DONNE IN VIAGGIO così vicine, così invisibili

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DONNE IN VIAGGIO così vicine, così invisibili
PROVINCIA DI PIACENZA
Ufficio Politiche Sociosanitarie
DONNE IN VIAGGIO
così vicine, così invisibili
Il lavoro di cura delle donne immigrate a Piacenza
Analisi qualitativa incrociata sulla situazione
del lavoro di cura delle donne immigrate
e sulle famiglie che beneficiano del loro lavoro.
RELAZIONE DI SINTESI
a cura del Dr. Massimo Magnaschi, Direttore CEDOMIS
Borgo Faxhall, 13 marzo 2005
Relazione di sintesi Borgo Faxhall 13 marzo 2005
“La vita può essere capita solo all’indietro.
Nel frattempo deve essere vissuta in avanti.”
Da Frammenti filosofici
Soren Kierkegaard
L’impianto dell’indagine
Sempre più anziani sono accuditi da personale straniero quasi esclusivamente
di sesso femminile, che spesso svolge compiti di cura anche difficili.
Mancano dati precisi sulla reale entità del fenomeno, si tratta di un lavoro poco
visibile, più spesso intenzionalmente sommerso.
L’analisi ha fatto ricorso ad un approccio prevalentemente qualitativo alla
realtà per meglio comprendere queste nuove e complesse prospettive sociali.
Per le badanti si sono analizzati i percorsi migratori, le condizioni di vita, le
dinamiche relazionali, le mansioni svolte, l’utilizzo del tempo libero, l’inserimento
nel tessuto sociale locale, mentre per le famiglie si è cercato di indagare la complessa
problematica legata alla presenza in casa di un anziano in difficoltà, al rapporto con la
badante ed al rapporto, in termini più generali, con i soggetti pubblici e privati
presenti sul territorio.
La realtà sociale, infatti, si presta oggi con molta difficoltà ad essere
dimostrata, essa va piuttosto compresa, nel senso di scoprire in essa i significati
profondi di comportamenti concreti.
Abbiamo, in altre parole, cercato di scoprire le biografie di individui concreti.
Ed il lavoro esplorativo ha fatto leva proprio sul bisogno di raccontare e
raccontarsi tanto delle donne immigrate quanto delle famiglie presso cui lavorano.
Ricostruire le storie delle donne immigrate e delle famiglie presso cui lavorano
è stata un’impresa difficile, poiché le biografie riflettono normalmente una realtà
sociale estremamente complessa.
A tutto questo si aggiunga, poi, la scelta fatta in sede di progettazione della
ricerca di intervistare non donne straniere e famiglie in modo casuale ma bensì legate
direttamente tra loro dal rapporto di lavoro.
Questo ha portato numerose difficoltà tanto nel reperire la doppia disponibilità
quanto nell’organizzazione dei tempi della ricerca che ha previsto momenti di
intervista non contestuali per badanti e famiglie. La fatica è stata comunque ripagata
poiché ha consentito di confrontare rispetto a molti temi di interesse le rispettive
posizioni e percezioni, evidenziandone in alcuni casi la non rispondenza.
Molto brevemente, alcuni cenni e considerazioni sui risultati emersi.
Autore: Dr. Massimo Magnaschi
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Relazione di sintesi Borgo Faxhall 13 marzo 2005
La famiglia tra tradizione e innovazione
Nella cultura tradizionale l’anziano invecchia in famiglia e la famiglia
costituisce la sede privilegiata e unica delle cure e delle attenzioni verso l’anziano in
difficoltà.
I percorsi di vita, tuttavia, sembrano oggi diventare sempre più difficili: le fasi
della vita, che un tempo erano prevedibili in modo regolare, hanno perso i chiari
contorni che possedevano un tempo.
Il profilo delle persone assistite che emerge dalla ricerca è quello di anziani
(sarebbe meglio dire grandi anziani) non autosufficienti e in alcuni casi sofferenti di
gravi patologie.
In media le famiglie intervistate hanno dovuto attivarsi a favore dell’anziano
circa cinque anni fa.
L’impegno richiesto e la sua durata nel tempo rendono la situazione
difficilmente gestibile. Gli aspetti economici complicano ulteriormente il quadro. Le
famiglie si sono allora organizzate ricorrendo alla figura della badante straniera.
Le situazioni incontrate sono risultate piuttosto positive rispetto alla qualità ed
alla durata del rapporto di lavoro tra badanti e famiglie: in otto casi su dieci l’attuale
badante è in servizio da almeno due anni e in cinque di essi da più di tre.
Per quanto riguarda l’impegno che la cura dell’anziano richiede tanto alla famiglia
quanto alla badante, si dichiara la necessità di una persona sempre presente (in metà
delle situazioni) o addirittura capace di offrire assistenza continua e accudimento totale.
Oltre alle mansioni prettamente di cura dell’anziano (comprese quelle
infermieristiche), alla badante viene chiesto di adoperarsi per tutte le altre esigenze di
tipo domestico dell’abitazione ove risiede l’anziano e talvolta il resto della famiglia.
La famiglia di solito affida totalmente a loro la cura dell’anziano: solo in due
casi su dieci viene segnalato il ricorso anche ad un’assistenza domiciliare pubblica o
privata (infermiera).
Nelle parole delle famiglie emergono come aspetti positivi del lavoro svolto
dalla badante la disponibilità, la dolcezza, l’attenzione alle esigenze dell’anziano; il
fatto che sui problemi ci si può capire e ragionare; che le badanti sono delle persone
disponibili e di buon carattere, anche precise e veloci sul lavoro, flessibili, capaci di
fare compagnia e rassicurare l'anziano e che, in generale, non fanno pesare i propri
problemi familiari.
Quanto alle informazioni fornite circa il monte ore giornaliero di lavoro con
l’anziano risulta che in molti casi supera le 10 ore con picchi per alcune situazioni di
24 ore giornaliere, anche se, va sottolineato come vi siano dichiarazioni discordanti
nel confronto tra badanti e famiglie soprattutto per quanto riguarda l’impegno sulle
ventiquattr’ore giornaliere (segnalato da 5 badanti contro 3 indicazioni da parte delle
famiglie).
Per quanto riguarda le modalità contrattuali tra famiglia e badante
(sostanzialmente regolari visto che solo tre badanti su dieci censite vengono retribuite
in nero), a fronte di un rapporto che non può superare i massimi consentiti dalla
Autore: Dr. Massimo Magnaschi
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legge, viene dichiarato un impegno giornaliero che in alcuni casi limite raggiunge le
ventiquattr’ore. Anche l’ammontare della retribuzione segnalata dalle famiglie
corrisponde con quanto dichiarato dalle badanti, ovvero una retribuzione equivalente
ad un tempo pieno (tra i 750 e i 1.000 euro), integrata da vitto e alloggio. Rispetto a
questa cifra complessiva, la maggior parte delle famiglie (sette su dieci) dichiara che
la somma erogata corrisponde alle proprie possibilità economiche.
Interessante rilevare le motivazioni che le hanno spinte a ricercare una badante
straniera. Se da un lato è forte il motivo economico, dall’altro emerge una scarsa
considerazione delle strutture di cura cui si contrappone un forte desiderio di
mantenere il familiare in difficoltà nel proprio contesto di origine e segnatamente
nella propria abitazione.
Le famiglie hanno inventato, in altre parole, un nuovo “modulo assistenziale”
(Paola Toniolo Piva).
Hanno prodotto una innovazione dal basso producendo un mercato sregolato
anche se non del tutto privo di regole informali.
Questa soluzione, anche se non si può parlare di una cultura della domiciliarità,
è il derivato diretto del rifiuto dell’istituzionalizzazione degli anziani sia per i costi
che questa comporta sia perché socialmente poco accettata.
La situazione che si è creata, quasi senza che nessuno se ne accorgesse,
rappresenta un caso evidente di come le famiglie riescono ad aggregare risorse
esercitando funzioni quasi imprenditoriali di fronte a problemi di cura molto rilevanti
che le investono e rispetto a cui i servizi esistenti non riescono ancora a fornire
risposte soddisfacenti.
Si ha l’impressione diffusa che nell’assistenza agli anziani in difficoltà sia
avvenuta una piccola rivoluzione.
Un cambiamento che ha ricevuto un impulso determinante dall’apertura su
scala internazionale del mercato del lavoro assistenziale.
Donne immigrate e lavoro di cura
Le donne immigrate sono state chiamate a ricoprire gran parte dei ruoli prima
svolti dalle donne italiane nelle faccende domestiche e soprattutto nei confronti degli
anziani in difficoltà.
Questa forma di immigrazione femminile è ben diversa da quella che ha
origine dai ricongiungimenti familiari.
I loro mariti quasi sempre rimangono in patria, come i loro figli. Le loro
strategie migratorie non sembrano, nella maggioranza dei casi, volte alla
stabilizzazione sul nostro territorio.
Non c’è, normalmente, una filiera familiare di cui esse siano parte, anticipando
l’arrivo degli uomini.
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Esse sono le prime delle loro famiglie a venire in Italia, e molto probabilmente
saranno anche le ultime, ad eccezione di sorelle o cugine interessate anch’esse a
sfruttare la stessa occasione.
Arrivano senza soldi, spesso indebitate con usurai, con la padronanza di solo
poche parole della lingua italiana, ma molto determinate, disposte a sacrifici.
Si tratta mediamente di donne di mezza età provenienti da zone rurali, perlopiù
coniugate (molte di loro comunque separate o divorziate) con più figli ed inserite in
nuclei familiari piuttosto numerosi. Il loro grado di scolarizzazione è medio-alto e il
loro inserimento nel contesto d’origine non particolarmente disagiato: infatti quasi
tutte dichiarano di avere un diploma superiore, e la maggior parte prima di emigrare
svolgeva un lavoro stabile, spesso nel settore dei servizi, per professioni (insegnante,
maestra, infermiera) alle quali normalmente sono riservate retribuzioni molto basse
nei loro paesi d’origine.
I motivi della sofferta scelta di emigrare sono molteplici e facilmente
comprensibili: sostenere il proprio nucleo familiare con un contributo che non
sarebbero mai state in grado di realizzare stando in patria, piuttosto che investire
forze ed energie per un progetto da tempo coltivato (realizzare un’attività autonoma
al paese d’origine; costruire una casa; ecc.). Altre volte, invece, dietro alle storie di
queste donne si svelano vicende familiari molto più drammatiche dove, magari per
affrontare situazioni improvvise di crisi economica (a volte determinate anche da
fattori ambientali che condizionano le attività lavorative), si è costretti ad indebitarsi
profondamente; ed allora uno dei motivi che può spingere ad emigrare diventa
proprio la necessità di far fronte a tali prestiti.
Da questo punto di vista, significativo è il dato sulle rimesse che queste donne
effettuano ai propri familiari nel paese di origine. Tutte inviano una notevole
percentuale del loro reddito personale.
Certamente, qualcuna alla fine deciderà di rimanere in Italia cercando di far
arrivare almeno i figli, ma esse allo stato attuale faticano a pensare ad una strategia di
questo tipo almeno razionalmente.
Sono arrivate qui non tanto per fare da ponte per una successiva migrazione
familiare, quanto piuttosto per accumulare risparmio e poi rientrare.
Sono donne venute in Italia per cercare lavoro per un periodo di tempo limitato
e, molto probabilmente, perché già sapevano che avrebbero facilmente potuto
trovarlo presso le famiglie.
La donna straniera offre, infatti, alla famiglia la tessera mancante dei servizi
domiciliari: condivide tutte le ore del giorno, è presente di notte, spesso svolge anche
mansioni domestiche e infermieristiche. Questa mescolanza è tipica del modo di
produzione domestica: le attività della casa e quelle rivolte alle persone si intrecciano
condividendo lo stesso spazio.
La maggior parte di loro dispone di una camera nella casa ove prestano
servizio.
Oggi la badante straniera è diventata la figura di riferimento per molte
famiglie.
Autore: Dr. Massimo Magnaschi
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La badante viene considerata un quasi-parente, ma questo ha come rovescio
della medaglia una richiesta di assistenza in cui non ci sono più riposi e rispetto degli
orari contrattuali.
L’implicito che si dà per scontato da parte delle famiglie è la disponibilità a
fare il bene dell’altro, con margini di sacrificio non contrattualizzabili.
E per le badanti le difficoltà non mancano, innanzitutto la comprensione
linguistica cui seguono le diverse abitudini culturali e, da ultimo, i problemi connessi
ai compiti/mansioni di assistenza vera e propria dell’anziano in difficoltà a cui,
spesso, non sono preparate.
Accanto a questi aspetti che riguardano le prestazioni lavorative va sottolineato
come le donne straniere affrontino anche difficoltà connesse all’isolamento sociale,
alla scarsa disponibilità di privacy e tempo libero e, non di rado, all’assenza di un
regolare permesso di soggiorno.
Sovente emerge tra le righe il problema della mancanza di riferimenti o della
scarsità di legami amicali, che porta queste donne a dichiarare con una certa
frequenza di non sapere come occupare il tempo libero e quindi di preferire
rinunciarvi.
Dichiarano di non far parte di gruppi o associazioni, mentre quasi tutte
frequentano luoghi di culto e sottolineano l’importanza fondamentale del fattore
religioso nel proprio percorso migratorio.
Un profilo sociologico dettagliato di queste donne rimane ancora da scrivere ed
il lavoro di ricerca affrontato in questi mesi svela solo alcuni degli aspetti che le
riguardano ma consente, comunque, di intravedere la complessità e la ricchezza di cui
sono portatrici.
Autore: Dr. Massimo Magnaschi
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