dovrebbe sbagliare perché poi, di fatto, nel bene e nel
male, molto dipende da esse, tenuto conto che, oggi forse più che ieri, la relazione tra “pari”, ha un’autorevolezza molto grande.
In tutto questo la Chiesa ha un grande compito che può visibilizzare nella
vita della parrocchia e, in modo speciale, attraverso l’Oratorio. Mi riferisco
all’offerta importantissima - già nell’anno che precede la celebrazione della
santa Cresima - di una concreta esperienza di “gruppo”, accompagnata da validi animatori e ricca di iniziative che, mentre comprendono il catechismo, si
muovono anche in altre direzioni costruttive.
Segnali di individualismo e razzismo: quale risposta?
Ho colto una domanda preoccupata e una sottolineatura inedita, ma opportuna e anzi necessaria oggi: che fare mentre si avverte che i nostri figli sono
avvolti da un clima di individualismo e talvolta da spinte verso parole e gesti
di prepotenza?
Credo che, a proposito del rischio di individualismo, i nuovi strumenti tecnologici come il computer o la play-station siano da considerare apertamente,
nel dialogo tra genitori e figli, soprattutto tenendo conto del fatto che essi hanno molta rilevanza nella vita dei ragazzi e che possono condurli nella direzione
del “virtuale”, al punto di non sapere poi ben distinguerlo dal “reale”.
Penso poi che, a proposito della relazione interpersonale e della convivenza,
la scuola possa svolgere un grande ruolo aiutando i ragazzi a ragionare su questi problemi, educandoli alla cittadinanza e a vivere in un mondo che sarà
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
sempre più pluralistico e globalizzato. Su questo ultimo punto, la Chiesa ha un
compito educativo molto grave che deve svolgere in maniera forte e costante.
Esso può trovare espressione nei momenti dell’insegnamento catechistico e
anche dell’omilia nella celebrazione eucaristica domenicale. Condivido la
preoccupazione dei genitori per una certa atmosfera un po’ brutale e un po’
barbarica che talvolta la cronaca fa emergere. Nel medesimo tempo, non si può
non dimenticare che sono gli adulti a crearla e che i ragazzi ne sono soprattutto vittime. Perciò occorrerà combattere, da parte degli adulti, per creare una
società solidale contro ogni forma di negazione della dignità dell’altro: solo in
questo modo viene ben preparato il futuro per tutti.
4. A
CONFRONTO CON I SACERDOTI SULL’UNITÀ
PASTORALE
A conclusione di questa lettera di sintesi sulla Tre Giorni che ho vissuto
nell’Unità Pastorale, lascio spazio al dialogo che ho avuto con i vostri sacerdoti, in particolare il mattino del 6 marzo. Ho posto loro delle domande specifiche sull’Unità Pastorale e sui passi concreti che potrebbero esprimere bene la
volontà di avviare e consolidare il cammino. Le loro risposte riecheggiano
quanto ho colto anche nell’assemblea con i laici.
Essi mi hanno anzitutto fatto presente che, per grazia di Dio, un certo lavoro di Unità Pastorale è già presente da anni, anche sulla spinta data da don
Aldo Re. Ciò ha significato anzitutto un regolare incontro familiare dei sacerdoti, un aiuto vicendevole per le confessioni e per altri momenti liturgici, il trovarsi fraternamente anche a tavola.
Quanto ai passi che andrebbero compiuti per dare corpo all’Unità Pastorale
in futuro e che, a mia volta, ripropongo, raccomando i seguenti:
- il capitolo della liturgia venga affrontato in modo omogeneo in tutte
le Parrocchie dell’Unità Pastorale;
- si favorisca un lavoro di Unità Pastorale per la formazione
dei catechisti e degli animatori;
- si tenga molto in evidenza, nell’Unità Pastorale, il capitolo degli
adolescenti e dei giovani, non nel senso di cancellare quanto è possibile
svolgere a livello parrocchiale, quanto piuttosto nel senso di introdurre,
con una certa gradualità, momenti di incontro a livello più ampio;
- si mettano in atto alcune attività comuni per i ragazzi nel contesto
del Grest;
- si costituisca un centro di ascolto Caritas dell’Unità Pastorale.
Mi sembra giusto che per alcune iniziative venga privilegiato l’ambito dell’intero Vicariato. Penso, in particolare, ai corsi per fidanzati e agli incontri, sia
spirituali che pastorali, di formazione permanente dei sacerdoti.
Il Signore ci benedica. Maria Santissima ci accompagni. Saluti a tutti e auguri cordiali di ogni bene.
+ Renato Corti
Santa Pasqua Novara, 12 aprile 2009
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
Visita del Vescovo all’Unità Pastorale 7 dell’Ossola: Villadossola,
Villaggio Sisma, Noga, Pallanzeno,Valle Antrona, Cuzzago, Cardezza, Prata
24-26 aprile 2009
LETTERA CONCLUSIVA DEL VESCOVO
Miei cari,
ho vissuto con gioia tre giorni con voi seguendo un programma
molto intenso che voglio anzitutto riepilogare, per poi fermarmi su alcuni
incontri che riguardano in maniera esplicita l’Unità Pastorale.
Il venerdì 24 aprile ho iniziato la Tre Giorni con le amministrazioni comunali, le associazioni culturali e di volontariato presenti sul territorio. Nel pomeriggio ho incontrato il gruppo Caritas e le varie associazioni caritative
dell’Unità Pastorale. Mi sono poi recato a visitare gli ospiti della Casa di Riposo
di Montescheno, dove ho pure celebrato la Santa Messa. Dopo cena ho partecipato all’assemblea che vedeva presenti i collaboratori pastorali delle varie
Parrocchie.
Il sabato 25 aprile ho incontrato l’èquipe dei catechisti, a partire da coloro
che seguono i bambini da zero a sei anni, fino agli animatori della Pastorale
Giovanile, dei corsi per fidanzati, dei responsabili dei Cenacoli del Vangelo. Nel
pomeriggio di quel sabato ho partecipato alla festa per il cinquantesimo
dell’Oratorio e, in quel contesto, ho incontrato le famiglie di Villadossola. La
Messa vespertina è poi diventata un momento particolarmente solenne e commovente perché si è dato il mandato a don Benoît, in partenza per il Tchad,
con la consegna del Crocifisso e della Sacra Bibbia.
Nella domenica 26 aprile mi sono recato ad Antronapiana dove ho vissuto
l’incontro con le famiglie dei bambini e dei giovani della Valle. Fece seguito la
celebrazione della Santa Messa. Nel pomeriggio ho fatto visita agli ospiti della
Casa di Riposo di Villadossola; ho poi incontrato i giovani e i giovani-adulti
dell’Unità Pastorale. Non è mancato un breve incontro con le Religiose presenti sul territorio. La conclusione della “Tre Giorni” è avvenuta a Pallanzeno dove
ho celebrato la Santa Messa vespertina.
1. ASSEMBLEA
DI CARATTERE CIVICO
(VILLADOSSOLA)
Il mattino del 23 aprile abbiamo vissuto un’assemblea civica. Sono state
due ore e mezzo di ascolto intenso. Ho avuto così l’occasione di mettermi in
contatto con sindaci, operatori sociali del territorio, rappresentanti di varie
associazioni. Mi è sembrato un momento positivo, già a cominciare dal fatto
che sia stato accolto e che abbia visto una notevole partecipazione, con interventi quasi sempre preparati per iscritto.
Vorrei ringraziare, anche attraverso questa lettera, perché l’ascolto è diventato per me motivo di stima (l’Italia, vista dalla base, è molto ricca); perché mi
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
ha permesso di approfondire la conoscenza di vari problemi e di notevoli iniziative; e infine perché mi ha interrogato su varie questioni, e spero che altrettanto sia avvenuto nella mente di tutti i presenti.
Servizi sociali
Chi vi si impegna conosce la fatica, ma scopre anche come si possa diventare motivo di speranza per gli altri. Questo pensiero mi è stato suggerito ascoltando l’esame di vari capitoli: quello dei minori, quello degli anziani, quello
degli adulti e quello dei disabili.
Il primo mi ha fatto pensare all’urgenza del metodo preventivo. Ancor più
se, come si è osservato, il capitolo dei minori è diventato oggi addirittura esplosivo. Il secondo mi conduce a dire che veramente si deve “sposare” la famiglia
per alleggerirne i pesi e poi che occorre essere là dove vi sono le fragilità umane (disabilità o altri fenomeni di questo genere).
C’è una questione di fondo che attraversa tutti i capitoli ora ricordati: occorre prestare attenzione, a cominciare dal capitolo relativo ai minori, al fatto che
essi hanno una radice esistenziale. È fino a quella profondità che occorre scendere sia per capire meglio le cose, sia per evitare di ritenere sufficienti soluzioni che sono sostanzialmente tecniche. Ciò che occorre, infatti, è qualcosa di
più, a cominciare dalla scelta di dare assoluta priorità al compito educativo.
Quanto sto scrivendo vale anche in relazione a quanto ascoltato dalle varie
associazioni che si impegnano su diversi fronti di servizio alla persona (per
esempio, in favore degli alcoolisti).
Sindaci, Associazioni
Qualcuno ha detto che vi è una reale bellezza nell’impegno tra la gente e per
il bene comune: mi sembra un’osservazione particolarmente preziosa. Tra i
rilievi che ho potuto cogliere, ne ricordo tre.
Anzitutto un certo “allarme” per il fatto che in alcune Parrocchie il Parroco
non è residente. A questo proposito penso che il futuro chieda necessariamente il coinvolgimento dei laici, visti come vera risorsa; osservo inoltre che,
in realtà, si sta offrendo, in una forma nuova, un reale servizio a tutte le
Parrocchie della valle (per esempio, per i ragazzi del catechismo).
In secondo luogo, ho constatato con piacere che vi è molta collaborazione e
un ricco associazionismo sul territorio. Questo dato di fatto mi persuade della
giustezza di sostenere un’alleanza tra il civile e l’ecclesiale: ne guadagneranno
tutti.
In terzo luogo, sono stati ricordati i grandi cambiamenti intervenuti, a livello sociale, a Villadossola e si è affermata la necessità di re-inventare il postindustrializzazione, con una particolare attenzione al tema della solidarietà. A
questo proposito non posso che esprimere l’incoraggiamento della Chiesa e la
ricchezza di ispirazione per una convivenza civile offerta dal Vangelo. Un capitolo di applicazione di tutto questo è certamente quello dell’immigrazione. Nel
segno della convivenza accogliente andranno coinvolti il più possibile i giovani, attraverso le varie associazioni. In tal modo saranno certamente molto aiutati a crescere.
Ringrazio di cuore le molte le Associazioni presenti sul territorio e che hanno fatto i loro interventi nell’incontro di quel mattino. Ho visto dunque tanti
429
LA PAROLA
DEL VESCOVO
segni di civiltà. Credo che si debba andare avanti. È una fortuna avere, nella
propria storia, luminosi testimoni. È stato presentato un libro intitolato:
“Alegria e Grazia”. Quel titolo vorrebbe dire speranza e Provvidenza; dedizione
e fiducia in Dio: un bel titolo e un bel programma.
2. ASSEMBLEA
DEGLI
OPERATORI
PASTORALI
Rinnovo, attraverso questa lettera, il mio saluto a tutti e il mio ringraziamento ai Sacerdoti, alle Religiose e ai laici. Abbiamo riflettuto sull’Unità
Pastorale. È un germe. Ma dir questo è già constatare qualcosa di molto importante. Il Signore ci aiuterà a farlo crescere.
Prospettiva di fondo
Quando parliamo di Unità Pastorale dobbiamo coglierne l’intimo significato. Lo esprimerei così: siamo chiamati a mettere in circolo tutte le energie evangeliche. In tal modo offriremo nel modo più adeguata una risposta al compito
educativo-pastorale che abbiamo ricevuto dal Signore. È molto importante poiché, dal punto di vista sociale e culturale, ci troviamo in una condizione oggettivamente missionaria.
Volendo usare un’immagine, direi che i vari ruscelletti dell’Ossola devono
confluire nel Toce. Passando dall’immagine alla realtà intendo dire che dobbiamo camminare tutti insieme: Sacerdoti, Religiosi/e, Associazioni e
Movimenti, semplici christifideles laici. Tutti siamo chiamati, già a partire dal
Vangelo, a costruire la Chiesa dando così espressione alla nostra vocazione
sacerdotale, profetica e regale. Invito tutti a rileggere la prima lettera ai Corinti,
al capitolo dodicesimo.
Nell’orizzonte ora indicato le Parrocchie sono “la Chiesa che vive tra le case
della gente”. La loro importanza è innegabile, e rimarrà tale anche in futuro. E
tuttavia il discorso sulla Parrocchia (e ancor più sull’Unità Pastorale) non incomincia dalla Parrocchia o dall’Unità Pastorale, bensì dalla Chiesa intera, dai
dodici apostoli cui è stata confidata la missione di portare il Vangelo fino ai
confini del mondo e dai loro successori: è questo l’orizzonte ecclesiologico assolutamente decisivo nel quale inquadrare il discorso sull’Unità Pastorale.
Passi da compiere
Il cammino si avvia con dei passi concreti, anche con un solo passo. Ne indico alcuni sui quali ci si è soffermati durante i tre giorni che ho trascorso con
voi. Sono passi che chiedono una decisione.
Primo passo: l’attenzione pastorale agli adolescenti e ai giovani.
È evidente che ci dobbiamo aiutare vicendevolmente. Occorre anche essere
molto vigilanti per evitare una tentazione serpeggiante: quella di diventare un
po’ fatalisti, come se si fosse dei soldati che ormai hanno perso la guerra. In
termini positivi ci occorre il coraggio di verificare come stiamo portando avanti le cose e spingere la fantasia educativa a scoprire i modi più adeguati per
seguire adolescenti e giovani. Ricordo che, a proposito dei bambini e dei ragazzi, tutto quello che si può fare nelle singole Parrocchie, va fatto.
430
LA PAROLA
DEL VESCOVO
Secondo passo: la formazione degli operatori pastorali.
È evidente che se essi vengono ben formati, possiamo usufruire di una
“locomotiva” laicale che può trainare anche un lungo convoglio. Il riferimento
alla formazione dice che va evitata l’improvvisazione nel servizio dei catechisti,
degli animatori, dei cooperatori nel Consiglio Pastorale. Va arricchita la mente
e il cuore di tutti questi laici. In modo speciale essi vanno aiutati a mettere il
Signore Gesù al centro del proprio cuore.
Terzo passo: la Caritas di Unità Pastorale.
È già in atto. Incoraggio a proseguire su tale strada (riprenderò il tema della Caritas più avanti in questa lettera).
Quarto passo: il lavoro culturale.
Nella nostra assemblea di Pallanzeno non se n’è parlato. Ma, mentre ascoltavo, mi sono trovato a pensare proprio a questo capitolo. Come non tenerne
conto mentre constatiamo che varie proposte che raggiungono la nostra gente
(per esempio attraverso i mass-media) tendono a strappare la fede dal cuore
dei cristiani? Non è forse necessario offrire ai cristiani e a tutti gli uomini di
buona volontà strumenti di informazione e riflessione sui problemi più scottanti e sulle questioni più fondamentali?
Quinto passo: la comunione, la stima e la collaborazione tra i Sacerdoti.
C’è già. È da ritenere assolutamente fondamentale per tutto quanto detto
fin qui.
***
Siamo dunque chiamati a camminare insieme; a dare verità al canto: “Il tuo
popolo in cammino”. È il cammino nella comunione. È il cammino della missione.
3. INCONTRO CARITAS
Le varie iniziative
DELL’UNITÀ
PASTORALE
Ho toccato con mano la presenza di molte iniziative: il “Centro di prima
accoglienza” (uomini); “Case aperte” (emergenze); “Casa Noemi” (donne);
“Centro di ascolto Caritas”; “Punto e Virgola” (vestiario e arredi); “San
Vincenzo”; “Gruppo lavori per l’Oratorio; “AVAS”; “Cottolengo di Biella”; e altro
ancora.
Sono stupito di quanto ho ascoltato nel nostro incontro. Sarebbe bello che
tutta questa ricchezza di carità si esprimesse in tutto il territorio diocesano.
Giustamente sono stati ricordati i testimoni della carità: da San Vincenzo al
Cottolengo, da don Camillo Nobile a don Gianfranco Tabarini, a Noemi Ceresa.
Mi sembra importante far conoscere a tutti le iniziative che state portando
avanti: possono diventare suggerimenti preziosi anche per altre Parrocchie. Mi
431
LA PAROLA
DEL VESCOVO
ha fatto molto riflettere l’osservazione circa il fatto che spesso è difficile, per
certe famiglie, uscire dall’emergenza. Mi sembra molto giusto, da un punto di
vista metodologico, coinvolgere il più possibile l’intera comunità, coltivando in
essa il senso della “prossimità”. Altrettanto importante mi sembra dare volto
alla Caritas in termini di concretezza nell’offrire degli aiuti.
Osservazioni
Mi ha colpito una frase. Diceva una signora: “Noi non giriamo il mondo, ma
il mondo, ogni mercoledì, passa di qui”.
Aggiungo anche una parola importante che mi viene suggerita dall’esperienza secolare della San Vincenzo. Questa associazione ha sempre avuto come
criterio di base il contatto personale con i poveri (cfr. il beato Pier Giorgio
Frassati) in vista di offrire un sostegno materiale e morale e di fare tutto questo con uno stile di discrezione.
Avverto, come qualcuno ha detto, l’importanza di proporre ai giovani, come
punto qualificante del loro progetto formativo, il “chinarsi sull’uomo”, come
diceva Giovanni Paolo II.
In apertura del nostro incontro è stata letta la pagina del “buon
Samaritano”. Tale lettura è stata accompagnata dal commento del Papa
Benedetto XVI. Il programma che egli ci offre è quello di avere “un cuore che
vede”; e poi di agire “adesso, in prima persona, con passione, ovunque ve ne
sia la possibilità”; e infine “rafforzando questa consapevolezza in modo che,
attraverso il concreto agire, si diventi testimoni credibili di Cristo” (cfr. Enc.
Deus caritas est).
4. INCONTRO
SUL LAVORO FORMATIVO
NELLE VARIE ETÀ DELLA VITA
Anche quell’incontro mi conduce a dire anzitutto un grazie. Mi pare che state vivendo “una cosa seria”, molto pregevole.
La questione di fondo
Vi invito a leggere le cose in profondità e a tenere conto, in particolare, che
il cristianesimo non è semplicemente un concetto astratto; nemmeno solo una
proposta etica. È invece un incontro personale con il Signore Gesù Cristo, con
il suo amore che trova risposta nell’atto di libertà del nostro amore. In questo
modo Gesù viene riconosciuto veramente come “la roccia” di quella casa che è
la nostra vita.
Il cammino
Constato con gioia che voi non mettete in atto semplicemente “diverse iniziative”, ma proponete un cammino pensato, elaborato, rivisto nel tempo. La
“casa” ha le sue “stanze” per le varie tappe della vita.
Gli educatori
432
LA PAROLA
DEL VESCOVO
Non è esagerato dire che essi sono decisivi. Perciò devono essere molto
significativi. Tenendo conto di questo devono assolutamente dedicarsi, anche
a costo di sacrificio, alla propria formazione, da intendere come un impegno
“permanente”. Non bisogna avere paura di chiedere molto a se stessi per la formazione. Non si esagera mai. La qualità degli educatori è ciò che garantisce
che nella vita della comunità vi sia un motore e che i ragazzi, gli adolescenti e
i giovani possano incontrare valide figure di riferimento.
L’amalgama
I fattori tra loro strettamente connessi in un serio cammino di iniziazione
cristiana per i ragazzi, gli adolescenti e i giovani sono: conoscere la verità della rivelazione di Dio, soprattutto in Gesù Cristo; coltivare la preghiera e la liturgia; “fare” ogni giorno il Vangelo. Questi tre elementi vanno verificati costantemente. Quando ci sono, si può aver fiducia che il cammino cristiano avverrà.
Quando non ci fossero, nonostante tutto, saremmo dei poveri illusi.
Rilettura del cammino “dalla fine”
Mi sembra particolarmente significativo rileggere “dalla fine” tutte le varie
tappe del cammino che viene proposto nella vostra Parrocchia, a cominciare
dalla più tenera età e fino ai giovani-adulti. La domanda fondamentale da porsi è la seguente: che cosa ha caratterizzato il cammino?
Ci sono alcuni punti che, lungo l’itinerario, devono piano piano emergere.
Occorre affrontare la questione della fede e della vocazione; quella della professione e della vita sociale e politica; quella dell’umanità dell’uomo e della cultura; quella dell’introduzione nella comunità cristiana adulta.
5. INCONTRO
CON I GIOVANI
Anche questo incontro è stato buono. Ho colto molta vivacità. Erano presenti giovani di tutte le Parrocchie dell’Unità Pastorale. È stato bello osservare
che, nello svolgimento del nostro incontro, sono stati chiamati in causa, volta
per volta, i giovani animatori stessi, spesso accompagnati dai ragazzi che sono
stati a loro affidati. Facendo sintesi su quell’incontro metto in evidenza alcune
cose.
L’intervento di don Benoît
Nelle sue parole ho colto due caratteristiche importanti del lavoro che viene
svolto.
Colloquio personale
Il primo è il colloquio personale con i giovani. Sono contento che egli si sia
impegnato a dare tempo a ciascuno degli adolescenti e giovani. Questa sua
scelta pedagogica non ha mancato di sorprendere qualcuno, negli anni scorsi,
ma poi è stata capita. Mi sembra una scelta molto preziosa.
433
LA PAROLA
DEL VESCOVO
Impasto della proposta educativa
Nelle parole di don Benoît ho colto anche la descrizione dell’impasto della
proposta distesa sull’arco di diversi anni: preghiera e liturgia (Eucaristia,
Penitenza); formazione e “vita di gruppo”; assunzione di un impegno (di una
responsabilità) già dalla terza media. Mi sembra una scelta persuasiva.
Due date importanti
Sempre da don Benoît ho colto la sottolineatura di due dati importanti:
attorno ai tredici anni e attorno ai diciotto/diciannove.
Anche qui, condivido l’osservazione. Suggerisco di prestare una cura speciale a quei passaggi. Il primo perché da sempre è critico, e oggi lo è anche più
di una volta; il secondo perché fa riferimento a un momento della vita nel quale, guardando al futuro, ci si deve chiedere, in una forma sufficientemente
matura, come impostarlo e affrontarlo.
Interventi degli educatori: dare e ricevere
Quanto al dare, è stato detto che il servizio educativo ha, come destinatari,
non delle “cose”, ma dei “beni preziosi”. Tali beni sono le persone stesse dei
ragazzi. Questa lettura mi sembra molto bella e certamente dà respiro alla fatica degli educatori.
Quanto al ricevere, si è detto che l’impegno in favore della crescita dei ragazzi diventa stimolo per il cammino degli educatori stessi, sia perché costringe a
riflettere su problemi importanti per l’uomo, sia perché pone in evidenza colui
che è destinato a diventare sempre più il centro della vita degli educatori: il
Signore Gesù Cristo.
***
Ringrazio il Signore del bel clima che ho incontrato. Chiedo al Signore stesso che ragazzi, adolescenti, giovani e giovani-adulti vivano con la ricchezza che
è stata descritta anche in futuro. Il lavoro in atto deve continuare, mentre don
Benoît inizierà una nuova tappa della sua vita in Africa.
Immagini
Ci sono alcune immagini che ho colto nello svolgimento del nostro incontro.
La prima. Qualcuno ha detto: “L’abito dal quale si riconosce il cristiano è il
modo di vivere. Si tratta di rivestirsi di Cristo”.
La seconda. È stato ricordato il ragazzo con i cinque pani e i due pesci.
Ciascuno di noi può essere molto importante se mette a disposizione quello che
ha in favore del cammino dei ragazzi. Infatti, avviene per noi come per il ragazzo del Vangelo: ci si mette a servizio di Gesù. È lui che ha compiuto il miracolo della moltiplicazione dei pani ed è ancora lui che oggi compie il miracolo che
fa, di un ragazzo, un ragazzo di fede.
La terza immagine. È quella dello zaino, nel quale si ripone tutto ciò che
negli anni dell’infanzia e della fanciullezza si riceve dagli educatori, a cominciare dai genitori. Poi, nella preadolescenza, arriva il tempo nel quale il ragazzo toglie ciò che c’è nello zaino, lo riconsidera e deve decidere, con un atto di
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
libertà e di nuova consapevolezza, che cosa rimettere dentro per il suo cammino futuro. Evidentemente si tratta di un’operazione molto delicata. Il preadolescente non deve essere lasciato solo.
La quarta immagine. È stato ricordato l’incontro con dei giovani della Grecia
e dell’Estonia. Mi è sembrata un’esperienza interessante e, nel medesimo tempo, delicata. Credo che in casi del genere vada tenuto presente un binomio che
si racchiude nei seguenti termini: dialogo/identità. Ciò significa evitare chiusure preconcette nei confronti degli altri e, nel medesimo tempo, non cadere
nell’errore di considerare il relativismo gnoseologico ed etico come un passo
avanti. Dialogo e identità propongono invece una sintesi positiva e molto ricca.
La quinta immagine emersa è stata quella dei “testimoni”. Sono stati ricordati: Daniela Zanetta, don Giovanni Rossi, la visita al carcere di Verbania, l’incontro con il Sermig di Torino. Credo proprio che l’andare costantemente a
scuola dei testimoni faccia parte del metodo educativo più convincente.
La sesta immagine è quella ricordata con riferimento alla responsabilità
educativa nei confronti dei più grandi, dei giovani-adulti. Nei loro confronti, si
è detto, più che “maestri” si è chiamati ad essere compagni di cammino per un
cammino che viene compiuto insieme.
6. OSSERVAZIONI
CONCLUSIVE
Nella celebrazione eucaristica vespertina che abbiamo vissuto a Pallanzeno
abbiamo portato dinanzi al Signore il cammino della nostra “Tre Giorni”.
Durante l’omilia ho richiamato il significato essenziale e profondo dell’esperienza che avevamo compiuto. Ho rivolto a tutti un triplice invito: a camminare insieme; a farlo nella comunione fraterna; a compierlo in vista della missione.
Quanto al camminare insieme, esso va caratterizzato da una duplice attenzione: vivere con la fede nell’unico Maestro e Signore; e vivere al di dentro dell’unica Chiesa degli apostoli.
Quanto alla comunione, essa è da intendere come la comunione fraterna; è
pure da intendere come la valorizzazione dei diversi doni diffusi con libertà dallo Spirito Santo nel cuore dei fedeli; ed è infine da sperimentare come un impegno a progettare insieme il cammino educativo e pastorale, per poi portarlo
avanti insieme e verificarlo insieme.
Quanto alla missione, è una sfida che il Signore ci chiede di affrontare mentre ci troviamo in un contesto oggettivamente missionario. Lo dobbiamo fare
appoggiandoci alla forza dello Spirito Santo. Lo dobbiamo mettere in atto in
obbedienza al comando del Signore che ci chiede di portare il Vangelo in tutto
il mondo e di essere suoi testimoni.
Il Signore ci benedica. Maria Santissima ci accompagni. Saluti a tutti e
auguri cordiali di ogni bene.
+ Renato Corti
Novara, 31 maggio 2009
435
LA PAROLA
DEL VESCOVO
Nella festa patronale
della Polizia penitenziaria
Intervento del Vescovo
Novara, chiesa del Rosario - 30 giugno 2009
Abbiamo ascoltato due pagine della Sacra Scrittura e a me toccherebbe suggerire un approfondimento della Parola di Dio. Mi sembra però giusto dare
risonanza a quanto ho ascoltato fino a questo punto, anche se probabilmente
consumerà tutti i minuti previsti per il mio intervento.
Sono tre i capitoli sui quali vorrei recepire quanto ho ascoltato. Vorrei invitare voi tutti a portarli nella preghiera.
Istituzione penitenziaria
Mi soffermo anzitutto sull’Istituzione penitenziaria della quale sono stati
indicati gli obiettivi fondamentali. Ne ho colti tre: quello della sicurezza, quello del recupero da una condotta di vita scorretta, quello del re-inserimento nella società.
Obiettivi importanti che talvolta possono parere irraggiungibili. L’invito a
pregare è da intendere proprio così: che non si mettano mai tra parentesi le
finalità essenziali del carcere e che, al contrario, esse vengano riconfermate
ogni giorno, pur in mezzo a molte difficoltà e contraddizioni.
Polizia penitenziaria
Vi invito a portare nella preghiera tutti i membri del Corpo della Polizia penitenziaria: quelli che sono qui presenti e quelli che sono impegnati in questo
momento nel servizio quotidiano all’interno del carcere.
È stato detto che l’attività, in questi anni, ha avuto un notevole incremento.
Si è aggiunto che, da parte della Polizia penitenziaria, si vive l’esperienza di un
contatto costante con i detenuti. Si è pure osservato che la difficile condizione
quotidiana chiama i membri del Corpo a dare il meglio di sé. Nella stessa linea
si è ricordato che la responsabilità affidata a questo Corpo richiede molta professionalità. A questo proposito non si è mancato di far presente che vanno
garantite le condizioni necessarie perché si possa svolgere debitamente il proprio dovere. Il pensiero è andato anche ai membri del Corpo che, in Italia, hanno corso dei rischi nell’esercizio del proprio dovere e talvolta hanno pagato
anche con la vita. Senza dimenticare che, anche quando non si creano situazioni drammatiche, il sacrificio quotidiano è la norma per tutti i membri del
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
Corpo di Polizia penitenziaria. Queste ultime sottolineature hanno condotto
anche a ricordare i familiari dei membri del Corpo e, in modo speciale, le famiglie che hanno subito addirittura dei lutti.
Tutte queste annotazioni possono diventare preghiera perché il Corpo di
Polizia penitenziaria venga sostenuto, com’è giusto che sia, e perché riceva da
Dio la forza necessaria nello svolgimento di un compito realmente difficile.
Detenuti
Vorrei che portassimo nella preghiera tutti i detenuti. Anche a questo riguardo ho ascoltato osservazioni importanti. La prima è che il sovraffollamento delle carceri è di nuovo realtà. L’intervento legislativo di alcuni anni fa sembrava
avere parzialmente risolto il problema. Ma ora siamo allo stesso punto di prima, se non in condizioni peggiori. Riflettere sul sovraffollamento è assolutamente necessario e va considerato anche a un livello elementari dei metri cubi
garantiti ad ogni detenuto. Senza di che è impossibile evitare rischi anche seri.
Oltre al problema del sovraffollamento, vi è un altro particolare che mi sembra di notevolissima importanza: quello della presenza degli stranieri. Sono circa il sessanta per cento. Anche a questo riguardo ci sono problemi di base che
non possono essere trascurati, a cominciare da quello della comunicazione e
di una garanzia di poter essere capiti con una certa precisione, onde evitare
che non si raggiunga la verità là dove invece la si dovrebbe cercare.
Mi fa riflettere anche il riferimento a problemi psicologici dei detenuti. Forse,
in qualche misura, tutti i detenuti ne sono colpiti. Per gli stranieri forse questo può avvenire in misura anche più rilevante. In ogni caso mi sembra che
riflettere sul disadattamento dei detenuti, sui rischi di depressione debba spingere a valorizzare al meglio tutte le professionalità che possono offrire un
sostegno, specialmente per i casi più problematici. In questo senso ringrazio il
sostegno che viene dato come aiuto psicologico. Aggiungerei un riferimento
esplicito al valore che ha il sostegno spirituale che viene garantito dalla presenza del Cappellano don Gianluigi Usurini.
C’è un’ultima osservazione, tra quelle ascoltate, che mi pare vera: il carcere
è il simbolo delle emergenze che attraversano le società. Non è dunque semplicemente il carcere ad essere un problema; è una diffusa condizione presente nella società ad essere il luogo antropologico di emergenze che possono condurre anche a oltrepassare un giorno o l’altro le porte del carcere.
Vi invito dunque a portare nella preghiera tutti i detenuti presenti
nell’Istituto carcerario di Novara. Credo che, se i membri del Corpo di Polizia
penitenziaria pregano per i detenuti, verranno da Dio illuminati e sorretti nello svolgimento del loro lavoro.
Auguri a tutti.
437
LA PAROLA
DEL VESCOVO
Tradurre il Vangelo nella storia
Di fronte alla nuova Enciclica di Benedetto XVI
Miei cari,
esce la nuova Enciclica di Benedetto XVI. È un testo che esprime la dottrina sociale della Chiesa e ne approfondisce, in modo particolare, alcuni capitoli. Entra
nella scia dei documenti pubblicati lungo i decenni precedenti, a partire dalla fine del
sec. XIX. Si collega, in modo particolare, con l’Enciclica Populorum progressio pubblicata da Paolo VI oltre quarant’anni fa, immediatamente dopo la conclusione del
Concilio Vaticano II e in intimo rapporto con tale avvenimento.
Il titolo è tipico di questo Papa: Caritas in veritate. Dice una spiccata sensibilità e
premura nei confronti della verità. Afferma la relazione fondamentale della carità con
la verità. Come già nelle sue precedenti Encicliche (Deus caritas est; Spe salvi), anche
questa sarà da leggere molto attentamente. Tenuto conto che, purtroppo, la dottrina
sociale della Chiesa non è sufficientemente approfondita e tradotta nel concreto, sarà
da cogliere l’occasione di questo documento come stimolo per coltivarne la conoscenza, anzitutto tra i cristiani e poi anche da parte di tutti gli uomini di buona volontà.
Non ci deve sfuggire che nell’intitolazione della Lettera si fa esplicito riferimento “a
tutti gli uomini di buona volontà”. A suggerirlo è il tema stesso che viene approfondito e che riguarda “lo sviluppo umano integrale”, e cioè la vita dell’intera umanità.
La coincidenza della pubblicazione dell’Enciclica con la riunione internazionale di
Capi di Stato e di Governo (il “G8”) che si tiene in Italia, a L’Aquila, è pure significativa. In questo documento, infatti, vengono ampiamente trattati i temi dell’economia e
della finanza, mettendo in evidenza la forza decisiva della loro relazione con l’etica.
L’attuale crisi internazionale sul fronte economico-finanziario trova eco nel testo del
Papa e riceve da lui un approfondimento particolarmente acuto e sicuramente prezioso. Mi sembra pure singolare il fatto che, in questi stessi giorni, Benedetto XVI riceva
in udienza, per la prima volta, il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Immagino che il
Papa gli farà dono di una copia dell’Enciclica. E credo che, da parte sua, il Presidente
USA potrà, forse, egli stesso apprezzare l’impegno della Chiesa cattolica per orientare le
coscienze sul fronte delle questioni sociali. Potrà egli stesso lasciarsi toccare dalla ricchezza e luminosità antropologica offerta da Benedetto XVI.
***
Questa Enciclica viene pubblicata mentre, nella nostra Diocesi, si conclude un anno
pastorale nel quale ho affidato alle nostre comunità una Lettera Pastorale avente come
tema: “Vivere da cristiani nel mondo”. Intendevo rivolgermi soprattutto ai laici cristia-
438
LA PAROLA
DEL VESCOVO
ni adulti per invitarli a portare - nei vari ambiti della vita professionale, sociale e politica nei quali sono immersi – il sale e la luce del Vangelo. L’urgenza di questa proposta è sotto gli occhi di tutti.
Anche i non credenti la possono avvertire ed anche per loro la parola della Chiesa
può essere di grande sostegno. Si tratta di affrontare, anzitutto da parte dei cristiani,
gli impegni di ogni giorno chiedendosi in quale direzione il Vangelo ci sospinge e come
affrontare i problemi, spesso complessi e ardui, dell’economia e della politica con la
maggiore attenzione possibile alla giustizia e alla sorte delle singole persone e delle
comunità.
Gli interrogativi ai quali va data risposta richiedono molta attenzione al nostro tempo perché diversi problemi si pongono in maniera nuova e perciò bisognosa di ulteriori approfondimenti rispetto alle epoche passate. Basti ricordare, in correlazione con la
nuova Enciclica, i grandi problemi della cittadinanza mondiale, tra cui emergono quelli della giustizia economica internazionale, della migrazione dei popoli, della pace tra
le nazioni, dell’ambiente da preservare. Nessuno di questi temi può lasciare tranquilla la coscienza del cristiano. Ognuno di essi è meritevole di approfondimento e indica
delle responsabilità alle quali siamo chiamati come cittadini del mondo, così come esso
si presenta oggi.
In rapporto ai problemi ora citati, la dottrina sociale della Chiesa, di cui troviamo un
nuovo e rilevante esempio nell’Enciclica Caritas in veritate, va intesa come un aiuto che
la Chiesa offre ai fedeli, e in qualche misura a tutti gli uomini di buona volontà, per
compiere quei discernimenti difficili e rilevanti che investono le decisioni che sono chiamati a maturare giorno per giorno. La dottrina sociale della Chiesa, come già diceva
Giovanni Paolo II, “consiste in un’accurata formulazione dei risultati di un’attenta
riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza dell’uomo, nella società e nel contesto
internazionale, alla luce della fede e della tradizione cristiana. Il suo scopo principale è
di interpretare tale realtà, esaminandone la conformità o difformità con l’insegnamento del Vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrestre e insieme trascendente; per
orientare quindi il comportamento cristiano”.
***
Dopo l’estate la nuova Enciclica dovrà trovare, nella nostra Diocesi, un momento di
presentazione pubblica. Suggerisco, già da ora, che in vari luoghi dell’ampio territorio
diocesano si elaborino delle proposte di formazione della coscienza cristiana sul fronte dei problemi sociali, attingendo ai ricchi insegnamenti della dottrina sociale della
Chiesa che hanno caratterizzato tutto il secolo ventesimo.
Mi sembra importante che la conoscenza del tesoro della dottrina sociale della
Chiesa arrivi anche ai giovani. Per parte mia, vivrò con interesse, all’inizio del mese di
ottobre, un incontro sul tema “Economia ed etica” previsto dalla Facoltà di Economia
presente a Novara. Partecipandovi, avrò modo di ascoltare sia la voce di esperti, sia le
domande degli studenti.
Per parte mia, potrà essere un’occasione opportuna per trasmettere qualche aspetto particolarmente significativo della nuova Enciclica.
Buona estate a tutti.
Novara, 8 luglio 2009
+ Renato Corti
439
LA PAROLA
DEL VESCOVO
L’urgenza di una grande visione
Consegna dell’Enciclica “Caritas in veritate” ai responsabili
della vita politica e socioculturale
Novara - Auditorium BpN, 11 settembre 2009
Sintesi finale del Vescovo
Ringrazio l’Avv. Zanetta per l’ospitalità che ci ha offerto per questa serata.
Ringrazio padre Francesco Occhetta per la relazione intensa e profonda con cui
ci ha arricchito. Ringrazio anche coloro che ci hanno offerto gli interventi conclusivi, favorendo l’approfondimento del documento. Ringrazio tutti i presenti,
che hanno accolto il mio invito a partecipare.
***
Sono più di cento anni, ormai, che la Chiesa offre un contributo sui temi
sociali. Ha incominciato Leone XIII con la Rerum novarum, alla fine del secolo
XIX. Oggi abbiamo in mano l’ultima Enciclica sociale. È stata scritta da
Benedetto XVI e ha un titolo che riflette molto la sua personalità e la sua sensibilità culturale: Caritas in veritate. La dottrina sociale della Chiesa è un tesoro, per lo più nascosto, teso a esprimere il Vangelo guardando al cammino dei
popoli. Non possiamo negare che quest’ultima Enciclica ci si presenta come un
testo molto impegnativo. Peraltro ha avuto una lunga gestazione e dovrà avere, da parte nostra, un’attenzione distesa sul tempo lungo, prendendo in
mano, piano piano i signoli passaggi per un graduale approfondimento.
***
Nelle scorse settimane, ho avvertito in un dibattito radiofonico la voce di chi,
pur lodando il documento, ha aggiunto che è un insegnamento per “le anime
belle”, e non per uomini che vogliono tenere i piedi per terra. Questa osservazione critica mi suggerisce alcune sottolineature.
1. Anzitutto ritengo che abbiamo bisogno di una grande visione. Ce lo chiede il fatto di trovarci in un tempo di globalizzazione: come infatti governarla
positivamente senza una grande visione? A spingere in questa stessa direzione è anche l’11 settembre 2001 (noi ci stiamo trovando proprio in data 11 settembre): un giorno drammatico di portata universale: anche tale avvenimento
drammatico domanda una “visione”.
440
LA PAROLA
DEL VESCOVO
2. In rapporto a questa prospettiva, un aspetto molto interessante, anche se
arduo, dell’Enciclica, sta nel fatto che, mentre è un documento della dottrina
sociale della Chiesa, è anche un documento profondamente antropologico: qui
sta la sua bellezza e la sua forza. Infatti chiama in causa l’aspetto più basilare ed elementare del nostro vivere, dell’avventura umana, del nostro destino e,
a partire da tutto ciò, affronta i temi sociali particolarmente brucianti in questa nostra epoca.
3. Nel contesto antropologico è stata ricordata una grande verità: che l’uomo è persona, è cioè intrinsecamente fatto per la relazione: è cioè una creatura che pensa e agisce nella relazione. Su questo punto è interessante notare la
convergenza molto forte tra l’Enciclica e la Costituzione italiana. Quest’ultima
infatti è fortemente personalista. Ma, come è stato osservato, non è così dappertutto nel mondo. In qualche luogo addirittura manca nel vocabolario il termine persona e occorrono delle circonlocuzioni per esprimerlo. Inoltre non è
nemmeno pacifico che i cosiddetti diritti universali siano oggi riconosciuti
come tali a tutte le latitudini.
4. Giustamente, insieme con il riferimento alla persona, questa sera è stata ricordata la valenza enorme della coscienza, intesa come il luogo più profondo di sé e come la sede delle decisioni veramente umane. È proprio il caso di
dire che essa deve accompagnarci dovunque andiamo, mentre ci disponiamo
ad affrontare le nostre specifiche responsabilità. Questa prospettiva vale per
tutti, credenti e non credenti: essa vuol dire prendere a cuore il raccordo tra
l’etica e i compiti ai quali, giorno per giorno, ci dedichiamo.
5. Non era possibile, in questa nostra serata, non pensare ai giovani.
Aiutarli a crescere in sapienza significa ricondurli a considerare seriamente
l’umano dell’uomo e ad assimilare le esigenze più elementari della vita dell’uomo, impegnato nell’esperienza della relazione e nel suo cammino di crescita.
6. È stata infine giustamente posta la domanda sul modo di comunicare i
valori. È emerso che il sentiero possibile a tutti e che tutti dobbiamo privilegiare, ciascuno nel contesto della sua vocazione e della sua professione, è quello della testimonianza. Essa significa offrire concretamente la prova di come
determinati valori possano diventare impostazione della propria vita, mostrando in tal modo anche l’unità interiore di ciascuno di noi.
441
LA PAROLA
DEL VESCOVO
Sacerdote da cinquant’anni:
riflessioni e ricordi *
Cosa vuol dire nel terzo millennio essere sacerdote?
I colori della figura del sacerdote sono molti nelle varie epoche e sono molti
anche nel presente, se consideriamo i vari continenti e le varie culture. C’è
dunque sempre da riflettere sul rinnovamento del ministero sacerdotale. Ma il
sacerdote non deve avere alcun timore di essere “fuori dal tempo” perché l’oggi umano del sacerdote è inserito – come diceva Giovanni Paolo II – nell’oggi di
Cristo Redentore. Questo “oggi” di Cristo è immerso in tutta la storia. Cristo è
la misura di tutti i tempi.
Quando è iniziato il cammino che lo ha portato ad indossare
l’abito sacerdotale?
Ricordo l’ora del giorno e il luogo. Ero ragazzo di quarta o quinta elementare. Avevo finito il pranzo, Ero uscito in cortile. Sono salito nella cabina del
camion dei miei familiari, che facevano il corriere. Mi è capitato tra le mani un
foglio della rivista vocazionale del seminario di Milano. Si chiamava “La fiaccola”. Osservavo la foto di un gruppo di alunni del seminario. In quel momento
è forse iniziato il mio cammino verso il sacerdozio.
Compirà nel mese di giugno 50 anni di sacerdozio.
Qual è stato il momento più difficile e il più bello?
Ne ricordo uno per tutti. Era sera tardi. Mi trovavo in una casa di Esercizi
Spirituali sopra Erba (Lecco). Il cielo era stellato. Sotto, la città era illuminata.
In quei giorni si meditava il Vangelo secondo Marco. Il predicatore era padre
Carlo Maria Martini. Avvertii, in quella sera, che cosa è veramente il Vangelo:
un vino autentico e forte, senza pari. Lo penso ancora adesso.
Essere stato Vescovo ausiliare per circa 10 anni nella Diocesi
di Milano con il “grande” cardinale Carlo Maria Martini,
che tipo di esperienza è stata?
Ci sono due maniere di affrontare le varie iniziative pastorali in una diocesi.
La prima significa sostanzialmente dedicarsi a “fare” delle cose, pur belle e
necessarie. Un’altra è quella di venire coinvolti nell’iniziativa a cui si partecipa, avvertendo che è molto di più di una “cosa” perché esprime ciò che sta al
cuore dell’esperienza cristiana e dà volto alla vitalità e alla freschezza della
Chiesa. Ho fatto più volte questa seconda esperienza. È davvero impagabile.
* Intervista del nostro Vescovo rilasciata l’8 aprile 2009 a Roberto Cutaia di “Eco risveglio”.
442
LA PAROLA
DEL VESCOVO
I catechisti sono figure importanti per la missione
di evangelizzazione dei giovani nelle realtà parrocchiali.
Crede, in generale, o in particolare nella nostra Diocesi,
che ci sia la necessità di una maggiore formazione?
Si tratta di riflettere sul significato stesso dei termini “catechista”, “formatore”. Il catechista è chiamato ad essere una “risonanza” di Cristo, una “eco” di
lui. Questo è il significato del termine greco, ed è bellissimo. Fa comprendere
che il compito è giustamente messo in atto quando poggia sulla roccia di una
vera familiarità con Gesù. E il “formatore”? Romano Guardini direbbe semplicemente che l’educatore è colui il quale, mentre si rivolge ad un altro, coinvolge realmente se stesso nel cammino che propone.
Quanto è necessaria la purificazione
per ogni componente della Chiesa?
Una Chiesa viva è solo la chiesa che si converte. La stessa cosa va detta delle nostre comunità e dei singoli cristiani. Mi sembra che questo tratto del volto della Chiesa e di, ogni discepolo di Gesù sia oggi poco coltivato. Un segnale? La crisi del sacramento della penitenza. Ma - dovrei aggiungere - anche la
superficialità che accompagna spesso un tempo come la Quaresima. La Chiesa
santa è quella formata da peccatori che si convertono.
Da cosa nasce la fede in un cristiano?
“Nessuno può dire che Gesù è il Signore, se non nello Spirito Santo”. Lo ha
detto l’apostolo Paolo. La fede è dunque grazia. Ed è tanto reale che può trasformare in figli di Abramo anche le pietre, come disse un giorno Gesù. Il luogo umano della trasmissione della fede sono i credenti stessi, così come la vita
si trasmette solo attraverso la vita. Anche le persone più semplici sono il tramite della grazia dello Spirito Santo; anzi, lo possono essere più degli altri. Non
basta invece alcun titolo, nemmeno ecclesiastico, perché si sia automaticamente strumenti dello Spirito Santo che apre alla fede.
Come si alimenta?
Come il corpo esige un ritmo quotidiano per essere debitamente sostenuto
con una adeguata alimentazione, così e nella vita spirituale. A volte ci si stupisce che la fede si indebolisca o appassisca del tutto. Si dovrebbe essere realisti e osservare se e quanto questa vita divina viene alimentata con il cibo giusto e necessario.
La nostra diocesi è una realtà ricca e abbondante
di esempi di santità. Ci potrebbe fare qualche nome?
Mi diceva un parroco: “Nella mia parrocchia ci sono dei santi; è il parroco che
deve convertirsi”. Non mi poteva dire parole simili se non un sacerdote che, in
realtà, voleva inoltrarsi sul sentiero della santità. La Visita Pastorale mi fa toccare con mano che ci sono dei cristiani che vivono eroicamente la loro conduzione familiare, seguendo con amore. ad esempio, un figlio disabile. Condotto
da un parroco, entrai una volta in una famiglia nella quale vi era un giovane
disabile. Il parroco voleva farmi compiere un gesto simbolico: dare la medaglia
d’oro alla mamma di quel giovane. Che commozione! E poi ci sono i santi per
443
LA PAROLA
DEL VESCOVO
i quali c’è il riconoscimento ufficiale della Chiesa che li pone tra i Servi di Dio,
i Beati, i Santi. Penso al martire Giuseppe Maria Gambaro, al beato Contardo
Ferrini, a don Giuseppe Rossi, a Daniela Zanetta e a tanti altri ancora. Un
anno e mezzo fa abbiano vissuto con grande gioia la beatificazione di Antonio
Rosmini.
La santità del beato Antonio Rosmini viene oggi proposta
dalla Chiesa quasi con urgenza. Qual è secondo lei,
la peculiarità di questo portentoso figlio della Chiesa?
Quando penso a Rosmini che, già nell’adolescenza, fa il proposito di non perdere un minuto di tempo, scorgo un cammino di santità. Quando penso che
non volle andare a Roma a studiare, come esigeva suo padre pensando alla
carriera del figlio, vedo un orizzonte di vita che ha a che fare proprio con la
fede. Quando osservo Rosmini che, dopo il periodo tumultuoso di Gaeta con
Pio IX, rientra a Stresa in assoluto silenzio e senza recriminare con nessuno,
dico (e lo disse anche san Giovanni Bosco): questo è davvero un santo. Se poi
considero che la vocazione di Rosmini, indicatagli personalmente dal Papa Pio
VII, è stata quella di dedicarsi a studiare e a scrivere con l’intento di dare evidenza all’armonia possibile tra fede e ragione, lo vedo come il santo della
“carità intellettuale”. Come non avvertire che proprio di tale santità abbiano
oggi estremo bisogno? Benedetto XVI non ci sta forse molto aiutando in questo?
Di recente è diventato un ascritto rosminiano.
C’è un motivo particolare?
I mesi di preparazione alla beatificazione di Rosmini sono diventati uno stimolo all’approfondimento della sua figura per tutta la nostra diocesi. Abbiamo
cercato di favorire questa familiarità attraverso pellegrinaggi che hanno condotto a Stresa i fedeli dei vari vicariati, i sacerdoti, i diaconi permanenti, le religiose ed i religiosi. Naturalmente tutti quei momenti ai quali ho partecipato,
sono diventati anche per me una grande opportunità. Ho conosciuto meglio
Rosmini e intendo indagare ulteriormente la sua testimonianza cristiana. È
anche per questo motivo che ho accolto il gentile invito del Superiore Generale
dell’Istituto della Carità a far parte degli “ascritti”.
Parlando di Rosmini viene in mente con molta rapidità
il verbo ubbidire. Nel contesto sociale mondano odierno
non è molto adoperato nella pratica questo verbo e forse
non è esente neanche il contesto ecclesiastico.
Cosa succede, forse ci vergogniamo di ubbidire alle gerarchie?
Certo Rosmini è stato obbediente fino all’ultimo giorno. Anche un’ opera come
“Le cinque piaghe della Chiesa” è, in realtà, l’esprimersi di un amore appassionato alla Chiesa. La cultura che ci avvolge ha cancellato l’obbedienza ritenendola espropriazione della libertà dell’uomo. Forse ci aiuterebbe a riscoprire il
senso dell’ubbidienza ricordare il vocabolario greco e latino che la esprime. In
entrambe le lingue vi è un legame stretto tra ascolto e ubbidienza.
L’ubbidienza è un ascolto particolarmente intenso (in greco si dice: “akuein”
e “upakuein”; in latino: “audire”, “obaudire”). La religione ebraico cristiana ha,
444
LA PAROLA
DEL VESCOVO
come struttura, precisamente questa: di essere religione di un Dio che parla
e dell’uomo che è chiamato a sporgersi con la sua libertà e a decidere di fare
della Parola di Dio la lampada sui propri passi. Tutto questo lascia intuire che,
in tutti i casi, è a Dio stesso che siamo chiamati a ubbidire. Così va intesa l’obbedienza nella Chiesa. L’autorità è finalizzata ad aiutare le persone a scoprire
che cosa Dio si attende da noi. In definitiva, è tutta la Chiesa che deve ubbidire al suo Signore.
Lei ha avuto modo di incontrare, se i miei calcoli sono stati
fatti bene, gli ultimi cinque Papi.
Che ricordi conserva di queste figure straordinarie?
Partiamo dall’oggi, da Benedetto XVI. Ho avuto varie occasioni di incontrarlo. Ricordo in particolare, che nella “Visita ad limina” del maggio 2007, gli
chiesi quando si sarebbe concluso l’iter della beatificazione di Rosmini. Non
molto tempo dopo venne l’annuncio ufficiale della conclusione.
Quanto a Giovanni Paolo II, ho avuto modo di stargli vicino nelle due visite
che fece a Milano per il Congresso Eucaristico e per il Centenario della morte
di San Carlo. Ho poi avuto la grazia di predicare gli Esercizi Spirituali in
Vaticano due mesi circa prima della sua morte.
Paolo VI fu mio Arcivescovo per otto anni e da lui sono stato consacrato
sacerdote. Sapeva leggere i tempi e sapeva anticipare risposte necessarie per il
futuro. Non ho mai incontrato nessuno che avesse il dono della parola quanto
lui, nei suoi anni milanesi.
Fu nel duomo di Milano che incontrai per la prima volta Giovanni XXIII, che
allora era Patriarca di Venezia. Eravamo alla fine del mese di agosto 1954. Era
morto l’arcivescovo card. Schuster, già monaco benedettino. Il card. Roncalli
svolse l’omilia sul motto di san Benedetto: “Ora et labora”. Non lo compresi
molto, quel giorno. Forse ero troppo giovane. Ma più tardi scoprire in Angelo
Roncalli un “angelo” di Dio.
E Pio XII? Ne ho solo ascoltato, attraverso la radio qualche discorso. Avrei
dovuto vederlo nella basilica di San Pietro il 12 dicembre 1954 per l’ordinazione episcopale del nuovo arcivescovo di Milano, già suo pro-segretario di Stato.
Ma proprio quel giorno il Papa era ammalato. La sua voce arrivò, anche in
quella circostanza, via radio.
La Chiesa ha bisogno della Parrocchia?
Credo di sì. Due o tre decenni fa si diceva e si scriveva che la parrocchia era
al tramonto. Oggi la si riscopre come una grande intuizione da preservare. Ma
proprio il compito della nuova evangelizzazione chiede alla parrocchia di ripensarsi coraggiosamente in senso missionario. Essa esiste per i fedeli, ma anche
per tutti gli abitanti del territorio, credenti o non. Deve ripensarsi nel senso di
non perdere nessuna occasione che le è offerta di incontrare in modo efficace
ragazzi, adolescenti, giovani, adulti, anziani. Deve ripensarsi nel senso di fare
la scelta, sempre più urgente, di “camminare insieme” con le altre parrocchie
e con la diocesi intera, nonché di valorizzare al meglio tutte le energie evangeliche presenti sul territorio.
445
LA PAROLA
DEL VESCOVO
Dialogare con i non credenti è sempre stata una preoccupazione
importante per la Chiesa Cattolica.
Fino a quando questo dialogo è necessario?
Sempre. E non è facile perché vanno tenute insieme due esigenze dialettiche:
il rispetto della propria identità e la fiducia di poter trovare aiuto da parte dell’altro nella ricerca delle scelte più vere e più giuste. Conosciamo le oscillazioni presenti nella storia della Chiesa, anche in quest’ultimo secolo. La stagione
attuale fa correre il rischio di qualche indebita semplificazione di ciò che è
complesso. Invece, proprio trovandoci dentro la complessità, dovremmo sentirci sollecitati ad accogliere riflessioni ed intuizioni da parte di persone competenti e oneste.
La consapevolezza e la capacità di argomentare le ragioni
della propria fede spesso sono un ottimo antidoto ai contrasti
con chi non crede e chi professa una religione diversa dalla nostra.
Quindi evangelizzare la cultura attraverso l’esempio personale
di ognuno di noi diventa necessario nei nostri giorni?
È vero. Ed è particolarmente necessario oggi. Ognuno, secondo le proprie
responsabilità, deve dare spazio ad un approfondimento serio della fede cristiana, delle sacre Scritture, della Dottrina sociale della Chiesa. Deve cercare
gli strumenti idonei per essere in grado di “dare ragione della speranza” che è
seminata nel nostro cuore dal Signore nostro Gesù Cristo. Deve coltivare l’incontro con persone capaci di illuminare i problemi dell’uomo nella luce di
Cristo.
Oggi spesso accade di spiegare Dio con le categorie del mondo.
Cioè il mondo si spiega a partire da Dio?
Ciò che occorre temere di più è l’evaporare del “senso del mistero” del nostro
esistere, di ciò che ci circonda, di ciò che ci precede e non dipende da noi, del
nostro destino futuro che non è assolutamente nelle nostre mani. È il senso
creaturale: “Che cos’è l’uomo perché ti ricordi di lui?”; ed è il senso della grandezza della nostra vocazione: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di
Dio lo creò; maschio e femmina li creò”. Di noi sono veri due aspetti che paiono lontanissimi tra loro: siamo un filo d’erba e siamo veri figli di Dio nel suo
Figlio unigenito.
Per concludere. La sua passione per la musica
e il pianoforte quando è nata?
Suono dalla prima media. Ho studiato pianoforte nel ginnasio e nel liceo. Poi
ho lasciato, e fu un modo per dire a me stesso che la mia vita era totalmente
dedicata alla missione. Ma la musica mi è sempre servita, anche a livello pastorale. Pure in questo momento c’è uno spartito aperto sul pianoforte. Sono alcune luminose pagine di Joseph Haydn.
Suonare è per me un modo di riposare (e dovrei suonare di più!).
446
LA PAROLA
DEL
PAPA
San Giovanni Maria Vianney,
il Santo Curato d’Ars
“esempio per i parroci”
Catechesi del Santo Padre
5 agosto 2009
Cari fratelli e sorelle,
nell’odierna catechesi vorrei ripercorrere brevemente l’esistenza del Santo Curato d’Ars sottolineandone alcuni tratti, che possono
essere di esempio anche per i sacerdoti di questa nostra epoca, certamente
diversa da quella in cui egli visse, ma segnata, per molti versi, dalle stesse sfide fondamentali umane e spirituali.
Proprio ieri si sono compiuti 150 anni dalla sua nascita al Cielo: erano infatti le due del mattino del 4 agosto 1859, quando san Giovanni Battista Maria
Vianney, terminato il corso della sua esistenza terrena, andò incontro al
Padre celeste per ricevere in eredità il regno preparato fin dalla creazione del
mondo per coloro che fedelmente seguono i suoi insegnamenti (cfr Mt 25,34).
Quale grande festa deve esserci stata in Paradiso all’ingresso di un così
zelante pastore! Quale accoglienza deve avergli riservata la moltitudine dei
figli riconciliati con il Padre, per mezzo dalla sua opera di parroco e confessore! Ho voluto prendere spunto da questo anniversario per indire l’Anno
Sacerdotale, che, com’è noto, ha per tema Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote. Dipende dalla santità la credibilità della testimonianza e, in definitiva,
l’efficacia stessa della missione di ogni sacerdote.
Giovanni Maria Vianney nacque nel piccolo borgo di Dardilly l’8 maggio del
1786, da una famiglia contadina, povera di beni materiali, ma ricca di umanità
e di fede. Battezzato, com’era buon uso all’epoca, lo stesso giorno della nascita, consacrò gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza ai lavori nei campi e
al pascolo degli animali, tanto che, all’età di diciassette anni, era ancora analfabeta. Conosceva però a memoria le preghiere insegnategli dalla pia madre e
si nutriva del senso religioso che si respirava in casa. I biografi narrano che,
fin dalla prima giovinezza, egli cercò di conformarsi alla divina volontà anche
nelle mansioni più umili. Nutriva in animo il desiderio di divenire sacerdote,
ma non gli fu facile assecondarlo. Giunse infatti all’Ordinazione presbiterale
dopo non poche traversìe ed incomprensioni, grazie all’aiuto di sapienti sacer-
447
LA PAROLA
DEL
PAPA
doti, che non si fermarono a considerare i suoi limiti umani, ma seppero guardare oltre, intuendo l’orizzonte di santità che si profilava in quel giovane veramente singolare. Così, il 23 giugno 1815, fu ordinato diacono e, il 13 agosto
seguente, sacerdote. Finalmente all’età di 29 anni, dopo molte incertezze, non
pochi insuccessi e tante lacrime, poté salire l’altare del Signore e realizzare il
sogno della sua vita.
Il Santo Curato d’Ars manifestò sempre un’altissima considerazione del dono
ricevuto. Affermava: “Oh! Che cosa grande è il Sacerdozio! Non lo si capirà
bene che in Cielo… se lo si comprendesse sulla terra, si morirebbe, non di spavento ma di amore!” (Abbé Monnin, Esprit du Curé d’Ars, p. 113). Inoltre, da
fanciullo aveva confidato alla madre: “Se fossi prete, vorrei conquistare molte
anime” (Abbé Monnin, Procès de l’ordinaire, p. 1064). E così fu.
Nel servizio pastorale, tanto semplice quanto straordinariamente fecondo,
questo anonimo parroco di uno sperduto villaggio del sud della Francia riuscì
talmente ad immedesimarsi col proprio ministero, da divenire, anche in maniera visibilmente ed universalmente riconoscibile, alter Christus, immagine del
Buon Pastore, che, a differenza del mercenario, dà la vita per le proprie pecore (cfr Gv 10,11). Sull’esempio del Buon Pastore, egli ha dato la vita nei decenni del suo servizio sacerdotale. La sua esistenza fu una catechesi vivente, che
acquistava un’efficacia particolarissima quando la gente lo vedeva celebrare la
Messa, sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere molte ore nel
confessionale.
Centro di tutta la sua vita era dunque l’Eucaristia, che celebrava ed adorava
con devozione e rispetto. Altra caratteristica fondamentale di questa straordinaria figura sacerdotale era l’assiduo ministero delle confessioni. Riconosceva
nella pratica del sacramento della penitenza il logico e naturale compimento
dell’apostolato sacerdotale, in obbedienza al mandato di Cristo: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (cfr Gv 20,23).
San Giovanni Maria Vianney si distinse pertanto come ottimo e instancabile
confessore e maestro spirituale. Passando “con un solo movimento interiore,
dall’altare al confessionale”, dove trascorreva gran parte della giornata, cercava in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai parrocchiani il significato e la bellezza della penitenza sacramentale,
mostrandola come un’esigenza intima della Presenza eucaristica (cfr Lettera ai
sacerdoti per l’Anno Sacerdotale).
I metodi pastorali di san Giovanni Maria Vianney potrebbero apparire
poco adatti alle attuali condizioni sociali e culturali. Come potrebbe infatti
imitarlo un sacerdote oggi, in un mondo tanto cambiato? Se è vero che
mutano i tempi e molti carismi sono tipici della persona, quindi irripetibi-
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LA PAROLA
DEL
PAPA
li, c’è però uno stile di vita e un anelito di fondo che tutti siamo chiamati
a coltivare. A ben vedere, ciò che ha reso santo il Curato d’Ars è stata la
sua umile fedeltà alla missione a cui Iddio lo aveva chiamato; è stato il suo
costante abbandono, colmo di fiducia, nelle mani della Provvidenza divina.
Egli riuscì a toccare il cuore della gente non in forza delle proprie doti umane, né facendo leva esclusivamente su un pur lodevole impegno della
volontà; conquistò le anime, anche le più refrattarie, comunicando loro ciò
che intimamente viveva, e cioè la sua amicizia con Cristo. Fu “innamorato”
di Cristo, e il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che
nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto, che è
divenuto amore per il gregge di Cristo, i cristiani e per tutte le persone che
cercano Dio.
La sua testimonianza ci ricorda, cari fratelli e sorelle, che per ciascun
battezzato, e ancor più per il sacerdote, l’Eucaristia “non è semplicemente
un evento con due protagonisti, un dialogo tra Dio e me. La Comunione
eucaristica tende ad una trasformazione totale della propria vita. Con forza spalanca l’intero io dell’uomo e crea un nuovo noi” (Joseph Ratzinger,
La Comunione nella Chiesa, p. 80).
Lungi allora dal ridurre la figura di san Giovanni Maria Vianney a un
esempio, sia pure ammirevole, della spiritualità devozionale ottocentesca,
è necessario al contrario cogliere la forza profetica che contrassegna la sua
personalità umana e sacerdotale di altissima attualità.
Nella Francia post-rivoluzionaria che sperimentava una sorta di “dittatura del razionalismo” volta a cancellare la presenza stessa dei sacerdoti e
della Chiesa nella società, egli visse, prima - negli anni della giovinezza un’eroica clandestinità percorrendo chilometri nella notte per partecipare
alla Santa Messa. Poi - da sacerdote – si contraddistinse per una singolare e feconda creatività pastorale, atta a mostrare che il razionalismo, allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni dell’uomo e quindi, in definitiva, non vivibile.
Cari fratelli e sorelle, a 150 anni dalla morte del Santo Curato d’Ars, le sfide
della società odierna non sono meno impegnative, anzi forse, si sono fatte più
complesse. Se allora c’era la “dittatura del razionalismo”, all’epoca attuale si
registra in molti ambienti una sorta di “dittatura del relativismo”.
Entrambe appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di
usare a pieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei
limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo mortifica la ragione,
perché di fatto arriva ad affermare che l’essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo. Oggi però, come allora,
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LA PAROLA
DEL
PAPA
l’uomo “mendicante di significato e compimento” va alla continua ricerca di
risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi.
Avevano ben presente questa “sete di verità”, che arde nel cuore di ogni
uomo, i Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II quando affermarono che
spetta ai sacerdoti, “quali educatori della fede”, formare “un’autentica comunità cristiana” capace di aprire “a tutti gli uomini la strada che conduce a
Cristo” e di esercitare “una vera azione materna” nei loro confronti, indicando
o agevolando a che non crede “il cammino che porta a Cristo e alla sua Chiesa”,
e costituendo per chi già crede “stimolo, alimento e sostegno per la lotta spirituale” (cfr Presbyterorum ordinis, 6).
L’insegnamento che a questo proposito continua a trasmetterci il Santo
Curato d’Ars é che, alla base di tale impegno pastorale, il sacerdote deve porre un’intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo
giorno. Solo se innamorato di Cristo, il sacerdote potrà insegnare a tutti questa unione, questa amicizia intima con il divino Maestro, potrà toccare i cuori
della gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore. Solo così, di conseguenza, potrà infondere entusiasmo e vitalità spirituale alle comunità che il
Signore gli affida.
Preghiamo perché, per intercessione di san Giovanni Maria Vianney, Iddio
faccia dono alla sua Chiesa di santi sacerdoti, e perché cresca nei fedeli il desiderio di sostenere e coadiuvare il loro ministero. Affidiamo questa intenzione a
Maria, che proprio oggi invochiamo come Madonna della Neve.
Benedetto XVI
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LA PAROLA
DEL
PAPA
“Le nazioni cammineranno
alla sua luce” (Ap 21,24)
Messaggio di Benedetto XVI
per la Giornata Missionaria Mondiale - 18 ottobre 2009
In questa domenica, dedicata alle missioni, mi rivolgo innanzitutto a voi,
Fratelli nel ministero episcopale e sacerdotale, e poi anche a voi, fratelli e sorelle dell’intero Popolo di Dio, per esortare ciascuno a ravvivare in sé la consapevolezza del mandato missionario di Cristo di fare “discepoli tutti i popoli”
(Mt 28,19), sulle orme di san Paolo, l’Apostolo delle Genti.
“Le nazioni cammineranno alla sua luce” (Ap 21,24). Scopo della missione della Chiesa infatti è di illuminare con la luce del Vangelo tutti i popoli nel loro
cammino storico verso Dio, perché in Lui abbiano la loro piena realizzazione
ed il loro compimento.
Dobbiamo sentire l’ansia e la passione di illuminare tutti i popoli, con la luce
di Cristo, che risplende sul volto della Chiesa, perché tutti si raccolgano nell’unica famiglia umana, sotto la paternità amorevole di Dio.
È in questa prospettiva che i discepoli di Cristo sparsi in tutto il mondo operano, si affaticano, gemono sotto il peso delle sofferenze e donano la vita.
Riaffermo con forza quanto più volte è stato detto dai miei venerati
Predecessori: la Chiesa non agisce per estendere il suo potere o affermare il
suo dominio, ma per portare a tutti Cristo, salvezza del mondo. Noi non chiediamo altro che di metterci al servizio dell’umanità, specialmente di quella più
sofferente ed emarginata, perché crediamo che “l’impegno di annunziare il
Vangelo agli uomini del nostro tempo... è senza alcun dubbio un servizio reso
non solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta l’umanità” (Evangelii nuntiandi, 1), che “conosce stupende conquiste, ma sembra avere smarrito il senso delle realtà ultime e della stessa esistenza” (Redemptoris missio, 2).
1. Tutti i Popoli chiamati alla salvezza
L’umanità intera, in verità, ha la vocazione radicale di ritornare alla sua sorgente, che è Dio, nel Quale solo troverà il suo compimento finale mediante la
restaurazione di tutte le cose in Cristo. La dispersione, la molteplicità, il conflitto, l’inimicizia saranno rappacificate e riconciliate mediante il sangue della
Croce, e ricondotte all’unità. L’inizio nuovo è già cominciato con la risurrezione e l’esaltazione di Cristo, che attrae tutte le cose a sé, le rinnova, le rende
partecipi dell’eterna gioia di Dio. Il futuro della nuova creazione brilla già nel
nostro mondo ed accende, anche se tra contraddizioni e sofferenze, la speran-
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LA PAROLA
DEL
PAPA
za di vita nuova. La missione della Chiesa è quella di “contagiare” di speranza
tutti i popoli. Per questo Cristo chiama, giustifica, santifica e invia i suoi discepoli ad annunciare il Regno di Dio, perché tutte le nazioni diventino Popolo di
Dio. È solo in tale missione che si comprende e si autentica il vero cammino
storico dell’umanità. La missione universale deve divenire una costante fondamentale della vita della Chiesa. Annunciare il Vangelo deve essere per noi, come
già per l’apostolo Paolo, impegno impreteribile e primario.
2. Chiesa pellegrina
La Chiesa universale, senza confini e senza frontiere, si sente responsabile
dell’annuncio del Vangelo di fronte a popoli interi (cfr Evangelii nuntiandi, 53).
Essa, germe di speranza per vocazione, deve continuare il servizio di Cristo al
mondo. La sua missione e il suo servizio non sono a misura dei bisogni materiali o anche spirituali che si esauriscono nel quadro dell’esistenza temporale,
ma di una salvezza trascendente, che si attua nel Regno di Dio (cfr Evangelii
nuntiandi, 27). Questo Regno, pur essendo nella sua completezza escatologico
e non di questo mondo (cfr Gv 18,36), è anche in questo mondo e nella sua storia forza di giustizia, di pace, di vera libertà e di rispetto della dignità di ogni
uomo. La Chiesa mira a trasformare il mondo con la proclamazione del
Vangelo dell’amore, “che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il
coraggio di vivere e di agire e... in questo modo di far entrare la luce di Dio nel
mondo” (Deus caritas est, 39). È a questa missione e servizio che, anche con
questo messaggio, chiamo a partecipare tutti i membri e le istituzioni della
Chiesa.
3. Missio ad gentes
La missione della Chiesa, perciò, è quella di chiamare tutti i popoli alla salvezza operata da Dio tramite il Figlio suo incarnato. È necessario pertanto rinnovare l’impegno di annunciare il Vangelo, che è fermento di libertà e di progresso, di fraternità, di unità e di pace (cfr Ad gentes, 8). Voglio “nuovamente
confermare che il mandato d’evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa” (Evangelii nuntiandi, 14),. compito e missione
che i vasti e profondi mutamenti della società attuale rendono ancor più
urgenti. È in questione la salvezza eterna delle persone, il fine e compimento
stesso della storia umana e dell’universo. Animati e ispirati dall’Apostolo delle
genti, dobbiamo essere coscienti che Dio ha un popolo numeroso in tutte le
città percorse anche dagli apostoli di oggi (cfr At 18, lO). Infatti “la promessa è
per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro” (At
2,39). La Chiesa intera deve impegnarsi nella missio ad gentes, fino a che la
sovranità salvifica di Cristo non sia pienamente realizzata: “Al presente non
vediamo ancora che ogni cosa sia a Lui sottomessa” (Eb 2,8).
4. Chiamati ad evangelizzare anche mediante il martiri
In questa Giornata dedicata alle missioni, ricordo nella preghiera coloro che
della loro vita hanno fatto un’esclusiva consacrazione al lavoro di evangelizzazione. Una menzione particolare è per quelle Chiese locali, e per quei missionari e missionarie che si trovano a testimoniare e diffondere il Regno di Dio in
452
LA PAROLA
DEL
PAPA
situazioni di persecuzione, con forme di oppressione che vanno dalla discriminazione sociale fino al carcere, alla tortura e alla morte. Non sono pochi quelli che attualmente sono messi a morte a causa del suo “Nome”. È ancora di tremenda attualità quanto scriveva il mio venerato Predecessore, Papa Giovanni
Paolo II: “La memoria giubilare ci ha aperto uno scenario sorprendente,
mostrandoci il nostro tempo particolarmente ricco di testimoni che, in un
modo o nell’altro, hanno saputo vivere il Vangelo in situazioni di ostilità e persecuzione, spesso fino a dare la prova suprema del sangue” (Novo millennio
ineunte, 41).
La partecipazione alla missione di Cristo, infatti, contrassegna anche il vivere degli annunciatori del Vangelo, cui è riservato lo stesso destino del loro
Maestro. “Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande
del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv
15,20). La Chiesa si pone sulla stessa via e subisce la stessa sorte di Cristo,
perché non agisce in base ad una logica umana o contando sulle ragioni della
forza, ma seguendo la via della Croce e facendosi, in obbedienza filiale al Padre,
testimone e compagna di viaggio di questa umanità. Alle Chiese antiche come
a quelle di recente fondazione ricordo che sono poste dal Signore come sale
della terra e luce del mondo, chiamate a diffondere Cristo, Luce delle genti, fino
agli estremi confini della terra. La missio ad gentes deve costituire la priorità
dei loro piani pastorali. Alle Pontificie Opere Missionarie va il mio ringraziamento e incoraggiamento per l’indispensabile lavoro che assicurano di animazione, formazione missionaria e aiuto economico alle giovani Chiese.
Attraverso queste Istituzioni pontificie si realizza in maniera mirabile la comunione tra le Chiese, con lo scambio di doni, nella sollecitudine vicendevole e
nella comune progettualità missionaria.
5. Conclusione
La spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità delle nostre Chiese (cfr
Redemptoris missino, 2). È necessario, tuttavia, riaffermare che l’evangelizzazione è opera dello Spirito e che prima ancora di essere azione è testimonianza e irradiazione della luce di Cristo (cfr Redemptoris missio, 26) da parte della Chiesa locale, la quale invia i suoi missionari e missionarie per spingersi
oltre le sue frontiere. Chiedo perciò a tutti i cattolici di pregare lo Spirito Santo
perché accresca nella Chiesa la passione per la missione di diffondere il Regno
di Dio e di sostenere i missionari, le missionarie e le comunità cristiane impegnate in prima linea in questa missione, talvolta in ambienti ostili di persecuzione. Invito, allo stesso tempo, tutti a dare un segno credibile di comunione
tra le Chiese, con un aiuto economico, specialmente nella fase di crisi che sta
attraversando l’umanità, per mettere le giovani Chiese locali in condizione di
illuminare le genti con il Vangelo della carità. Ci guidi nella nostra azione missionaria la Vergine Maria, stella della Nuova Evangelizzazione, che ha dato al
mondo il Cristo, posto come luce delle genti, perché porti la salvezza “sino all’estremità della terra” (At 13,47).
A tutti la mia Benedizione.
Benedetto XVI
Dal Vaticano, 29 giugno 2009
453
CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO
Presentazione
Ottobre Missionario 2009
Quest’anno nella nostra diocesi l’Ottobre Missionario avrà un prologo significativo, difatti dal 15 al 18 settembre ad Oleggio si terrà il sesto incontro
nazionale dei Direttori dei Centri Missionari Diocesani e dei loro collaboratori, sarà quest’incontro un’utile occasione per fare il punto dell’incidenza
che i CMD hanno assunto nella pastorale italiana negli ultimi quarant’anni, da
quando cioè nel 1969 il compianto Cardinal Ugo Poletti (allora direttore nazionale delle POM) con una lettera circolare ai Vescovi italiani invitava a creare
dei centri di coordinamento per le diverse iniziative Ad Gentes che, a partire
dall’Enciclica Fidei Donum e dal Concilio, cominciavano a sorgere nelle varie
realtà locali.
Durante il Convegno ci sarà un momento straordinario in quanto i Direttori
dei CMD provenienti da tutta Italia si recheranno al Monastero Benedettino
dell’Isola di San Giulio, dove Madre Annamaria Canopi terrà loro una relazione sullo stretto legame che intercorre tra la missione e la contemplazione
all’interno della vita della Chiesa.
Questo avvenimento modifica l’avvio dell’Ottobre Missionario, in quanto l’appuntamento per celebrare la memoria di Santa Teresina del Bambin Gesù,
patrona delle missioni, invece di tenersi come negli ultimi anni all’Isola di San
Giulio, si terrà la sera del 1° ottobre, alle ore 20.30, presso la parrocchia di
Sant’Agabio in Novara, realtà in cui è presente una comunità delle Suore
Missionarie dell’Immacolata Regina Pacis, fondata da Don Francesco Pianzola
recentemente beatificato, favorendo così un significativo approccio al carisma
missionario di questo prete della Lomellina che aprì le porte ad un intelligente lavoro di sostegno materiale e spirituale ad una categoria abbastanza emarginata come erano le lavoratrici delle risaie.
La domenica 4 ottobre, come da tradizione famigliari e amici dei missionari,
converranno al Collegio De Filippi di Arona per un momento di condivisione
e di festa nel ricordo di chi è impegnato nella promozione dell’uomo e nell’annuncio del Vangelo in paesi lontani.
454
CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO
A Borgomanero il 9 e il 10 ottobre, si terrà invece un interessante appuntamento multietnico con gruppi di paesi diversi presenti nella nostra diocesi che
darà vita ad una autentica Festa dei Popoli. Nei due giorni borgomaneresi si
terranno dibattiti, conferenze e momenti di preghiera e saranno allestiti anche
tipici stand multiculturali.
Come sempre il vertice dell’Ottobre Missionario sarà la Veglia di Preghiera
che quest’anno si terrà, alle ore 20.30, di sabato 17 ottobre nella Cattedrale
di Novara. In quell’occasione ascolteremo la preziosa testimonianza di Mons.
Henry Tessier Vescovo Emerito di Algeri, protagonista del dialogo interreligioso tra Cristianesimo e Islam, portato avanti con determinazione nei difficili
anni della guerra fratricida che si è succeduta in Algeria.
Domenica 18, terza domenica di ottobre, si celebra in tutte le parrocchie
del mondo la 83ª Giornata Missionaria Mondiale che quest’anno ha come
slogan: “Vangelo senza confini”.
Ricordiamo che la GMM venne istituita nel 1926 da Pio XI per coinvolgere
tutte le comunità cristiane circa l’attenzione e il sostegno che ogni credente e
ogni comunità sono tenuti in coscienza ad offrire per aiutare gli sforzi di promozione umana e di evangelizzazione che la Chiesa Universale, attraverso i
missionari, continua a svolgere negli angoli più sperduti del pianeta.
Il mese della Missione si concluderà con l’incontro dei Gruppi missionari della nostra diocesi che si terrà sabato 31 ottobre alle ore 15.00, presso la Badia
di Dulzago, al fine di coordinare le varie iniziative in atto e scambiare i diversi progetti che sono alla base di un impegno capillare, prezioso e spesso poco
conosciuto anche dall’opinione pubblica diocesana.
Dopo l’Anno Paolino l’Ottobre Missionario di quest’anno si inserisce nel contesto dell’Anno Sacerdotale, voluto da Papa Ratzinger per ricordare la figura
del Santo Curato d’Ars; un Santo che a suo modo e sfruttando al meglio i
talenti ricevuti, seppe vivere in maniera straordinaria la missionarietà della
sua vocazione in un remoto e sperduto villaggio della campagna francese. Un
esempio certamente per tutti i sacerdoti, ma anche per tutti coloro che fedeli a
Dio e innamorati dell’uomo non abdicano al loro impegno di seguire il solco
evangelico tracciato da Gesù di Nazareth.
don Mario Bandera
direttore CMD Novara
455
CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO
Ottobre missionario
1 ottobre
ore 20.30
PARROCCHIA SANT’AGABIO IN NOVARA
4 ottobre
ore 11.00
ARONA - Collegio De Filippi
9 ottobre
ore 15.00
17 ottobre
ore 20.30
Incontro di preghiera per i religiosi e le religiose
in memoria di S.Teresa del Bambin Gesù,
Patrona delle Missioni
Giornata di fraternità con i famigliari
e gli amici dei missionari
BORGOMANERO
Incontro multietnico e Festa dei popoli
NOVARA – Duomo
Veglia Missionaria Diocesana di Preghiera
Porterà la Sua testimonianza Mons. Henry Tessier,
Vescovo emerito di Algeri, figura di spicco
nel delicato e difficile lavoro di dialogo
con il mondo islamico.
Inoltre Mons. Renato Corti consegnerà
il Mandato Missionario ai partenti
per i paesi in via di sviluppo.
18 ottobre
31 ottobre
ore 15
83ª GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE
“VANGELO SENZA CONFINI”
BADIA DI DULZAGO
Incontro dei Gruppi Missionari
Per informazioni rivolgersi al Centro Missionario Diocesano
Vicolo Canonica 3/B - 28100 Novara
tel. 0321/611771 - fax 0321/397970 e-mail: [email protected]
http://www.novaramissio.it
456
COORDINAMENTO UFFICI PASTORALI
“Camminare insieme
nella comunione per la missione”
Assemblea Pastorale Diocesana
Venerdì 25 settembre - Santuario di Boca
Si terrà venerdì 25 settembre, con inizio alle 20.45 al santuario del Crocifisso
di Boca, l’assemblea pastorale diocesana sul tema “Camminare insieme nella
comunione per la missione”.
Relatore sarà mons. Luciano MONARI, vescovo di Brescia e Vicepresidente
della Conferenza Episcopale Italiana.
L’assemblea di Boca avvierà una riflessione diocesana sulla comunione nel
lavoro pastorale e sulle prospettive per la realizzazione di Unità pastorali sul
territorio.
Perché questo tema?
Nel nuovo anno 2009-2010, che si avvierà con l’assemblea di Boca e che sarà
accompagnato dalla nuova lettera pastorale anch’essa centrata sul
“Camminare insieme nella comunione per la missione”, sarà tutta la comunità
cristiana a interrogarsi come essere «annunciatrice del Vangelo in un mondo che
cambia», a partire dalla scelta primaria del camminare insieme (vescovo, sacerdoti, diaconi permanenti, laici, religiosi, parrocchie, associazioni e movimenti),
nella certezza che «la comunione è la prima forma della missione».
Come segno del camminare insieme si rifletterà anche sulle “Unità pastorali”, una scelta che caratterizzerà sempre più il futuro delle nostre comunità
(e nella lettera pastorale prossima, il vescovo parla di unità pastorali nel capitolo conclusivo, l’actio).
Di unità pastorali si è parlato nei mesi scorsi nel Consiglio pastorale diocesano, nel Consiglio presbiterale, e, più volte, nell’incontro del vescovo con i
vicari territoriali.
E ne hanno scritto, in tempi recenti, i vescovi italiani, inquadrando il tema
sempre nella prospettiva della comunione e della missione.
«L’attuale organizzazione parrocchiale, che vede spesso piccole e numerose
parrocchie disseminate sul territorio, esige un profondo ripensamento» si legge
nella Nota della Cei del 2004 “Il volto missionario delle parrocchie in un mondo
che cambia’: Ma «gli interventi di revisione - continua il documento della Cei -
457
COORDINAMENTO UFFICI PASTORALI
non riguardino solo le piccole parrocchie, coinvolgano anche quelle più grandi,
tutt’altro che esenti dal rischio del ripiegamento su se stesse. Tutte devono acquisire la consapevolezza che è finito il tempo della parrocchia autosufficiente».
«Un chiuso particolarismo, si trasforma nel nostro limite, in quanto impedisce
di operare insieme, a scapito della nostra incidenza sociale e culturale. La missionarietà della parrocchia è legata alla capacità che essa ha di procedere non
da sola, ma articolando nel territorio il cammino indicato dagli orientamenti
pastorali della diocesi e dai vari interventi del magistero del vescovo».
Di unità pastorale come segno di un cammino di comunione per la missione
scrivono i vescovi anche nella Nota pastorale dopo il Convegno di Verona dell’ottobre 2006, dove tra l’altro si legge: «Una strada da percorrere con coraggio
è quella dell’integrazione pastorale fra i diversi soggetti ecclesiali». In questa
prospettiva «sempre più si sta diffondendo l’esperienza delle “Unità pastorali”»,
da intendersi «non come un’operazione di pura ingegneria ecclesiastica» e neanche «come una scelta riducibile alla mera esigenza di fronteggiare la carenza di
sacerdoti, né alla costituzione di super-parrocchie».
Le unità pastorali vanno intese «nella direzione di un rapporto nuovo con il territorio, di una corresponsabilità pastorale diffusa, di un’azione più organica e
missionaria».
Insomma si tratta di un «disegno complessivo», che va nella direzione «di verificare il rapporto delle parrocchie tra loro e con la diocesi, le forme con cui viene
accolto il dono della vita consacrata, la valorizzazione delle associazioni, dei
movimenti e delle nuove realtà ecclesiali».
Alla base di tutto sta, dunque «quella spiritualità di comunione che precede le
iniziative concrete e purifica la testimonianza dalla tentazione di cedere a competizioni e personalismi.
Queste sollecitazioni, proposte dai vescovi italiani in anni recenti, fanno dunque da premessa sia all’assemblea di Boca, sia alla prossima lettera pastorale
del nostro vescovo.
Chi è invitato all’assemblea di Boca
All’assemblea di Boca sono prima di tutto invitati i semplici cristiani che ogni
giorno sono chiamati, là dove vivono, a testimoniare il proprio essere cristiani,
a rendere ragione della speranza, anche con motivazioni culturali.
L’incontro con mons. Luciano MONARI sarà molto utile, portando egli l’esperienza del lavoro pastorale svolto prima a Piacenza e ora a Brescia nella comune riflessione sulle Unità pastorali nelle diverse zone.
L’auspicio, emerso nell’ultimo incontro dei vicari territoriali con il vescovo, è
che l’assemblea di Boca lanci qualche precisa proposta da riprendere in vicariato e in parrocchia.
458
COORDINAMENTO UFFICI PASTORALI
Ripresa del tema nei Vicariati e presentazione della lettera pastorale
A tale proposito il “dopo Boca” prevede la ripresa del tema in ogni Consiglio
vicariale e la presenza del vescovo in ogni vicariato in una assemblea, il più
possibile partecipata, per portare alla base gli imput dell’assemblea pastorale
e per la presentazione della nuova Lettera pastorale.
Lunedì 19 ottobre
Vicariato dell’Ovest Ticino
Mercoledì 21 ottobre
Vicariato della Valsesia
Martedì 20 ottobre
Vicariato del Cusio
Giovedì 22 ottobre
Vicariato dell’Aronese
Giovedì 29 ottobre
Vicariato dell’Ossola
Mercoledì 28 ottobre
Mercoledì 4 novembre
Giovedì 19 novembre
Vicariato del Verbano
Vicariato di Novara
Vicariato del Borgomanerese
459
UFFICIO CATECHISTICO
Progetto di formazione
dei catechisti dell’iniziazione cristiana
L’ufficio catechistico, con la collaborazione della commissione catechistica diocesana, propone ai Vicariati e alle Parrocchie un progetto per la formazione delle catechiste e dei catechisti dell’Iniziazione cristiana, articolato su tre livelli:
- Diventare catechista: percorso diocesano per la formazione di base di nuovi
catechisti.
- Essere catechista: incontri di formazione permanente per tutti i catechisti in
servizio.
- Aiutare i catechisti: formazione di coordinatori dei catechisti.
PRIMO LIVELLO: DIVENTARE CATECHISTA (CORSO “ABC”)
Il percorso diocesano è rivolto a chi, nella nostra Diocesi, inizierà a prestare
un servizio di catechesi nella comunità parrocchiale a favore di bambini e
ragazzi dell’Iniziazione cristiana e delle loro famiglie.
Il metodo esige la partecipazione attiva degli iscritti per un’interazione tra
offerta d’informazioni e rielaborazione personale in forma di laboratorio, tra
indicazioni per le prime esperienze sul campo ed osservazioni guidate.
Il percorso si struttura in due anni divisi ciascuno in momenti comuni di laboratorio e in tirocini sul campo. Lo scopo dei tirocini, vera qualità aggiunta di
questo progetto, è di acquisire competenze di carattere metodologico-didattico a
partire dall’osservazione di alcuni incontri di catechesi e di progettazione pastorale parrocchiale e vicariale (o di unità pastorale). Con l’aiuto di una griglia di
lettura di queste esperienze il nuovo catechista sarà aiutato a valutarli e migliorarli attraverso una comune discussione nel gruppo di formazione.
Primo anno:
PRIMO MOMENTO
DUE LABORATORI (ottobre)
ED UNA ESPERIENZA SUL CAMPO (novembre-gennaio)
PRIMO LABORATORIO:
IL CATECHISTA E’…INVITATO A PARTECIPARE A UN PROGETTO
Obiettivo del laboratorio è iniziare un percorso di conoscenza e di approfondimento del compito del catechista secondo le linee indicate dal Documento
Base ovvero:
460
UFFICIO CATECHISTICO
- Comprendere il servizio del catechista nella evangelizzazione
dell’intera comunità
- Conoscere il progetto catechistico italiano nelle sue grandi linee
- Approfondire identità e ruolo del catechista nella Chiesa
- Il catechista non è solo: l’équipe dei catechisti
SECONDO LABORATORIO:
I CATECHISMI DELL’IC….UNA BUSSOLA PER IL CAMMINO
Obiettivo del laboratorio:
- conoscere la struttura, i contenuti e la funzione
dei catechismi dell’Iniziazione cristiana
- apprendere le modalità di utilizzo dei catechismi
LA PRIMA ESPERIENZA SUL CAMPO
Le competenze di carattere metodologico-didattico vengono acquisite a partire dall’osservazione di alcuni incontri di catechesi. Ogni nuovo catechista viene affiancato ad un catechista più esperto. Il nuovo catechista partecipa come
osservatore ad almeno due incontri al mese. Con l’aiuto di una griglia prende
appunti che verranno poi discussi nel gruppo di formazione.
Attività previste:
- Incontro di introduzione alle esperienze sul campo in più punti della diocesi (inizio novembre)
- Osservazione di esperienze di catechesi nelle proprie comunità (dall’inizio
dell’anno a Natale)
- Incontro di discussione sull’osservazione in più punti della diocesi (gennaio)
Primo anno:
SECONDO MOMENTO
DUE LABORATORI (febbraio)
E SECONDA ESPERIENZA SUL CAMPO (marzo-aprile)
TERZO LABORATORIO: UN CAMMINO CONDIVISO CON BAMBINI E FAMIGLIE
Obiettivo del laboratorio è conoscere i destinatari della catechesi (bambini e
ragazzi nelle loro famiglie) ovvero:
- Acquisire alcune conoscenze di psicologia dello sviluppo e di psicologia
religiosa
- Comprendere la necessità di conoscere e collaborare con le famiglie
QUARTO LABORATORIO:
GLI STRUMENTI DELLA CATECHESI
Obiettivo del laboratorio è imparare a programmare e a gestire un incontro
di catechesi, ovvero:
- Programmare un incontro di catechesi
- Imparare ad utilizzare gli strumenti multimediali
- Imparare a utilizzare le dinamiche di gruppo
- Imparare a gestire casi difficili
461
UFFICIO CATECHISTICO
SECONDA ESPERIENZA SUL CAMPO
Attività previste:
- Condurre uno o più incontri di catechesi alla presenza
di un osservatore per raccogliere pareri e consigli
- Incontro di verifica del primo anno di formazione e delle prim
e due esperienze sul campo (aprile)
Secondo anno:
PRIMO
momento
DUE LABORATORI (ottobre)
E TERZA ESPERIENZA SUL CAMPO (novembre-gennaio)
QUINTO LABORATORIO: IL CATECHISTA E’ UDITORE DELLA PAROLA DI DIO
Obiettivo del laboratorio è comprendere che la spiritualità del catechista
nasce e si nutre della Parola interpretata alla luce del Magistero della Chiesa
cattolica ovvero:
- conoscere le principali verità cristiane
- fondare sulla Parola la propria spiritualità nella Tradizione della Chiesa
SESTO LABORATORIO: LA BIBBIA NELLA CATECHESI
Obiettivo del laboratorio è acquisire i criteri per leggere e interpretare un
testo biblico in funzione didattica
LA TERZA ESPERIENZA SUL CAMPO
Attività previste:
- Incontro di introduzione sulla programmazione e progettazione
catechistica (novembre)
- Elaborazione ed attuazione di un percorso programmato per Avvento
e tempo di Natale (con osservazione) con attenzione all’iconografia
- Incontro di discussione sulle esperienze sul campo (gennaio)
Secondo anno:
SECONDO MOMENTO
DUE LABORATORI (febbraio)
E QUARTA ESPERIENZA SUL CAMPO (marzo-aprile)
SETTIMO LABORATORIO: CATECHESI E LITURGIA
Obiettivo del laboratorio: comprendere senso e valore della celebrazione dei
sacramenti nel cammino di Iniziazione cristiana
OTTAVO LABORATORIO: CATECHESI E CARITA’
Obiettivo del laboratorio: comprendere senso e valore dell’esperienza caritativa nel cammino di Iniziazione cristiana
LE ESPERIENZE SUL CAMPO
Attività previste:
- elaborazione con coinvolgimento della comunità cristiana
di un progetto integrato (catechesi – liturgia – carità) di Iniziazione cristiana
- Incontro di verifica del secondo anno di formazione delle ultime
e due esperienze sul campo (aprile)
462
UFFICIO CATECHISTICO
SECONDO LIVELLO: ESSERE CATECHISTA
Si tratta qui degli incontri di formazione permanente rivolti a tutti i catechisti in servizio nella nostra Diocesi. Il metodo proposto esige la partecipazione
attiva degli iscritti in un collegamento fecondo tra lettura delle esperienze in
atto, offerta di informazioni e rielaborazione personale, il tutto ispirato allo stile del laboratorio.
La preparazione del percorso, di almeno tre incontri serali l’anno, è presa a
carico dalle commissioni vicariali di catechesi con il sostegno dell’Ufficio.
L’indicazione del tema annuale tiene conto delle domande di formazione dei
catechisti del vicariato, della scelta pastorale del Vescovo, sviluppata nell’annuale Convegno catechistico diocesano, e delle proposte della Chiesa italiana.
TERZO LIVELLO: AIUTARE I CATECHISTI
Quest’ultimo livello riguarda la formazione dei coordinatori catechistici parrocchiali, di unità pastorale e di vicariato.
Sono invitati a partecipare i catechisti con adeguata formazione ed esperienza che si rendono disponibili a progettare e coordinare percorsi catechistici,
monitorare le attività nell’ambito della catechesi, servire di supporto agli altri
catechisti restituendo le nuove conoscenze apprese perché diventino competenze di tutti i catechisti.
Inoltre essi dovranno curare il collegamento con l’Ufficio catechistico e con la
Commissione catechistica diocesana per promuovere e far conoscere iniziative
di formazione e di supporto per i catechisti. Infine saranno impegnati al reperimento e aggiornamento di strumenti per la catechesi e alla raccolta e documentazione delle attività catechistiche parrocchiali e vicariali perché le esperienze non si disperdano, ma divengano patrimonio condiviso.
A questo scopo saranno stimolati all’autoformazione (anche partecipando a
corsi nazionali o regionali o in altre diocesi) e alla formazione diocesana e vicariale.
Se vuoi arrivare primo, cammina da solo.
Se vuoi arrivare lontano, cammina insieme.
(Proverbio africano)
Ufficio Catechistico Diocesano
Via Puccini 11, 28100 NOVARA
Tel. : 0321 - 661652
E-mail: [email protected].
463
UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
Canti per la liturgia:
nuova edizione
La CEI ha pubblicato la nuova edizione del Repertorio nazionale di canti per
la liturgia edito dall’Ed. Elledici. In conformità con l’istruzione Liturgiam
authenticam il repertorio è stato sottoposto all’approvazione dell’Assemblea
generale dei vescovi italiani e ha ottenuto il 20 maggio 2008 la recognitio della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Viene ora
pubblicato in una nuova edizione corredata di testi e partiture, quale strumento concreto al quale attingere nella scelta dei canti più appropriati per le
diverse celebrazioni.
«Per cantare in modo consono alla liturgia della Chiesa occorrono canti adatti quanto al testo, alla musica e allo stile, canti cioè che incarnino ciò che la
liturgia chiede di compiere e che i fedeli possano agevolmente fare propri», spiega nella presentazione mons. Mariano Crociata, segretario generale della CEI.
«Fu questa esigenza a motivare la prima edizione del Repertorio nazionale di
canti, presentato per l’uso liturgico alle chiese che sono in Italia dalla
Commissione episcopale per la liturgia il 6 gennaio 2001. Esso intendeva non
solo evidenziare il significato e il ruolo del canto nella preghiera liturgica, ma
anche rispondere alla richiesta di un repertorio nazionale, in grado di suggerire alcuni criteri fondamentali che orientassero nella scelta dei canti e garantissero la dignità delle celebrazioni».
Il Repertorio, oltre la presentazione del segretario generale della CEI, contiene la premessa in 15 punti della Commissione episcopale per la liturgia: la
melodia e i testi di 384 canti che seguono l’anno liturgico, un indice alfabetico, un indice per tempi liturgici e i crediti dei singoli canti. Si presenta in tre
modalità: un libro dei fedeli di 663 pagine con le melodie e i testi di tutti i 384
canti; un libro con l’accompagnamento organistico di tutti i canti e un cd-rom
con Mp3 di tutti i canti.
Il Repertorio nazionale intende rispondere a una doppia esigenza: segnalare
e rendere reperibili canti adatti alle celebrazioni liturgiche, partendo dalla produzione tradizionale e da quella degli ultimi decenni; diffondere, mediante scelte operate, alcuni criteri di individuazione e selezione dei canti, che aiutino a
scegliere in modo più attento a livello locale. «Si tratta in massima parte di canti in lingua italiana; alcuni sono in lingua latina con annessa traduzione conoscitiva», aggiunge mons. Antonio Parisi, consulente dell’Ufficio liturgico nazionale della CEI.
«I canti scelti sono tratti da pubblicazioni edite in Italia negli ultimi trent’anni; la fonte viene segnalata. Di ogni canto si indica la forma liturgico-musicale e ne è suggerito l’uso liturgico più appropriato».
Roma, 21 giugno 2009
464
ECONOMATO
Relazione al bilancio 2008
della Curia Diocesana
Per rendere informata e corresponsabile la comunità diocesana viene presentato il bilancio della Curia con i costi sostenuti per il funzionamento dei
vari uffici e i proventi che vengono utilizzati per far fronte alle varie uscite.
L’esercizio 2008 della Curia Diocesana si è chiuso con una perdita di euro
196.549,98.
Per le attività pastorali e caritative della Diocesi e di alcune parrocchie si è
dovuta utilizzare una quota dei Fondi otto per mille pari a € 417.823,57. La
suddivisione di tale cifra è riportata di seguito al bilancio.
Si ricorda che gli uffici hanno un proprio bilancio di entrata e di uscita. La
quota indicata tra le uscite di questo bilancio rappresenta solo il contributo
della Diocesi e dell’otto per mille all’attività degli uffici.
Le assegnazioni dei fondi stanziati dalla CEI per la nostra Diocesi per “il Culto
e la Pastorale” (€ 1.092.110,34) e per le “iniziative di Carità”
(€ 615.713,00) sono state pubblicate sulla Rivista Diocesana del dicembre 2008.
La voce “Diritti di Curia” si riferisce alla quota che l’Istituto Diocesano per il
Sostentamento del Clero ha versato alla Curia nel 2008 sulla base dell’utile
conseguito nel 2007.
Un’altra entrata significativa è quella delle sopravvenienze attive, le quali
comprendono dei rimborsi di imposte di anni passati e delle polizze vita a favore della Diocesi.
La vendita dell’immobile di Cervinia è stata realizzata grazie ad una donazione pervenuta negli scorsi anni.
Si evidenzia invece la riduzione dei proventi finanziari causata dalla situazione economica generale.
Per l’Inventario dei Beni Culturali viene presentato a parte il bilancio in modo
dettagliato in quanto risulta un impegno notevole per la Diocesi e coinvolge
tutte le parrocchie.
DIRITTI DI CURIA
Quota proveniente dall’I.D.S.C.
ENTRATE
DALLE PARROCCHIE
Messe binate e ad mentem episcopi
Rivista Diocesana
Giornata Diocesana
19.500,00
€
19.500,00
€
94.889,00
20.324,00
54.203,10
€
169.416,10
€
€
€
465
ECONOMATO
PROVENTI FINANZIARI
Interessi conto corrente bancario
Interessi investimenti mobiliari
28.118,38
369.185,27
185.088,00
6.598,58
198.903,74
18.202,75
417.823,57
€
1.195.801,91
€
1.412.836,39
5.755,94
29.736,37
13.766,48
3.952,86
33.591,37
22.433,31
€
109.236,33
€
176.181,53
€
19.542,43
€
120.586,06
€
€
ALTRI PROVENTI
Sopravvenienze attive
Vendita immobile Cervinia
Rimborsi servizi e stampati
Affitti attivi
Contributi diversi
Quote Otto per mille dalla CEI
4.224,89
23.893,49
€
€
€
€
€
€
€
TOTALE ENTRATE
GESTIONE IMMOBILIARE
Immobile Curia
Assicurazioni
Riscaldamento
Luce e forza motrice
Nettezza urbana
Pulizia uffici Curia
Manutenzioni
USCITE
€
€
€
€
€
€
Immobili uffici esterni alla Curia
Centro Missionario
Caritas Diocesana
Stampa Diocesana
Seminario
€
€
€
€
15.065,52
26.000,00
8.300,00
126.816,01
Gestione altri edifici
€
19.542,43
GESTIONE UFFICI
Cancelleria e stampati
Spese postali
Spese telefoniche e internet
Abbonamenti riviste e giornali
Manutenzione macchine ufficio
Spese Bancarie
Pubblicazioni
Rivista Diocesana
Consulenze
€
€
€
€
€
€
€
€
€
466
5.767,87
5.956,12
27.568,80
995,20
12.043,20
3.368,41
23.944,30
20.039,79
20.902,37
LA PAROLA
SPESE ATTIVITA’ UFFICI
Ufficio Catechistico
Pastorale Scolastica
Ufficio Scuola
Caritas Diocesana
Pastorale sanitaria
Pastorale del lavoro
Centro Diocesano Vocazionale
Casa Vescovile
Archivio
Rivista Novarien
Ufficio Clero
Consiglio Pastorale e Laicato
Centro Diocesano Giovanile
Beni Culturali Ecclesiastici
Consultorio familiare
Pastorale Familiare
Inventario Beni Culturali
Ufficio Comunicazioni Sociali
Ufficio Liturgico
Progetto culturale
PERSONALE
Stipendi
Contributi
Accantonamento TFR
Borse di studio ai sacerdoti studenti
ONERI FINANZIARI
Interessi passivi della Diocesi
Interessi passivi delle parrocchie
SPESE VARIE
Ammortamenti
Manifestazioni culturali e convegni
Conferenza Episcopale Piemontese
Spese diverse
Attività caritative
Beatificazione: Daniela Zanetta
IMPOSTE E TASSE
Imposte e tasse
DEL VESCOVO
376.314,80
€
€
€
€
€
€
€
€
€
€
€
€
€
€
€
€
€
€
€
€
13.025,68
5.087,89
457,20
78.000,00
27,00
12.840,00
14.000,00
40.178,85
7.674,89
10.000,00
60,00
1.059,71
3.649,75
9.777,68
40.000,00
842,00
75.996,77
27.477,90
1.159,48
35.000,00
€
217.785,89
96.375,59
12.555,99
20.773,00
€
347.490,47
€
€
€
€
35.465,45
216.668,46
€
252.133,91
€
€
552,09
15.946,00
24.730,00
4.495,18
15.053,17
10.000,00
€
70.776,44
€
€
€
€
€
€
137.124,40
€
137.124,40
€
€
€
-€
1.609.386,37
1.412.836,39
1.609.386,37
196.549,98
€
TOTALE SPESE
ENTRATE
USCITE
PERDITA D’ESERCIZIO
467
LA PAROLA
DEL VESCOVO
DIVISIONE DEI CONTRIBUTI OTTO PER MILLE
PRESENTI IN BILANCIO
Pubblicazioni
Novarien
Uffici diocesani
Contributi Caritas
Consultorio
Interessi passivi alle parrocchie
€
€
€
€
€
€
20.000,00
10.000,00
65.000,00
100.713,23
40.000,00
182.110,34
TOTALE CONTRIBUTI
€
417.823,57
€
136.465,25
Totale Uscite
€
212.462,02
Disavanzo 2008
€
75.996,77
Disavanzo anni precedenti
€
158.316,02
Totale Disavanzo
€
234.312,79
INVENTARIO
ENTRATE
Contributi Parrocchie
Contributi Regione
Stanziamento fondi Otto per mille
BENI CULTURALI
€
€
€
70.067,25
16.398,00
50.000,00
Totale Entrate
USCITE
Stipendi personale
Rimborsi spese personale
Consulenze esterne
Spese varie
€
€
€
€
83.888,84
11.236,20
114.085,14
3.251,84
Sono state raccolte ed inviate nell’anno 2008 le seguenti collette:
Carità del Papa
Pro Terra Santa
Per l’Avvenire
Per l’Università Cattolica
Pro Migrantes
€
€
€
€
€
468
25.000,00
10.000 ,00
4.000,00
14.934,95
5.000,00
UFFICIO BENI CULTURALI
Pratiche di restauro
Iniziative culturali
Gennaio - Giugno 2009
ESAME E INOLTRO DELLE PRATICHE DI RESTAURO
Questo l’elenco delle pratiche esaminate ed inoltrate agli Organi di Tutela
da gennaio a giugno 2009, ai sensi dell’Intesa del 13 settembre 1996, nonché
delle precisazioni, delle osservazioni e dei consigli offerti alle Parrocchie.
SA = Soprintendenza Archeologica
SBAA = Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio
SBAS = Soprintendenza per il patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico
AGRATE CONTURBIA – Battistero – Indagini stratigrafiche – SBAS – SBAA
AGRATE CONTURBIA – Battistero – Restauro conservativo – SBAS – SBAA
AGRATE CONTURBIA – Chiesa Parr. – Restauro cassa d’organo, cantoria e coro – SBAS
AMENO – Chiesa Parr. – Restauro affreschi e apparato interno navate – SBAS – SBAA
AMENO – Convento Monte Mesma – Secondo lotto lavori – SBAA
ARA – Oratorio S. Grato – Manutenzione straordinaria copertura e pavimento – SBAA
BADIA DULZAGO – Chiesa S. Giulio – Manutenzione straordinaria – SBAA
BALMUCCIA – Cappella Ossario – Restauro conservativo – SBAS – SBAA
BALMUCCIA – Chiesa Parr. – Restauro recupero affreschi medioevali – SBAS – SBAA
BALMUCCIA – Oratorio S.Antonio Fraz. Guaifola – Restauro facciata – SBAS – SBAA
BANNIO ANZINO – Chiesa Parr. – Restauro dipinti murali, decorazioni Cappella – SBAS – SBAA
BAVENO – Battistero – Progetto illuminazione – SBAA
BELGIRATE – Chiesa Parr. – Stendardo processionale – Restauro – SBAS
BEURA CARDEZZA – Casa Parr. Beura – Adeguamento tecnico struttura – SBAA
BEURA CARDEZZA – Chiesa Parrocchiale – Tabernacolo – Restauro – SBAS
BOCA – Santuario – Realizzazione uscite sicurezza cripta – SBAA
BOGOGNO – Chiesa Parr. – Sistemazione pavimentazione sagrato – SBAA
BOLZANO N. – Chiesa Parrocchiale – Mobile sacrestia – Restauro – SBAS
BORGOMANERO – Parr. S. Cristina – Casa Canonica – Risanamento statico – SBAA
BORGOMANERO – Parr. S. Cristina – Oratorio S.Alessandro – Copertura – SBAA
BRIGA – Chiesa Parr. – Affreschi facciata – Restauro – SBAA – SBAS
BRIGA – Oratorio S.Antonio – Restauro decorazioni interne e affreschi Cappella – SBAA – SBAS
CANNOBIO – Collegiata – Canonica – Manto di copertura – SBAA
CANNOBIO – Santuario – Pala d’altare e tavolette dipinti – Restauro – SBAS
469
UFFICIO BENI CULTURALI
CANNOBIO – Santuario – Restauro conservativo vetrate policrome 3ª campata – SBAS – SBAA
CARPIGNANO SESIA – Chiesa S.Olivo – Realizzazione nuovo marciapiede sagrato – SBAA
CASALVOLONE – Chiesa Parrocchiale – Danni alla copertura – SBAA – SBAS
CERANO – Chiesa Parr. – Messa sicurezza, ripristino campanile Scurolo – SBAA
CESARA – Chiesa Parrocchiale – Polittico seicentesco – Restauro – SBAS
CRAVAGLIANA – Chiesa Parr. – Stendardo processionale – Restauro – SBAS
DORMELLETTO – Chiesa Parr. – Restauro coro e armadietti a muro lignei – SBAS
DORMELLETTO – Chiesa Parr. – Restauro decorazioni e dipinti murali – SBAS – SBAA
DORMELLETTO – Chiesa Parr. – Manutenzione straordinaria – SBAA – SBAS
DRUOGNO – Chiesa Parr. – Risanamento conservativo del portico – SBAA – SBAS
DULZAGO – Chiesa S. Giulio – Restauro dipinti, stucchi e altare Cappella – SBAS – SBAA
FOBELLO – Chiesa della Visitazione – Statua lignea – Restauro – SBAS
FORMAZZA – Oratorio S. Michele – Restauro affreschi e decorazioni interne – SBAS – SBAA
FORMAZZA – Oratorio San Michele – Dipinti su tela – Restauro – SBAS
GALLIATE – Chiesa Parr. – Manutenzione straordinaria delle facciate – SBAA
GHIFFA – Battistero – Restauro conservativo e copertura – SBAS – SBAA
INTRA – Chiesa Parr. – Restauro cappella S.Francesco da Paola – SBAS – SBAA
INVORIO – Oratorio San Rocco – Restauro conservativo facciate – SBAS – SBAA
LESA – Chiesa Parr. – Facciate nord, est, sud campanile – Restauro – SBAS – SBAA
LOREGLIA – Chiesa Parr. – Restauro decorazioni interne – SBAS – SBAA
MAGGIORA – Chiesa San Rocco alle Fornaci – Copertura – SBAA
MEINA – Chiesa Parrocchiale – Stendardo processionale – Restauro – SBAS
MERGOZZO – Chiesa Parrocchiale – Copertura – SBAA
MIASINO – Chiesa Parrocchiale – Architrave e statue lignee – Restauro – SBAS
MIASINO – Chiesa Parrocchiale – Cantorie e cassa d’organo – Restauro – SBAS
MIASINO – Chiesa Parrocchiale – Dipinti su tela – Restauro – SBAS
MOZZIO-VICENO – Chiesa Parr. – Rifacimento pavimentazione abside – SBAA
NOVARA – Canonica – Consolidamento pilastri quadriportico – SBAA
NOVARA – Chiesa di Isarno – Discialbo pareti nord e sud – SBAS – SBAA
NOVARA – Chiesa Madonna del Rosario (S.Agabio) - Restauro Statua lignea – SBAS
NOVARA – Parr. M. Pellegrina – Sostituzione pannelli radianti e pavimentazione – SBAA
NOVARA – Parr. S.Eufemia – Casa Gonella – Risanamento conservativo – SBAA
NOVARA – Seminario – Rifacimento facciate nord e adeguamento antincendio – SBAA
OLEGGIO – Museo Arte Religiosa – Manto di simulacro – Restauro – SBAS
OLGIA – Chiesa Parrocchiale – Stendardo processionale – Restauro – SBAS
ORTA – Chiesa Parrocchiale – Recupero funzionale locali esistenti – SBAA
PARUZZARO – Chiesa Parr. – Restauro decorazioni, dipinti murali Cappella – SBAA – SBAS
PERNATE – Chiesa Parrocchiale – Pavimentazione sagrato – Restauro – SBAA
PERNATE – Chiesa Parrocchiale – Restauro conservativo organo – SBAS
PIEDIMULERA – Chiesa Parr. – Restauro conservativo vetrate policrome – SBAS – SBAA
QUARNA SOPRA – Chiesa Parr. – Bussola 1865 – Restauro – SBAS – SBAA
QUARNA SOTTO – Chiesa Parrocchiale – Dipinti su tela – Restauro – SBAS
RASSA – Chiesa Parr. – Risanamento conservativo affreschi e decorazioni – SBAS – SBAA
RENCO – Casa Parr. – Cappotto isolazione primo piano e tinteggiatura edificio – SBAA
RENCO – Chiesa Parr. – Manutenzione straordinaria parziale tinteggiatura – SBAA
RIMASCO – IDSC – Ex casa parrocchiale – Copertura – SBAA
470
UFFICIO BENI CULTURALI
RIMELLA - Chiesa Parr. – Statue lignee e portantine – Restauro – SBAS
ROCCAPIETRA – Chiesa Parrocchiale – Altare ligneo – Restauro – SBAS
ROCCAPIETRA – Chiesa in Fraz. Cilimo – Restauro affreschi – SBAS – SBAA
SABBIA – Chiesa Parrocchiale – Affresco in facciata – Restauro – SBAS – SBAA
SABBIA – Chiesa Parrocchiale – Restauro organo, mobile e cantoria – SBAS
SANTINO – Santuario Madonna del Patrocinio – Restauro facciata e portico – SBAA – SBAS
SCOPA – Chiesa Parrocchiale – Organo Maroni/Biroldi – Restauro – SBAS
SCOPA – Oratorio S.Giovanni B. in Fraz. Salterana – Restauro – SBAS – SBAA
SCOPELLO – Chiesa Loc. Rua – Dotazione impianti tecnologici – SBAA
SOMERARO-CAMPINO – Chiesa della Consolazione – Restauro dipinto su tela – SBAS
STRESA – Chiesa San Michele – Posa nuovi carracci con catena – SBAA
TRAREGO VIGGIONA – Chiesa S.Martino – Restauro intonaci pitture murali – SBAS – SBAA
TROBASO – Chiesa Parr. – Apertura della volta del portico – SBAS – SBAA
TRONTANO – Chiesa Parr. – Restauro dipinti Cappella Cristo risorto – SBAA – SBAS
VAGNA – Chiesa Loc. Maggianigo – Restauro delle facciate – SBAA – SBAS
VALDUGGIA – Chiesa Parr. – Manutenzione dipinti murali e stucchi – SBAA – SBAS
VALDUGGIA – Chiesa Santa Maria – Dipinto su tela – Restauro – SBAS
VANZONE – Chiesa Parrocchiale – Abiti simulacro – Restauro – SBAS
VARALLO – Collegiata – Porzione affresco – Restauro – SBAA – SBAS
VARZO – Oratorio Fraz. Coggia – Dipinti su tela – Restauro – SBAS
VARZO – Oratorio S.Maria Assunta Fraz. Coggia – Restauro dell’organo – SBAS
VARZO – Oratorio Fraz. Bertonio – Affresco facciata – Restauro – SBAS – SBAA
VERIFICA DELL’INTERESSE CULTURALE
Come è noto questa “verifica” è richiesta dal D. Lgs 42/2004 in ogni caso di
intervento strutturale su beni ecclesiastici (chiese escluse) o di alienazione dei
medesimi.
Per informazioni v. Rivista Diocesana n. 6 di giugno-luglio 2005 oppure
telefonare all’Ufficio Beni Culturali, prof. Francesco Gonzales o sig.ra
Domenica Abbinante.
INIZIATIVE CULTURALI
Questi ultimi sei mesi sono stati dedicati per intero alla preparazione e allo
svolgimento di due eventi importantissimi per la Diocesi: la mostra “Da
Gaudenzio a Pianca. Omaggio a Giovanni Testori. Capolavori restaurati nel
Novarese”, e la mostra di Varallo Sesia “Il Polittico di Gaudenzio Ferrari per la
Collegiata di Varallo”. Una “grande” esposizione e una “piccola” esposizione
esempio di collaborazione fra enti pubblici, parrocchie e Diocesi.
«La mostra “da Gaudenzio a Pianca” è stato l’evento dell’anno», come ha
scritto L’Azione nel mese di aprile: prova del successo dell’iniziativa sono, non
solo le presenze che si aggirano intorno ai 6.000 visitatori in un mese e mezzo di apertura, ma anche il peso e il risalto che la stampa nazionale ha dato
all’evento (La Repubblica, Il Corriere della Sera, Avvenire, per citarne alcuni, vedi allegata rassegna stampa).
471
UFFICIO BENI CULTURALI
E’ facile fare un rapido conto e tornare proprio a quel 1964, anno della
mostra del Cerano a Novara, quando la città divenne per un attimo oggetto di attenzioni nazionali: la visita di Luchino Visconti, le lodi di Giovanni
Testori e altri eccellenti visitatori faranno si che “la mostra del Cerano”
rimarrà, per la nostra città, non solo un successo culturale vero, merito del
lavoro di Marco Rosci, ma quasi un unicum nel suo genere per più di quarant’anni.
“Da Gaudenzio a Pianca”, che al suo interno contiene un omaggio proprio a
Giovanni Testori e alla mostra del Cerano, vuole riprendere quel discorso interrottosi mezzo secolo fa e riportare all’attenzione del pubblico, della critica specializzata e della cultura, non solo la città con i suoi tesori, ma un territorio
diocesano ricco e denso di testimonianze di alta qualità artistica per l’occasione restaurate e portate a nuova vita. Una per tutte la dolcissima tavola con lo
Sposalizio mistico di S. Caterina di Gaudenzio Ferrari proveniente dalla
Cattedrale di Novara.
Un evento ancor più importante per la Diocesi perché realizzato e nato
all’interno di un edificio di culto come la Basilica di San Gaudenzio che si è
prestata a questo progetto di mostra nella mostra: cioè non solo opere provenienti dal territorio ma la Basilica stessa, con il completamento del restauro
delle sei cappelle della navata, è “andata” in mostra.
Proprio alla fine di giugno, dopo sei anni di restauri delicatissimi, torna a
Varallo Sesia il Polittico dipinto da Gaudenzio Ferrari per la Collegiata. Un
ritorno attesissimo dalla comunità varallese che, dopo una tappa in
Pinacoteca, dove si potrà ammirare da vicino il lavoro di restauro e la qualità
pittorica delle tavole, l’opera tornerà in chiesa al posto d’onore sopra l’altar
maggiore.
INVENTARIO
Don Tino Temporelli prosegue con gli schedatori diocesani il lavoro di inventariazione dei Beni Culturali religiosi delle Parrocchie.
Nel 2008 è stato portato a termine l’inventario delle parrocchie di Anzola
d’Ossola, Arona, Baveno, Belgirate, Beura, Brisino, Brolo, Brovello, Calogna,
Campino-Someraro, Carciano di Stresa, Cardezza, Carpugnino, Cavallirio,
Chesio, Cimamulera, Colazza, Cosasca, Crusinallo, Cuzzago, Cuzzego,
Dagnente, Feriolo, Fornero, Forno, Germagno, Ghevio, Gignese, Granerolo,
Gravellona Toce, Isola Pescatori, Lesa, Levo di Stresa, Loreglia, Luzzogno,
Magognino, Massino Visconti, Massiola, Megolo, Meina, Montebuglio,
Montrigiasco, Nebbiuno, Nocco, Oltrefiume, Ornavasso, Pallanzeno,
Pettenasco, Pisano, Prata di Vogogna, Prato Sesia, Premosello, Quarna Sotto,
Ramate, Sambughetto, Solcio, Sovazza, Stresa, Tapigliano-Fosseno, Vezzo,
Villalesa, Vogogna.
472
INFORMAZIONI
Conferenza stampa di presentazione
dell’enciclica “Caritas in veritate”
Città del Vaticano, 7 luglio 2009
INTERVENTO DEL CARD. RENATO RAFFAELE MARTINO
La Caritas in veritate è la terza enciclica di Benedetto XVI ed è un’enciclica
sociale. Essa si inserisce nella tradizione delle encicliche sociali che, nella loro
fase moderna, siamo soliti far iniziare con la Rerum novarum di Leone XIII ed
arriva dopo 18 anni dall’ultima enciclica sociale, la Centesimus annus di
Giovanni Paolo II. Quasi un ventennio ci separa quindi dall’ultimo grande
documento di dottrina sociale. Non che in questo ventennio l’insegnamento
sociale dei Pontefici e della Chiesa si sia ritirato in secondo piano. Si pensi per
esempio al Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, pubblicato dal
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace nel 2004 o all’enciclica Deus
caritas est di Benedetto XVI che contiene una parte centrale espressamente
dedicata alla Dottrina sociale della Chiesa e che io, a suo tempo, ho definito
una “piccola enciclica sociale”. Si pensi soprattutto al magistero ordinario di
Benedetto XVI, su cui tornerò tra poco. La scrittura di una enciclica, però,
assume un valore particolare, rappresenta un sistematico passo in avanti dentro una tradizione che i pontefici assunsero in sé non per spirito di supplenza
ma con la precisa convinzione di rispondere così alla loro missione apostolica
e con l’intento di garantire alla religione cristiana il “diritto di cittadinanza”
nella costruzione della società degli uomini.
Perché una nuova enciclica? Come sappiamo, la Dottrina sociale della Chiesa
ha una dimensione che permane ed una che muta con i tempi. Essa è l’incontro del Vangelo con i problemi sempre nuovi che l’umanità deve affrontare.
Questi ultimi cambiano, ed oggi lo fanno ad una velocità sorprendente. La
Chiesa non ha soluzioni tecniche da proporre, come anche la Caritas in veritate ci ricorda, ma ha il dovere di illuminare la storia umana con la luce della verità e il calore dell’amore di Gesù Cristo, ben sapendo che “se il Signore
non costruisce la casa invano si affannano i costruttori”.
Se ci guardiamo indietro nel tempo e ripercorriamo questi vent’anni che ci
separano dalla Centesimus annus ci accorgiamo che grandi cambiamenti
sono avvenuti nella società degli uomini.
473
INFORMAZIONI
Le ideologie politiche, che avevano caratterizzato l’epoca precedente al 1989,
sembrano aver perso di virulenza, sostituite però dalla nuova ideologia della
tecnica. In questi venti anni, le possibilità di intervento della tecnica nella stessa identità della persona si sono purtroppo sposate con un riduzionismo delle
possibilità conoscitive della ragione, su cui Benedetto XVI sta impostando da
tempo un lungo insegnamento. Questo scostamento tra capacità operative, che
ormai riguardano la vita stessa, e quadro di senso, che si assottiglia sempre di
più, è tra le preoccupazioni più vive dell’umanità di oggi e, per questo, la
Caritas in veritate lo ha affrontato. Se nel vecchio mondo dei blocchi politici
contrapposti la tecnica era asservita all’ideologia politica ora, che i blocchi non
ci sono più e il panorama geopolitico è di gran lunga cambiato, la tecnica tende a liberarsi da ogni ipoteca. L’ideologia della tecnica tende a nutrire questo
suo arbitrio con la cultura del relativismo, alimentandola a sua volta. L’arbitrio
della tecnica è uno dei massimi problemi del mondo d’oggi, come emerge in
maniera evidente dalla Caritas in veritate.
Un secondo elemento distingue l’epoca attuale da quella di venti anni fa: l’accentuazione dei fenomeni di globalizzazione determinati, da un lato, dalla fine
dei blocchi contrapposti e, dall’altro, dalla rete informatica e telematica mondiale. Iniziati nei primi anni Novanta del secolo scorso, questi due fenomeni
hanno prodotto cambiamenti fondamentali in tutti gli aspetti della vita economica, sociale e politica. La Centesimus annus accennava al fenomeno, la
Caritas in veritate lo affronta organicamente. L’enciclica analizza la globalizzazione non in un solo punto, ma in tutto il testo, essendo questo un fenomeno, come oggi si dice, “trasversale”: economia e finanza, ambiente e famiglia,
culture e religioni, migrazioni e tutela dei diritti dei lavoratori; tutti questi elementi, ed altri ancora, ne sono influenzati.
Un terzo elemento di cambiamento riguarda le religioni. Molti osservatori
notano che in questo ventennio, pure a seguito della fine dei blocchi politici
contrapposti, le religioni sono tornate alla ribalta della scena pubblica mondiale. A questo fenomeno, spesso contraddittorio e da decifrare con attenzione,
si contrappone un laicismo militante, e talvolta esasperato, che tende ad estromettere la religione dalla sfera pubblica. Ne discendono conseguenze negative
e spesso disastrose per il bene comune. La Caritas in veritate affronta il problema in più punti e lo vede come un capitolo molto importante per garantire
all’umanità uno sviluppo degno dell’uomo.
Un quarto ed ultimo cambiamento su cui voglio soffermarmi è l’emergenza di
alcuni grandi Paesi da una situazione di arretratezza, che sta mutando notevolmente gli equilibri geopolitici mondiali. La funzionalità degli organismi
internazionali, il problema delle risorse energetiche, nuove forme di colonialismo e di sfruttamento sono anche collegate con questo fenomeno, positivo in
sé, ma dirompente e che ha bisogno di essere bene indirizzato. Torna qui,
impellente, il problema della governance internazionale.
Queste quattro grandi novità, emerse nel ventennio che ci separa dall’ultima
enciclica sociale, novità rilevanti che hanno cambiato in profondità le dinami-
474
INFORMAZIONI
che sociali mondiali, basterebbero da sole a motivare la scrittura di una nuova enciclica sociale. All’origine della Caritas in veritate, c’è, però, un altro
motivo che non vorrei venisse dimenticato. Inizialmente la Caritas in veritate
era stata pensata dal Santo Padre come una commemorazione dei 40 anni della Populorum progressio (PP) di Paolo VI. La redazione della Caritas in veritate ha richiesto più tempo e quindi la data del quarantennio della Populorum
progressio - il 2007 - è stato superato. Ma questo non elimina l’importante collegamento con l’enciclica paolina, evidente già dal fatto che la Caritas in veritate viene detta una enciclica “sullo sviluppo umano integrale nella carità e
nella verità”. Collegamento evidente, poi, per il primo capitolo dell’enciclica,
che è dedicato proprio a riprendere la Populorum progressio, ed a rileggerne
l’insegnamento dentro il magistero complessivo di Paolo VI. Il tema della
Caritas in veritate non è lo “sviluppo dei popoli”, ma “lo sviluppo umano integrale”, senza che questo comporti una trascuratezza del primo. Si può dire,
quindi, che la prospettiva della Populorum progressio venga allargata, in continuità con le sue profonde dinamiche.
Credo che non vada dimenticato che la Caritas in veritate dimostra con
chiarezza non solo che il pontificato di Paolo VI non ha rappresentato nessun
“arretramento” nei confronti della Dottrina sociale della Chiesa, come troppo
spesso si è detto, ma che questo Papa ha contribuito in modo significativo ad
impostare la visione della Dottrina sociale della Chiesa sulla scia della
Gaudium et spes e della tradizione precedente ed ha costituito le basi, su cui
si è poi potuto inserire Giovanni Paolo II. Non deve sfuggire l’importanza di
queste valutazioni della Caritas in veritate, che eliminano tante interpretazioni che hanno pesato - e tuttora pesano - sull’utilizzo della Dottrina sociale
della Chiesa e sulla stessa idea della sua natura ed utilità. La Caritas in veritate mette bene in luce come Paolo VI abbia strettamente collegato la Dottrina
sociale della Chiesa con la evangelizzazione (Evangelii nuntiandi) ed abbia
previsto l’importanza centrale che avrebbero assunto nelle problematiche
sociali i temi legati alla procreazione (Humanae vitae).
La prospettiva di Paolo VI e gli spunti della Populorum progressio sono presenti in tutta la Caritas in veritate e non solo nel primo capitolo, espressamente dedicato a ciò. A parte l’utilizzo di alcuni spunti particolari relativi alle
problematiche specifiche dello sviluppo dei Paesi poveri, la Caritas in veritate
fa proprie tre prospettive di ampio respiro, contenute nell’enciclica di Paolo VI.
La prima è l’idea che «il mondo soffre per mancanza di pensiero» (PP
[Populorum progressio] 85). La Caritas in veritate sviluppa questo spunto
articolando il tema della verità dello sviluppo e nello sviluppo fino a sottolineare l’esigenza di una interdisciplinarietà ordinata dei saperi e delle competenze a servizio dello sviluppo umano.
La seconda è l’idea che “Non vi è umanesimo vero se non aperto verso
l’Assoluto” (PP. 42) ed anche la Caritas in veritate si muove nella prospettiva
di un umanesimo veramente integrale. Il traguardo di uno sviluppo di tutto
l’uomo e di tutti gli uomini è ancora davanti a noi.
La terza è che all’origine del sottosviluppo c’è una mancanza di fraternità (PP
475
INFORMAZIONI
66). Anche Paolo VI faceva appello alla carità e alla verità quando invitava ad
operare «con tutto il loro cuore e tutta la loro intelligenza» (PP. 82).
Alla Populorum progressio viene conferito lo stesso onore dato alla Rerum
novarum: venire periodicamente ricordata e commentata. Essa è quindi la
nuova Rerum novarum della famiglia umana globalizzata.
All’interno di questo umanesimo integrale, la Caritas in veritate parla anche
della attuale crisi economica e finanziaria. La stampa si è dimostrata interessata soprattutto a questo aspetto ed i giornali si sono chiesti cosa avrebbe detto la nuova enciclica sulla crisi in atto. Vorrei dire che il tema centrale dell’enciclica non è questo, però la Caritas in veritate non si è sottratta alla problematica. L’ha affrontata, non in senso tecnico, ma valutandola alla luce dei
principi di riflessione e dei criteri di giudizio della Dottrina sociale della Chiesa
ed all’interno di una visione più generale dell’economia, dei suoi fini e della
responsabilità dei suoi attori.
La crisi in atto mette in evidenza, secondo la Caritas in veritate, che la
necessità di ripensare anche il modello economico cosiddetto “occidentale”,
richiesta dalla Centesimus annus circa venti anni fa, non è stato attuato fino
in fondo. Dice questo, però, dopo aver chiarito che - come già aveva visto Paolo
VI e come ancor più vediamo noi oggi - il problema dello sviluppo si è fatto policentrico e il quadro delle responsabilità, dei meriti e delle colpe, si è molto articolato. Secondo la Caritas in veritate, «La crisi ci obbliga a riprogettare il
nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a
puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa
così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave,
fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente» (n. 21).
Dall’enciclica emerge una visione in positivo, di incoraggiamento all’umanità
perché possa trovare le risorse di verità e di volontà per superare le difficoltà.
Non un incoraggiamento sentimentale, dato che nella Caritas in veritate vengono individuati con lucidità e preoccupazione tutti i principali problemi del
sottosviluppo di vaste aree del pianeta. Ma un incoraggiamento fondato, consapevole e realistico perché nel mondo sono all’opera molti protagonisti ed
attori di verità e di amore e perché il Dio che è Verità e Amore è sempre all’opera nella storia umana.
Nel titolo della Caritas in veritate appaiono i due termini fondamentali del
magistero di Benedetto XVI, appunto la Carità e la Verità. Questi due termini hanno segnato tutto il suo magistero in questi anni di pontificato, in
quanto rappresentano l’essenza stessa della rivelazione cristiana. Essi, nella loro connessione, sono il motivo fondamentale della dimensione storica
e pubblica del cristianesimo, sono all’origine, quindi, della Dottrina sociale della Chiesa. Infatti, «Per questo stretto collegamento con la verità, la
carità può essere riconosciuta come espressione autentica di umanità e
come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane, anche
di natura pubblica. Solo nella verità la carità risplende e può essere
autenticamente vissuta» (n. 3).
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INFORMAZIONI
INTERVENTO DEL CARD. PAUL JOSEF CORDES
Gentili Signore Signori,
mi è stato proposto di collocare l’enciclica Caritas in veritate
nel contesto del pensiero e del magistero di Benedetto XVI. La sua prima enciclica, Deus caritas est, sulla teologia della carità, conteneva indicazioni sulla
dottrina sociale (n. 26-29). Ora siamo di fronte ad un testo dedicato interamente a questa materia. Ma balza agli occhi che il concetto centrale resta la
caritas intesa come amore divino manifestato in Cristo. Essa è la fonte ispiratrice del pensare e dell’agire del cristiano nel mondo. Alla sua luce, la verità
diventa “dono…, non è prodotta da noi, ma sempre trovata o, meglio, ricevuta”
(n. 34). Non può venire ridotta a semplice volersi bene umano o a filantropia.
Nel mio intervento desidero prima commentare il compito della dottrina sociale dentro la missione della Chiesa, e poi toccare un suo principio: la centralità
dell’uomo.
1. La dottrina sociale nella missione della Chiesa
1.1. Non è la Chiesa a creare una società giusta.
La Chiesa è stata costituita da Cristo per essere sacramento di salvezza per
tutti i popoli (Lumen gentium 1). La sua missione specifica la strappa ad un
malinteso ricorrente: secolarizzarla fino a farne un agente politico. La Chiesa
ispira, ma non fa politica. Riprendendo la Populorum Progressio, l’enciclica
di oggi afferma chiaramente: “La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e
non pretende minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati” (n. 9). La
Chiesa non è un partito politico, né un attore politicizzante. Guai a chi riducesse la missione della Chiesa ad essere un movimento intramondano di pressione per ottenere risultati politici. Lo stesso Card. Ratzinger si è opposto negli
anni ‘80, da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, nel confronto con alcune teologie della liberazione, a questo possibile malinteso
(Instructio del 6.8.1984).
Questo implica a sua volta che la dottrina sociale della Chiesa non è una
“terza via”, cioè un programma politico da realizzare per giungere ad una
società perfetta. Chi la pensa così rischia paradossalmente di preparare una
teocrazia, dove i principi validi nel discorso della fede diventano tout court
principi da applicare al vivere sociale, sia per chi crede, sia per chi non crede,
abbracciando anche la violenza. Di fronte a tali errori, la Chiesa salvaguarda,
insieme alla libertà religiosa, la giusta autonomia dell’ordine creato, come già
il Concilio Vaticano II ha assicurato.
1.2. La dottrina sociale della Chiesa è un elemento
dell’evangelizzazione
In positivo, l’enciclica Caritas in veritate esprime il significato della dottrina sociale della Chiesa in diverse parti, per es. al n. 15, quando ne va del rapporto tra evangelizzazione e promozione umana, partendo dalla Populorum
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INFORMAZIONI
Progressio. Mentre finora l’accento della dottrina sociale era piuttosto sull’azione per promuovere la giustizia, ora si avvicina in senso lato alla pastorale:
la dottrina sociale è affermata elemento dell’evangelizzazione. Cioè l’annuncio
di Cristo morto e risorto che la Chiesa proclama lungo i secoli ha una sua
attualizzazione anche rispetto al vivere sociale. Questa affermazione contiene
due aspetti.
Non possiamo leggere la dottrina sociale fuori dal contesto del vangelo e del
suo annuncio. La dottrina sociale, come mostra questa enciclica, nasce e si
interpreta alla luce della rivelazione.
D’altra parte, la dottrina sociale non si identifica con l’evangelizzazione, ma
ne è un elemento. Il vangelo riguarda il vivere dell’uomo anche in relazioni
sociali e in istituzioni che da queste relazioni nascono, ma non si può restringere l’uomo al suo vivere sociale. Questo pensiero è stato ribadito con vigore
da Giovanni Paolo II nella Redemptoris missio (n. 11). E dunque la dottrina
sociale della Chiesa non può sostituire tutta l’opera di annuncio del Vangelo
nell’incontro da persona a persona.
1.3. La dottrina sociale: non senza rivelazione
Un breve percorso storico: a motivo della rivoluzione industriale (19.mo secolo) e delle sue conseguenze nefaste il monito della Chiesa chiedeva allo Stato
urgentemente una reazione per ristabilire la giustizia sociale e la dignità della
persona in termini filosofici. Più tardi, con la Pacem in terris, Giovanni XXIII
attinge maggiormente all’orizzonte della fede e parla del peccato e del suo
superamento mediante l’opera divina di salvezza. Giovanni Paolo II ha introdotto poi il concetto di “strutture di peccato” e applica la salvezza anche alla lotta contro la miseria umana. La sua Sollicitudo rei socialis integrava la dottrina sociale nella teologia morale: “Essa appartiene, perciò, non al campo dell’ideologia, ma della teologia, e specialmente della teologia morale” (n. 41). Da
questo passo la dottrina sociale si muove chiaramente nel campo della teologia.
I principi della dottrina sociale non sono dunque rimasti meramente filosofici,
ma hanno la loro origine in Cristo e nella sua parola. Nella Deus caritas est,
Benedetto XVI scrive che la fede purifica la ragione e la aiuta così a creare un
ordine giusto nella società; qui si colloca la dottrina sociale (cfr. 28 a).
Essa si muove dunque appoggiandosi ad un discorso accessibile ad ogni
ragione, e perciò sul fondamento del diritto naturale. Ma riconosce la sua
dipendenza dalla fede.
La nuova enciclica tratta più esplicitamente e più decisamente tutto ciò,
ponendosi sul terreno della carità. Insegna che la “carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa” (n. 2). La carità che qui si intende è quella
“ricevuta e donata” da Dio (n. 5).
L’amore di Dio Padre Creatore e del Figlio redentore, effuso in noi dallo
Spirito santo permette il vivere sociale dell’uomo in base a certi principi.
Afferma per lo sviluppo la “centralità … nella carità” (n. 19). La sapienza - si
scrive anche - capace di orientare l’uomo, “deve essere ‘condita’ con il ’sale’ della carità” (n. 30). Queste semplici - apparentemente scontate - affermazioni
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nascondono delle implicazioni importanti. Slegata dall’esperienza cristiana, la
dottrina sociale diventa esattamente quella ideologia che Giovanni Paolo II
insegnava non essere. Oppure appunto un manifesto politico senz’anima. La
dottrina sociale impegna invece in primo luogo il cristiano a “incarnare” la sua
fede. Come scrive l’enciclica: “La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l’amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico ad ogni impegno
nel mondo” (n. 6). Alla domanda spesso formulata: “Che contributo dà il cristiano alla edificazione del mondo?”, risponde la dottrina sociale della Chiesa.
2. Un approccio antropocentrico
Il cuore della dottrina sociale resta l’uomo. Ho già accennato che in una prima fase l’attenzione di questa disciplina era piuttosto orientata sulle situazioni problematiche della società: regolamentazione del lavoro, accesso ad un
equo salario, rappresentanza dei lavoratori. Più tardi queste problematiche
sono state affrontate ad un livello internazionale: lo squilibrio tra ricchi e poveri, lo sviluppo, i rapporti internazionali. Con l’accentuazione teologica si affaccia più fortemente con Giovanni XXIII la domanda circa la ricaduta di tutto
questo sull’uomo - siamo ad una seconda fase nella evoluzione di questa disciplina. Giovanni Paolo II ha rafforzato ulteriormente questa consapevolezza
centrando sul problema antropologico la riflessione sociale. Questo aspetto è
fortemente presente nel documento di oggi: “Il primo capitale da salvaguardare e da valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità (n. 25); “La questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica” (n. 75).
Il progresso, per essere tale veramente, deve cioè far crescere l’uomo nella
sua completezza: troviamo nel testo riferimenti all’ambiente, al mercato, alla
globalizzazione, alla questione etica, alla vita, alla cultura, cioè ai diversi ambiti nel quali l’uomo esplica la sua attività. Questo scopo rimane un’eredità preziosa della dottrina sociale dal suo inizio. Ma più a fondo, la questione antropologica implica che si deve rispondere ad una domanda centrale: quale uomo
vogliamo promuovere? Possiamo considerare vero sviluppo uno sviluppo che
chiude l’uomo in un orizzonte intraterreno, fatto solo di benessere materiale, e
che prescinde dalla questione dei valori, dei significati, dell’infinito cui l’uomo
è chiamato? Può una civiltà sopravvivere senza riferimenti fondanti, senza
sguardo all’eternità, negando all’uomo una risposta ai suoi interrogativi più
profondi? Può esserci vero sviluppo senza Dio?
Nella logica di questa enciclica si affaccia dunque prepotentemente un ulteriore passaggio, forse una terza fase della riflessione della dottrina sociale. Non
è un caso se si è posta la carità come punto di snodo: dunque la carità divina
cui risponde come atto umano una virtù teologale, lo dicevo all’inizio. L’uomo
allora non si pone solo come obiettivo di un processo, ma come il soggetto di
questo processo. L’uomo che ha conosciuto Cristo si fa attore di cambiamento
perché la dottrina sociale non resti lettera morta. Scrive Benedetto XVI: “Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello al bene comune” (n. 71).
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INFORMAZIONI
Qui siamo in diretta continuità con l’enciclica Deus caritas est, che, nella sua
seconda parte, ha considerato le caratteristiche di chi opera negli organismi
caritativi. E lo sguardo si amplia al mondo della vita pubblica, in cui assistiamo spesso, a nord e a sud, a fenomeni noti a tutti, e che impediscono la crescita di un popolo: la corruzione e l’illegalità (cfr. n. 22), la sete di potere (cfr.
DCE 28). Il “peccato delle origini”, come ricorda il nostro testo al n. 34, impedisce in molti luoghi la costruzione della società. Anche in chi le guida.
Non si può affrontare la questione sociale senza riferirsi alla questione etica.
L’enciclica fa riferimento all’uomo nuovo in senso biblico (n. 12). Non c’è
società nuova senza uomini nuovi. La dottrina sociale non rimane carta o ideologia solo se ci sono cristiani disposti viverla nella carità, con l’aiuto di Dio.
Aspetta autenticità da parte di tutti gli attori. Formula, senza giri di parole:
“Lontano da Dio, l’uomo è inquieto e malato” (n. 76). E’ altamente significativo
che l’ultimo numero dell’enciclica (79) è dedicato alla preghiera e alla necessità
della conversione: Dio rinnova il cuore dell’uomo perché questi possa dedicarsi a vivere nella carità e nella giustizia. Perciò i cristiani non stanno semplicemente alla finestra a guardare o a protestare, contagiati dalla moderna cultura della denuncia (Kultur des Einspruchs), ma si lasciano convertire per
costruire, in Dio, una cultura nuova. Questo vale anche per i membri della
Chiesa, singoli o associati.
3. Il progresso
Voglio finire con una considerazione circa il concetto di progresso. Paolo VI lo ricorda anche questa enciclica - ne ha parlato in forma articolata
(Populorum Progressio, 21). Purtroppo si è pensato spesso che la crescita
umana è come indipendente rispetto alla questione della fede, cosicché da una
parte ci sarebbe la promozione umana, dall’altra l’annuncio della fede come
ambiti separati. Ma nella Populorum progressio il progresso, cristianamente
inteso, culmina nella fede e nella carità in Cristo. Oltre ad unificare le due
dimensioni, questo documento introduce un ulteriore elemento nel concetto di
progresso: la speranza (n. 34).
Come ribadiva Benedetto XVI nella Spe salvi, la speranza non può essere
però quella di un progresso che costruisca per sempre un regno di benessere
quaggiù (n. 30), perché questo non fa i conti con la libertà umana (n. 23-24):
il fondamento della speranza cristiana invece è il dono di Dio (n. 31). Dunque
la speranza ci aiuta a non chiudere il progresso nella costruzione di un regno
di quaggiù, ma ci apre al dono: in Dio trova coronamento il desiderio di bene
dell’uomo. E’ sempre in questa relatività che la Chiesa formula la sua dottrina
sociale e i cristiani trovano in essa ispirazione per il loro impegno in questo
mondo.
Signore e signori, l’interesse per l’enciclica Caritas in veritate è grande.
Letto bene il testo di Benedetto XVI, è una luce per la società e non da ultimo
per noi cristiani.
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INTERVENTO DEL PROF. STEFANO ZAMAGNI
Numerosi e di grande momento gli stimoli per la riflessione e le indicazioni
per l’azione che promanano dalla Caritas in veritate (CV). Mi limito qui a toccare i punti che reputo di maggiore originalità e rilevanza pratica.
a) Un primo messaggio di rilievo concerne l’invito a superare l’ormai obsoleta dicotomia tra sfera dell’economico e sfera del sociale. La modernità ha
lasciato in eredità questo convincimento: che per avere titolo di accesso al club
dell’economia sia indispensabile mirare al profitto ed essere animati da intenti esclusivamente autointeressati; quanto a dire che non si è pienamente
imprenditori se non si persegue la massimizzazione del profitto. Altrimenti, ci
si deve accontentare di far parte dell’ambito del sociale. Questa assurda concettualizzazione - a sua volta figlia di quell’errore teorico che confonde l’economia di mercato che è il genus con una sua particolare species quale è il sistema capitalistico - ha portato ad identificare l’economia con il luogo della produzione della ricchezza (o del reddito) e il sociale con il luogo della solidarietà
e/o della compassione.
La CV [Caritas in veritate] ci dice, invece, che si può fare impresa anche se
si perseguono fini di utilità sociale e si è mossi all’azione da motivazioni di tipo
pro-sociale. E’ questo un modo concreto, anche se non l’unico, di colmare il
pericoloso divario tra l’economico e il sociale - pericoloso perché se è vero che
un agire economico che non incorporasse al proprio interno la dimensione del
sociale non sarebbe eticamente accettabile, del pari vero è che un sociale
meramente redistributivo che non facesse i conti col vincolo delle risorse non
risulterebbe alla lunga sostenibile: prima di poter distribuire occorre, infatti,
produrre.
b) Ampliando un istante la prospettiva di discorso, dire mercato significa dire
competizione e ciò nel senso che non può esistere il mercato laddove non c’è
pratica di competizione (anche se il contrario non è vero). E non v’è chi non
veda come la fecondità della competizione stia nel fatto che essa implica la tensione, la quale presuppone la presenza di un altro e la relazione con un altro.
Senza tensione non c’è movimento, ma il movimento - ecco il punto - cui la tensione dà luogo può essere anche mortifero, generatore di morte. E’ tale quella
forma di competizione che si chiama posizionale. Si tratta di una forma relativamente nuova di competizione, poco presente nelle epoche precedenti, e particolarmente pericolosa perché tende a distruggere il legame con l’altro. Nella
competizione posizionale, lo scopo dell’agire economico non è la tensione verso un comune obiettivo - come l’etimo latino “cum-petere” lascerebbe chiaramente intendere - ma l’hobbesiana “mors tua, vita mea”. E’ in ciò la stoltezza
della posizionalità, che mentre va a selezionare i migliori facendo vincere chi
arriva primo, elimina o neutralizza chi arriva “secondo” nella gara di mercato.
E’ così che il legame sociale viene ridotto al “cash nexus” e l’attività economica tende a divenire inumana e dunque ultimamente inefficiente.
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Ebbene, il guadagno, certo non da poco, che la CV ci offre è quello di prendere posizione a favore di quella concezione del mercato, tipica dell’economia
civile, secondo cui si può vivere l’esperienza della socialità umana all’interno
di una normale vita economica e non già al di fuori di essa o a lato di essa,
come suggerisce il modello dicotomico di ordine sociale. E’ questa una concezione che è alternativa, ad un tempo, sia a quella che vede il mercato come luogo dello sfruttamento e della sopraffazione del forte sul debole, sia a quella che,
in linea con il pensiero anarco-liberista, lo vede come luogo in cui possono trovare soluzione tutti i problemi della società.
La Dottrina Sociale della Chiesa va oltre (ma non contro) l’economia di tradizione smithiana che vede il mercato come l’unica istituzione davvero necessaria per la democrazia e per la libertà. La Dottrina Sociale della Chiesa ci ricorda invece che una buona società è frutto certamente del mercato e della
libertà, ma ci sono esigenze, riconducibili al principio di fraternità, che non
possono essere eluse, né rimandate alla sola sfera privata o alla filantropia. Al
tempo stesso, la Dottrina Sociale della Chiesa non parteggia con chi combatte
i mercati e vede l’economico in endemico e naturale conflitto con la vita buona, invocando una decrescita e un ritiro dell’economico dalla vita in comune.
Piuttosto, essa propone un umanesimo a più dimensioni, nel quale il mercato
è visto come momento importante della sfera pubblica - sfera che è assai più
vasta di ciò che è statale - e che, se concepito e vissuto come luogo aperto
anche ai principi di reciprocità e del dono, costruisce la “città”.
c) La parola chiave che oggi meglio di ogni altra esprime questa esigenza è
quella di fraternità, parola già presente nella bandiera della Rivoluzione
Francese, ma che l’ordine post-rivoluzionario ha poi abbandonato - per le note
ragioni - fino alla sua cancellazione dal lessico politico-economico. E’ stata la
scuola di pensiero francescana a dare a questo termine il significato che esso
ha conservato nel corso del tempo. Che è quello di costituire, ad un tempo, il
complemento e l’esaltazione del principio di solidarietà. Infatti mentre la solidarietà è il principio di organizzazione sociale che consente ai diseguali di
diventare eguali, il principio di fraternità è quel principio di organizzazione
sociale che consente agli eguali di esser diversi. La fraternità consente a persone che sono eguali nella loro dignità e nei loro diritti fondamentali di esprimere diversamente il loro piano di vita, o il loro carisma. Le stagioni che abbiamo lasciato alle spalle, l’800 e soprattutto il ‘900, sono state caratterizzate da
grosse battaglie, sia culturali sia politiche, in nome della solidarietà e questa è
stata cosa buona; si pensi alla storia del movimento sindacale e alla lotta per
la conquista dei diritti civili. Il punto è che la buona società non può accontentarsi dell’orizzonte della solidarietà, perché una società che fosse solo solidale, e non anche fraterna, sarebbe una società dalla quale ognuno cercherebbe di allontanarsi. Il fatto è che mentre la società fraterna è anche una
società solidale, il viceversa non è necessariamente vero.
Aver dimenticato il fatto che non è sostenibile una società di umani in cui si
estingue il senso di fraternità e in cui tutto si riduce, per un verso, a migliorare
le transazioni basate sullo scambio di equivalenti e, per l’altro verso, a aumen-
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tare i trasferimenti attuati da strutture assistenziali di natura pubblica, ci dà
conto del perché, nonostante la qualità delle forze intellettuali in campo, non si
sia ancora addivenuti ad una soluzione credibile del grande trade-off tra efficienza ed equità. Non è capace di futuro la società in cui si dissolve il principio
di fraternità; non è cioè capace di progredire quella società in cui esiste solamente il “dare per avere” oppure il “dare per dovere”. Ecco perché, né la visione
liberal-individualista del mondo, in cui tutto (o quasi) è scambio, né la visione
statocentrica della società, in cui tutto (o quasi) è doverosità, sono guide sicure
per farci uscire dalle secche in cui le nostre società sono oggi impantanate.
d) Cosa comporta, a livello pratico, l’accoglimento della prospettiva della gratuità entro l’agire economico?
Di due conseguenze, tra le tante, desidero qui dire in breve.
La prima concerne il modo di guardare alla relazione tra crescita economica
e programmi di welfare. Vien prima la crescita economica o il welfare? Per dirla in altro modo, la spesa per il welfare va considerata consumo sociale oppure investimento sociale? La tesi difesa nella CV è che, nelle condizioni storiche
attuali, la posizione di chi vede il welfare come fattore di sviluppo economico è
assai più credibile e giustificabile della posizione contraria.
La seconda conseguenza che discende dal riconoscere al principio di gratuità un
posto di primo piano nella vita economica ha a che vedere con la diffusione della
cultura e della prassi della reciprocità. Assieme alla democrazia, la reciprocità
è valore fondativo di una società. Anzi, si potrebbe anche sostenere che e’ dalla reciprocità che la regola democratica trae il suo senso ultimo.
In quali “luoghi” la reciprocità è di casa, viene cioè praticata ed alimentata ? La
famiglia è il primo di tali luoghi: si pensi ai rapporti tra genitori e figli e tra fratelli e sorelle. Poi c’è la cooperativa, l’impresa sociale e le varie forme di associazioni. Non è forse vero che i rapporti tra i componenti di una famiglia o tra soci
di una cooperativa sono rapporti di reciprocità? Oggi sappiamo che il progresso
civile ed economico di un paese dipende basicamente da quanto diffuse tra i suoi
cittadini sono le pratiche di reciprocità. Senza il mutuo riconoscimento di una
comune appartenenza non c’è efficienza o accumulazione di capitale che tenga.
C’è oggi un immenso bisogno di cooperazione: ecco perché abbiamo bisogno di
espandere le forme della gratuità e di rafforzare quelle che già esistono. Le
società che estirpano dal proprio terreno le radici dell’albero della reciprocità
sono destinate al declino, come la storia da tempo ci ha insegnato.
e) Tre i principali fattori strutturali della crisi.
Il primo concerne il mutamento radicale nel rapporto tra finanza e produzione di beni e servizi che si è venuto a consolidare nel corso dell’ultimo trentennio. A partire dalla metà degli anni ‘70 del secolo scorso, la più parte dei paesi occidentali hanno condizionato le loro promesse in materia pensionistica ad
investimenti che dipendevano dalla profittabilità sostenibile dei nuovi strumenti finanziari. Al tempo stesso, la creazione di questi nuovi strumenti ha via
via esposto l’economia reale ai capricci della finanza, generando il bisogno crescente di destinare alla remunerazione dei risparmi in essi investiti quote crescenti di valore aggiunto.
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Le pressioni sulle imprese derivanti dalle borse e dai fondi di private equity
si sono trasferite in pressioni ancora maggiori in altre direzioni: sui dirigenti
ossessivamente indotti a migliorare continuamente le performance delle loro
gestioni allo scopo di ricevere volumi crescenti di stocks options; sui consumatori per convincerli, mediante l’impiego di sofisticate tecniche di marketing,
a comprare sempre di più pur in assenza di potere d’acquisto; sulle imprese
dell’economia reale per convincerle ad aumentare il valore per l’azionista (shareholder value). E così è accaduto che la richiesta persistente di risultati finanziari sempre più brillanti abbia cominciato a ripercuotersi, attraverso un tipico meccanismo di trickle down (di sgocciolamento), sull’intero sistema economico, fino a diventare un vero e proprio modello culturale.
Per rincorrere un futuro sempre più radioso, si è così dimenticato il presente.
Il secondo fattore è la diffusione a livello di cultura popolare dell’ethos dell’efficienza come criterio ultimo di giudizio e di giustificazione della realtà economica. Per un verso, ciò ha finito col legittimare l’avidità - che è la forma più
nota e più diffusa di avarizia - come una sorta di virtù civica: il greed market
che sostituisce il free market. “Greed is good, greed is right” (l’avidità è buona;
l’avidità è giusta), predicava Gordon Gekko, il protagonista del celebre film del
1987, Wall Street. Per l’altro verso, l’ethos dell’efficienza è all’origine dell’alternanza, ormai sistematica, di avidità e panico. Né vale, come più di un commentatore ha cercato di spiegare, che il panico sarebbe conseguenza di comportamenti irrazionali da parte degli operatori. Perché il panico è nient’altro
che un’euforia col segno meno davanti; dunque se l’euforia, secondo la teoria
prevalente, è razionale, anche il panico lo è. Il fatto è che è la teoria ad essere
aporetica, come dirò nel prossimo paragrafo.
La terza causa remota ha a che vedere con le specificità della matrice culturale che si è andata consolidando negli ultimi decenni sull’onda, da un lato,
del processo di globalizzazione e, dall’altro, dall’avvento della terza rivoluzione
industriale, quella delle tecnologie info-telematiche. Due aspetti specifici di tale
matrice sono rilevanti ai fini presenti.
Il primo riguarda la presa d’atto che alla base dell’attuale economia capitalistica è presente una seria contraddizione di tipo pragmatico. Quella capitalistica è certamente un’economia di mercato, cioè un assetto istituzionale in cui
sono presenti e operativi i due principi basilari della modernità: la libertà di
agire e fare impresa; l’eguaglianza di tutti di fronte alla legge. Al tempo stesso,
però, l’istituzione principe del capitalismo - l’impresa capitalistica, appunto - è
andata edificandosi nel corso degli ultimi tre secoli sul principio di gerarchia.
Ha preso così corpo un sistema di produzione in cui vi è una struttura centralizzata alla quale un certo numero di individui cedono, volontariamente, in
cambio di un prezzo (il salario), alcuni dei loro beni e servizi, che una volta
entrati nell’impresa sfuggono al controllo di coloro che li hanno forniti.
Il secondo aspetto riguarda l’insoddisfazione, sempre più diffusa, circa il
modo di interpretare il principio di libertà. Come è noto, tre sono le dimensioni costitutive della libertà: l’autonomia, l’immunità, la capacitazione.
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L’autonomia dice della libertà di scelta: non si è liberi se non si è posti
nella condizione di scegliere.
L’immunità dice, invece, dell’assenza di coercizione da parte di un qualche agente esterno.
La capacitazione, (letteralmente: capacità di azione), infine, dice della
capacità di conseguire gli obiettivi, almeno in qualche misura, che il soggetto si pone. Non si è liberi se mai (o almeno in parte) si riesce a realizzare il proprio piano di vita. Ebbene, mentre l’approccio liberal-liberista vale
ad assicurare la prima e la seconda dimensione della libertà a scapito della terza, l’approccio stato-centrico,vuoi nella versione dell’economia mista
vuoi in quella del socialismo di mercato, tende a privilegiare la seconda e
la terza dimensione a scapito della prima.
Il liberismo è bensì capace di far da volano del mutamento, ma non è altrettanto capace di gestirne le conseguenze negative, dovute all’elevata asimmetria temporale tra la distribuzione dei costi del mutamento e quella dei
benefici. I primi sono immediati e tendono a ricadere sui segmenti più
sprovveduti della popolazione; i secondi si verificano in seguito nel tempo
e vanno a beneficiare i soggetti con maggiore talento. D’altro canto, il socialismo di mercato - nelle sue plurime versioni - se propone lo Stato come
soggetto incaricato di far fronte alle asincronie di cui si è detto, non intacca la logica del mercato capitalistico; ma restringe solamente l’area di operatività e di incidenza. La sfida da raccogliere è allora quella di fare stare
insieme tutte e tre le dimensioni della libertà: è questa la ragione per la
quale il paradigma del bene comune appare come una prospettiva quanto
meno interessante da esplorare.
f) Quanto mai opportuna l’insistenza della CV sulla necessità di attuare una
governance globale, ma di tipo sussidiario e poliarchico. Ciò implica, per un
verso, il rifiuto di dare vita ad una sorta di superstato, per l’altro verso, l’urgenza di completare e aggiornare l’opera svolta nel 1944 a Bretton Woods
quando si disegnò il nuovo ordine economico internazionale.
A mio giudizio si tratta di:
1) affiancare all’attuale assemblea delle NU una seconda assemblea in cui
siedano i rappresentanti delle varie espressioni della società civile transnazionale;
2) dare vita al Consiglio di Sicurezza socio-economica delle NU in appoggio
all’attuale Consiglio di Sicurezza militare;
3) istituire una Organizzazione Mondiale delle Migrazioni e una
Organizzazione Mondiale per l’Ambiente sul modello della Organizzazione
Mondiale per il Commercio;
4) intervenire sul FMI per affrontare il problema di una valuta globale e realizzare la riforma delle riserve monetarie globali, come è stato proposto dalla
Conferenza delle NU del 23 giugno 2009.
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INFORMAZIONI
DIOECESIS
Cronaca breve
del territorio gaudenziano
NOMINE
Don Massimiliano Cristiano è
stato nominato Vicario parrocchiale
di Villadossola.
Sarà inoltre disponibile per l’impegno di pastorale giovanile nel territorio dell’Unità pastorale di Villadossola
e sull’area della Valle Anzasca.
Con decreto vescovile
in data 1° luglio 2009
Don Sandro Mora è stato nominato Vicario parrocchiale della parrocchia del Sacro Cuore di Gesù in
Novara.
Don Davide Gheza è stato nominato
Vicario
parrocchiale
di
Domodossola.
Con decreto vescovile
in data 28 luglio 2009
Don Roberto Salsa, è stato nominato amministratore parrocchiale di
Ghiffa, rimanendo parroco di
Pallanza.
Don Antonio Soddu è stato nominato Vicario parrocchiale della parrocchia di S. Giuseppe in Novara.
Don Ezio Caretti è stato nominato
amministratore parrocchiale di
Zuccaro
(Valduggia), rimanendo
parroco di Borgosesia e a.p. di
Aranco.
Con decreto vescovile
in data 1° agosto 2009
Don Flavio Campagnoli è stato
nominato Direttore dell’Istituto
Superiore di Scienze Religiose della
diocesi di Novara.
ESERCIZI SPIRITUALI
Con decreto vescovile
in data 1° settembre 2009
Al Sacro Monte di Varallo dal 3 al 7
novembre sarà tenuto un corso di
Esercizi Spirituali per sacerdoti.
Predicatore sarà mons. Alceste
Catella, vescovo di Casale Monferrato.
Per iscrizioni: tel. 0163 51131
oppure:
[email protected]
Don Giovanni Antoniazzi è stato
nominato parroco di Briga Novarese.
Don Alberto Andrini è stato nomidi
nato
Vicario
parrocchiale
Castelletto Ticino, Glisente e Cuore
Immacolato di Maria (Buzzurri).
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INFORMAZIONI
AGGIORNAMENTO INDIRIZZARIO
ANDRINI don ALBERTO
Via S. Carlo, 3
28053 CASTELLETTO TICINO NO
tel. 0331/972507
cell. 349/7786151
PANGALLO don FRANCO
cell. 339/6758422
PEROTTI don MARIO
Vic.lo Canonica, 3/A
28100 NOVARA NO
tel. 0321/34086
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IN MEMORIA
Don Mauro Botta
Sono stati celebrati lunedì 10 agosto a Bellinzago i funerali di don
Mauro Botta, deceduto nel pomeriggio di venerdì 7 agosto, dopo lunga
malattia che lo aveva costretto a
rimanere per anni in casa, assistito
con grande dedizione dalle sorelle e
dai fratelli. A Bellinzago don Mauro
era nato il 9 marzo 1932 in una famiglia numerosa e di radicata tradizione
religiosa.
In quegli anni dalla parrocchia di
Bellinzago numerosi ragazzi erano
entrati in Seminario, preparati da un
prevosto dalla spiccata spiritualità,
mons. Maurizio Raspini, nominato
nel 1953 vescovo di Oppido
Mamertina.
Ordinato sacerdote il 17 marzo
1956 da mons. Gilla Gremigni, fu
nominato coadiutore della parrocchia
di Domodossola, dove visse con generosità ed entusiasmo, per dodici
anni, soprattutto a servizio dei ragazzi e dei giovani.
Inaspettata giunse, nel settembre
del 1968, la chiamata del vescovo
mons. Cambiaghi a seguire, come
assistente
diocesano,
l’Azione
Cattolica. Con sofferenza accettò e si
trasferì a Novara, assumendo anche
l’incarico di direttore della Casa
Maria Immacolata, nel seminario vecchio, in via Dominioni. La sua collaborazione con l’amico don Angelo
Bozzola, parroco della nuova parrocchia di S. Rocco, attenuò la sua iniziale solitudine e la mancanza di vicinanza alle famiglie.
Così ricorda quegli anni Maria
Rizzotti, allora responsabile del settore giovanile dell’Azione Cattolica:
«Don Mauro visse i tempi difficili e delicati, ma bellissimi del rinnovamento
post-conciliare, lavorando con tenacia
instancabile e sagace spirito di iniziativa.
Con il Nuovo Statuto, approvato nel
1969, l’Azione Cattolica aveva unificato i vari Rami pre-esistenti, creando
due settori: adulti e giovani, mentre
l’Associazione assumeva, con la scelta religiosa, un più vigoroso fine formativo. Don Mauro non amava lamenti e rimpianti perchè guardava al futuro con speranza e fiducia.
Ideò la pubblicazione di un giornalino di collegamento “la Nuova Ac”;
svolse un lavoro accurato per far conoscere i nuovi catechismi che allora
vedevano la luce; Nel settore dei giovani don Mauro svolse un vero e proprio lavoro di rifondazione, cercando
di incontrare i gruppi giovanili parroc-
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IN MEMORIA
chiali e promuovendo convegni mensili, campi scuola estivi, con la collaborazione delle Suore di Mortara, presenti in molte parrocchie.
Credo che abbia percorso tutte le
strade della Diocesi migliaia di volte
per incontrare i vari gruppi, e per invitare agli incontri.
In diverse parrocchie accompagnò i
Gruppi Famiglia che allora stavano
sorgendo. Nelle sue riflessioni era brillante e profondo, sapeva suscitare l’emozione e trasformarla in convinzione.
Nei confronti del nuovo Ufficio di pastorale giovanile, affidato a don Carlo
Grossini, don Mauro volle sempre promuovere la comunione, evitando polemiche e conflitti, ma sostenne anche,
con intuito e preveggenza, l’opportunità che gli Uffici diocesani, in una
visione di pastorale organica, cercassero di coordinare, sorreggere e raccogliere attorno al vescovo e alle linee
della pastorale diocesana varie e multiformi esperienze di cammino, riconoscendo in questo un motivo di arricchimento e, nell’esperienza dell’AC, un
percorso di maturazione e di corresponsabilità dei laici nella Chiesa».
Durante gli otto anni trascorsi a
Novara seguì come assistente anche
il Centro Volontari della Sofferenza,
collaborando con il cav. Vito Tettoni.
Il 5 dicembre 1976, il vescovo mons.
Del Monte lo nominò arciprete di
Domodossola, dove ritornò come parroco tra persone che già conosceva e
che gli volevano molto bene. Per
diciotto anni visse a Domodossola
con le sue tipiche caratteristiche
sacerdotali che lo portarono ad essere disinteressato, ad impegnarsi con
umiltà senza misurare le fatiche.
Curò molto le associazioni, in particolare l’Azione Cattolica, la preparazione dei catechisti e il Consiglio
Pastorale. Ristrutturò la casa parrocchiale e la casa di Borca per i ragazzi
a Macugnaga. Completò il Centro
Familiare, avviato da mons. Bona,
seguì con particolare cura l’Istituto
Ossolano, curò la pastorale familiare.
La sua passione per lo sport, in particolare per la bicicletta, lo portava a
cercare qualche momento di distensione percorrendo le vallate ossolane.
Alla fine del 1993 iniziarono ad apparire alcuni segnali, che si rivelavano
sempre più gravi: amnesie, a volte
uno stato confusionale.
All’inizio di dicembre del 1994 diede
le dimissioni dalla parrocchia e si trasferì nella zona di Varallo Sesia, presso le Suore Orsoline, con la cura della parrocchia di Camasco-Morondo.
All’inizio di novembre del 1995, per il
peggiorare delle condizioni di salute,
si trasferì presso i suoi familiari a
Bellinzago, riuscendo ancora a prestare per un certo tempo qualche servizio pastorale in parrocchia.
In questi ultimi anni fu costretto a
rimanere in casa, assistito, come ha
ricordato il vescovo durante i funerali, con grande dedizione e cura dalla
sorelle e dai fratelli. Un momento di
intensa festa in famiglia, vissuta con
commozione e fede, fu la ricorrenza
del suo 50° di ordinazione sacerdotale il 16 marzo 2006, quando il vescovo celebrò la Messa in casa.
In questi anni di malattia, come
hanno ricordato durante i funerali, il
vescovo e il parroco di Bellinzago, don
Mauro ha vissuto il suo sacerdozio
con l’offerta silenziosa della sua vita.
In quel giorno ricorreva la festa di
S. Lorenzo e la liturgia invitava a
ripetere per i martiri e anche per don
Mauro: «Come oro nel fuoco il Signore
li ha provati, li ha graditi come un olocausto».
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