Badante una professione di congiunzione

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Badante una professione di congiunzione
Un progetto del Comitato Locale UniCredit di Vicenza
La presente indagine è stata affidata dal Comitato Locale UniCredit di Vicenza a
Diakonia – Caritas Diocesana Vicentina ed è stata condotta da Maria Cristina Ghiotto.
Si ringraziano per la collaborazione: l’INPS sede di Vicenza, la Direzione dell’Azienda
ULSS n. 4 Alto Vicentino per aver concesso l’utilizzo di alcuni dati raccolti dai medici di
famiglia, il pool di rilevatori che con professionalità ha realizzato le interviste alle
badanti, nonché le persone che, sulla base del proprio ruolo e della propria
competenza, hanno fornito il supporto e la collaborazione per utilizzare al meglio le
informazioni raccolte.
Un particolare ringraziamento viene rivolto alle donne immigrate che hanno
accettato di partecipare all’indagine e che, con i loro racconti biografici, hanno
contribuito in maniera determinante alla realizzazione di questo rapporto di ricerca.
La stesura del presente volume, a cura di Maria Cristina Ghiotto, si è conclusa nel
dicembre 2006.
Grafica
TYPE DESIGN sas
Milano
Redazione
LUCIANA BOZZOTTI
Milano
Stampa
CENTROSTAMPA 73 snc
Castelseprio (Varese)
Prima edizione 2007
Quest’opera è stata realizzata
con la collaborazione
del Comitato Locale UniCredit
di Vicenza
© 2007 UniCredit S.p.A.
Via Dante, 1
16121 Genova
Badante,
una professione
di congiunzione
Soggetto economico per la
famiglia di origine
e soggetto sociale per la
famiglia ospite
Comitato Locale di Vicenza
Badante, una professione di congiunzione
Indice
4
Prefazione
6
Introduzione
8
Capitolo 1
IL PROFILO DELLA RICERCA
10
Gli obiettivi
10
La metodologia utilizzata
14
Capitolo 2
LA COSTRUZIONE DI UNA MAPPA QUANTITATIVA
17
Alcune puntualizzazioni linguistiche e statistiche
17
La crescita della componente immigrata nel lavoro domestico
18
L’incidenza dei lavoratori domestici immigrati
sulla popolazione anziana
19
La presenza determinante della componente femminile
20
Una provenienza prevalente dall’Est Europa
22
Il contratto-tipo di 21-30 ore settimanali
24
La stima del numero di badanti nel Vicentino
27
Capitolo 3
IL PROFILO IDENTITARIO DELLE BADANTI
33
L’approccio alle interviste in profondità
33
La tipologia delle donne coinvolte
39
I vissuti non semplici del percorso migratorio
43
Un frequente scollamento tra professione nel Paese
di origine e professione attuale
50
Un mestiere imparato per necessità
52
Un bilancio dell’esperienza lavorativa attuale
60
Un volano “a distanza” per la propria economia familiare
75
La presenza lontana dei figli da gestire
82
Un prevalente orientamento al ritorno nel proprio Paese
86
Il non facile confronto tra il “noi” e il “voi”
91
Capitolo 4
L’IMPATTO DELLA PRESENZA DELLE BADANTI
94
Le cause di una domanda crescente di assistenza familiare
94
L’impatto economico sul sistema di welfare
97
L’impatto economico sui Paesi di origine attraverso le rimesse
98
L’impatto sull’opinione delle famiglie
99
Qualche strumento di potenziale intervento
APPENDICE
102
106
1. Alcune note sul contratto per le assistenti familiari
106
2. Riferimenti bibliografici
108
5
Badante, una professione di congiunzione
Prefazione
L
a presenza straniera nelle città italiane ha ormai raggiunto una incidenza quantitativa di livello europeo. È una presenza estremamente variegata, per le carat-
teristiche che possiede e i bisogni che esprime. Una compiuta integrazione dei lavoratori stranieri è compito inaggirabile di una società che sappia guardare con
lungimiranza ai problemi del proprio sviluppo sociale ed economico.
Negli anni, i Comitati Locali UniCredit hanno assunto via via nuove funzioni. Il monitoraggio della domanda e dell’offerta della manodopera immigrata è una di queste funzioni, che consente oggi di promuovere tutte le iniziative necessarie per dare un carattere equilibrato allo sviluppo dei processi produttivi locali e al consolidamento dei processi di integrazione degli stranieri.
Il Comitato Locale di Vicenza dedica da tempo le sue riflessioni a questi problemi.
Nasce in questo ambito l’indagine su quella particolare ma rilevantissima fascia di
lavoratrici straniere rappresentata dalle cosiddette “badanti”.
Nella nostra società, segnata da una forte tendenza all’invecchiamento della popolazione, la domanda di cura e assistenza è destinata a crescere notevolmente in futuro. Approfondire la conoscenza della realtà delle assistenti familiari è indispensabile, se vogliamo che il loro ruolo sia integrato nel sistema socio-economico con
beneficio per l’intera collettività.
L’indagine sulle badanti, realizzata dall’Associazione Diakonia Onlus, non si è limitata a una piatta descrizione statistica del “fenomeno sociale” rappresentato dalle
badanti, ha cercato invece di analizzare strategicamente condizioni, problemi e opportunità del loro inserimento.
La presenza delle badanti sul territorio vicentino ha infatti svariati significati. È una
realtà sociale numericamente rilevante; rappresenta una opportunità di lavoro e
perciò di integrazione per le donne straniere; si configura come una risorsa aggiuntiva nel sistema delle politiche di assistenza, talora sostitutiva rispetto al sistema
pubblico; rappresenta, in conclusione, una risorsa preziosa per l’economia familiare
e per il sistema economico del territorio in genere. È, infine, una realtà spesso sottovalutata, su cui questa indagine riporta l’attenzione che merita.
MASSIMO CALEARO
Presidente Comitato Locale
UniCredit di Vicenza
6
C
ompito dei Comitati Locali è anche quello di far emergere e interpretare spaccati particolarmente significativi e cruciali del sociale con lo scopo di compren-
dere dal di dentro le dinamiche reali di adattamento, di relazione e di potenzialità
di una professione, nel caso specifico di “badante”, spesso scontata o relegata alla
sua primaria funzione di spendibilità presso le nostre famiglie, ma che sovente cela ben più alte competenze e potenzialità per l’indotto economico delle nostre comunità.
Ebbene, il presente studio, promosso dal Comitato Locale di Vicenza, cerca di analizzare la situazione delle assistenti familiari sul territorio vicentino così come oggi
si manifesta, ma anche come potrebbe essere migliorata, facendo incontrare i
meccanismi di domanda e offerta del mercato, in una logica di lento cammino verso la stabilizzazione e il riscatto di una forza lavoro in continuo rinnovamento e sedimentazione.
Sono molte le iniziative che il Gruppo UniCredit sostiene in ambito di coesione sociale, nella consapevolezza che una buona integrazione “fa bene” al cittadino immigrato quanto alla società ospitante rivitalizzando l’intero sistema di servizi a esso collegato.
Del resto, anche le realtà bancarie non possono che registrare e commentare questi fenomeni di trasformazione ed evoluzione del sociale e del mondo produttivo in
genere.
Ancora una volta siamo presenti attraverso le attività dei Comitati su un tema rilevante oggi e probabilmente ancora più significativo nel prossimo periodo. Ci auguriamo pertanto di aver offerto il nostro contributo alla sensibilizzazione sul tema e
sulle problematiche e opportunità a esso collegate, sotto il profilo della costruzione
di una solida coesione sociale, che pure deve accompagnare di pari passo lo sviluppo economico di ogni territorio.
RICCARDO DELLA VALLE
Head of Local Community Relations
7
Badante, una professione di congiunzione
Introduzione
li immigrati rappresentano ormai una quota pari al 6% della popolazione italiana
G
totale. Si tratta di un segmento dunque non più marginale che peraltro può rag-
giungere incidenze più elevate nelle aree a forte domanda di manodopera e a crescente domanda di assistenza: è evidente che il caso di Vicenza si colloca in questa
categoria sia per il dinamismo economico che la caratterizza sia per l’invecchiamento
progressivo della sua popolazione residente.
L’indagine condotta permette di sottolineare come il caso specifico delle badanti rappresenti una componente particolarmente significativa dei flussi di immigrazione della realtà locale (peraltro confermata anche dalle tendenze a livello nazionale). Basti
considerare che circa il 40% delle domande di regolarizzazione, stimabile in più di
5.000 unità per la specifica realtà vicentina, riguardano proprio il lavoro domestico.
Se poi si esamina quest’ultima categoria, al fine di comprenderne meglio il profilo, è
possibile verificare come:
I
più di 3/4 dei collaboratori domestici sia costituito da lavoratori stranieri;
I
tra questi ultimi la presenza femminile risulti preponderante (93,4%) e sia formata
per quasi il 50% da persone fino a 40 anni di età;
I
per oltre la metà dei casi tale figura è costituita da persone provenienti dall’Est Europa (con una quota nettamente maggioritaria rispetto alle altre), seguita dalle badanti provenienti dall’America del Sud e dalle Filippine e quindi da altri Paesi.
Si è peraltro davanti a un quadro che non è solo consistente (e certamente crescente
nel tempo) dal punto di vista quantitativo, ma presenta anche tre caratteristiche di
“potenza sommersa” con cui fare i conti.
La prima è che la badante è un soggetto spesso professionalmente più dotato di
quello che appare. L’indagine infatti sottolinea come 2/3 delle persone intervistate (o
poco meno) svolgesse attività di concetto prima di migrare nel nostro Paese e il 30%
avesse occupato posizioni addirittura di tipo medio-alto (come imprenditore, dirigente,
medico, insegnante di buon livello, o talvolta di elevato livello, ingegnere). Tanto da far
dire al 40% delle intervistate che l’aspirazione professionale vera sarebbe quella di poter svolgere la stessa attività del Paese di origine anche in Italia. Questo non toglie che
una proporzione analoga (sempre del 40%) ribadisca che la sua opzione resterebbe in
ogni caso quella di continuare a svolgere attività di assistenza in famiglia.
Tutto ciò fa pensare dunque che esista un potenziale professionale nascosto che va al
8
di là delle apparenze.
La seconda caratteristica è che la badante rappresenta un soggetto economico
sommerso più importante di quanto sembri: essa infatti genera risorse significative
per la propria famiglia allargata, ancora presente nella realtà di origine. Per essere più
precisi, essa invia in patria in media il 58% dei suoi guadagni (con punte del 75% per
le badanti moldave), allo scopo di sostenere l’economia familiare, di far studiare i figli,
di sistemare o di comperare l’abitazione.
Si è davanti dunque a un vero e proprio protagonismo economico che tende ad allargarsi spesso a una sorta di “governo a distanza”, anche sul piano dell’indirizzo, della
propria famiglia lontana.
La terza caratteristica è che la badante costituisce un soggetto sociale e nello stesso
tempo un soggetto economico per la realtà familiare italiana. Non c’è dubbio infatti che l’invecchiamento della popolazione e l’aumento della componente non autonoma (ci sono circa 2 milioni di soli anziani in tale condizione) non trova e non potrà trovare risposta adeguata e piena dall’attuale sistema di servizi pubblici. Pertanto l’assistenza familiare attraverso le badanti rappresenta un pezzo di welfare sommerso, autogestito dalle famiglie, con tutte le conseguenze in termini di carico economico, ma
anche di carico sociale e culturale che la convivenza con persone provenienti da altri
ambiti impone. La presenza delle badanti finisce col rappresentare infatti un vero e
proprio campo di esercizio, spesso faticoso e contraddittorio, in cui si confrontano bisogni, speranze, stili di vita molto diversi tra le due parti: con la conseguenza di assistere
a casi di tensione e di incomprensione come pure a casi di positiva integrazione.
Anche in tal caso dunque il soggetto risulta essere un protagonista di un sommerso economico e sociale che si snoda quotidianamente all’interno della vita delle famiglie italiane e dei difficili equilibri che l’assistenza intergenerazionale pone: non va dimenticato che
la demografia ormai crea situazioni di presenza prolungata di più generazioni (anche fino
a 4 contemporaneamente), con tutto ciò che questo comporta sul piano delle prestazioni
di assistenza e della relativa complessa organizzazione domestica che ne deriva.
Il risultato delle tre caratteristiche è che la badante rappresenta una “figura professionale di congiunzione” tra famiglia di origine, da un lato e famiglia ospitante, dall’altro:
essa infatti svolge il duplice ruolo di soggetto economico (ma non solo) per quanto riguarda la prima e di soggetto sociale (ma non solo) per quanto concerne la seconda.
Stiamo dunque esplorando strade nuove di convivenza, in cui l’Italia gioca ormai il
ruolo di Paese di accoglienza e non più di Paese di emigrazione delle proprie risorse
umane. Ci si trova perciò a dover declinare analisi, politiche e servizi necessariamente
più appropriati rispetto a questo cambio radicale di paradigma.
E l’ambito delle badanti non fa eccezione, con tutti gli “esercizi di relazione” connessi
che questo implica, per coloro che arrivano, per coloro che ospitano, per coloro che osservano, per coloro che sono tenuti a selezionare e formare le risorse umane, ma anche a valorizzare i potenziali nascosti di queste ultime, non sempre adeguatamente
percepiti e trattati.
NADIO DELAI
Presidente Ermeneia
9
Badante, una professione di congiunzione
Capitolo 1
Il profilo della ricerca
Gli obiettivi
L’obiettivo generale della ricerca si precisa nel comporre un approfondimento su un
segmento di presenza immigrata nella provincia di Vicenza, ossia quella rappresentata dalle assistenti familiari1, più comunemente denominate “badanti”. Questa presenza assume svariati significati: è numericamente rilevante, rappresenta una opportunità di lavoro, costituisce una risorsa aggiuntiva al sistema assistenziale e talora sostitutiva rispetto agli interventi socio-sanitari istituzionali. Si tratta in sostanza di una
1
Per quanto riguarda l’utilizzo dei
termini “assistente familiare” e “badante” si rinvia alle considerazioni
poste nel § 2.1 – Alcune puntualizzazioni linguistiche e statistiche.
2
Fonte: Il Sole-24ore del 7/2/2005.
Ulteriori indagini hanno messo in
evidenza come il 4,2% delle famiglie
con un anziano ricorra a servizi privati a pagamento per la cura della persona; questa percentuale si accresce
all’aumentare dell’età e raggiunge il
7,4% dei nuclei familiari con una
persona ultra 74enne (ISTAT 2001).
risorsa preziosa per l’economia familiare e al contempo una fonte di risparmio per il
welfare pubblico che, altrimenti, dovrebbe garantire l’assistenza di anziani non autosufficienti presso strutture residenziali.
Vari studi hanno cercato di mostrare la dimensione del fenomeno: nella Regione del
Veneto si sono stimate 7,5 collaboratrici e assistenti familiari ogni 1.000 abitanti2,
quantificando una proporzione di quasi 7 badanti ogni 100 anziani ultra 65enni3.
Inoltre, si è messo in evidenza4 come questo particolare segmento di forza lavoro sia
caratterizzato da una presenza pressoché totalitaria di donne immigrate, quasi tutte
3
Fonte: indagine realizzata dall’Istituto per la Ricerca Sociale (IRS) di Milano con la collaborazione della Caritas
Ambrosiana e del Centro Migranti di
Brescia (settembre 2006). Nell’ambito della medesima analisi è stato anche rilevato come tra le immigrate il
38% sia senza permesso di soggiorno, almeno il 22% abbia il permesso
ma lavori in nero, il restante 40% abbia sia permesso sia contratto, ma
quest’ultimo “alleggerisce” di molto
le ore effettivamente lavorate.
4 Per
approfondimenti si rinvia a Caritas-Migrantes (2004).
5
10
Si tratta della regolarizzazione avvenuta nel settembre 2002 sulla base della Legge Bossi-Fini n.189 – Art.
33. La dichiarazione di emersione
doveva essere presentata, entro due
mesi dall’entrata in vigore della legge in questione, allo Sportello polivalente per l’immigrazione competente per territorio. Per i lavoratori stranieri irregolari era infatti previsto che
i datori di lavoro, che avessero occupato, nei tre mesi precedenti l’entrata in vigore della legge, collaboratori
domestici stranieri non in possesso di
permesso di soggiorno, potessero fare dichiarazione di “emersione”.
provenienti da Paesi dell’Est Europa (81%), tra cui Ucraina (22%), Romania (19%),
Russia europea e Bielorussia (14%).
L’accentuazione del binomio “femminile/straniera” è conseguenza di diversi fattori, quali: le maggiori capacità attribuite alla donna di assolvere mansioni assistenziali, i bassi livelli retributivi e lo scarso riconoscimento sociale delle mansioni
svolte, diventate oramai disattese dalla popolazione autoctona, nonché la crisi
economica della fine degli anni Novanta nelle ex Repubbliche sovietiche, finita
con la svalutazione del rublo e che ha indotto il fenomeno migratorio dai Paesi
dell’Est.
In particolare, la regolarizzazione per assistenti familiari e colf straniere avvenuta nel
20025 ha focalizzato l’interesse dell’opinione pubblica sull’impatto sociale di questo
fenomeno. Se da un lato la disposizione mirava a dare risposta ai bisogni assistenziali locali facendo emergere situazioni di irregolarità (lavoro sommerso), dall’altro ha
concorso a evidenziare le dimensioni del fenomeno assistenziale, probabilmente più
ampie di quanto ipotizzato.
Nel corso della suddetta sanatoria, a livello nazionale, quasi la metà delle domande
Tabella 1. Richieste di regolarizzazioni dei lavoratori immigrati
Emersione di colf e badanti
Incid. % su tot.
Assicurate
regionale
Province
Kit distribuiti
Incid. % su tot.
regionale
Assicurate su
kit distribuiti
Belluno
3.472
3,6%
892
3,8%
25,7%
Padova
22.143
22,7%
5.669
24,2%
25,6%
Rovigo
3.342
3,3%
886
3,8%
26,5%
Treviso
16.535
16,9%
3.866
16,5%
23,4%
Venezia
17.773
18,2%
4.206
18,0%
23,7%
Verona
18.253
18,7%
3.870
16,5%
21,2%
Vicenza
16.171
16,6%
4.016
17,2%
24,8%
Totale
97.689
100,0%
23.405
100,0%
media 24,0%
Fonte: elaborazioni su dati dell’Assessorato regionale ai flussi migratori (anno 2002)
di regolarizzazione6 presentate da stranieri irregolari riguardava proprio la figura della badante. Per quanto attiene al Veneto, le domande di regolarizzazione assommavano complessivamente a 58.913, di cui il 39,7% relativo all’emersione del lavoro
domestico; i dati relativi alla sola provincia di Vicenza evidenziavano invece 10.558
domande complessive, di cui il 38% relativo al lavoro domestico.
Inoltre, nella provincia di Vicenza, risultavano essere stati distribuiti 16.171 kit per
l’emersione di colf e badanti (pari al 16,6% del totale regionale) a fronte di 4.016
versamenti effettivamente pagati tramite assicurata (pari al 17,2% regionale). A livello provinciale si calcolava pertanto un rapporto di quasi 25 assicurate su 100 kit distribuiti (Tab. 1).
Questi dati consentono una prima approssimativa quantificazione dell’irregolarità
straniera. È vero infatti che, in prima battuta, la “grande regolarizzazione” ha concorso a incrementare l’occupazione regolare, diminuendo come effetto complementare
quella irregolare.
Tuttavia il lavoro sommerso rimaneva comunque presente: a livello nazionale si è stimato che le richieste di regolarizzazione coinvolgessero appena la metà delle assistenti familiari realmente occupate e questo principalmente a causa dell’eccessivo peso economico della regolarizzazione del rapporto. Oltre alla garanzia dell’alloggio, l’applicazione del contratto di lavoro richiedeva il pagamento dei contributi trimestrali, il
11
6
A livello nazionale, le domande di
regolarizzazione complessivamente
assommavano a 700 mila, di cui
341 mila riguardavano l’assistenza
familiare.
Badante, una professione di congiunzione
pagamento delle ferie, la tredicesima, la liquidazione; in sostanza si veniva a configurare per le famiglie un costo superiore del 35-56% rispetto a un rapporto irregolare7.
Non si può prescindere infatti dalla convenienza economica del lavoro in “nero”, che
diventa convenienza reciproca per il datore di lavoro e per il lavoratore, sebbene
comporti risvolti negativi per entrambi i contraenti: uno svantaggio previdenziale per
il lavoratore e una potenziale maggiore flessibilità e turnover, nonché esposizione a
controversie sindacali, per la famiglia.
Nonostante la regolarizzazione del 2002, l’irregolarità è andata via via ripresentandosi
anche per effetto dei nuovi arrivi di forza lavoro, oltre che per la ricaduta nella irregolarità di soggetti che non riuscivano a rinnovare il proprio contratto di lavoro e quindi il titolo di soggiorno. Al riguardo si pensi alle situazioni di perdita del lavoro dovuta a licenziamento o a decesso della persona assistita: la normativa vigente prevede un permesso di durata semestrale per l’attesa di nuova occupazione, scaduto il quale l’immigrato
deve trovare una occupazione regolare, pena l’ingresso o il ritorno nella irregolarità.
Vanno poi segnalate situazioni di mancata collimazione tra la domanda di assistenza
e l’offerta prevista. Un esempio è dato dal meccanismo dei flussi, ossia dalla dimensione delle quote previste rispetto alle richieste formulate dalle famiglie: la non copertura delle richieste attraverso il meccanismo delle quote induce naturalmente le
famiglie stesse a rivolgersi al mercato irregolare.
A questo proposito, per rendere una dimensione quantitativa, si consideri l’entità dei
flussi 2006, relativamente alla provincia di Vicenza: le domande pervenute per lavoro domestico e assistenza alla persona (Tab. 2a) risultano pari a 1.858. A questa
componente andrebbe però sommata una parte delle domande relative a “quote riservate” per Moldavia, Sri Lanka e Filippine, che verosimilmente (almeno in parte)
possono ascriversi al lavoro di assistenza (Tab. 2b); e andrebbe scorporata la parte di
Tabella 2a. Flussi di ingresso 2006 (D.P.C.M 15.02.2006):
domande pervenute relativamente alla provincia di Vicenza
Sub. non stagionali “altre nazionalità”
12
7
Per maggiori approfondimenti si
rinvia a Gori (2002).
Totale domande pervenute = 4.599
Lavoro domestico e assistenza alla persona
1.858
Settore edile
1.238
Altri settori produttivi
1.503
Fonte: dati elaborazioni Poste Italiane – www.utgvi.it (aggiornato al 15/09/2006)
Tabella 2b. Flussi di ingresso 2006 (D.P.C.M 15.02.2006):
domande pervenute relativamente alla provincia di Vicenza
Sub. non stagionali “quote riservate”
Totale domande pervenute = 4.546
Albanesi
272
Srilankesi
69
Tunisini
122
Bengalesi
923
Marocchini
Egiziani
Nigeriani
Moldavi
1.038
17
114
1.307
Filippini
66
Pakistani
118
Somali
Ghanesi
4
496
Fonte: dati elaborazioni Poste Italiane – www.utgvi.it (aggiornato al 15/09/2006)
lavoratori domestici in senso stretto (colf). Si potrebbe pertanto stimare8 un volume
di domande espressamente per badanti attorno alle 2.500 unità.
Le dinamiche sopra richiamate, per essere meglio comprese, vanno contestualizzate
in un segmento del mercato del lavoro che risulta di per sé “atipico”: questa occupazione presuppone un rapporto di lavoro tra due contraenti (datore e lavoratore) caratterizzati entrambi da una condizione di debolezza e di bisogno (l’uno di assistenza
e l’altro di sopravvivenza). La famiglia, nel ruolo di datore di lavoro, sconta le difficoltà
tipiche del sistema di welfare: i tempi di attesa e i costi talora improponibili per le
strutture residenziali, la riduzione delle risorse destinate all’assistenza domiciliare, la
criticità nella conciliazione dei propri tempi (lavorativi, affettivi ecc.) con quelli di assistenza al familiare in stato di bisogno, non da ultimo il costo eccessivo che comporta
l’usufruire di un’assistente familiare in regola. L’assistente familiare, dal canto suo,
svolge un compito pesante sotto il profilo fisico e mentale, vive tra la necessità di
guadagnare e la volontà di tornare nel proprio Paese d’origine, ove spesso ha lasciato i suoi affetti più cari. Sono questi degli elementi complessi che fanno presagire un
rapporto di lavoro fondato più sulla complementarietà dei bisogni che su regole
contrattualistiche ed economicistiche.
Sebbene di notevole rilevanza sociale, questo fenomeno, non programmato quanto
piuttosto subìto, rimane ancora poco conosciuto sia in termini quantitativi (quante
sono le assistenti familiari? qual è il fabbisogno locale espresso dalle famiglie?),
sia in termini qualitativi, intendendo la conoscenza di aspetti esperienziali, di vissuto
e professionali di queste donne.
8 Approssimativamente si è considerato l’80% delle domande per lavoro domestico e assistenza alla
persona + il 70% delle domande
per lavoratori subordinati non stagionali riservati a Moldavia, Sri
Lanka, Filippine.
13
Badante, una professione di congiunzione
Con la presente ricerca si cerca da un lato di quantificare la presenza regolare di badanti nel territorio provinciale attraverso l’ausilio della fonte ufficiale dell’INPS e, parallelamente, di produrre una stima della presenza complessiva (regolare e irregolare). Dall’altro lato si intende delineare dei profili identitari di questa compagine lavorativa, attraverso i loro stessi racconti e le loro testimonianze.
Si può facilmente intuire come questi aspetti conoscitivi risultino influenzati da molteplici variabili scarsamente dimensionabili con precisione (per esempio i canali di
regolarizzazione/irregolarità, l’estensione dei fabbisogni di assistenza espressi dalle
famiglie, le loro disponibilità economiche ecc.). Si ritiene comunque che, oltre a supplire a una nota carenza informativa, un siffatto approfondimento possa concorrere
all’individuazione di strategie di intervento verso cui orientare la progettualità e le
politiche locali.
La metodologia utilizzata
Il disegno complessivo di ricerca si compone di due sezioni di approfondimento: una
quantitativa che intende dimensionare la presenza regolare di assistenti familiari attraverso una fonte informativa ufficiale (l’INPS), nonché stimare la presenza complessiva di questa risorsa; l’altra qualitativa che rileva, attraverso il racconto biografico,
il vissuto di alcune badanti.
L’indagine quantitativa: dimensione della presenza
L’obiettivo di questa sezione di approfondimento è di fornire un computo della presenza di assistenti familiari nell’ambito provinciale a partire dalla fonte ufficiale dell’INPS, sulla scorta dei contributi previdenziali versati e dei relativi contratti di lavoro.
La rilevazione, effettuata con l’ausilio tecnico degli uffici competenti, ha consentito di
usufruire di statistiche aggregate a livello provinciale e relative a una serie storica
considerevole (2000-2005), offrendo la possibilità di valutazioni di trend.
14
Oltre alla dimensionalità del fenomeno, laddove possibile, si è cercato di delineare
alcuni tratti anagrafici (quali il genere e l’età, l’area geografica di provenienza, il raffronto con la componente italiana ecc.) e contrattualistici (l’orario settimanale previsto da contratto).
A corredo dell’analisi sulla presenza regolare censita dall’INPS, viene proposto un approccio di stima della presenza complessiva di badanti nel territorio vicentino, estendendo le risultanze di uno studio condotto con l’ausilio di 35 medici di famiglia presso l’Azienda ULSS n. 4 Alto Vicentino.
L’indagine biografica sulle badanti
L’obiettivo di questa sezione di approfondimento è di ricostruire un profilo del vissuto delle assistenti familiari a partire dai loro racconti. Si tratta di una indagine
qualitativa finalizzata alla conoscenza della dimensione identitaria di queste lavoratrici, assumendo una ottica non indagatrice quanto piuttosto di ricostruzione di
un “volto”.
La popolazione target è pertanto rappresentata da alcune immigrate che lavorano
come assistenti familiari nel Vicentino; per la raccolta informativa ci si è avvalsi di
una traccia di intervista semistrutturata, somministrata attraverso interviste in
profondità (face to face). La traccia, composita e articolata, approfondisce otto
aree tematiche.
I
La prima area riguarda le caratteristiche socio-anagrafiche e familiari delle donne:
l’età, il Paese di provenienza, lo stato civile, la presenza di figli, la propria posizione di regolarità o irregolarità.
I
La seconda ripercorre il percorso scolastico.
I
La terza ricostruisce l’iter di ingresso in Italia, con specifica enucleazione dei motivi che sottendono la scelta di emigrare e le difficoltà incontrate nel farlo.
I
La quarta area tematica entra nello specifico dell’esperienza lavorativa nel Paese
d’origine.
I
La quinta esamina la “professione della badante”: sono oggetto di particolare approfondimento le difficoltà che detto lavoro comporta e le motivazioni del turnover lavorativo.
I
La sesta analizza in maniera dettagliata l’attuale lavoro di badante, con specifico
riferimento al rapporto di lavoro, alla retribuzione, alle condizioni del lavoro (per
esempio lo stato di salute dell’anziano assistito, le ore lavorate, le incombenze
richieste).
15
Badante, una professione di congiunzione
I
La settima ricostruisce le modalità di reclutamento della badante, ossia i percorsi
da intraprendere per entrare nel circuito assistenziale, nonché l’eventuale ruolo
giocato dalle reti etniche.
I
L’ottava area, infine, cerca di tracciare le prospettive di vita, facendo anche emergere una sorta di bilancio tra il prima (la vita prima dell’emigrazione) e il dopo (il
futuro).
L’utilizzo dell’intervista in profondità, benché oneroso e impegnativo, ha consentito
all’interlocutore una certa libertà di espressione, potendo trarre ampi elementi conoscitivi di tipo qualitativo.
L’approccio, e conseguentemente la costruzione del campione, è avvenuto in maniera “opportunistica” ed è stato oltremodo basato sulla volontà delle interessate di farsi intervistare. Si sottolinea anche che si è cercato di rappresentare diverse aree della
provincia, al fine di ampliare il quadro informativo conseguibile. Dal punto di vista
metodologico, tuttavia, è opportuno dichiarare che il campione interpellato non può
definirsi rappresentativo della popolazione target9: il campione risulta infatti autodefinito, nel senso che criteri selettivi divengono la disponibilità delle donne e il loro interesse verso l’indagine. Si evidenzia però che lo scopo dell’indagine era quello di rilevare, attraverso un approccio individuale, le biografie e valorizzare l’eterogeneità
dei vissuti.
La rilevazione (complessivamente 58 interviste) è stata condotta nel periodo agostosettembre 2006. Le interviste sono state effettuate in luoghi e situazioni diverse, as9
16
Si tratta di un campione non probabilistico, utile e giustificato in ricerche di questo tipo che assumono
connotato esplorativo e in cui la finalità non è quella di rappresentare
statisticamente la popolazione in
oggetto, ma la considerazione degli
aspetti che possono esprimersi.
Operativamente ciascun intervistatore, sulla base di rapporti personali
o informazioni personali, ha provveduto a contattare delle badanti. Gli
intervistatori peraltro afferivano a
zone diverse della provincia in modo da garantire una sorta di differenziazione territoriale.
10 Per
maggiori dettagli si rinvia al §
3.1 – L’approccio alle interviste in
profondità.
secondando la disponibilità di tempo e luogo offerte dalle stesse intervistate10.
Capitolo 2
La costruzione di una mappa quantitativa
Alcune puntualizzazioni linguistiche e statistiche
In questa sezione della ricerca si intende fornire una quantificazione della presenza di
assistenti familiari regolari attraverso l’analisi della fonte ufficiale più esaustiva: l’INPS. Ma prima di procedere alla illustrazione dei dati si rendono necessarie due puntualizzazioni, l’una di carattere linguistico, l’altra di carattere statistico.
Dal punto di vista linguistico è noto come nel linguaggio comune il termine “badanti” comprenda una categoria di collaboratori domestici la cui prestazione è prevalentemente finalizzata all’assistenza di persone non autosufficienti; detta assistenza è
svolta prevalentemente entro le mura domestiche, sebbene possano verificarsi con
una qualche frequenza situazioni di accudimento presso strutture residenziali. Questa
caratterizzazione non esclude tuttavia che la badante svolga, accanto all’assistenza,
anche funzioni domestiche quali il preparare da mangiare, il lavare, lo stirare ecc. Sarebbe quindi più corretto parlare di “assistenti familiari” in considerazione del fatto
che la famiglia risulta essere l’ambito privilegiato in cui viene svolta la prestazione11.
Le suddette puntualizzazioni non sono volte a sollevare problematiche terminologiche, quanto piuttosto a portare la riflessione sull’opportunità di utilizzare il termine
“badante” riconoscendo in modo appropriato la funzione/ruolo svolti.
La seconda precisazione è di carattere statistico o, per meglio dire, relativa alle procedure di rilevazione adottate dall’INPS: va precisato che lo stesso Istituto dispone di
un “Osservatorio sui lavoratori domestici” su cui non è possibile, a fini statistici, distinguere tra colf e badanti. Pertanto, i dati che si vanno a esporre e a commentare rappresentano l’intera compagine dei lavoratori domestici, siano essi formalmente dediti a un supporto domestico (nella fattispecie: colf), siano essi dediti a un supporto assistenzialistico (nella fattispecie: badanti). A ben pensare la distinzione che sussiste
contrattualisticamente può non comportare una suddivisione univoca tra le due mansioni laddove i confini delle stesse diventino nella pratica più “sfumati”: oltre al fatto
che alcune badanti svolgono al contempo attività assistenzialistica e domestica, vi è
anche l’evidenza che alcune colf, inquadrate come tali, svolgono in realtà attività as11 Per
sistenziale. Una distinzione “potenziale” potrebbe essere effettuata a partire dal numero di ore previste da contratto, prefigurando che un rapporto di lavoro inferiore a
25 ore settimanali possa ascriversi a una colf, mentre un rapporto di lavoro superiore
un approfondimento al riguardo si rinvia a: “I lavoratori immigrati
nelle famiglie italiane” in CARITASMIGRANTES (2004). Dossier statistico 2004, XIV Rapporto sull’immigrazione.
17
Badante, una professione di congiunzione
alle 25 ore sia ascrivibile con quasi certezza alla mansione di badante. Tuttavia, per le
considerazioni testé fatte, anche questa distinzione assume carattere di ipotesi.
Infine si ribadisce che la fonte ufficiale presa in considerazione consente di conteggiare la presenza regolare di questo segmento di mercato del lavoro, ovvero quella
quota parte che versa regolarmente i contributi previdenziali. Pertanto la presente
analisi si limita a quantificare una parte del fenomeno assistenziale poiché sfugge
dal computo la presenza irregolare. A tale proposito si richiama come una recente
stima dell’ISTAT12 avrebbe quantificato il lavoro irregolare in una quota parte pari al
41% del totale delle assistenti familiari.
La crescita della componente immigrata
nel lavoro domestico
Assumendo un approccio di tipo concentrico, che prende in considerazione tre livelli di
aggregazione territoriale (nazionale, regionale, provinciale) si intende quantificare il
rapporto numerico, che si è andato stabilendo nel corso degli anni, tra lavoratori domestici stranieri e lavoratori domestici italiani. Innanzitutto, considerando la serie storica 2000-2004 (Tab. 3), si osserva come l’anno di “svolta”, ossia di incremento sostanziale dei lavoratori domestici sia rappresentato dal 2002, anno della regolarizzazione:
in particolare la crescita, probabilmente effetto dell’emersione del lavoro in nero, ha riguardato quasi esclusivamente i lavoratori stranieri. A livello nazionale la loro presenza si è più che duplicata, a livello regionale e provinciale si è quadruplicata. Per converso negli anni seguenti non appaiono incrementi significativi anzi, nel 2004, la tendenza sembra piuttosto invertirsi, decrementandosi la presenza straniera almeno di
dieci punti percentuali (la variazione nell’ultimo biennio è a livello nazionale pari al
–10,4%, a livello regionale è pari al –14,2%, a livello provinciale è pari al –13,7%).
Di conseguenza, l’effetto della regolarizzazione ha comportato un notevole cambiamento nel rapporto numerico tra lavoratori italiani e stranieri, tant’è che proprio nel
2002 si registrava il superamento della compagine immigrata sull’autoctona. Con ri-
18
ferimento ai dati provinciali nel 2000 e 2001 gli immigrati rappresentavano meno
della metà dei lavoratori domestici complessivi, nel 2002 la percentuale passa al
12
Per maggiori approfondimenti, si
rinvia a Righetti (2005).
79,2%, attestandosi al 76,8% nel 2004.
Tabella 3. Lavoratori domestici: rapporto tra italiani e stranieri
A livello nazionale
2000
2001
2002
2003
2004
Lavoratori stranieri
133.837
138.860
380.125
408.503
366.075
Lavoratori italiani
126.134
128.574
130.909
130.014
126.937
Totale
259.971
267.434
511.034
538.517
493.012
51,5%
51,9%
74,4%
75,9%
74,3%
Regione del Veneto
2000
2001
2002
2003
2004
Lavoratori stranieri
5.779
6.083
26.045
27.831
23.870
Lavoratori italiani
8.334
8.461
8.539
8.559
8.729
Totale
14.113
14.544
34.584
36.390
32.599
Incid. % stranieri
40,9%
41,8%
75,3%
76,5%
73,2%
Prov. di Vicenza
2000
2001
2002
2003
2004
Lavoratori stranieri
1.057
1.055
4.209
4.529
3.909
Lavoratori italiani
1.107
1.107
1.103
1.154
1.181
Totale
2.164
2.162
5.312
5.683
5.090
48,8%
48,8%
79,2%
79,7%
76,8%
Incid. % stranieri
Incid. % stranieri
Fonte: elaborazione su dati INPS – Osservatorio sui lavoratori domestici
La comparazione con i dati nazionali e regionali evidenzia una proporzione leggermente superiore di stranieri entro la forza lavoro provinciale. Ne consegue che nel
2004 i lavoratori domestici immigrati della provincia di Vicenza vengono a rappresentare il 16,4% dei lavoratori domestici stranieri del Veneto e l’1,1% dei lavoratori domestici stranieri dell’intero contesto nazionale.
L’incidenza dei lavoratori domestici immigrati
sulla popolazione anziana
Nel 2004 a livello provinciale i lavoratori domestici stranieri che regolarmente versavano contributi previdenziali erano 3.909, evidenziando una tendenziale contrazione
rispetto al biennio precedente (Tab. 4). Altresì la presenza di questa forza lavoro può
essere misurata come incidenza sulla popolazione residente13: ne consegue un rapporto di circa 5 lavoratori domestici immigrati regolari ogni 1.000 abitanti.
19
13
La densità sul totale della popolazione residente è invece superiore a
livello regionale (5,1‰) e ancora
più elevata a livello nazionale
(6,3‰).
Badante, una professione di congiunzione
Tabella 4. Lavoratori domestici stranieri: incidenza su popolazione residente
Prov. di Vicenza
2000
2001
Lavoratori stranieri
1.057
1.055
4.209
4.529
3.909
–0,2%
+299,0%
+7,6%
–13,7%
–0,2%
1,3‰
1,3‰
5,2‰
5,5‰
4,7‰
Incidenza su 1.000
abitanti ultra 64enni
14,5‰
7,9‰
30,7‰
32,2‰
27,1‰
Incidenza su 1.000
abitanti ultra 74enni
19,7‰
17,5‰
67,3‰
70,3‰
59,0‰
Variazione % annuale
Incidenza su 1.000 abitanti
2002
2003
2004
Fonte: elaborazione su dati INPS – Osservatorio sui lavoratori domestici
Focalizzando l’attenzione sulla compagine degli anziani, l’incidenza raggiunge circa i 30
lavoratori domestici ogni 1.000 anziani ultra 64enni, una densità che diventa ancor più
significativa per gli ultra 74enni, che presumibilmente rappresentano i sostanziali fruitori
di questa assistenza (60‰). In altre parole, si conta nella provincia di Vicenza un lavoratore domestico straniero con regolare contratto ogni 17 anziani ultra 74enni. Il raffronto con l’indicatore a livello regionale e nazionale mostra nel primo caso una pressoché analogia di valore (57,5‰), mentre nel secondo caso il rapporto è più elevato, contando un lavoratore domestico immigrato ogni 14 anziani ultra 74enni (69,5‰).
La presenza determinante della componente femminile
La ripartizione per genere dei lavoratori domestici stranieri rappresenta in modo inequivocabile come il lavoro domestico e di cura sia appannaggio della componente
femminile. In termini quantitativi si evince che il 93,4% è rappresentato da donne,
mentre il restante 6,6% da uomini (Graf. 1); detta sovrarappresentazione femminile
appare come una connotazione costante nel tempo e in progressiva crescita (nel
2000 era pari al 86,3%, nel 2002 risultava pari al 88,7%).
20
Per quanto concerne la distribuzione per classi d’età (Graf. 2), nel 2004 una maggiore
concentrazione di lavoratori domestici stranieri è ascrivibile alla classe 41-50 anni,
che copre il 34,6% del totale, seguita a breve distanza dalla classe 31-40 anni che
ne comprende il 28,5%. Queste percentuali non risultano dissimili se si focalizza l’at-
Grafico 1. Lavoratori domestici stranieri: composizione di genere
Fonte: elaborazione su dati INPS – Osservatorio sui lavoratori domestici
tenzione sulla sola componente femminile: la classe 41-50 anni comprende il 35,2%
delle lavoratrici straniere e la classe 31-40 anni il 27,7%.
Per quanto riguarda l’andamento complessivo del trend, ovvero le modificazioni avvenute nel corso degli anni, si constata un innalzamento dell’età (Graf. 2): cresce progressivamente la rappresentatività delle ultra 40enni e, per converso, si contrae gradualmente quella delle under 40enni.
Grafico 2. Ripartizione percentuale per classi d’età: il trend 2000-2004
21
Fonte: elaborazione su dati INPS – Osservatorio sui lavoratori domestici
Badante, una professione di congiunzione
Infine, è doveroso sottolineare come dalla fonte esaminata non sia possibile conseguire informazioni sullo stato civile di queste lavoratrici: recenti indagini a livello nazionale hanno però evidenziato come si tratti molto spesso di persone che non hanno un progetto di vita in Italia, tre su quattro sono coniugate ma solo il 15% vive nel
nostro Paese con la propria famiglia14.
Una provenienza prevalente dall’Est Europa
Relativamente ai Paesi di provenienza, la fonte INPS non consente una estrapolazione disaggregata su base provinciale, ma si può disporre soltanto del dato complessivo a livello nazionale. Pertanto, come si evince dalla tabella seguente (Tab. 5), più
della metà dei lavoratori domestici proviene dall’Europa dell’Est (54,3%); seguono le
provenienze dall’America del Sud (15,2%) e dalle Filippine (13,4%).
Pur mantenendo la connotazione femminile, la ripartizione di genere all’interno di
14 Il
riferimento è in Righetti (2005).
questo segmento del mercato del lavoro permette di evidenziare alcune caratterizza-
Tabella 5. Lavoratori per macro-aree di provenienza nel contesto nazionale
Macro-aree geografiche
2002
2004
Ripartiz. %
nel 2004
Stima numero
lavoratori per
la provincia
di Vicenza
Europa Ovest
1.615
1.613
1.586
0,4%
17
Europa dell’Est
25.103
202.739
198.847
54,3%
2.123
43
126
97
0,0%
1
Centro America
5.070
7.302
7.095
1,9%
76
America del Sud
21.654
57.757
55.564
15,2%
593
271
1.287
1.257
0,3%
13
Asia: Filippine
40.939
48.922
48.946
13,4%
523
Asia Orientale
16.362
26.332
24.411
6,7%
261
Africa del Nord
9.713
17.676
14.179
3,9%
151
13.045
16.171
13.880
3,8%
148
22
200
213
0,1%
2
133.837
380.125
366.075
100,0%
3.908
America del Nord
Asia: Medio Oriente
22
2000
Africa Centro-sud
Oceania
Totale
Fonte: elaborazione su dati INPS – Osservatorio sui lavoratori domestici
zioni. Considerando le macro-aree che presentano una consistenza significativa15, si
riscontra una dominante superiorità numerica delle donne con riferimento ai Paesi
dell’Est (Graf. 3), che ne rappresentano ben il 94,1%. All’interno invece della compagine dei lavoratori domestici filippini si rileva come più di un quarto di questa forza
lavoro sia rappresentata da uomini (25,7%), percentuale che si raddoppia relativamente alle provenienze dall’Asia Orientale (52%).
Se si guarda ai cambiamenti avvenuti nel corso degli anni, l’effetto della regolarizzazione sembra aver sortito l’impatto maggiore per le provenienze dai Paesi dell’Est: se
infatti nel biennio 2000-2001 la presenza maggioritaria era di origine filippina, nel
2002 lo scenario cambia radicalmente. La rappresentatività dai Paesi dell’Est subisce
l’incremento più considerevole (nel panorama nazionale si passa da 29.314 lavoratori domestici a 202.739); incrementi significativi ma più contenuti hanno poi riguardato le provenienze dall’America del Sud (+161,5%), mentre la presenza filippina cresce ma con un tasso incrementale quasi fisiologico (+18,3%).
L’anno 2003 registra ulteriori incrementi, sebbene molto più contenuti: la compagine
dai Paesi dell’Est cresce del 10,4%, quella dell’America del Sud del 8,1%, quella filippina appena del 1,4%. In controtendenza, invece, i dati riferiti al 2004 che vedono
15
La valutazione è stata fatta per le
macro-aree che nell’anno 2004 annoveravano un numero di lavoratori
domestici stranieri superiore alle
10.000 unità.
Grafico 3. Macro-aree di provenienza: la ripartizione di genere
23
Fonte: elaborazione su dati INPS – Osservatorio sui lavoratori domestici (2004)
Badante, una professione di congiunzione
una contrazione contenuta, ma significativa, di questa forza lavoro complessiva. I lavoratori domestici provenienti dall’Europa dell’Est si riducono del 11,2%, quelli provenienti dall’America del Sud del 11%, quelli di origine filippina del 1,3%.
Infine, non disponendo del dato geografico relativo alla provincia di Vicenza, si è
proceduto riparametrizzando sul contesto provinciale la ripartizione geografica rilevata a livello nazionale (Tab. 5). Così facendo, in provincia si potrebbero prefigurare
2.123 lavoratori domestici provenienti dai Paesi dell’Est, 593 dall’America del Sud e
523 di origine filippina. Questa stima comporta necessariamente una distorsione
poiché è noto come a incidere notevolmente sui percorsi di localizzazione degli immigrati siano le reti etniche sviluppate localmente: deve dunque essere assunta soltanto come proxy.
Il contratto-tipo di 21-30 ore settimanali
Dalle statistiche aggregate fornite dall’INPS, è possibile condurre un approfondimento relativamente al numero di ore lavorate così come previste dal contratto.
La distribuzione per classi orarie nel 2004 presenta una maggiore concentrazione di
lavoratori domestici stranieri con riferimento alla categoria di contratti di 21-30 ore
settimanali, che rappresentano il 46,4% del totale (Tab. 6); al di sotto delle 20 ore
settimanali si colloca invece il 32,5% e risulta molto contenuto il peso dei contratti
oltre le 40 ore settimanali (7,9%).
Tabella 6. Lavoratori per classi di ore settimanali di contratto
Ore settimanali
24
2001
2002
Fino a 10
232
466
100,9%
526
12,9%
481
–8,6%
Da 11 a 20
216
2.383
1003,2%
969
–59,3%
791
–18,4%
Da 21 a 30
331
1.019
207,9%
2.022
98,4%
1.815
–10,2%
Da 31 a 40
172
208
20,9%
647
211,1%
515
–20,4%
Da 41 a 50
65
87
33,8%
236
171,3%
188
–20,3%
Oltre 50
39
46
17,9%
129
180,4%
119
–7,8%
1.055
4.209
299,0%
4.529
7,6%
3.909
–13,7%
Totale
Variaz. %
2001-02
Fonte: elaborazione su dati INPS – Osservatorio sui lavoratori domestici
2003
Variaz. %
2002-03
2004
Variaz. %
2003-04
Il dato, che non muta se si distingue la compagine femminile dalla maschile, sembrerebbe fotografare un impegno nell’assistenza e nel supporto domestico “relativamente contenuto”: a fronte di un bisogno di assistenza che è noto essere “quasi” di
24 ore al giorno, almeno per l’attività di assistenza ai non autosufficienti; questo dato
indurrebbe a pensare che parte dell’attività svolta dalle assistenti familiari possa essere coperta con “retribuzioni orarie extra contratto”.
Guardando alla dinamica di trend, si può anche affermare che nel 2002 l’incremento
più cospicuo abbia riguardato i contratti di 11-20 ore settimanali, categoria che nel
biennio successivo ha registrato una flessione. Nel 2003, in particolare, sembra essersi delineato un incremento delle ore lavorate settimanalmente, a favore dei contratti di 21-30 ore settimanali.
Grafico 4. Ripartizione percentuale per classi di ore da contratto: il trend 2000-2004
Fonte: elaborazione su dati INPS – Osservatorio sui lavoratori domestici
La ripartizione percentuale per categoria rende ancor più palese questa modificazione contrattualistica (Graf. 4): se nel 2002 più della metà dei contratti veniva stipulata
per un numero di ore settimanali da 11 a 20 (56,6%), nel 2003 e nel 2004 questa
categoria perde rilevanza a favore dei contratti di 21-30 ore (che nel 2003 vengono a
25
Badante, una professione di congiunzione
rappresentare il 44,6% del totale e nel 2004 il 46,4% del totale), crescendo al contempo anche la rilevanza dei contratti di 31-40 ore (che nel 2003 coprono il 14,3% e
nel 2004 il 13,2%).
Infine si sottolinea come, fatta salva l’esiguità numerica della componente di lavoratori domestici italiani, il raffronto per categorie orarie di contratto settimanali si rilevi
alquanto differenziato. Come si può osservare dal grafico (Graf. 5), tra i lavoratori domestici autoctoni si presentano più diffusi i contratti con un numero ridotto di ore che
non implicano convivenza: più di un quarto (26,7%) ha un contratto inferiore a 10
ore, più della metà (56,1%) ha un contratto inferiore a 20 ore settimanali. Una delle
ipotesi interpretative porterebbe ad affermare che il ruolo di badante sia più verosimilmente svolto dalla componente immigrata, mentre la compagine dei lavoratori
italiani possa configurarsi impegnata in attività di natura prettamente domestica, nella fattispecie giardinieri, baby-sitter, addetti alle pulizie ecc.
Va anche osservato che, per avere il permesso di soggiorno, la lavoratrice immigrata è
tenuta a dimostrare di percepire un reddito “adeguato”, il cui importo sia almeno pari
all’assegno sociale, e questo probabilmente influenza il numero di ore contrattuali.
Grafico 5. Ore settimanali da contratto: confronto lavoratori italiani e stranieri
26
Fonte: elaborazione su dati INPS – Osservatorio sui lavoratori domestici (2004)
La stima del numero di badanti nel Vicentino
Per poter definire il fabbisogno di assistenti familiari è necessario circoscrivere la
domanda di salute e, conseguentemente, di assistenza alla popolazione anziana,
tema-chiave in un Paese ove si invecchia sempre di più e si destina più della metà
delle risorse per la salute agli anziani. Ciò non di meno, l’argomento risulta molto
complesso per la carenza di fonti informative puntuali e ufficiali: dati concernenti
l’assistenza erogata agli anziani e, più in dettaglio, l’assistenza domiciliare vengono censiti dalle Aziende ULSS sotto il profilo prettamente sanitario (per esempio
come flussi sulle prestazioni erogate dall’apparato medico, infermieristico, riabilitativo) e dai Comuni sotto il profilo prettamente sociale (per esempio fornitura dei
pasti a domicilio, erogazioni di contributi ecc.). Non esiste invece alcun flusso relativo all’assistenza genericamente data agli anziani da parte dei familiari e/o da
personale a pagamento e/o da volontari: pertanto informazioni utili al riguardo
non possono che essere tratte da indagini campionarie ad hoc e si prestano ad
approcci di tipo proxy.
In questa sezione di approfondimento viene proposto un approccio di stima che
prende a riferimento le risultanze di un’analisi socio-epidemiologica condotta su un
campione di assistiti da un gruppo di medici di famiglia (o di base). A fronte della
considerazione che il medico di famiglia rappresenta una potenza informativa rilevante nella diagnosi di comunità e nel consentire una panoramica dettagliata delle
caratteristiche socio-epidemiologiche della popolazione assistita, è stata realizzata,
presso l’Azienda ULSS n. 4 Alto Vicentino, una rilevazione campionaria da parte di
35 medici di famiglia.
Le variabili censite sono state molteplici, da aspetti sociali (per esempio la composizione e la condizione dei nuclei familiari, i bisogni assistenziali, la rete di supporto) ad aspetti epidemiologici (per esempio la presenza di patologie e la loro
classificazione).
Il modello di stima della presenza di assistenti familiari qui proposto viene elaborato
attraverso un procedimento inferenziale, riportando le risultanze prodotte attraverso
questa indagine campionaria sulla struttura di popolazione anziana caratterizzante
l’intero territorio provinciale.
27
Badante, una professione di congiunzione
La popolazione assistita da badanti
Come si è detto, lo studio preso a riferimento è stato condotto da 35 medici di
famiglia che, nel corso dei primi mesi del 2003, hanno censito un campione complessivo di 37.743 assistiti, rilevandone variabili sia di tipo sociale sia di tipo epidemiologico.
In questa sede interessa, però, focalizzare l’attenzione sulla quota parte di popolazione che, a fronte o meno di una condizione di non-autosufficienza, usufruisce del supporto di un’assistente familiare16.
Tabella 7. Non autosufficienza e caratteristiche per età e genere
Classi
d’età
Popolazione censita
Popolazione non
autosufficiente
Donne
Uomini
Totale
Incidenza condizione
non autosufficienza
Totale
Donne
Uomini
Totale
< 65
4.407
3.934
8.341
59
57
116
1,4%
65-74
2.559
1.992
4.551
96
84
180
4,0%
75-84
1.871
1.025
2.896
235
114
349
12,1%
587
230
817
244
85
329
40,3%
9.424
7.181
16.605
634
340
974
5,9%
> 84
Totale
Fonte: elaborazioni su dati “Osservatorio socio-epidemiologico – Medici sperimentatori” dell’Azienda ULSS n. 4 Alto Vicentino (2002)
La valutazione complessiva sullo stato di salute degli assistiti rileva una condizione di
non autosufficienza per il 5,9% del sub-campione esaminato (si tratta di 974 soggetti), configurandosi naturalmente più diffusa tra i grandi anziani (Graf. 6): riguarda
quasi un quinto degli ultra 74enni (18,3%) e addirittura il 40,3% degli ultra 84enni.
16 Il
sub-campione preso a riferimento assomma complessivamente
16.605 unità e risulta indicativamente composto da persone ultra 50enni.
17 I
28
dati, così come rilevati, non consentono di dire nulla relativamente
alla nazionalità delle stesse, né alla
loro condizione di regolarità o irregolarità.
Inoltre, per ulteriori 22 soggetti classificati in condizione di non autosufficienza, o di parziale limitazione
(per esempio con mobilità ridotta
e/o con funzione cognitiva gravemente deteriorata) non si identifica
con esattezza il soggetto che fornisce il supporto assistenziale.
Inoltre questa condizione caratterizza maggiormente la componente femminile (il
6,7%) e la sua incidenza cresce notevolmente al progredire dell’età: riguarda il 19,5%
delle donne ultra 74enni rispetto al 15,9% degli uomini ultra 74enni.
Stando alle informazioni fornite dai medici, 190 persone non autosufficienti risultano
assistiti da una badante (19,5%)17, presenza che si configura notevolmente più diffusa tra la componente anziana femminile (22,9%) rispetto alla maschile (13,2%) e
appare crescente all’aumentare dell’età (Tab. 8). Fruisce infatti di questo supporto a
pagamento il 12,5% delle persone non autosufficienti con meno di 74 anni, mentre
tra gli ultra 74enni la percentuale cresce al 22,6%.
Grafico 6. Ripartizione della non autosufficienza per classi d’età e genere
Fonte: elaborazioni su dati “Osservatorio socio-epidemiologico – Medici sperimentatori” dell’Azienda ULSS n. 4 Alto Vicentino (2002)
Tabella 8. Persone non autosufficienti assistite da badante
Classi d’età
Popolazione non autosufficiente
assistita da badante
Donne
Uomini
Totale
Incidenza degli assistiti da badanti
sul totale non autosufficienti
Donne
Uomini
Totale
< 65
4
1
5
6,8%
1,8%
4,3%
65-74
17
15
32
17,7%
17,9%
17,8%
75-84
64
21
85
27,2%
18,4%
24,4%
> 84
60
8
68
24,6%
9,4%
20,7%
145
45
190
22,9%
13,2%
19,5%
Totale
Fonte: elaborazioni su dati “Osservatorio socio-epidemiologico – Medici sperimentatori” dell’Azienda ULSS n. 4 Alto Vicentino (2002)
È comunque comprensibile come l’apporto dato dal personale a pagamento sia condizionato da aspetti economici (presenza di livelli reddittuali adeguati per sostenere
l’onere di un supporto esterno), da aspetti occupazionali (facilità a reperire personale
in grado di erogare questo tipo di assistenza), da aspetti culturali (presenza o meno
di una rete familiare di supporto per l’anziano).
Senza dubbio la famiglia resta a oggi la principale fonte di supporto per le persone
anziane non autosufficienti che risiedono a casa (Graf. 7): nello specifico è la famiglia
di diversa generazione, rappresentata da figlia/o e nuora/genero, a farsi prioritaria-
29
Badante, una professione di congiunzione
Grafico 7. Anziani non autosufficienti: soggetti fornitori di assistenza
Fonte: elaborazioni su dati “Osservatorio socio-epidemiologico – Medici sperimentatori” dell’Azienda ULSS n. 4 Alto Vicentino (2002)
mente carico dell’assistenza all’anziano, ma risulta significativo anche il contributo apportato dal coniuge/partner.
A completamento, è opportuno sottolineare come 88 soggetti godano di un supporto
da parte di una badante pur non essendo stati classificati dai medici come “non autosufficienti”: un approfondimento in merito alla loro situazione consente di evidenziare come per questi assistiti sia segnalata una riduzione lieve della mobilità e/o
una condizione di moderato deficit cognitivo.
Complessivamente, quindi, nel sub-campione analizzato si contano 278 soggetti che
usufruiscono del supporto di una badante (Tab. 9). In proporzione18 si può contare
quasi una badante ogni 32 anziani ultra 64enni, una ogni 17 anziani ultra 74enni, incidenza che si accresce notevolmente tra gli ultra 84enni, conseguendo un rapporto
di una ogni 8 anziani.
Infine l’analisi dettagliata sulla tipologia di nucleo familiare rileva come la figura
18 Si
30
può constatare come le proporzioni qui rilevate differiscano da
quanto stimato nell’indagine condotta dall’IRS di Milano (2006) che
a livello nazionale quantifica un rapporto di sette badanti ogni 100 ultra
65enni. Cfr. quanto riportato nel §
1.1 Gli obiettivi.
della badante sia inserita per il 44,6% in nuclei unidimensionali (ossia relativamente a persone che vivono da sole); per il 23,6% in nuclei composti da una coppia di coniugi; per il 17,7% in nuclei composti dalla convivenza tra genitori e figli
(Graf. 8).
Tabella 9. Persone complessivamente assistite da badante
Classi d’età
Popolazione assistita
da badante
Donne
Uomini
Totale
Incidenza degli assistiti
da badante sul totale
Donne
Uomini
Totale
< 65
12
7
19
0,3%
0,2%
0,2%
65-74
25
16
41
1,0%
0,8%
0,9%
75-84
82
38
120
4,4%
3,7%
4,1%
> 84
74
24
98
12,6%
10,4%
12,0%
193
85
278
2,0%
1,2%
1,7%
Totale
Fonte: elaborazioni su dati “Osservatorio socio-epidemiologico – Medici sperimentatori” dell’Azienda ULSS n. 4 Alto Vicentino (2002)
Grafico 8. Caratterizzazione dei nuclei in cui vi è la presenza di una badante
Fonte: elaborazioni su dati “Osservatorio socio-epidemiologico – Medici sperimentatori” dell’Azienda ULSS n. 4 Alto Vicentino (2002)
La proiezione delle assistenti familiari su base provinciale
Con l’intento di costruire una stima della presenza complessiva (regolare e irregolare)
di assistenti familiari nel contesto provinciale, attraverso un processo inferenziale sono stati estesi i risultati precedentemente illustrati.
Dal punto di vista operativo, si sono assunti come parametri definitori i risultati relativi all’incidenza della condizione di non autosufficienza e all’assistenza complessivamente erogata da badanti; mentre la base per il computo è rappresentata dalla distribuzione della popolazione residente in provincia, disaggregata per età e per genere, così come definita dall’ISTAT.
31
Badante, una professione di congiunzione
Un siffatto approccio porterebbe a ipotizzare una presenza nella provincia di Vicenza
di circa 5.255 assistenti familiari (Tab. 10), valore che confrontato con il dato fornito
dall’INPS risulta superiore almeno del 25,6%. Pure con le dovute cautele interpretative, trattandosi di un’approssimazione, si potrebbe supporre che la differenza tra il
valore stimato (5.255) e il dato registrato dall’INPS (3.909) possa configurarsi come
presenza irregolare nel mercato del lavoro (1.346).
Tabella 10. Presenza complessiva di assistenti familiari: una stima a livello provinciale
Classi d’età
Inferenza su provincia di Vicenza
Donne
Uomini
Totale
Donne
Ripartizione percentuale
Uomini
Totale
< 65
205
133
338
5,6%
8,4%
6,4%
65-69
185
120
305
5,1%
7,5%
5,8%
70-74
239
179
418
6,5%
11,2%
7,9%
75-79
574
327
901
15,7%
20,5%
17,1%
80-84
900
406
1.306
24,6%
25,5%
24,8%
85-89
833
195
1.028
22,7%
12,2%
19,6%
90-94
589
179
768
16,1%
11,2%
14,6%
> 94
137
55
192
3,7%
3,5%
3,7%
3.662
1.594
5.256
100,0%
100,0%
100,0%
Totale
Fonte: elaborazioni su dati di popolazione ISTAT (2005)
Il valore, però, appare sottostimato rispetto a quanto proposto in una recente indagine dell’ISTAT19, secondo cui il lavoro irregolare corrisponderebbe al 41% del totale
delle assistenti familiari occupate. Questa differenziazione potrebbe comunque trovare varie cause, legate allo stesso processo di approssimazione proposto: ci si può infatti chiedere se i dati raccolti dai medici nei primi mesi del 2003 possano ancora essere rappresentativi della situazione attuale e quanto possa essere verosimile estendere in maniera uniforme i dati campionari relativi all’Alto Vicentino su tutto il territorio provinciale. In carenza però di ulteriori fonti informative, si ritiene che questa possa essere considerata una stima di minima della presenza complessiva di badanti nel
32
territorio vicentino.
19
Per maggiori approfondimenti si
rinvia a Righetti (2005).
Capitolo 3
Il profilo identitario delle badanti
L’approccio alle interviste in profondità
Come si è già avuto modo di evidenziare20, la presente sezione di approfondimento
mira a ricostruire i profili identitari delle badanti a partire dai loro vissuti e dalle loro
testimonianze. Si tratta di una indagine di tipo qualitativo attraverso la quale sono
state raccolte 58 biografie di donne, un numero di interviste in profondità che proprio
per il tipo di indagine risulta essere davvero considerevole.
Dal punto di vista territoriale si è cercato di “reperire le intervistate” in diverse aree
della provincia e non limitatamente al capoluogo, cercando cioè di trarre un’ampia visione del fenomeno e una varietà di risultati che consentissero una descrizione il più
esaustiva possibile.
Ciò non di meno non è corretto estendere tout court i risultati conseguiti alla totalità
della presenza di assistenti familiari nella provincia, né tanto meno è corretto trarre
considerazioni genericamente rappresentative. Questa indagine non è a carattere
statistico-quantitativo, quanto piuttosto qualitativo e pertanto mira a descrivere condizioni, storie, vissuti, prospettive, emozioni, individuando la molteplicità dei significati insiti nel concetto di immigrazione.
Prima di passare all’analisi delle evidenze raccolte si vogliono richiamare alcuni aspetti interessanti riguardanti il metodo e l’approccio adottato per le interviste.
I
L’individuazione delle donne da intervistare è avvenuta sulla base dei contatti
personali o delle informazioni che ciascun intervistatore possedeva. I sei intervistatori si sono avvalsi di rapporti di vicinato per identificare famiglie in cui
fosse presente una badante, oppure enti o associazioni quali la Caritas o servizi
di segretariato sociale in contatto con questo segmento di forza lavoro, le Case
di riposo, ove talvolta prestano assistenza a ore, o ancora attraverso un avvicinamento spontaneo avvenuto nei parchi o nei luoghi di ritrovo domenicale di
gruppi di immigrati.
Soltanto in 4 casi su 58 l’intervista è stata condotta in gruppo, sebbene le risposte
33
siano state codificate singolarmente per ciascuna lavoratrice: a questo proposito
giova richiamare che i parchi rappresentano in effetti un luogo di forte socializzazione e snodo fondamentale per la diffusione e lo scambio informativo tra perso-
20 Per gli aspetti metodologici di costruzione del campione si rinvia al §
1.2.2 L’indagine biografica sulle badanti.
Badante, una professione di congiunzione
ne che vivono la medesima condizione. Ciò non di meno la particolarità dell’intervista, che scendeva nel dettaglio di aspetti personali (per esempio: Quanto è il tuo
stipendio?, Quanto denaro invii a casa?, Esiste un percorso “tipo” per entrare a fare questo lavoro? ecc.), ha comportato talora una sorta di reticenza da parte di alcune donne a esprimersi liberamente in presenza delle proprie connazionali.
Si legge per esempio tra le annotazioni di una intervistatrice: “...Le risposte relative
allo stipendio percepito, al quanto viene inviato alla famiglia rimasta nel Paese
d’origine, a come viene inviato e con quali scopi non mi hanno affatto convinta:
suppongo che la signora non volesse far sapere alle altre due intervistate presenti esattamente quanto percepisce e quanti soldi invia a casa” (3DM).
Tabella 11. Luoghi di somministrazione dell’intervista
Caratterizzazione luogo
Luogo di lavoro
Dettaglio
Num. interviste
Casa del datore di lavoro
22
37,9%
2
3,4%
13
22,4%
Bar
4
6,9%
Casa di un’amica
2
3,4%
Casa dell’intervistatore
5
8,6%
Sede Caritas
7
12,1%
Comune
3
5,2%
Casa di riposo
Luogo pubblico
Giardini pubblici o luogo
d’incontro domenicale
Altri luoghi
I
Ripartizione
Percentuale
Cumulativa
41,4%
29,3%
29,3%
Un dato significativo riguarda anche il luogo in cui è stata svolta l’intervista
(Tab.11): nel 58,6% dei casi le donne sono state intervistate in contesti esterni all’ambito lavorativo proprio per evitare “distorsioni” nelle risposte indotte
dalla presenza dei datori di lavoro e garantire così una maggiore libertà di
espressione.
34
Qualora l’intervista si sia svolta entro le mura domestiche, comunque si è preferito evitare la presenza del datore di lavoro, l’anziano accudito o i suoi familiari. Pertanto, nei 6 casi in cui non è stato possibile evitare questa “presenza”, vanno segnalate alcune possibili distorsioni nella formulazione delle risposte.
I
Pur seguendo una traccia di intervista, molto composita e articolata, si è preferito
strutturare la comunicazione come una “conversazione libera”, lasciando emergere il cosiddetto racconto di sé: si è peraltro riscontrato in generale un grande desiderio e bisogno di “raccontarsi”, tant’è che alcune interviste hanno finito per durare qualche ora (il tempo medio si attesta sui 50 minuti per intervista, fino a un
massimo di 2 ore).
Il clima di confidenza creatosi tra intervistato e intervistatore e il desiderio di esprimersi hanno permesso il superamento di alcune domande un po’ “critiche” (per
esempio sulla condizione di regolarità/irregolarità o sul contratto di lavoro) e il
conseguimento di risposte puntuali. Rassicurazioni sull’anonimato delle intervistate e sulla Caritas, quale promotrice dell’indagine stessa, hanno concorso a innescare un certo grado di fiducia.
Si legge per esempio tra le annotazioni degli intervistatori:
“La signora ha risposto senza resistenza alcuna a tutte le domande in quanto
conosceva già la Caritas e ha affermato più volte di apprezzare l’operato di
questa associazione. Mi ha raccontato che sua sorella è stata aiutata dalla Caritas nei primi mesi appena arrivata in Italia con pasti caldi ecc. e una sua amica si è appoggiata alla Caritas per i documenti di soggiorno” (1RS).
“Durante l’intervista era presente anche la signora che mi ha fatto avere il contatto con la badante e che è una volontaria della Caritas. In alcuni casi le signore intervistate la vogliono presente, come ulteriore garanzia” (5FR).
“All’inizio è stato difficile... poi la signora si è tranquillizzata molto e ha risposto velocemente e sinceramente dopo avermi fatto delle domande rispetto
all’anonimato dell’intervista. Non parla benissimo in italiano e ho ripetuto
qualche domanda più di una volta, dopo di che ha cominciato a parlare come un fiume in piena” (4RS).
“L’intervistata era disponibile ma nel rispondere ad alcune domande mi è sembrata titubante ed insicura, soprattutto quelle relative al permesso di soggiorno
e al contratto di lavoro, penso avesse paura di dirmi la verità” (2AC).
“Ho contattato la signora attraverso una mia conoscente che l’ha rassicurata molto circa la mia discrezione durante l’intervista. Ho dovuto più volte ripeterle che
nessuno sarebbe potuto risalire a lei... La signora comunque non ha voluto dirmi
35
Badante, una professione di congiunzione
quanti soldi invia a casa e quando abbiamo parlato di intermediazioni era molto
preoccupata e mi ha chiesto di non specificare; verso la fine del questionario era
un po’ insofferente e mi ha detto che le domande erano troppe!” (10DM).
“Quando ho fatto la domanda sull’invio di denaro e sui mediatori alla signora,
mi ha guardato e ha fatto una espressione come per dirmi che ci sono questi
‘personaggi’, ma allo stesso tempo si è arrampicata sugli specchi facendomi
capire che lei intendeva amici e conoscenti fidati” (6RS).
Prima di passare a illustrare i risultati dell’indagine, sembra comunque opportuno
esplicitare alcune limitazioni riscontrate durante la stessa rilevazione, e questo al fine
di garantire una lettura più corretta di quanto si andrà a esporre.
I
Come precedentemente accennato, la vicinanza del datore di lavoro durante l’intervista ha influenzato alcune risposte, rendendo gli stessi racconti molto più succinti e limitati, nonché di gran lunga meno confidenziali. D’altra parte in alcuni casi non è stato proprio possibile svolgere l’intervista in un luogo esterno all’abitazione, talora per la
mancanza o limitazione del tempo a disposizione della stessa badante. A questo proposito risultano esemplificative alcune osservazioni riportate dagli intervistatori.
“All’intervista era presente la signora che l’ha assunta. Spesso la signora accudita
rispondeva con l’intervistata, soprattutto nelle domande riguardanti i rapporti con
l’anziana e i suoi familiari o sulla soddisfazione per il lavoro. Si vedeva chiaramente come l’intervistata fosse influenzata dalla signora, probabilmente in un altro luogo le risposte sarebbero state diverse. Fortunatamente a metà intervista (ma per
poco) la signora si è allontanata. Il clima era decisamente migliorato” (6FR).
“L’intervistata era molto contenta di farsi intervistare: mi ha detto che è stata la
sua prima intervista in assoluto! E ha risposto con entusiasmo e sincerità a tutto.
Il problema grosso è stato la signora che l’ha assunta. Controllava tutto quello
che scrivevo, continuava a definirmi ‘troppo curiosa’ e aveva paura che fossi lì
36
per farle pagare più tasse sul lavoro della sua badante. Era molto aggressiva e
non ascoltava le mie ragioni. Per fortuna l’intervista e il mio contatto Caritas (sempre presente durante il corso dell’intervista) l’hanno tranquillizzata” (7FR).
“È stata un’intervista davvero difficile. Lei parlava male in italiano; era poi pre-
sente e sospettoso l’anziano che assiste. Alle domande sul contratto e sulle ore
lavorate ha dato delle risposte che direi inaffidabili: il signore che l’ha assunta
le ha letteralmente messo le parole in bocca, senza darle possibilità alcuna di
esprimersi. Poi è stato difficile porre le domande sulla condizione dell’anziano
assistito perché il signore era presente e si è pure offeso!” (12FR).
I
La lingua in generale non ha rappresentato un grosso ostacolo perché molte delle
intervistate parlano e comprendono molto bene la lingua italiana. Soltanto in pochi casi si è riscontrata una effettiva difficoltà di dialogo (10 casi) e talvolta si è fatto ricorso a una lingua straniera, nella fattispecie l’inglese, che appare essere abbastanza ben padroneggiato; talaltra ci si è avvalsi della presenza di una figura
terza “mediatrice” che fungeva da traduttrice.
Si legge per esempio nelle annotazioni degli intervistatori:
“È stata scarsa la possibilità di avere una conversazione più approfondita perché la signora era riservata e aveva poca dimestichezza con l’italiano” (1DM).
“Ci sono stati dei problemi di comprensione delle domande a causa della sua
scarsa conoscenza della lingua italiana” (2AC).
“È stato difficile condurre l’intervista: la comprensione della lingua non era
buona e la signora era un po’ spaesata” (6FR).
“L’intervista è stata svolta in casa dell’anziano in un clima molto disteso. Con
me c’era la persona che mi ha aiutato a contattare la signora, mi ha fatto da
interprete per alcune domande” (3FR).
I
Il racconto di sé ha comportato spesso momenti di difficoltà nella conduzione dell’intervista, poiché l’esplicitazione di alcuni vissuti suscitava una forte emozionalità
e un reciproco disagio tra intervistata e intervistatore, fino a provocare reazioni di
“sdegno” rispetto alla formulazione di alcune domande. A questo proposito risultano esemplificative alcune osservazioni riportate dagli intervistatori.
“L’intervista si è svolta in un clima abbastanza rilassato. C’era un po’ di tensione
iniziale ma è andato tutto bene dopo le prime domande. Ha reagito un po’ male (‘Ma che domande sono?!’) quando le ho chiesto se sa leggere e scrivere nella sua lingua originaria. Nelle successive domande ho dovuto recuperare un po’
37
Badante, una professione di congiunzione
di fiducia. Poi è stato difficile parlare della famiglia perché si vedeva che provava
una forte nostalgia. Un altro punto critico è stato la soddisfazione di sé: si vedeva
che era commossa e a disagio, ma in ogni domanda è sempre stata sincera. Ha
avuto qualche perplessità anche per parlare del suo contratto di lavoro (‘Non voglio problemi!’) allora le ho spiegato di nuovo che non doveva preoccuparsi. Sapeva di guadagnare poco, non lo diceva in modo rassegnato, ma quasi con coraggio perché come lei in giro non ce ne sono! Alla fine era ottimista soprattutto
perché spera di vedere presto il marito. Forse perché domenica 13 agosto parte
per l’Ucraina, quindi era abbastanza contenta” (1FR).
“La signora è molto triste, ma sincera, non ha avuto nessun problema a raccontare la sua storia. Non ha mai discusso su nessuna domanda, anche se ha fatto fatica a dirmi il titolo di studio che possiede. È molto giù di corda, rassegnata
sul suo lavoro e sulle sue condizioni. Le hanno offerto un altro lavoro pagato
meglio ma non lo vuole perché non vuole abituarsi ad un’altra famiglia” (2FR).
“L’intervistata, laureata nel Paese d’origine, parla perfettamente in italiano ed è
sincera nella conversazione. La sua tristezza maggiore è legata alla sua delusione professionale, vorrebbe fare un lavoro più qualificato: è stata una ispettrice doganale nel suo Paese. Mi fa vedere una foto della sua famiglia e del
suo attuale fidanzato italiano e ci invita a uscire una sera insieme” (9RS).
I
Va poi sottolineato che nel corso dell’intervista non è stato richiesto alcun documento attestante l’identità e la veridicità delle dichiarazioni rese (per esempio sul
titolo di studio, sullo stato civile, sull’età ecc.), sebbene qualche intervistata abbia
spontaneamente voluto esibire i propri documenti, più in segno di affermazione
di sé che di verifica dell’identità personale.
Ciò non di meno, all’intervistatore era richiesto di formulare per ogni risposta conseguita una sorta di giudizio personale di affidabilità21, basato sulla modalità con
cui veniva resa la risposta stessa. È vero che trattasi di un giudizio soggettivo e
percettivo, ma si ritiene possa comunque rappresentare uno spunto per leggere
38
21 Per ogni risposta si chiedeva all’intervistatore di attribuire un punteggio di “affidabilità percepita” sulla risposta, posto su una scala da 1
= inaffidabile a 5 = molto affidabile.
più correttamente le testimonianze raccolte.
Si legge per esempio nelle annotazioni degli intervistatori:
“L’intervistata è stata disponibile... alla domanda ‘In che anno sei nata?’ ho avu-
to l’impressione che non mi abbia detto la verità perché ci ha pensato un po’
prima di rispondere; inoltre mi sembrava più giovane, penso sui 30 anni non
di più... poi si è tranquillizzata molto e ha risposto velocemente e serenamente
dopo aver fatto delle domande rispetto all’anonimato dell’intervista” (4RS).
“L’intervista si è svolta in un clima allegro e disteso. La signora era molto contenta forse perché tra pochi giorni tornerà a casa per un periodo di ferie. L’intervista
è durata molto, la signora anziana accudita ci interrompeva spesso per parlare
della sua gioventù e così ho dovuto più volte ricondurre l’attenzione al questionario. La disponibilità a parlare era massima: le ho chiesto se aveva il permesso di
soggiorno, voleva farmi vedere tutti i documenti che aveva, anche la tessera sanitaria!” (4FR).
La tipologia delle donne coinvolte
Il campione intervistato è rappresentato esclusivamente da donne, caratterizzazione
di genere che riguarda la quasi totalità di questo particolare segmento del mercato
del lavoro. Sono donne però che presentano talora similarità, talaltra diversificazioni
anagrafiche che meritano di essere esplorate.
La provenienza geografica
La geografia di provenienza non si configura molto variegata: maggioritaria si presenta l’origine ucraina (22 su 58), seguita dalla moldava (16 su 58) e dalla rumena
(12 su 58); altri Paesi sono annoverati soltanto con una unica presenza.
Tabella 12. La ripartizione per Paese di provenienza
Nazione di
provenienza
Num. interviste
Ripartizione %
Nazione di
provenienza
Num. interviste
Ripartizione %
Albania
2
3,4%
Mauritius
1
1,7%
Bielorussia
1
1,7%
Moldavia
16
27,6%
Bulgaria
1
1,7%
Romania
12
20,7%
Burkina Faso
1
1,7%
Russia
1
1,7%
Croazia
1
1,7%
Ucraina
22
37,9%
39
Badante, una professione di congiunzione
L’età, lo stato civile e il titolo di studio
L’età media delle intervistate si attesta all’incirca sui 41 anni, con una distribuzione
simmetrica attorno a questo valore e un range di variazione che si estende tra un minimo di 22 anni e un massimo di 58 anni.
L’età media si presenta dunque piuttosto elevata: solo un’intervistata su 10 ha meno
di 30 anni (Graf. 9). Limitando l’attenzione ai tre gruppi di provenienza maggiormente numerosi (Ucraina, Moldavia, Romania), il più giovane risulta quello delle rumene
caratterizzato da una età media pari a 34 anni, mentre le più mature anagraficamente sono le ucraine con un’età media pari a 46 anni.
Grafico 9. Distribuzione del campione per classi d’età
Se si classificano le intervistate in relazione allo stato civile, emerge che il gruppo più
numeroso è rappresentato da donne coniugate (34 su 58); in generale però si tratta
di persone che non hanno un progetto di vita in Italia (Graf. 10): infatti quattro assistenti familiari su cinque, pur essendo coniugate, non vivono nel nostro Paese con la
propria famiglia. Ciò dimostra come la scelta di emigrare possa rappresentare per
queste donne una esperienza molto complessa, su cui gravano i legami familiari la-
40
sciati “temporaneamente” nella terra d’origine22.
22 L’aspetto dei legami familiari viene approfondito nel § 3.8 La presenza lontana dei figli da gestire.
Per quanto concerne la scolarità, i livelli di istruzione appaiono elevati (Graf. 11), registrando in media una permanenza nel sistema scolastico di 15 anni; più in dettaglio
Grafico 10. La ripartizione per stato civile
21 su 58 intervistate hanno affermato di avere conseguito una laurea, mentre 22 dichiarano il possesso di un diploma di scuola media superiore.
Disaggregando opportunamente i dati, presenta una permanenza media più lunga entro il sistema scolastico la lavoratrice proveniente dall’Ucraina (mediamente 17 anni) e
questa maggiore scolarizzazione è ulteriormente comprovata dalla disaggregazione per
titolo di studio; all’opposto la lavoratrice che annovera un minore livello di scolarità è
quella moldava (mediamente 14 anni di permanenza nel sistema scolastico).
Queste caratterizzazioni portano a constatare la presenza di un “capitale umano” inutilizzato nel Paese di destinazione e, parallelamente, di un impoverimento per i Paesi di provenienza.
Grafico 11. Titoli di studio: differenziale etnico
41
Badante, una professione di congiunzione
La tipologia del “soggiorno”
Le lavoratrici che dichiarano di possedere un regolare permesso di soggiorno sono 25
e per la maggior parte si tratta di un permesso rilasciato per lavoro subordinato (19).
Ne risulta dunque che l’irregolarità coinvolge ben più della metà delle intervistate
(33 su 58) e una parte di queste (7) ha dichiarato di essere stata in Italia già prima
dell’ultima sanatoria. È vero che questo genere di domanda può ingenerare timore e
quindi può comportare una risposta non del tutto veritiera, d’altra parte però gli intervistatori hanno attribuito un buon livello di affidabilità alle risposte conseguite.
Analizzando con maggiore dettaglio l’anno di arrivo in Italia (Graf. 12), si può asserire
che le intervistate complessivamente si trovano nel nostro Paese da circa 4 anni,
quindi da un tempo medio non di molto superiore a quello di permanenza a Vicenza
(circa 3 anni e mezzo), dimostrando che per questo particolare segmento di immigrazione Vicenza può costituire il luogo di “prima venuta”.
Emblematica risulta anche la suddivisione per anno di ingresso in Italia con distinzione sul possesso del permesso di soggiorno: si evince infatti una distribuzione speculare secondo cui gli ingressi in anni più recenti (dal 2002 in poi) appaiono caratterizzati quasi esclusivamente da donne prive di permesso di soggiorno.
Come abbiamo visto, la maggior parte dichiara di abitare nella provincia di Vicenza
almeno da tre anni (36 su 58), descrivendo quindi un periodo relativamente “breve”
di percorso migratorio. Se si guarda alla dislocazione per Comune (Tab. 13), si può
Grafico 12. Anno di ingresso in Italia e possesso di permesso di soggiorno
42
constatare una maggiore concentrazione di intervistate nell’area ovest della provincia, ma questa caratteristica è fondamentalmente legata alle modalità con cui sono
state reclutate le intervistate stesse.
Tabella 13. La ripartizione per comune di locazione
Comune
Num. interviste
Comune
Num. interviste
Arzignano
8
Montecchio Magg.
4
Bassano
3
Monteviale
1
Castelgomberto
1
Recoaro
1
Cornedo
1
Sarego
1
Isola Vicentina
2
Schio
2
Malo
5
Sovizzo
1
Marano Vicentino
1
Thiene
2
Marostica
1
Valdagno
13
Montebello
1
Vicenza
10
Infine, la sistemazione abitativa più diffusa è quella di essere ospite presso la famiglia in cui l’assistente familiare presta attività lavorativa (48 su 58), mentre risultano
davvero contenute le sistemazioni in affitto con altri connazionali (5 su 58), con la
propria famiglia (2 su 58) o in casa di proprietà (2 su 58).
I vissuti non semplici del percorso migratorio
È parso interessante approfondire l’iter migratorio, facendo riferimento al momento,
al luogo, alle motivazioni di ingresso in Italia, oltre che alle criticità incontrante.
Da quanto tempo in Italia
Come più sopra esplicitato, la permanenza in Italia è risultata mediamente di 4 anni
e Vicenza si configura proprio come la provincia di primo approdo per la metà delle
intervistate. Entrando nel dettaglio, i luoghi di primo arrivo risultano essere prevalentemente concentrati al Nord (41 su 58), sebbene Napoli sia la città numericamente
più rappresentata dopo Vicenza (Tab. 14). Inoltre il periodo in cui si registra il maggior
numero di ingressi è rappresentato dal triennio 2002-2004 (30 intervistate su 58).
43
Badante, una professione di congiunzione
Tabella 14. La ripartizione per luogo di “primo arrivo”
Aggregazione
Provincia
di Vicenza
Altri luoghi
del Veneto
Altri luoghi
del nord
Luogo
Num.
Aggregazione
Luogo
Num.
Arzignano
2
Bari
1
Malo
1
Caserta
1
Montecchio Magg.
4
Cosenza
1
Valdagno
7
Luoghi del
Centro sud
Napoli
10
Pompei
1
Reggio Calabria
1
Vicenza
15
Totale
29
Feltre
1
Roma
1
Padova
6
Salerno
1
Treviso
1
Totale
17
Mestre
1
Totale Centro-sud d’Italia
17
Venezia
1
Verona
1
Totale
11
Brescia
1
Totale
1
Totale Nord d’Italia
41
Infine la disaggregazione per provenienze geografiche evidenzia come il sottogruppo
delle ucraine sia connotato da un periodo più lungo di permanenza in Italia: mediamente queste lavoratrici si trovano qui da 5 anni, mentre la media per rumene e
moldave è di poco meno di 3 anni.
Le difficoltà dell’ingresso
L’ingresso in Italia si è configurato particolarmente difficile per 43 donne su 58 e la
lettura dei risultati permette di identificare una gerarchia delle criticità (Graf. 13).
44
I
La difficoltà più frequentemente segnalata è legata alla ricerca di un lavoro (22 su 58),
che caratterizza prevalentemente chi non ha un permesso di soggiorno (14 su 33).
I
I problemi ascrivibili genericamente all’ingresso, ossia alle questioni di ordine
burocratico e amministrativo sottostanti al conseguimento del permesso di sog-
Grafico 13. Gerarchia delle difficoltà incontrate nell’ingresso in Italia
giorno (lecite) o alle prassi/iter di ingresso (illecite) sono riferiti da 21 donne su
58, quasi equamente distribuite entro i sottogruppi delle regolari e delle irregolari. Nello specifico molte testimonianze rivelano l’esistenza di percorsi migratori a volte difficili dove permangono illegalità, pericolo e clandestinità e dove
l’accesso avviene su richiesta di un compenso che assume il connotato di sfruttamento di situazioni di debolezza. Va evidenziato però che queste problematiche sono specificatamente correlate al Paese d’origine e riguardano le provenienze da Moldavia e Ucraina; diversa è invece la situazione per le donne rumene: l’ingresso dalla Romania infatti non richiede il visto e quindi le frontiere risultano più permeabili.
I
La difficoltà linguistica, segnalata complessivamente da 15 lavoratrici, ha riguardato prevalentemente la componente regolare.
I
Le criticità correlate a fabbisogni relazionali, concernenti il proprio vissuto di solitudine (14 su 58), tradotti nella mancanza di contatti con la propria famiglia (9 su
58), o addirittura alla paura per la sicurezza personale (5 su 58), riguardano complessivamente un quarto delle donne contattate.
45
Badante, una professione di congiunzione
Alcuni racconti descrivono puntualmente queste criticità.
“Anche se sono arrivata e avevo conoscenti del mio Paese non riuscivo a trovare
lavoro subito perché non parlavo italiano e non sapevo che fine avrei fatto...” (6RS).
“Anche se avevo conoscenti connazionali ho avuto difficoltà perché bisogna contare solo su sé stessi!” (5CG).
“...Tanti i problemi: sopravvivere, alloggio, lavoro, solitudine. Io e mio marito
siamo partiti assieme, ma sono entrata prima io: 3.500 euro per entrare in
Italia, ora sono 11.000, devo ancora finire di pagare... Nel viaggio ci hanno
bloccati in Ungheria: io ci sono rimasta un mese, mio marito è arrivato in Italia due settimane dopo di me. Io in tre settimane la lingua la sapevo già, lui
in nove mesi niente!” (2FR).
“Il viaggio dall’Ucraina è pericoloso, si pagano 3.000 euro per arrivare in Italia e
con un viaggio che si rischia la vita, di contrabbando, per bosco e poi mi hanno
fatto carte false come il visto turistico. Sono in Italia dal 2001 e senza permesso.
Non sono mai tornata a casa” (9RS).
“Per venire in Italia dalla Moldavia ho dovuto pagare 2.700 euro e questi soldi li
ho chiesti in prestito con un 10% di interessi” (3RS).
“Dalla Moldavia ho pagato per entrare in Italia 3.000 euro però mi hanno fatto
il visto: ho pagato per quello! Tutti pagano per entrare, le cose non succedono
facilmente. Le giovani pagano in altri modi, a me non è successo invece per
trovare lavoro” (9FR).
“Per venire in Italia dalla Moldavia ho dovuto pagare, tanto, 3.000 euro e me
li hanno prestati... È costato caro arrivare in Italia, ho dovuto pagare connazionali” (1DM).
“Da dormire ho trovato subito, il lavoro dopo una settimana e mezza, sentivo la
solitudine e mi mancava la mia famiglia. Poi non capivo la lingua” (12 FR).
“Quando sono arrivata a Malo per la prima volta avevo già dove vivere, avevo
mia sorella qua, ma mi mancava lo stesso la famiglia. La lingua era un altro pro-
46
blema... ma ho imparato da sola, dopo un mese e mezzo già parlavo abbastanza bene” (11FR).
“...Ho avuto problemi di sicurezza personale, molte moldave rischiano di finire in
giri strani” (2RS).
I “perché” della scelta di emigrare
La motivazione che soggiace alla scelta o alla necessità di emigrare in Italia è legata
quasi esclusivamente alla ricerca di un lavoro e al miglioramento della condizione
economica (52 su 58) e, in taluni casi, è correlata espressamente a questioni di vera
e propria sopravvivenza (4 su 58); restano invece del tutto marginali gli ingressi per
ricongiungimento familiare (2 su 58).
Viene riferito come nel Paese d’origine non manchi di per sé la possibilità di lavorare,
ma i livelli retributivi risultano di molto inferiori rispetto a uno standard decoroso di
vita. Molte donne raccontano che la svalutazione della moneta sembra essere stata
la causa scatenante di questa crisi economica, che ha di fatto riguardato tutti i ceti
sociali. A ben guardare la maggior parte di queste donne non appartiene infatti a
classi sociali basse e conferma di aver goduto di un tenore di vita molto buono in
passato. A questo proposito è significativo riportare alcuni racconti.
I
Dalla Moldavia:
“Quando la Moldavia si è scissa dalla Russia sono iniziati i problemi economici per
la mia famiglia: il cambio della moneta ci ha resi poveri. Dovevamo vivere con
200 euro al mese che bastavano appena per le spese della casa. Io ero una pediatra in un ospedale... Non avevamo terra da coltivare, in banca avevamo 70 milioni e ci siamo ritrovati con 60 centesimi e le fabbriche hanno iniziato a chiudere.
La responsabilità di tutto questo per me è dei russi, sono ladri e ci hanno portato
via tutto!... In Moldavia tutto è mafia, promettono ma non mantengono e rischi che
ti costringano a fare la prostituta. Se si decide di venire in Italia è importante prepararsi (studiare l’italiano) e avere parenti che ti aiutano i primi mesi a cercare un
lavoro onesto” (1RS).
“Per cinque anni ho lavorato in una banca, fino al 1992-1993, anno in cui la Russia si è divisa dalla Moldavia. Questa scissione ha portato alla chiusura di tutte le
banche e le fabbriche, la moneta ha cominciato a non valere più nulla... ed è iniziata la povertà. Dopo la chiusura delle banche ho iniziato a lavorare la poca terra
che avevamo, ma il ricavato era troppo basso per mantenere la famiglia. Prima
della divisione la terra e i mezzi agricoli erano in comune, la sanità e la scuola non
si pagavano, poi hanno dato un pezzo di terra a ciascuno, ma hanno portato via i
47
Badante, una professione di congiunzione
mezzi agricoli per lavorarla; la scuola e la sanità sono diventate a pagamento e i
prezzi sono lievitati!” (3RS).
“In Moldavia lavoravo come ragioniera in una ditta che esportava anche all’estero,
era grossa e si occupava di imballaggio, ma dalla sera alla mattina ha chiuso... Gli
stipendi erano bassi e non potevano garantire un normale tenore di vita” (6RS).
“Ho dovuto lasciare il mio Paese (la Moldavia) per sopravvivere: vivevamo a casa
dei genitori di mio marito, ma ci hanno cacciati. In più, per problemi economici,
lavoravamo la terra ma non riuscivamo a mangiare!” (2FR).
I
Dall’Ucraina:
“Sono venuta qua per far studiare i miei figli, la condizione economica nel mio
Paese (l’Ucraina) era troppo difficile!” (6DM).
“...l’Ucraina è in crisi economica, con lavoro che c’è anche, ma stipendi troppo
bassi che non ce la fai a mantenerti. Tutta colpa della rottura con l’Unione Sovietica perché ci hanno rubato tutto, molti sono diventati dei barboni!” (9RS).
“Sono venuta in Italia perché là (in Ucraina) c’era crisi totale: sette mesi senza stipendio e no soldi per mangiare!” (1FR).
I
Dalla Romania:
“Sono venuta in Italia perché devo comperarmi una casa in Romania e anche
per pagare le cure sanitarie per mio padre... Sono emigrata con il mio fidanzato
nel 2002, poi sono ritornata là per sposarmi e poi sono ritornata qua con mio
marito. Non ho permesso di soggiorno; è da 4 anni che sono qua ma torno a casa ogni 6 mesi e resto là 3 mesi” (1AC).
“Nel mio Paese non avevo più un lavoro: ho lavorato per 16 anni in una fabbrica
tessile ma poi ha fallito e sono rimasta senza lavoro” (5AC).
Alcune di loro affermano poi di essere giunte in Italia con un permesso turistico ma
con l’intento già di soffermarsi certamente per un periodo più lungo di quanto previ-
48
sto dal permesso stesso. Racconta una donna moldava:
“Sono arrivata in Italia con un permesso di 3 mesi, poi non lo ho rinnovato perché non
ero a conoscenza che scadeva... Ora ho fatto domanda e sono in attesa di un nuovo
permesso. Sono arrivata il 21/4/2004. Sono una pediatra laureata in medicina, cono-
scevo già l’italiano e avevo una sorella già in Italia. Ho avuto all’inizio dei problemi con
il lavoro, ma poco dopo ho trovato l’attuale famiglia presso cui lavoro” (1RS).
Perché Vicenza come meta
Come detto precedentemente, la metà delle intervistate (29 su 58) annovera come
prima meta in Italia proprio la provincia di Vicenza, ma se si guarda alla motivazione
che ha portato comunque le intervistate a raggiungere questa provincia, si constata la
forte influenza delle reti etniche: la quasi totalità (53 su 58) afferma di essere venuta
a Vicenza proprio perché aveva parenti e/o amici connazionali già stabiliti qui oppure
perché indirizzata qui da amici e/o parenti connazionali (5 su 58). È inoltre vero che,
accanto alla presenza in loco di conoscenti che hanno favorito il loro contatto e il loro
inserimento in ambienti lavorativi, gioca un ruolo importante la facilità di trovare un
lavoro in questa provincia e con migliori condizioni rispetto alle province del Sud.
In questo senso la rete etnica assume la sua valenza positiva di luogo di scambio
informativo e di reciprocità allargata, divenendo talora il mezzo per intraprendere percorsi di mobilità non solo geografica ma anche lavorativi migliori ed economicamente
più remunerativi. I seguenti racconti sono in grado di dare conto a queste osservazioni.
I
Reti etniche e maggiori possibilità di lavoro:
“Sono venuta qui per i miei amici, mi hanno detto vieni che c’è un lavoro ad Arzignano” (9FR).
“Io sono arrivata a Brescia, sono venuta a Vicenza dopo poco perché mi ha chiamata una mia amica perché c’era lavoro” (4CG).
“Ero a Napoli, le mie amiche ucraine di Vicenza mi hanno detto che qui è più facile trovare lavoro e famiglie più disponibili che a Napoli... sfruttano là e avevo paura” (4RS).
“Avevo chiesto in giro, avevo sentito che qui a Vicenza c’erano buone possibilità di
lavoro. Sono arrivata qua...” (8DM).
“Sono arrivata a Cosenza dove ho trovato lavoro per un anno circa. Poi la signora
anziana è morta e una mia amica immigrata anche lei mi ha consigliato Vicenza
perché qua c’è più lavoro” (10DM).
“Prima sono arrivata a Valdagno poi sono andata a Napoli però era caro: lavoravo in un ristorante per fare le pulizie e dormivo lì. Un mese ho lavorato lì, poi mi
49
Badante, una professione di congiunzione
hanno aiutata a venire a Vicenza di nuovo. Per un mese ho lavorato 4 ore al giorno da una signora, ma mio marito niente, non trova nessun lavoro” (2FR).
I
Reti etniche e stipendi più elevati:
“Alcuni amici connazionali mi hanno trovato un lavoro a Vicenza, nel Sud pagano
meno e mi trattavano come un animale” (4FR).
“Lo stipendio è più alto qui che al Sud e poi ho avuto contatti qua con qualcuno
del mio Paese...” (1FR).
I
Migrazioni di gruppo o familiari:
È visibile, infine, come in alcuni casi (6 su 58) il percorso migratorio stesso sia iniziato
assieme ad altre donne connazionali o familiari e sia cioè di tipo “gruppale”, quasi a
condividere un “destino comune”. L’attivazione di circuiti migratori viene pertanto
supportata da legami di amicizia, di parentela, o ancora di conoscenza tra connazionali, che appunto legano coloro che scelgono di migrare, quelli che sono già arrivati,
ma anche coloro che rimangono nel Paese d’origine.
“Avevo qua mia sorella che mi ha trovato dove vivere. Siamo qua in 4 sorelle: io
sono arrivata per seconda assieme ad un’altra sorella” (11FR).
“Sono venuta con una mia amica, mi aspettavano qui. Dieci giorni per il lavoro,
subito dove dormire. Poi dovevamo andare a Roma, ma la mia amica è andata
via. Io avevo un’altra amica qua e sono rimasta” (6FR).
“Sono arrivata subito qui a Vicenza nel 2000 perché qui avevo amici, poi mi ha raggiunta anche mia figlia con la sua famiglia” (5CG).
Un frequente scollamento tra professione nel Paese
d’origine e professione attuale
Per quanto concerne l’esperienza lavorativa nel Paese d’origine, la quasi totalità delle
interpellate (56 su 58) riferisce di aver avuto una occupazione nel proprio Paese. Seb-
50
bene la varietà delle categorie professionali si configuri abbastanza ampia (Tab. 15), si
riscontra come nella maggior parte dei casi (35 su 56) si tratti di occupazioni di concetto e l’impiegata sia la professione prevalente. Una precedente esperienza in ambito assistenziale viene invece riferita da 7 donne, di cui 4 infermiere professionali e 3 medici.
Vengono, peraltro, annoverate professioni di prestigio e/o posizioni apicali: nel gruppo delle intervistate sono infatti presenti insegnanti che dichiarano di aver raggiunto i massimi livelli della carriera scolastica (anche universitaria), medici e pediatri
ospedalieri, chimici e biologhe dirigenti, commercialisti e funzionari di banca.
Anche la classificazione dei settori di occupazione si configura composita, risultando
prevalente il commercio, seguito dai servizi bancari e dalla sanità.
Tabella 15. Occupazioni e settori di attività
Professione
Impiegato
Num. interviste
14
Settore di attività
Num. interviste
Commercio
13
10
Operaio
8
Servizi bancari e finanziari
Imprendit./dirigente/lib.profess.
8
Sanità
7
Commerciante
7
Scuola
5
Insegnante
6
Chimica/gomma/plastica
4
Infermiere/assistente sociale
4
Metalmeccanico
4
Medico
3
Tessile/abbigliamento
2
Cameriere/domestico/colf
3
Alimentare
2
Coltivatore diretto/agricoltore
2
Agricoltura/allevamento
2
Cuoco/panettiere
1
Concia/pelli/calzature
1
Nessuna esperienza
2
Ristorazione
2
Pubblica amministrazione
3
Servizi domestici/di pulizia
1
Nessuna esperienza
2
Totale
58
Totale
58
In definitiva, si constata un significativo scollamento tra la professione agita nel Paese di provenienza e quella attuale di badante ma, come si avrà modo di approfondire nel prosieguo, fare l’assistente familiare in Italia risulta di gran lunga più remunerativo di qualsiasi altra professione nel Paese d’origine. Nel corso della trattazione, inoltre, si avrà modo di verificare che per la maggioranza delle lavoratrici il lavoro “desiderato potendo scegliere” è rappresentato proprio dalla professione agita precedentemente nel Paese di provenienza.
51
Badante, una professione di congiunzione
Un mestiere imparato per necessità
In questa sezione si è inteso approfondire il lavoro della badante nei suoi aspetti generali, ossia con riferimento al perché della scelta di questo lavoro, alle difficoltà che
si incontrano nel suo svolgimento, al turnover e alle sue motivazioni, rinviando al paragrafo seguente l’analisi delle specificità dell’esperienza nel vissuto quotidiano.
Il perché di una scelta
La maggior parte delle intervistate annovera mediamente una esperienza come badante di almeno tre anni e mezzo, risultando pressoché nulli i periodi di disoccupazione dall’ingresso in Italia. È un lavoro quindi che si trova abbastanza velocemente, indipendentemente dal possesso o meno del permesso di soggiorno, anzi probabilmente proprio la
tipologia di questa professione meglio risponde alle necessità di una persona irregolare.
È vero infatti che le famiglie richiedono generalmente un “rapporto” a tempo pieno e
offrono l’alloggio nella medesima abitazione dell’assistito, così da garantire una presenza costante e continuativa. Al contempo la difficoltà di trovare un alloggio, specie
per quante sono prive di permesso di soggiorno, risulta un’ardua incognita che trova
con questo lavoro una facile risposta. Ciò non di meno, la coincidenza del luogo di lavoro con l’alloggio impone non poche implicazioni, quali la mancanza di spazi propri
e il vincolo di condivisione degli spazi con l’assistito; a ciò si aggiunge che la perdita
del lavoro comporta in questo caso anche la perdita dell’alloggio.
La quasi totalità delle intervistate (56 su 58) vede questa occupazione non come una
scelta, quanto come l’unica possibilità che consente di guadagnare. Che si tratti, dunque, di una “scelta obbligata” è ben visibile da queste testimonianze:
“Ho imparato da sola questo lavoro, con pazienza. Mi piace, è lavoro sempre in
casa, ho un letto per dormire e ho tutto. Sono tranquilla perché non ho permesso
di soggiorno e non so cos’altro fare e poi lo faccio per i soldi” (5FR).
“Ho imparato da sola, d’istinto! Questo lavoro è l’unica possibilità perché non ho i do-
52
cumenti in regola, e ti dà possibilità di soldi e alloggio: è un lavoro dignitoso” (1DM).
“Ho imparato da sola per sopravvivere... ho pregato il Signore che mi dava la forza per andare avanti. Non avevo altre scelte come lavoro, senza carte almeno vivo protetta e al sicuro” (9RS).
“Non ho deciso di essere badante ma sono stata costretta perché fanno fatica le
aziende ad assumere per contabilità una straniera che ha studiato fuori, le regole
qui sono diverse, o facevo la prostituta o la badante e faccio la badante!” (4RS).
“Ho imparato da sola. Fin da piccola sono stata abituata ad arrangiarmi e a fare
di tutto. Ho fatto esperienza da sola. Non ho deciso per questo lavoro. Ho dovuto!
Sono venuta in Italia per guadagnare per me ma soprattutto per i miei figli. Questo è stato il primo lavoro che ho trovato!” (5CG).
A detta delle intervistate, è questo un lavoro che si impara abbastanza velocemente
e che non richiede particolari conoscenze o competenze, forse anche un po’ di buona
volontà per adattarsi e un buon carattere per adeguarsi. La maggior parte delle donne contattate (38 su 58) afferma di aver imparato da sola questo mestiere ed è proprio la pratica che le ha portate a “capire” come svolgere questa professione; alcune
sono state aiutate da loro amiche connazionali (5 su 58), poche altre sono state istruite dagli assistiti stessi o dai loro familiari (3 su 58). Esplicative al riguardo risultano le
seguenti testimonianze:
“Non mi ha insegnato nessuno questo lavoro, non devo fare cose impegnative. Il
più delle volte si tratta di fare compagnia all’anziano assistito e curarlo nella persona. Comunque le mie amiche, che hanno il mio stesso lavoro, mi hanno dato
spesso utili consigli. Faccio questo lavoro perché è richiesto il lavoro di badante ed
è quello che è più semplice da trovare!” (7AC).
“La prima signora dove lavoravo, suo figlio mi ha insegnato come fare per pastiglie, punture ecc. Faccio questo lavoro perché ho sentito che ce n’era un gran bisogno, non avevo i documenti e perché la mia laurea qua non vale. Lavoravo in
banca e ho una laurea in economia” (7FR).
“Non mi ha insegnato nessuno. Sono stata fortunata perché sono stata aiutata
dalla famiglia degli anziani che assistevo. La prima signora era autosufficiente e
aveva solo bisogno di compagnia. Ero molto legata alla prima signora anziana,
poi è morta” (6AC).
È interessante sottolineare come una quota significativa di donne (12 su 58) annoveri il
possesso di specifiche conoscenze di tipo infermieristico/assistenziale (attinenza del
percorso di studi o frequenza di corsi specifici o esperienze di lavoro in ambito sanitario).
Viene peraltro riferito che nel normale ciclo scolastico del Paese d’origine (nello spe-
53
Badante, una professione di congiunzione
cifico Ucraina e Moldavia) sono contemplati corsi di Pronto Soccorso, spesso collegati
a simulazioni in caso di una guerra. Alcune di loro raccontano:
“Questo lavoro è la vita che te lo insegna, lo ho imparato per forza, non serve
una scuola, se non per cose da infermiera. In Moldavia nei corsi è obbligatoria la
infermeria di base, così in caso di guerra siamo preparati!” (9FR).
“Durante l’estate a scuola (in Moldavia) ci hanno preparato ad affrontare un primo soccorso (fasciature, medicazioni, iniezioni) e anche a sparare per una eventuale guerra. Questo è stato l’unico lavoro che ho trovato in Italia” (7CG).
“D’estate a scuola in Moldavia ci hanno preparato per una guerra eventuale: abbiamo imparato a sparare ma anche a medicare, fare iniezioni ecc. E anche l’esperienza come mamma mi è stata molto utile” (6CG).
Una considerazione complessiva, spesso richiamata dalle intervistate, è la correlazione di questo lavoro (assistenza a persone anziane) con l’assistenza svolta per la cura
dei familiari nel Paese di provenienza, ossia per i propri figli, genitori o nonni, assimilando a questa professione un’attività di normale vissuto familiare. I seguenti racconti esemplificano queste affermazioni:
“Ho imparato da sola, ero abituata a fare queste cose. Siamo abituati a vivere
con i genitori e a occuparci di loro. Faccio questo lavoro perché è più semplice
per chi non ha documenti, si impara la lingua piano piano” (6FR).
“A casa curavo i bambini, ho imparato da sola anche con le medicine. Non c’è altro lavoro. E poi se fai un altro lavoro devi trovarti una casa, pagare l’affitto, così
invece hai tutto!” (12FR).
“Ho imparato con la pratica: mia suocera a casa (in Romania) aveva male al
piede. Avevo anche iniziato a seguire un corso per infermiera ma con il lavoro e
i bambini piccoli ho lasciato perdere. Avevo imparato a fare punture e le fasciature. Qui in Italia ho deciso di fare questo lavoro per aiutare mia figlia e per stare con il mio nipotino. E comunque questo è il lavoro che mi hanno offerto perché non ho i documenti. Faccio questo lavoro perché non ho altra possibilità,
54
non perché piace!” (3FR).
“Mia sorella è infermiera e fa la badante anche lei qua. Mi aveva spiegato un po’
lei come fare, ma anche mia madre mi aveva spiegato perché là (in Romania) ha
curato molti anziani. Non è facile fare un altro lavoro appena arrivata. Scegli que-
sto perché non ci sono altre possibilità. Bisogna avere il carattere per fare questo
lavoro, se non ci si trova bene anche con se stessi è inutile fare questo lavoro. È
uno scambio, oltre che di lavoro, si aiutano gli anziani e si viene aiutati” (11FR).
A questo proposito si potrebbe essere indotti a pensare che sussista, entro la componente immigrata, una innata propensione verso la cura degli anziani, ma questa visione appare troppo semplicistica e fondata piuttosto su uno stereotipo diffuso tra la
comunità ricevente (autoctona). Ciò non esclude, tuttavia, che un qualche riflesso
venga dai modelli culturali sul lavoro di cura familiare e, più in generale, dai modelli
di accudimento degli anziani nei Paesi d’origine. In Ucraina, per esempio, il modello
dominante di assistenza agli anziani vede al centro la famiglia poiché l’anziano viene
in essa accudito. In Romania, la famiglia è vincolata dall’aspetto economico a tenere
l’anziano a casa, altrimenti minore sarebbe la remora culturale nel delegarne la cura
a istituti pubblici o privati.
Si può dunque asserire che la presenza di queste lavoratrici sia strumentale, ossia finalizzata ad assicurare una esistenza più dignitosa per sé e per i propri familiari, sebbene il background culturale possa rappresentare un elemento a supporto del loro inserimento in questo settore del mercato del lavoro.
Le criticità del lavoro di cura
Lo schema delle difficoltà incontrate nello svolgimento di questa professione si
presenta abbastanza correlato ai singoli vissuti e condizioni delle persone e perciò
è difficilmente riconducibile a sintesi. Ciò non di meno, volendo tentare una graduatoria delle criticità, si potrebbe posizionare all’apice la mancanza di tempo per
se stesse: è questo un lavoro che occupa quasi sempre tutto l’arco della giornata e
che non lascia spazi di autonomia personale. Al riguardo sono esemplificative le
seguenti testimonianze:
“All’inizio ho avuto problemi di capirsi, anche con la signora che assistevo, poi
però si è scoperto che aveva l’Alzehimer... E poi il tempo mi manca, per me è poco: se sei badante lo senti!” (8FR).
“Tante volte mi sento in carcere, secondo l’anziano dovrei stare sempre con lui e
se esco devo tornare presto. Tante volte mi sento sola, non ho nessuno o amici
con cui parlare la mia lingua!” (4CG).
55
Badante, una professione di congiunzione
“Mi sento sola, sono isolata e non ho contatti con nessuno! Faccio fatica a capire,
perché sono sempre con l’assistito che è sordo e parla pochissimo, non esco quasi mai e parlo solo la mia lingua!” (9CG).
Al secondo posto si collocherebbero le difficoltà relazionali, in parte legate alla lingua,
in parte correlate con le abitudini, gli usi, le tradizioni, i contesti in cui le due realtà
(quella immigrata e quella autoctona) vengono a incontrarsi o scontrarsi. L’assistente e
l’assistito non parlano la stessa lingua e provengono da ambienti diversi; si trovano
però a condividere gesti e spazi della vita quotidiana partendo da esperienze, tradizioni, concetti ed emozioni molto diverse. L’impegno richiesto per poter agire in armonia
è quindi molto elevato, ma è necessario per evitare fraintendimenti e disagi reciproci.
Inoltre la difficoltà comunicativa diviene anche difficoltà relazionale, nel senso che la
lavoratrice si trova nella necessità di costruire un rapporto fiduciario sia con l’anziano,
con il quale deve entrare in stretta relazione, adattarsi alle sue regole e necessità e ridurre il senso di estraneità; sia con i familiari che spesso richiedono risposte adeguate
alle loro aspettative. I racconti seguenti sono in tal senso esemplificativi:
“I problemi sono a capirsi: parlano tutti dialetto o correggono! E poi c’è difficoltà di
rapporto con gli assistiti: soprattutto all’inizio, ma anche dopo perché dipende
dall’anziano che hai: finché il marito dell’anziana che assistevo era in ospedale,
lei era tremenda. Mi picchiava e a volte lo fa ancora. Ma mi ha accettata come
una di casa. Questo è un lavoro di testa!” (2FR).
“Avevo problemi di lingua all’inizio ma anche dopo con il dialetto: adesso invece
lo capisco. All’inizio poi stavo male a vedere certe reazioni di rifiuto da parte dell’anziano, poi ho capito che era la malattia a fare questo” (11FR).
“Con gli anziani ci vuole tanta pazienza! Certi sono proprio difficili ed è fatica stare con loro sempre vicino. E poi non posso tornare a casa perché non ho il permesso e se esco sarebbe poi difficile rientrare” (10DM).
“Le maggiori difficoltà le ho avute con i familiari. Loro non si interessano di nulla.
Io vado dal medico, parlo con lui per l’anziano, faccio tutto. I familiari litigano tra
56
di loro e questo peggiora i rapporti con me, perché non so cosa fare, chi ascoltare, tante volte faccio io...” (5CG).
“I familiari si credono migliori, ma io spiego le cose con diplomazia. È un lavoro
faticoso: assisto un signore in carrozzina. Per le ferie mi metto d’accordo” (10FR).
Grafico 14. I rientri nel Paese d’origine
“I familiari sono quelli che creano più problemi: vogliono troppo, mi hanno (qualcuno) anche trattata male, offesa senza motivo, non mi hanno pagata come eravamo d’accordo” (6CG).
Al terzo posto si posizionerebbe la difficoltà a conseguire periodi di ferie prolungati per tornare al proprio Paese e quindi la forte nostalgia della famiglia fa sì che si
percepisca questa professione come un grosso sacrificio. Va detto comunque che
questa difficoltà di ritorno è per lo più manifestata da donne irregolari, che non disponendo di documenti temono l’impossibilità di ritornare in Italia una volta uscite
da questo Paese.
A tale proposito, 24 intervistate su 58 dichiarano di non essere mai ritornate a casa
da quando sono arrivate in Italia, situazione condizionata proprio dalla mancanza di
documenti regolari; focalizzando invece l’attenzione sulla restante parte del campione, si può stimare mediamente un ritorno ogni venti mesi (Graf. 14). La possibilità di
tornare viene perciò a dipendere sia da una condizione personale (possesso o meno
del permesso di soggiorno), sia dalla disponibilità del datore di lavoro, come si evince da queste testimonianze:
“Per i sacrifici dei figli si fa questo e altro! Per tornare a casa dipende dalla famiglia che trovi: i primi due lavori tornavo due volte all’anno perché c’erano i figli
che stavano con la signora. Oggi riesco solo una volta all’anno e con fatica” (7FR).
“Fino ad ora non sono mai tornata in Moldavia perché sono in attesa dei documenti, ma quando saranno pronti non ci penso a che i familiari dell’anziano mi
faranno problemi!” (1RS).
57
Badante, una professione di congiunzione
Tabella 16. La gerarchia delle difficoltà incontrate nel lavoro di badante
Mai
Raram.
Qualche
volta
Spesso
Sempre
Difficoltà nell’avere del tempo per se stessi
14
8
8
22
6
Difficoltà a capire ed esprimersi
12
5
22
15
4
Difficoltà a conseguire periodi prolungati di ferie per i rientri
lunghi nel Paese d’origine
22
6
5
13
12
Difficoltà di rapporti con l’anziano assistito
26
9
12
7
4
Troppa fatica fisica nel lavoro svolto
26
5
19
8
0
Difficoltà di rapporti con i familiari dell’anziano
34
6
11
5
2
Va sottolineato poi che la fatica fisica e le difficoltà di rapporti con gli assistiti o i loro
familiari appaiono meno diffuse e sentite di quello che si potrebbe ritenere (Tab. 16).
Ma, come già detto, le valutazioni risultano strettamente correlate alle singole esperienze, alla personalità dell’assistito e/o alla condizione clinica dello stesso: un livello
di maggiore insoddisfazione è infatti espresso da quelle lavoratrici che si trovano ad
assistere pazienti affetti da patologie gravi, che abbisognano di costante assistenza
anche notturna.
Il turnover e le sue motivazioni
La specificità di questo mestiere richiederebbe “stabilità” sia per il lavoratore sia per
l’assistito al fine di assicurargli una sorta di continuità dell’assistenza, non condizionata
da cambiamenti. Al contrario però questo lavoro presenta un elevato livello di turnover:
le donne intervistate dichiarano di essere mediamente alla loro terza esperienza lavorativa come badante nell’arco di poco meno di tre anni, in media si può pertanto contare un rapporto di lavoro all’anno. È vero comunque che il dato medio rappresenta una
sintesi informativa troppo stringente, presentandosi invece situazioni molto differenziate: si osservi, per esempio, come le donne prive di permesso di soggiorno si trovino a
cambiare mediamente almeno un lavoro all’anno e quelle con regolare permesso di
58
soggiorno annoverino un cambiamento di occupazione almeno ogni due anni.
Risulta interessante valutare quali siano le cause che hanno indotto al cambio di lavoro (Tab. 17): in primo luogo viene annoverata la morte dell’anziano assistito, eventualità naturalmente molto probabile, e che è causa di quasi la metà dei cambia-
menti lavorativi. Questo dato rivela come la badante si trovi frequentemente nella
condizione di dover accompagnare alla morte gli anziani assistiti e, sebbene questa
incombenza venga svolta per necessità economica, per talune donne si configura come una esperienza vissuta con una forte carica emotiva.
Un decimo delle interruzioni è legato all’ingresso dell’anziano in Casa di riposo; un
settimo dei cambiamenti è invece ascrivibile alla decisione di sostituire la badante da
parte del datore di lavoro a seguito di un breve ritorno della stessa nel proprio Paese
d’origine. Non potendo infatti rimanere privi di assistenza, i familiari reperiscono velocemente una nuova lavoratrice, sostituendo la precedente: si genera in questo modo un turnover che finisce per incrementare l’irregolarità.
Le cause legate a una propria volontà di cambiare lavoro, alla ricerca di migliori condizioni salariali o di contesto, riguardano circa il 30% dei cambi occupazionali.
Tabella 17. Le cause della cessazione del rapporto di lavoro
Num.
interruzioni
Percentuale su
totale interruzioni
45
45,9%
9
9,2%
13
13,3%
1
1,0%
Ricerca di migliori condizioni lavorative
13
13,3%
Ricerca di stipendio più alto
11
11,2%
Disaccordo con i familiari
4
4,1%
Ricerca di stabilità/continuità lavorativa
2
2,0%
Decesso dell’anziano
Ingresso in Casa di riposo
Sostituzione dopo ritorno nel Paese d’origine
Mancato rinnovo del contratto
Dalle testimonianze emerge comunque la complessità delle esperienze personali.
“La prima volta ho cambiato lavoro perché è morto l’anziano, la seconda volta
perché sono tornata a casa e mi hanno sostituita e ho perso il lavoro, la terza volta perché è morta la signora e la quarta volta perché l’hanno portata in Casa di
riposo” (7FR).
“La prima volta ho cambiato perché la signora era morta, la seconda volta perché la famiglia ha trovato una badante irregolare che pagava meno... anche io
sono irregolare!” (6CG).
59
Badante, una professione di congiunzione
“L’anziano che assistevo era in condizioni terribili di testa e pesante: non mangiavo, non dormivo, non uscivo, mi stavo ammalando, ero dimagrita moltissimo. Ho
dovuto cambiare lavoro!” (9CG).
“Le prime due volte ho cambiato perché ero in sostituzione di un’altra, la terza
volta perché avevo problemi con i familiari: la signora era andata via di testa; la
quarta volta perché il signore è morto” (8FR).
“Nel primo lavoro a Napoli non mi trovavo bene e avevo difficoltà con la lingua.
La seconda volta per avere lo stipendio più alto e qua a Vicenza lo stipendio è più
alto. La terza volta ero andata a casa in Ucraina e quando sono tornata non avevo più il mio posto” (1FR).
Un bilancio dell’esperienza lavorativa attuale
L’attenzione viene ora focalizzata sull’attuale esperienza lavorativa svolta come badante, rispetto cui sono stati approfonditi alcuni aspetti legati alla rilevanza delle reti
etniche nella ricerca dell’occupazione, alla tipologia del rapporto di lavoro23 e al contesto lavorativo.
Le modalità di “reclutamento”
Un primo aspetto che è stato approfondito concerne le modalità di “reclutamento”
delle badanti, intendendo con questo termine l’esistenza e l’eventuale analisi dei percorsi-tipo finalizzati a conseguire questo lavoro.
In prima battuta i risultati di questa indagine sono confermativi rispetto alla valenza
assunta dalle reti di solidarietà tra connazionali ed entro le comunità. Centrale si configura infatti il ruolo giocato dalle reti etniche come canali di diffusione delle informazioni sulla disponibilità di posti di lavoro, sulle pratiche da fare, sui contatti da attivare. In misura minore assumono invece connotato di “agenti facilitatori” le associazioni di volontariato, i servizi degli enti locali, i sindacati (Tab. 18).
Ciò non di meno il panel degli agenti facilitatori risulta differenziato se si distingue il
60
23
Per rendere più comprensibile al
lettore queste tematiche si richiamano in Appendice alcune puntualizzazioni sul contratto previsto per
le assistenti familiari.
primo lavoro da quello attuale. Con riferimento al primo lavoro trovato in Italia, per la
quasi totalità delle interpellate (53 su 58) la modalità di ottenimento è proprio rappresentata dalla rete amicale e parentale, ossia più in generale dalla propria rete co-
Tabella 18. Agenti facilitatori e canali per l’inserimento lavorativo
Primo lavoro
Lavoro attuale
Amici o conoscenti immigrati
40
69,0%
29
50,0%
Parenti immigrati
13
22,4%
13
22,4%
Amici o conoscenti italiani
3
5,2%
11
19,0%
Caritas
0
0,0%
2
3,5%
ULSS
0
0,0%
1
1,7%
Agenzia per l’impiego
0
0,0%
1
1,7%
Autonomamente (da sola)
2
3,4%
1
1,7%
58
100,0%
58
100,0%
Totale
munitaria, risultando limitati i casi di supporto ricevuto da persone autoctone oppure
per autopromozione. Si evince infatti dai racconti:
“Questo lavoro si trova conoscendo amiche che sono arrivate prima di te e quando ci incontriamo la domenica si parla di lavoro e capita di cambiare posti migliori perché le famiglie cercano” (4RS).
“Aiutiamo a casa i nostri anziani, poi arriviamo in Italia e amici e parenti ci aiutano a trovare lavoro. Io avevo amici qui che mi hanno ospitato per una vacanza
dopo che era morto mio marito e poi mi hanno aiutato a Napoli a trovare un lavoro in nero e poi sono venuta a Vicenza in regola” (7RS).
“Se non ci sono amici non si fa niente oppure trovi ma devi aspettare. Per fortuna
che in Italia ci sono molti anziani!” (9FR).
Se si considera, invece, il lavoro attuale, l’influsso della rete dei connazionali si riduce
(42 su 58), mentre va acquisendo un maggiore significato l’intervento di persone italiane e di alcuni attori territoriali (per esempio Caritas, ULSS, Agenzia per l’Impiego).
Emerge poi una dimensione speculativa nell’ottenimento dell’occupazione: almeno
una lavoratrice su quattro dichiara apertamente di aver dovuto “pagare” per conseguire il lavoro24, ma la criticità di questa domanda fa si che le risposte conseguite
presentino un elevato grado di inaffidabilità. Approfondendo ulteriormente si constata come il pagamento di questa “indennità” sia ascrivibile prevalentemente alle lavoratrici moldave e ucraine, ma non sempre l’intermediario da pagare sia rappresentato da un connazionale.
24
Una recente indagine, condotta
dall’IRS di Milano in collaborazione
con Caritas Ambrosiana e CGIL Lombardia, ha stimato che il 30-40% delle badanti è stato soggetto al racket
dell’immigrazione ossia al pagamento di una quota (pari a circa 4.000
euro) per il passaggio in auto, l’attraversamento della frontiera e il contatto con una famiglia che cerca una
badante. Usualmente i documenti
vengono sequestrati in anticipo e restituiti solo dietro il pagamento di
una cifra pari al debito contratto. Il
mediatore trattiene a ciascuna i primi quattro o cinque mesi di stipendio, per ripagare le spese di viaggio
e il contatto lavorativo. Fonte: La Repubblica del 16/10/2006.
61
Badante, una professione di congiunzione
In merito a questi aspetti alcune di loro hanno reso una vera e propria testimonianza
del percorso-tipo per ottenere il lavoro; si riportano di seguito alcuni passi significativi.
“Per avere il lavoro si paga: si chiama una ucraina sposata con italiano, si lascia il
numero di cellulare. Ti richiamano appena trovano lavoro e poi devi pagare. Io
però non ho mai pagato finora!” (1CG).
“Il primo lavoro me lo ha trovato una ucraina che però mi toglieva tutto lo stipendio! Sì, devo darlo ad una ucraina “capa” che poi mi trovava lavoro ma mi sfruttava perché dovevo darle i soldi” (9RS).
“Per avere il lavoro mi ha aiutato una mia amica ucraina. Io ho pagato due
volte: ho lavorato in ospedale e facevo la notte, pagavo per ogni notte che
stavo là, anche le italiane che hanno conoscenza vogliono soldi. Esiste un percorso: le amiche. Se non conosci non fai niente, anche in Caritas, chi conosce
o chi è più vecchia passa avanti. E poi succede spesso che bisogna pagare. E
c’è difficoltà tra moldave e rumene, perché le moldave si aiutano tra di loro,
anche le ucraine: bisogna pagare sempre, non ti danno niente per niente! Loro si lamentano così fanno pena e lavorano di più, fanno lavorare le parenti
perché si lamentano che non ce la fanno!” (8FR).
“Il primo lavoro l’ho trovato da sola per sentito dire, il secondo per amici italiani.
È vero: ho pagato circa 300 o 400 euro all’inizio, ma su questo c’è il passaparola” (10DM).
“Il primo lavoro e anche gli altri li ho dovuti pagare, non c’è un percorso ma si sa
che se una badante ti trova lavoro tu la devi ripagare. Forse c’è qualcuno dietro a
queste badanti o no. Io non lo so...” (6CG).
“Io ho pagato un italiano che mi ha trovato il posto di lavoro (550 euro) e non
miei connazionali. Ho lavorato in una famiglia per un mese di prova e poi ho
continuato perché lavoravo bene” (11RS).
“All’inizio sì, ho pagato per avere il lavoro, poi basta, ma non a miei connazionali
ma a persone italiane. Nel mio Paese pagavano poco, mi sono rivolta ad una
62
amica di mia mamma che lavora qui come badante e mi ha fatto conoscere delle persone. Ma il “gancio” è stata l’amica di mia mamma” (2RS).
“Non c’è una regola, solo che se cerchi lavoro lo dici agli amici connazionali e italiani e si sa che devi pagare qualcosa a chi ti trova lavoro, è come una regola!” (4CG).
“Io ho pagato per avere il lavoro. So che c’è il percorso. A Napoli ho pagato per
lavorare, quando sono venuta a Vicenza non ho pagato anche se so che qualcuno ha pagato... Di solito ci si presenta al posto di ritrovo e ci sono i contatti oppure tra connazionali ci si chiama al telefono” (10CG).
Qualche donna però non se l’è sentita di dirlo apertamente:
“Non mi è stato chiesto di pagare per avere il lavoro, però succede a tanti! Le cose sono sempre le stesse: si parla con gli amici, qualche volta ti chiedono di pagare..., tutti cercano per tutti!” (4FR).
“So che in passato altri hanno pagato altri connazionali per trovare lavoro, ma
non è proprio il mio caso...” (3CG).
“Ci sono dei miei connazionali che per ‘lavoro’ si occupano di cercare persone
anziane che hanno bisogno di assistenza”.
Ma l’intervistatrice aggiunge: “Non ha voluto dirmi apertamente se vengono pagati, ma dal tono di voce posso immaginare di sì” (6AC).
“Mi ha trovato lavoro mia sorella, poi avevo lavorato in Casa di riposo, conoscevo
tutti e anche la direttrice e così mi sono fermata qua. Io non ho dovuto pagare
per avere il lavoro, ma ho sentito che bisogna pagare anche italiani! Non c’è un
percorso uguale per tutti, ognuno ha il suo...” (11FR).
Caratterizzazioni del rapporto di lavoro
Soltanto quattro lavoratrici su dieci dichiarano di avere un contratto di lavoro regolare
(23 su 58), ma questo risultato è naturalmente condizionato dal possesso del permesso di soggiorno. È vero, infatti, che quasi tutte le donne con regolare permesso di
soggiorno hanno un contratto di lavoro in regola (23 su 25) e l’eccezione è ascrivibile
a un numero esiguo di casi (soltanto 2 lavoratrici su 25 pur avendo un regolare permesso hanno un lavoro in nero).
Mediamente l’attuale rapporto di lavoro dura da un anno e mezzo, ma appare notevole la differenza di durata del lavoro regolare e di quello in nero: il primo ha una durata media di due anni circa, mentre il secondo di quasi un anno, evidenziando come
il turnover e l’instabilità lavorativa sia maggiormente ascrivibile alla componente irregolare.
Abbastanza complicato è stato rilevare quante siano le ore effettivamente lavora-
63
Badante, una professione di congiunzione
te, poiché la maggioranza delle intervistate ne ha dichiarate 24 giornaliere (43 su
58), risultando pertanto molte di più di quanto previste dai contratti, siano essi regolari o meno. Dalla stesse dichiarazioni emerge che le ore da contratto appaiono
solo come una formalità, configurandosi un impegno lavorativo quasi sempre di
24 ore al giorno.
Più di qualcuna infatti alla domanda “Quante ore lavori al giorno?” ha prontamente
risposto:
“...La paga è mensile e non in base all’orario fatto...” (7CG).
“Non so quante ore, io non sono pagata a ore: abbiamo concordato uno stipendio fisso al mese, quello è, niente in più!” (4CG).
“...Non abbiamo accordato un orario, io sono sempre con la signora che non mi
lascia neanche un’ora al giorno, e mi pagano per questo” (8GC).
“Non c’è un orario prestabilito: sono sempre presente. Ma se ho bisogno
posso prendere il tempo necessario: ho comunque due ore libere al giorno
più una giornata durante la settimana. Il pagamento è mensile, non a ore, e
tutto in nero” (6CG).
Non è tuttavia stato possibile rilevare con esattezza l’eccedenza di ore in più rispetto
al contratto e il numero di quelle retribuite in nero, presentandosi spesso come domande volontariamente eluse o con risposte troppo generiche. Si può comunque affermare che la maggioranza dei contratti è stipulata per 20-30 ore settimanali25. A
questo proposito va osservato come un rapporto di tipo regolare tenda a ridurre l’impegno richiedibile alle assistenti familiari da parte delle famiglie.
Ne consegue che, in molti casi, per ottenere una più ampia copertura assistenziale
giornaliera e al contempo non aggravare i costi ricorrendo a ulteriore personale a pagamento regolare, le famiglie regolarizzano la posizione della lavoratrice dal punto di
vista contrattuale, continuando a richiederle un impegno fornito nel sommerso. A
ogni modo, rispetto al contratto, sia esso formale o informale, le ore lavorate in aggiunta risultano essere molte e nella quasi totalità non sono retribuite. Alcune testimonianze puntualizzano queste situazioni.
64
“Adesso lavoro 24 ore al giorno esclusa la domenica. Ho un contratto da 30 ore,
25
Si ricorda comunque che l’orario
massimo per lavoratrici conviventi è
fissato in 54 ore settimanali, mentre per le non conviventi in 44 ore.
ma in realtà ne faccio 24 al giorno. Niente ore in nero: in contratto c’è quello che
guadagno!” (1FR).
“Lavoro per 7 ore al giorno: ho voluto un contratto per 7 ore perché le altre ore
non sono lavoro, è dormire o mangiare assieme all’anziano” (4FR).
“Lavoro 24 ore al giorno con 2 ore di riposo se voglio... Il mio contratto è di 25
ore alla settimana, il resto delle ore è in più” (7FR).
“Lavoro per 25 ore alla settimana però è una convivenza di sempre!” (9FR).
“Il contratto è per 25 ore alla settimana, io ne lavoro 24 al giorno: lo sto facendo
perché ho il permesso scaduto. Lavoro tutto in nero!” (10FR).
“Lavoro 24 ore al giorno, il contratto prevede 30 ore alla settimana, la differenza
sono in nero ma non mi vengono pagate!” (6DM).
“Il rapporto di lavoro è abbastanza tranquillo... se ho bisogno di uscire un’ora o
due posso farlo ma ho comunque la responsabilità della mia signora... sera e
notte sono lì se c’è di bisogno” (5CG).
“Lavoro tutto il giorno e dormo con l’anziana. Per il contratto abbiamo deciso che
lavoro tutto il giorno, faccio in più 4-5 ore (magari di notte). Sono tutte in nero
perché non ho permesso di soggiorno” (2RS).
Mediamente lo stipendio percepito risulta essere di 785 euro: è chiaro però che il livello stipendiale dipende dalla regolarità o meno del contratto, nonché dal numero
di ore lavorate o almeno “richieste” alla lavoratrice.
Infatti, se si opera il primo distinguo, si constata come la lavoratrice assunta in regola percepisca in media uno stipendio inferiore alla lavoratrice in nero (740 euro nel
primo caso e 810 euro nel secondo). Se si scende ancor più nel dettaglio e si cerca
di raffrontare la paga al numero di ore “previste” si rileva un differenziale molto più
accentuato.
Nello schema (Tab. 19) si è cercato di individuare i livelli retributivi per profili orari
omogenei sulla base di quanto desunto dalle interviste: i risultati comprovano come
il guadagno monetario sia inferiore per la lavoratrice in regola e, per converso, come
il lavoro in nero produca un maggiore guadagno diretto per effetto del minor costo
complessivo sostenuto dal datore di lavoro che non versa contributi. A questo riguardo è possibile scorgere nelle intervistate la consapevolezza che il lavoro in nero non
consente di godere di periodi di ferie e di ottenere un trattamento assistenziale in caso di malattia o infortunio, né tanto meno sia “garanzia” di stabilità lavorativa; l’aspetto invece concernente le trattenute contributive non è usualmente percepito co-
65
Badante, una professione di congiunzione
Tabella 19. Profili orari “omogenei” e livelli retributivi medi “dichiarati”
Lavoro con contratto regolare
Contratto per 25
ore settimanali
di fatto 24
ore al giorno
Contratto per 30
ore settimanali
di fatto 24
ore al giorno
Lavoro in nero
€ 770
di fatto 24
ore al giorno
€ 900
€ 850
me costo utile poiché nessuna delle lavoratrici è in grado di conoscere quali possano
essere i benefici spettanti dopo un periodo di lavoro in Italia.
La quasi totalità delle donne intervistate (54 su 58) dichiara di godere di un giorno libero di riposo settimanale. Di fatto però non si tratta di una giornata intera, quanto di
alcune ore a disposizione; inoltre molte riferiscono di non usufruirne o, per meglio dire, di farlo o poterlo fare soltanto in caso di effettivo bisogno. In qualche altro caso, la
lavoratrice sta invece cercando di ottenere la pausa promessa. Le seguenti testimonianze rendono conto di queste osservazioni:
“Ho la domenica libera però lavoro, ma solo quando ho bisogno vado via” (4FR).
“Ho tre mezze giornate libere quando voglio io, di solito il mercoledì, poi quando
mi metto d’accordo, ma solo quando ne ho bisogno” (9FR).
“Adesso mi sono imposta che un giorno alla settimana lascio da sola la signora
per essere libera. Subito la signora si è arrabbiata ma adesso ha dovuto accettarlo... la signora è anche autosufficiente, ha solo bisogno di compagnia!” (8CG).
Qualche altra lavoratrice preferisce non usufruire del giorno di riposo nell’intento di
tenersi stretto il posto di lavoro:
“La domenica da mezzogiorno fino alle 5 sono libera se ho bisogno, ma spesso
resto in casa. Sono in sostituzione e faccio solo 2 mesi, ma spero tanto che mi
confermino il posto!” (3FR).
Per quanto concerne il mansionario lavorativo, la quasi totalità delle intervistate (56
su 58) dichiara che i compiti richiesti non sono tutti legati strettamente all’assistenza
66
dell’anziano: molto spesso il profilo della badante viene a comprendere anche le faccende domestiche.
“Una badante fa tutto in casa: cucino, pulisco, bucato, spesa, curo il giardino, li
accompagno dal medico” (2CG).
“Faccio tutto: dalla casa al giardino. Per fortuna ora dormo un po’ ma se l’anziano si sveglia, visto che dormo nella stanza insieme, sveglia anche me!” (4CG).
“Preparo da magiare, faccio pulizie, lavo e stiro, anche per il figlio della signora
che abita con lei” (4RS).
“Faccio tutti i lavori di casa, vangare l’orto, pulire, poi coltivo l’orto e non mangio
perché le verdure coltivate se le prendono i figli” (9RS).
Il rapporto di lavoro “preferito”
Forse, contrariamente a quanto si sarebbe potuto ipotizzare, la tipologia di rapporto
di lavoro preferito dalle lavoratrici intervistate assume proprio i connotati della regolarità completa (44 su 58) o parziale per 25 ore settimanali (12 su 58).
Emerge peraltro la consapevolezza che un contratto in regola risulta penalizzante per
il datore di lavoro, ma la preferenza per questa tipologia è collegata a una maggiore
sicurezza di “potersi tenere il lavoro”, a una maggiore possibilità di fruire del “giorno
libero oppure del periodo di ferie retribuite”, alla percezione che un lavoro regolare
sia anche segno distintivo di una presenza regolare “se ho un lavoro regolare vuol
dire che ho i documenti in regola...”. Proprio con riferimento a quest’ultima affermazione appare interessante differenziare le opinioni rispetto all’attuale condizione
di regolarità, constatando come una maggiore tendenza ai contratti completamente
regolari sia riferibile alla componente attualmente priva di permesso di soggiorno
(26 su 33 rispetto 18 su 25).
Grafico 15. Contratto di lavoro “preferito”
67
Badante, una professione di congiunzione
Il contesto lavorativo
L’analisi del contesto lavorativo è stata sviluppata lungo due direttrici: la prima inerente alla condizione dell’anziano assistito e la seconda alla tipologia di struttura familiare in cui è inserito.
Per quanto concerne la prima dimensione è interessante approfondire il livello di
perdita dell’autosufficienza poiché questa comporta un notevole carico assistenziale,
sia per lo svolgimento delle attività della vita quotidiana sia per l’assistenza medicosanitaria. Va detto comunque che i risultati non esplicitano una valutazione oggettiva
sulla condizione di salute degli anziani, cosa che avrebbe richiesto sicuramente un
contributo di tipo medico, ma esprime la conoscenza e la percezione operativa di chi
assiste nei confronti di chi è assistito.
Con questa ottica esplorativa, l’elaborazione delle interviste fa emergere sostanzialmente tre categorie di assistiti, definite sulla base di limitazioni funzionali e sensoriali che vincolano lo svolgimento della vita quotidiana:
I
non autosufficienti totalmente dipendenti che comprendono quegli anziani con
gravi limitazioni e che abbisognano di forme costanti di assistenza;
I
parzialmente dipendenti, riferiti ad anziani con limitazioni funzionali contenute
(quali la difficoltà a camminare o a prepararsi il pranzo) oppure l’utilizzo frequente
di farmaci e perciò la necesità di una qualche forma di supporto;
Grafico 16. La condizione degli anziani vista dalle badanti
68
I
autosufficienti, rappresentati da persone che abbisognano prevalentemente di
compagnia più che di forme di assistenza vera e propria poiché sono in grado di
svolgere da soli tutte o quasi le normali attività quotidiane.
Come si evince dal grafico (Graf. 16), una quota significativa di anziani, pur trovandosi in una condizione di autosufficienza, fruisce del supporto di una badante; la maggior parte degli assistiti è comunque ascrivibile alla condizione di completa non autosufficienza26. Dai racconti emergono alcune situazioni davvero pesanti e ciò induce a
riflettere sul fatto che questo lavoro richiede un forte coinvolgimento alle lavoratrici
anche sotto l’aspetto emozionale: si sottolinea come molte esigenze degli assistiti
coinvolgano la sfera corporea (l’anziano necessita di essere lavato, cambiato, accudito
ecc.). Dalle interviste si rileva, per esempio:
“...Quello che assisto adesso non cammina, deve essere lavato, ha bisogno di
tanti farmaci e ha la PEG (Gastrostomia Endoscopica Percutanea)”. (8FR).
“Adesso il signore che assisto ha bisogno di essere lavato, non cammina, non
mangia da solo, ha bisogno di tanto. I figli vivono nella porta a fianco. Io sto da
sola con lui ma viviamo tutti insieme. Ma io ho libertà...” (9FR).
“...Lei ha l’ictus, la pressione, il cuore, la debolezza, non è sicura nel camminare
anche per uscire” (6FR).
“L’anziana non c’è con la testa, certe volte è violenta e non capisce... ha anche
l’Alzheimer...” (2FR).
L’esplorazione della seconda dimensione, ossia quella legata alla composizione del
nucleo familiare in cui la badante è inserita, rivela come prevalente la famiglia unidimensionale ossia composta dal solo anziano assistito (67,2%), seguita dalla combinazione genitore-figli (17,2%) e coppia di coniugi anziani (12,1%).
Peraltro la specifica composizione del nucleo familiare implica anche differenti relazioni con la rete parentale dell’assistito: laddove per esempio vi è la co-abitazione
con figli, quest’ultimi si pongono a supporto dell’attività della badante:
“La signora che assisto ha un figlio grande che non è sposato e abita con lei. Io
26
lavoro dalle 7.00 alle 21.00 circa, poi va a letto la signora anziana ma se si sveglia sono sempre là con lei. Non ho contratto, sono là con la signora e anche di
notte la aiuto se si sveglia e mi aiuta anche suo figlio però di notte” (4RS).
L’analisi è stata sviluppata sulla
totalità dei soggetti assistiti e il loro
numero risulta superiore al numero
di lavoratrici intervistate poiché alcune accudiscono a ore uno o più
anziani.
69
Badante, una professione di congiunzione
E non mancano situazioni in cui le intervistate dicono di sentirsi veramente parte della famiglia a tal punto di ricevere anche dei significativi regali:
“La famiglia dove lavoro per festeggiare il mio primo anno in Italia mi ha dato
400 euro!” (3RS).
Un bilancio dell’attuale lavoro
Il livello complessivo di soddisfazione espresso dalle lavoratrici rispetto al lavoro attuale risulta abbastanza positivo: tradotto su una scala di punteggi da 1 (per nulla
contenta) a 5 (molto contenta), il giudizio delle intervistate si colloca sul 3,5, presentando però un’ampia variabilità (il range valutativo copre l’intera scala da 1 a 5).
Alcune variabili influenzano particolarmente il giudizio (Tab. 20):
I
l’età cosicché le lavoratrici più anziane, probabilmente intravedendo oramai il termine della propria esperienza migratoria, esprimono una valutazione più positiva;
I
la scolarizzazione cosicché al crescere del titolo di studio diminuisce la soddisfazione per questo lavoro, comprovando come il crescente gap tra il proprio profilo
professionale e l’occupazione attuale influenzi negativamente;
I
la condizione dell’assistito cosicché le situazioni a maggiore carico assistenziale
inducono una minore soddisfazione verso il proprio lavoro.
Pur nella limitatezza numerica del campione è opportuno sottolineare come, contrariamente a quanto si sarebbe potuto immaginare, il livello retributivo risulta ininfluente sulla formulazione del giudizio.
Scendendo nel dettaglio dei singoli aspetti lavorativi, si è chiesto alle intervistate di
esprimere il grado di soddisfazione rispetto a una batteria di item. La scala di valutazione è di tipo pseudo-quantitativo: essa risulta articolata su cinque livelli di soddisfazione27, tradotta per semplicità in una scala di punteggi da 1 (=insoddisfatta) a 5
(=molto soddisfatta) (Graf. 17).
In generale si riscontra una discreta soddisfazione con riferimento a tutti gli aspetti
70
esaminati, anche se sussiste una certa variabilità interna. Per esempio, la minore
27
La scala si articola in: insoddisfatta, poco soddisfatta, abbastanza
soddisfatta, soddisfatta, molto soddisfatta.
soddisfazione si ha relativamente all’adeguatezza del lavoro svolto con il profilo professionale della lavoratrice (punteggio medio 2,6 e si dichiarano non soddisfatte o
Tabella 20. Variabili che influenzano il grado di soddisfazione sul lavoro
Nazione di provenienza
Punteggio medio
Condizione assistito
Punteggio medio
Romania
3,2
Autosufficiente
3,9
Moldavia
3,3
Parz. autosufficiente
3,6
Ucraina
3,9
Non autosufficiente
3,3
Punteggio medio
Titolo di studio
Punteggio medio
Inferiore a 30 anni
2,2
Lic. media inferiore
4,0
30-39 anni
3,1
Qualifica profess.
3,8
40-49 anni
4,2
Diploma superiore
3,5
Superiore a 49 anni
3,9
Laurea
3,3
Classi d’età
Permesso di soggiorno
Punteggio medio
Contratto di lavoro
Punteggio medio
Sì
3,8
Sì
3,8
No
3,3
No
3,3
Grafico 17. Aspetti del proprio lavoro: il grado di soddisfazione
71
Badante, una professione di congiunzione
poco soddisfatte 29 donne su 58), configurandosi di gran lunga l’aspetto più critico
per le intervistate che annoverano un iter scolastico elevato e che nel Paese d’origine
svolgevano professioni di un certo prestigio sociale (per questo sottoinsieme il punteggio medio risulta pari a 2).
Un altro aspetto critico concerne l’adeguatezza dell’orario di lavoro (punteggio medio
3 e si dichiarano non soddisfatte o poco soddisfatte 22 donne su 58): come c’è stato
modo di evidenziare, si tratta di un lavoro che lascia poco spazio per se stesse e per
il quale risulta improprio parlare di “orario di lavoro”, trattandosi il più delle volte di
un “coinvolgimento” 24 ore al giorno.
Gli elementi che risultano, invece, più positivi sono ascrivibili alla sfera dei rapporti
umani o relazionali con l’assistito e con i suoi familiari. Si configura come l’aspetto più
soddisfacente la valorizzazione delle capacità della badante da parte della famiglia
(punteggio medio 3,7 e si dichiarano molto soddisfatte o soddisfatte 35 donne su
58); allo stesso modo i rapporti umani con i familiari e con l’assistito annoverano un
buon livello di soddisfazione (punteggio medio rispettivamente pari a 3,6 e 3,4, dichiarandosi soddisfatte o molto soddisfatte rispettivamente 34 e 38 lavoratrici su 58).
Va detto, comunque, che le singole esperienze e i vissuti presentano un’ampia varietà, ricostruibile soltanto attraverso i singoli racconti.
“Io non sono soddisfatta perché il lavoro non è adeguato alla mia preparazione,
ma nessuno mi ha obbligata a farlo! Faccio questo lavoro per necessità, lo faccio
solo per i soldi” (1FR).
“Non è adeguato a me come lavoro, sono laureata in economia. Anche se è meglio
che una badante sia laureata, impara prima la lingua! Vorrei anche uscire di più ma
non è possibile. Con i familiari va abbastanza bene: ho un rapporto diretto” (10FR).
“Mi trovo bene con l’anziano e con i familiari, il lavoro non è adeguato a quello
che sono io, facevo la ragioniera..., ma questo lavoro era anche quello che facevo
a casa tutti i giorni” (12FR).
“Il lavoro comunque è bello, le figlie dell’anziano sono due brave ragazze, una
72
studia e l’altra lavora, mi aiutano certe volte... Sono contenta di questo lavoro,
però non vorrei che mia figlia lo facesse!” (5FR).
“Mi dicono che sono brava, buona e bella! Mi piace il lavoro che faccio, e i familiari sono bene educati e ci tengo a loro” (3FR).
“Sono molto contenta perché ho trovato una famiglia che mi sta veramente dando una mano, anche quando si è sposata mia figlia..., spesso mi danno vestiti
che invio ai miei figli. La signora che ho assistito (adesso assisto suo marito) per
me era come una madre” (1RS).
“Non conosco i familiari dell’anziano, non li sento mai, solo la sorella che vive in
Canada chiama ogni tanto, ci sono solo io!» (4FR).
Il lavoro desiderato... potendo scegliere
Da ultimo è stato richiesto di esplicitare quale sia il lavoro che le intervistate, potendo scegliere, farebbero: si possono distinguere tre tipologie di risposta, da cui derivano anche tre profili identitari (Graf. 18).
Grafico 18. Il lavoro desiderato... potendo scegliere
“...Potendo scegliere farei la badante”
È questa una risposta data da 23 donne su 58 e che viene giustificata da una visione
realistica della situazione contingente. C’è la necessità di lavorare, c’è la necessità di
guadagnare, non si intravedono altre possibilità occupazionali, in taluni casi per la
mancanza di regolari documenti, in altri per il mancato riconoscimento dei titoli di
studio acquisiti nel Paese d’origine, in altri ancora per la non corretta padronanza della lingua italiana. Si riportano al riguardo alcune significative testimonianze.
“Farei la badante perché tanto non si trova altro! Mi piacerebbe farlo a ore e con
una camera per me!” (4CG).
73
Badante, una professione di congiunzione
“Mi piace fare la badante perché è come occuparsi di casa mia, e ci tengo a fare le cose con amore, sono abituata così e non voglio cambiare, farei comunque questo!” (3FR).
“Sono contenta per il mio lavoro di adesso: i figli dell’anziana sono buonissimi.
Per me è o.k. fare la badante perché ho lavoro, casa e da mangiare. Per me sarebbero troppe le spese da sostenere se avessi un altro lavoro” (10DM).
“Sono contenta del lavoro, vorrei fare la badante, lavorare in fabbrica, non so, comunque questo mi piace, è tranquillo. La fabbrica forse è per i più giovani” (12FR).
“...Potendo scegliere vorrei un lavoro in fabbrica”
È questa una risposta data da 10 donne su 58 e che si colloca come compromesso
tra le possibilità realmente offerte dal mercato del lavoro locale e le aspirazioni verso
un miglioramento dello status della lavoratrice. Si riportano al riguardo alcune significative testimonianze.
“Mi piacerebbe un lavoro in fabbrica, così ho più tempo libero, non dovrei lavorare a Natale, se malata mi pagano, il giorno di festa la paga è doppia, mi pagano le ferie, c’è la tredicesima... Qua pagano doppio per giorni di festa solo in
uno dei due lavori che faccio! E poi mi piacerebbe un posto dove lavorano in
tanti, sono stufa da sola!” (8FR).
“Vorrei avere un lavoro che non mi impegni tutta la giornata, per esempio la cameriera in un bar. Mi accontenterei anche di un lavoro come operaia: non esiste
più che lavoro 24 ore su 24! Il lavoro di badante non mi permette di avere tempo
per me stessa” (2AC).
“Va bene così perché mi fermo per pochi anni, sennò vorrei fare pulizie. Il mio
scopo è mantenere la famiglia. Anche mi piacerebbe tanto fare un lavoro in fabbrica, ma lì dovrei fermarmi per più anni. Voglio tornare a casa, non voglio la cittadinanza, voglio solo i documenti per tornare a casa” (9FR).
“...Potendo scegliere farei il lavoro che facevo nel mio Paese”
74
È questa una risposta data da 25 donne su 58 e che esprime una visione più “idealistica” rispetto alle precedenti ed è dettata dall’insoddisfazione per un lavoro che di
fatto è svolto per necessità, ma che nulla ha a che vedere con la propria preparazione.
Nello specifico è una opinione espressa principalmente da quelle donne maggiormente
secolarizzate e che ricoprivano posizioni di prestigio: ne emerge pertanto una sorta di insoddisfazione legata allo status sociale delle professioni, ricordando la propria occupazione originaria come nettamente migliore rispetto a quanto si trovano qui a svolgere. Viene peraltro espressa la consapevolezza che il tessuto produttivo locale appare poco interessato alle loro qualifiche. Si riportano al riguardo alcune significative testimonianze.
“Vorrei fare il lavoro che facevo in Ucraina: ero ingegnere chimico!” (5DM), “...ero
insegnante di biologia e vorrei fare quello” (6DM), “...facevo la commercialista per
una banca e vorrei esserlo ancora” (8DM).
“Sono laureata in Economia e commercio, facevo l’imprenditrice. Il mio sogno sarebbe di tornare in Ucraina e aprire un’azienda import-export” (8DM).
“Ho studiato per ragioniera, lavoravo in banca, vorrei essere impiegata in banca...
ma qui le regole di contabilità sono diverse che da noi (in Ucraina) e molte cose
sono fatte in modo diverso...” (9DM).
“Quello che facevo prima in Moldavia... Mi piacerebbe lavorare in una ditta e fare
contabilità così alla sera sono libera e ho un contratto regolare, la notte dormo e
sabato e domenica libere!” (4RS).
“Vorrei lavorare in banca come impiegata, come facevo nel mio Paese (l’Ucraina), sentirsi una persona per tornare se stessa, essere gratificata professionalmente” (9RS).
“Sono laureata in Letteratura e Lingua russa e francese... facevo l’insegnante di
francese e russo e collaboravo anche per una ditta per le traduzioni (specificatamente nei rapporti con la Francia). Mi piacerebbe fare l’insegnante di letteratura
e lingua russa. Ma qui non posso fare altro che questo lavoro, non posso fare riconoscere i miei titoli scolastici, la laurea non è riconosciuta, dovrei rimettermi a
studiare qui ma non posso... Chi mi mantiene? Sono io che mantengo la mia famiglia in Moldavia!” (2RS).
Un volano “a distanza” per la propria
economia familiare
La preoccupazione prioritaria, o per meglio dire, l’obiettivo principale di questa tipologia
di immigrazione, che ha lasciato la propria Terra per lavorare all’estero, è rappresentato
75
Badante, una professione di congiunzione
dal guadagnare e risparmiare al fine di inviare denaro alla propria famiglia nel Paese di
provenienza. È vero inoltre che queste lavoratrici, godendo di vitto e alloggio e “spendendo poco o nulla per sé stesse” riescono più di altre a risparmiare: si conta infatti che
siano in grado, con qualche anno di lavoro in Italia, di cambiare la propria qualità di vita
nel Paese d’origine, potendo acquistare una casa o avviare un’attività o, comunque, offrire un futuro migliore a sé stesse e ai propri familiari. In questa visione viene rafforzato il
ruolo della donna all’interno della gestione di una “economia domestica a distanza” e la
migrazione acquista il significato più ampio di progetto di strategia familiare.
A fronte di queste considerazioni, si è voluto approfondire se e quanto della loro retribuzione venga effettivamente inviata al Paese d’origine, attraverso quali modalità
di invio, ma soprattutto a che cosa sono finalizzati questi risparmi.
Grafico 19. Percentuale dello stipendio mensile inviata nel Paese d’origine
Fatta eccezione per due intervistate che manifestano la esplicita volontà di non dichiarare quanto inviano al proprio Paese d’origine, le altre 56 lavoratrici confermano
di riuscire a risparmiare gran parte dello stipendio per inviarlo ai propri familiari.
Per cercare di quantificare il “quantum” sono stati calcolati l’importo complessivo degli
stipendi mensili percepiti dalle 56 intervistate28 e l’importo complessivo mensile che
76
le stesse dichiarano di inviare al Paese di provenienza. A fronte di un totale-stipendi
28 Con
eccezione delle due lavoratrici che non hanno voluto dichiarare
l’importo.
pari a circa 44.000 euro, le rimesse ammontano a circa 25.500 euro, ossia al 58%.
Esiste, però, un’ampia varietà di comportamenti (Graf. 19): si va da chi dichiara di non
trasferire nulla, a chi invia il 15% della propria paga mensile, fino ad arrivare al 95%;
tuttavia più della metà delle intervistate invia una percentuale superiore al 60%.
È significativo quantificare se sussistano differenziazioni notevoli per Paese di provenienza: soffermando l’analisi alle tre nazionalità maggiormente rappresentate, si rileva che la quota parte maggioritaria di rimesse è ascrivibile alle moldave, seguite a
breve distanza dalle ucraine (Tab. 21). Dalle testimonianze si evince anche che le retribuzioni percepite in Italia risultano di gran lunga superiori agli stipendi percepiti nei
Paesi d’origine, specie con riferimento ai Paesi più poveri (Moldavia e Ucraina): in
questi Paesi non si può affermare che sia l’assenza di lavoro la causa della crisi economica delle famiglie, quanto piuttosto i bassi stipendi e l’elevato costo della vita.
Tabella 21. Quantificazione delle rimesse per Paese di provenienza
Nazione di
provenienza
Num.
intervistate
Totale degli
stipendi
mensili
Stipendio
medio
pro capite
Totale delle
rimesse
dichiarate
Rimessa
media
pro capite
% rimesse
su stipendi
Moldavia
16
€ 13.530
€ 845,63
€ 10.200
€ 637,50
75,4%
Ucraina
22
€ 17.007
€ 773,05
€ 10.280
€ 467,27
60,4%
Romania
12
€ 8.800
€ 733,33
€ 3.110
€ 259,17
35,3%
Una ulteriore variabile discriminante è rappresentata dalla regolarità o meno delle lavoratrici (Tab. 22): il sottogruppo delle donne senza permesso di soggiorno invia nel Paese
di provenienza una quota del proprio stipendio superiore alle rimesse delle lavoratrici regolari (mediamente il 63,8% rispetto al 49,7%). Questo diverso atteggiamento potrebbe trovare una spiegazione nel fatto che la lavoratrice priva di permesso di soggiorno ha
qui un progetto migratorio “poco spendibile” e legato alla temporalità; quando invece la
sua presenza viene a regolarizzarsi e il progetto migratorio trova un orizzonte di senso
qui in Italia, allora può assumere un significato anche il trattenere più soldi per sé.
Tabella 22. Quantificazione delle rimesse per condizione di regolarità
Possesso del
permesso
soggiorno
Num.*
intervistate
Totale degli
stipendi
mensili
Stipendio
medio
pro capite
Totale delle
rimesse
dichiarate
Rimessa
media
pro capite
% rimesse
su stipendi
No
32
€ 25.930
€ 810,31
€ 16.540
€ 516,88
63,8%
Sì
24
€ 17.987
€ 749,46
€ 8.940
€ 372,50
49,7%
*Con eccezione delle due lavoratrici che non hanno dichiarato l’importo.
77
Badante, una professione di congiunzione
Le cifre inviate diventano di fatto un “volano” di sostegno familiare e potenziale sviluppo del Paese d’origine (Graf. 20): se si approfondiscono gli ambiti a cui sono finalizzate, si osserva come il mantenimento della propria famiglia (ossia dei figli e del
marito) o di quella originaria (genitori e fratelli) costituiscano i motivi predominanti
(sono citati rispettivamente da 16 e 15 lavoratrici su 56).
Merita poi un approfondimento specifico la motivazione legata al garantire ai propri
figli la possibilità di studiare (21 su 56): a tale proposito alcuni racconti mettono in luce come, dopo la separazione dell’Ucraina e della Moldavia dall’Unione Sovietica,
scuola e sanità siano diventate a pagamento e la perdita di valore del denaro (stipendi al ribasso) precludano l’accesso scolastico ai giovani, oltre che quello assistenziale per i familiari malati.
Grafico 20. A che cosa servono le rimesse
L’analisi sulle modalità di invio del denaro si è rivelata abbastanza critica e per alcuni
versi è stato difficile ottenere le dichiarazioni delle lavoratrici (Graf. 21).
Nel complesso, si può dire che prevalga la soluzione dei circuiti informali, cioè l’affidare il denaro ad amici e/o “mediatori” che lo recapitano direttamente applicando
una “commissione” (dichiarano di appoggiarsi a mediatori ben 30 donne su 56).
78
Si riscontra poi che l’utilizzo di circuiti ufficiali, quali la banca o la posta, talora viene
alternato con l’appoggio a canali informali. Infatti il canale bancario viene utilizzato
soltanto dalle immigrate meglio inserite perché per effettuare un bonifico internazionale è necessario essere titolari di un conto corrente bancario. Proprio per questo
motivo alcune donne prive di permesso di soggiorno dichiarano di appoggiarsi a loro
connazionali regolari e di inviare il denaro dal conto corrente di questi ultimi.
Un’altra soluzione consiste nell’usufruire di società specializzate nel Money Transfer,
spesso gestite da stranieri: per questi servizi non è necessario essere titolari di conti
correnti o carte di credito, è sufficiente recarsi nell’agenzia convenzionata con un documento di identità e il denaro in contanti, versare una commissione correlata all’importo da trasferire, indicare la località e il destinatario.
Sebbene la figura del “mediatore” rimanga per molti versi nebulosa (molte donne
dichiarano di non volerne parlare per non avere problemi), risulta significativo riportare alcune testimonianze.
“Prendo 700 euro e ne invio in Moldavia quasi 700! Servono per pagare i debiti e
poi per mangiare; con quei soldi aiuto tutta la mia famiglia! Tutte le domeniche li
invio tramite i mediatori: pago una quota a chilo per i pacchi e poi una quota a
seconda di quanti soldi. Ma a volte nascondo i soldi anche nei pacchi” (2FR).
“Lo stipendio è di 600 euro, 500 li mando a casa in Moldavia per mia madre
malata, due figli e un nipote. Sono motivi di sopravvivenza! Li invio con i mediatori: non mi fido delle banche e anche se mi costa, uso loro!” (9FR).
“Il mio stipendio è di 800 euro, invio 720 euro al mese, mi tengo solo i soldi per
la scheda telefonica e qualche spesa per me... I soldi servono per pagare i debiti,
le spese per la casa e per mantenere mio marito e mia figlia. Invio tutto con il
pullman che va in Moldavia” (4CG).
“Guadagno 750 euro al mese, tutto in nero, non in regola, non ho permesso di
soggiorno. I soldi vengono nascosti dentro ai pacchi che vengono spediti in Moldavia per i familiari, non mi fido dei mediatori che ci sono qua, meglio quelli del
pullman. Questi mediatori vengono pagati per fare il loro servizio di portare le cose là (non specifica quanto). I soldi li mando solo con il pullman” (11RS).
“Un pullman ogni giorno parte da Vicenza carico di pacchi e soldi per la Romania. È come una posta. Se c’è urgenza sfrutto la West Union” (6AC).
“Guadagno 1.200 euro e invio 200 al figlio che è in Moldavia e 100 a mia madre: è
per aiutarli economicamente. Invio tramite i mediatori che si trattengono il 4%, ma
preferisco loro perché fanno presto! L’altra figlia che è qua con me sta studiando alla
scuola superiore e sono molto orgogliosa di poter fare studiare mia figlia!” (4DM).
79
Badante, una professione di congiunzione
“Prendo 930 euro, ne invio 650 per mantenere le mie figlie. I soldi che mi servono qua sono soprattutto per il telefono. L’invio è tramite la banca” (6CG).
“Io non ho permesso di soggiorno, non sono regolare. Non posso fare io il passaggio dei soldi. Mi aiuta una mia amica che è regolare e ha il conto in banca e
mi spedisce a casa (in Moldavia) i soldi” (2RS).
“Guadagno 900 euro al mese e ne mando il 90% là in Ucraina. All’inizio mandavo a casa soldi per comperare una casa, ora invece li tengo qua. Sono laureata in
finanza, ero ispettrice di dogana. Qui non ho permesso di soggiorno... I soldi li ho
spediti a casa tramite un’agenzia, solo che si tengono il 18%: sono dei ladri sebbene la spedizione sia legale!” (9RS).
“Guadagno 850 euro al mese tutto in nero e lavoro 24 ore al giorno, ho il sabato
libero e due ore al giorno. Non mi sento di dire quanto invio... Lo faccio tramite un
mio amico: è lui che porta là i soldi e anche il resto. Tutto serve per mantenere
mia madre e mia figlia che sono in Bielorussia, mio marito è morto...” (10DM).
Grafico 21. I canali per l’invio delle rimesse
La scelta di emigrare è legata strettamente al peggioramento economico che ha coinvolto il Paese di provenienza (lo affermano 56 intervistate su 58) e, grazie al lavoro di assi-
80
stente familiare, la condizione della propria famiglia può in qualche modo migliorarsi.
Ben 36 lavoratrici dichiarano che, attraverso il lavoro di badante, la propria situazione
economica familiare è di molto migliorata (Graf. 22), ma per comprendere meglio
quanto lo sia e perché si riportano alcuni racconti.
“Dopo che il mio Paese si è staccato dalla Russia è stato un disastro perché i prezzi
si sono alzati tantissimo e gli stipendi abbassati. Mia mamma lavora in Comune e
guadagna 80 euro al mese. Come facciamo a vivere? Con il mio lavoro qui abbiamo potuto fare studiare mio fratello e mantenere dignitosamente i miei genitori.
Ogni mese mando a casa tanti soldi (800 euro) quanti mia mamma ne guadagna
in 10 mesi!” (2RS).
“È migliorata tanto la mia situazione economica: mia figlia studia, la casa è a posto. Io non pagavo per studiare! Per la casa ci abbiamo messo 14 anni... 5 anni
fa i soldi valevano di più, ora molto meno!” (1FR).
“La situazione è migliorata tanto! Mando molto da vestire e da vivere, è un aiuto
grande per tutti perché mi adatto io. Mando anche per i vicini di casa!” (9FR).
“Quando sono rimasta vedova non è come qui in Italia che la vedova prende i
soldi e da sola non riuscivo a mantenere la famiglia. Non è che là il lavoro manchi, è che pagano poco! Con questo lavoro ho fatto studiare i miei figli. La figlia
più grande è laureata e si è sposata. Il figlio studia ancora all’università” (7RS).
“Economicamente la situazione della mia famiglia è abbastanza migliorata, visto che quello che guadagno qui in un anno è quanto avrei guadagnato in Romania in 5 anni!” (1AC).
“A fare l’infermiera strumentista nel mio Paese guadagnavo solo 50 euro al mese. Adesso i miei figli studiano, ho pagato tutti i debiti che avevo (e sono qua da
4 anni), ora speriamo vada meglio, ma servono molti soldi per curare mio marito, per aiutare i parenti, che quando avevo bisogno mi hanno aiutato” (9CG).
Grafico 22. Quanto il lavoro di badante induce un miglioramento nella situazione economica familiare
81
Badante, una professione di congiunzione
“È troppo presto per dirlo, perché i soldi che mando a casa in Moldavia adesso
servono per sopravvivere. Spero di riuscire un po’ alla volta ad acquistare attrezzatura per lavorare i campi di mia proprietà e tornare a vivere in Moldavia” (3RS).
Le testimonianze fin qui addotte portano a concludere che si sia in presenza di una
immigrazione collocata all’interno di precise strategie familiari, che resta legata al
Paese di provenienza e che concorre allo sviluppo familiare: è un’opportunità per fare
studiare i figli, apporta un maggiore benessere per l’individuo e la sua famiglia, permette un livello di consumi diverso, può talora consentire l’avvio di un’attività imprenditoriale nel Paese d’origine.
La presenza lontana dei figli da gestire
Così come la maggior parte delle intervistate dichiara di essere coniugata, la maggior
parte di esse ha figli (45 su 58), calcolando un numero medio pro capite pari a due:
avendo però lasciato la propria famiglia nel Paese d’origine, si trova a vivere una condizione di famiglia “disgiunta”.
Nel complesso sono distinguibili cinque profili di donne, riflesso di cinque differenti
percorsi migratori (Tab. 23):
I
donne senza figli (13 su 58) di giovane età (mediamente intorno ai 30 anni), prevalentemente di origine rumena, emigrate quasi sempre da sole;
I
donne con figli nati in Italia (3 su 58) di giovane età (mediamente attorno ai 35
anni) di origine rumena, che sono state raggiunte qui dal marito o che qui lo hanno raggiunto;
I
donne con figli in parte nel Paese d’origine e in parte emigrati in Italia (4 su
58), di età relativamente più matura (mediamente attorno ai 45 anni);
I
donne con figli in parte nel Paese d’origine e in parte emigrati in altri Paesi europei (3 su 58), di età più matura (mediamente attorno ai 50 anni), che in taluni
casi sono state raggiunte qui dai figli ormai adulti oppure hanno deciso successivamente di raggiungere qui i loro figli adulti;
82
I
donne con figli rimasti nel Paese d’origine (35 su 58), di età relativamente matura
(mediamente attorno ai 44 anni), e che non prevedono un ricongiungimento familiare in Italia, ma considerano la loro migrazione soltanto una esperienza temporanea.
Tabella 23. Profili delle donne relativamente alla collocazione della prole
Profilo delle
donne
Num.
donne
Età media
Permesso di
soggiorno
Sì
No
Nazione di provenienza
Moldavia Ucraina
Romania
Altre
Con figli in parte nel Paese
d’origine e in parte emigrati
in altri Paesi europei
3
49 anni
3
0
1
1
0
1
Con figli in parte nel Paese
d’origine e in parte emigrati
in Italia
4
45 anni
4
0
1
1
0
2
Con figli rimasti nel Paese
d’origine
35
44 anni
12
23
11
19
3
2
Con figli nati in Italia
3
35 anni
2
1
0
0
2
1
Senza figli
13
30 anni
4
9
3
1
7
2
Alla luce dei dati raccolti, l’approfondimento su quanti figli sono rimasti nel Paese d’origine, oltre a mettere in luce la netta “separazione” dei figli dalle loro madri e la
conseguente espropriazione delle cure affettive e materne dalla propria famiglia,
evidenzia anche alcune situazioni di nuclei familiari “disaggregati” o “trasnazionali”,
ove i componenti si trovano a vivere in più Paesi diversi. A dar conto di questa osservazione si riportano i seguenti racconti:
“Ho due figli: uno in Portogallo e ha 30 anni, uno in Ucraina e ha 23 anni e sta
con mio marito e mio suocero” (12FR).
“Ho due figli: una figlia studia e abita con mio marito in Moldavia, l’altro lavora in
Israele, è spostato e ha un figlio” (4CG).
“Una figlia studia in Romania (ha 20 anni) e l’altra figlia è disoccupata nel mio Paese (Moldavia) e ha 23 anni. Mio marito è disperso, da 8 anni non ho più sue notizie! Vorrei che le mie figlie potessero raggiungermi e trovare un lavoro qui” (6CG).
“Ho tre figli: una lavora in Italia come badante anche lei e vive da sola, gli altri
due sono rimasti in Ucraina e uno è medico e l’altro è agricoltore. Sono tutti sposati” (4FR).
Un ulteriore aspetto degno di nota è rappresentato dall’analisi della tipologia di caregiver per i figli, siano essi qui al seguito della loro madre oppure siano rimasti nel
Paese d’origine.
83
Badante, una professione di congiunzione
Come visto, 7 donne su 58 dichiarano di avere i propri figli, o alcuni di loro, qui in Italia: fatta eccezione per 2 donne i cui i figli sono adulti e anch’essi coniugati, nel resto
dei casi durante l’attività lavorativa della madre i bambini vengono usualmente accuditi da familiari o amici (per esempio la sorella della badante oppure da amiche connazionali) come riportato nelle seguenti testimonianze:
“Ora abito in una casa in affitto con mio figlio, c’è una ragazza rumena che sta
con mio figlio quando io lavoro. Mia mamma mi ha raggiunta qua, anche lei è
badante” (8FR).
“Ho due figli nati qua in Italia: fanno il tempo pieno a scuola e poi c’è una vicina
che li guarda finché lavoro” (3DM).
“È emigrato prima mio marito e poi io l’ho raggiunto con mio figlio. Finché io lavoro, mio figlio frequenta le elementari e nel pomeriggio lo tiene mia sorella o
qualche nostra amica” (4AC).
Per tutte le altre madri, i figli restano lontani, nel Paese d’origine, e generalmente sono accuditi dai mariti oppure dai nonni (Graf. 23). A ogni modo, qualunque sia la sistemazione che le madri hanno scelto per i loro figli, la maggior parte di queste donne si
trova a soffrire profondamente per questa lontananza, acquisendo però forza dal fatto
che si tratta di una esperienza temporanea. Risulta altamente espressiva questa affermazione raccolta: “... con questo lavoro guadagno soldi ma perdo i figli!” (7FR).
Peraltro le intervistatrici segnalano spesso la difficoltà di racconti rotti dall’emozione
quando si tocca l’argomento degli affetti familiari (“...è molto giù di corda, è rassegnata ma non solo per il suo lavoro e la sua vita qui, le manca tanto la famiglia...”; “...ho
fatto fatica a farle domande sulla sua famiglia perché era molto emozionata...”).
È vero dunque che per molte donne immigrate i costi nascosti dell’emigrazione diventano palesi al rientro nel Paese d’origine, dove le cose sono cambiate durante la
loro assenza e i figli sono cresciuti privati della loro presenza. La lontananza dai figli
fa sì che la mancanza della moglie/madre divenga mancanza di un perno fondamentale delle relazioni familiari. Il reingresso della lavoratrice nel proprio nucleo fa-
84
miliare può presentarsi complesso per varie ragioni: il rapporto “sospeso” con i figli,
come si è detto; una crisi nei rapporti di coppia a causa della lontananza oppure la
difficoltà a passare da un certo contesto a un altro (vivere in Italia è sicuramente diverso rispetto al vivere in Moldavia o in Ucraina, non solo a livello economico ma an-
che come stile di vita), richiedendo alla donna di “ri-abituarsi” al contesto originario.
Ciò detto, come si avrà meglio modo di approfondire nel prosieguo, un’ipotesi di ricongiungimento familiare qui in Italia non rientra affatto nelle attese della maggioranza delle intervistate.
Grafico 23. Tipologia di caregiver per i figli rimasti nel Paese d’origine
I vissuti e le esperienze personali presentano comunque un’ampia varietà che rende
in effetti riduttiva qualsiasi schematizzazione numerica; per rendere quindi ragione di
queste differenziazioni si riportano alcuni racconti.
“Ho tre figli che stanno in Moldavia con mio marito: da quando sono in Italia
(2004) non sono mai tornata in Moldavia perché non sono regolare e dovrei pagare 5.000 euro e comunque non è un viaggio sicuro” (1RS).
“Ho un figlio e sta con mio marito. Mio marito e i miei suoceri abitano insieme così mio marito li aiuta perché sono anziani, lui lavora e aiuta i suoi” (4RS).
“Ho due figli che stanno là con la madrina di battesimo. Io ritornerò in Russia
quando non avrò più grossi problemi economici! Qui ho fatto la richiesta di permesso di soggiorno e sono in attesa” (8RS).
“I miei figli sono adulti, si arrangiano, vivono con mio marito... Non voglio che
vengano qua! Io rimango qua da sola finché non cambiano le cose e non guadagno abbastanza per poi tornare...” (6FR).
“Sono emigrata con mio marito, lui era qua fino a 10 mesi fa ma adesso no! È
morta la madre e lui è tornato là. Non può più tornare perché costerebbe troppo,
così è a casa con mio figlio di 9 anni” (2FR).
85
Badante, una professione di congiunzione
Un prevalente orientamento al ritorno nel proprio Paese
A conclusione dell’indagine, si è voluto delineare un bilancio complessivo della vita
condotta attualmente e un quadro previsionale sulle prospettive personali che ciascuna lavoratrice immagina.
Per formulare un bilancio sulla vita attuale, è stato chiesto di esprimere il proprio grado
di contentezza su una scala di punteggi da 1 (per nulla contenta) a 5 (molto contenta),
conseguendo in media un punteggio intermedio (3,1). Il risultato però non appare
uniforme all’interno della popolazione intervistata e sono palesi alcuni “profili” di criticità
(Tab. 24): una maggiore insoddisfazione è espressa dal sottogruppo delle moldave (2,8),
dalle donne più giovani con meno di 30 anni (2,3), da quante sono prive di permesso di
soggiorno (2,9), da chi non ha figli (2,5) o li ha lasciati nel Paese d’origine (2,9).
Inoltre esiste una correlazione positiva tra il grado di soddisfazione espresso per il lavoro e quello relativo alla vita attuale: 19 donne esprimono parimenti un elevato grado di soddisfazione per il lavoro e per la vita attuale (punteggi 4 o 5), mentre 8 donne
esprimono una insoddisfazione sia per il lavoro sia per la vita attuale (punteggi 1 o 2).
Tabella 24. Variabili che influenzano il grado di soddisfazione per la vita attuale
Nazione di provenienza
Collocazione dei figli
Punteggio medio
Romania
3,6
Senza figli
2,5
Moldavia
2,8
Con figli nel Paese d’origine
2,9
Ucraina
3,1
Con figli anche in Italia
4,3
Titolo di studio
Punteggio medio
Classi d’età
Punteggio medio
Lic. media inferiore
3,8
Inferiore a 30 anni
2,3
Qualif profess.
2,1
30-39 anni
3,3
Diploma sup.
3,7
40-49 anni
2,9
Laurea
3,0
Superiore a 49 anni
3,7
Anno di ingresso in Italia
86
Punteggio medio
Punteggio medio
Permesso di soggiorno
Punteggio medio
Fino al 1999
3,4
Sì
3,4
2000-2001
3,2
No
2,9
2002-2003
2,9
2004 in poi
3,3
Si precisa, comunque, che il grado di soddisfazione manifestato può talora essere
spostato verso i valori positivi della scala anche da effetti di “desiderabilità sociale”
più che da una valutazione “oggettiva” della propria condizione.
La maggior parte delle assistenti familiari non desidera avviare un progetto di vita in
Italia (35 su 58), ma persegue l’unico obiettivo di guadagnare il necessario per migliorare la qualità di vita della propria famiglia nel Paese d’origine.
Nello specifico il campione delle intervistate può essere suddiviso in due sottogruppi
principali (Graf. 24), ossia quello delle donne che dichiarano di voler restare e quello
delle donne che dichiarano di voler tornare, riscontrando un differente grado di soddisfazione per la vita attuale. Chi ha la prospettiva di restare formula infatti un giudizio significativamente più elevato (3,7) rispetto a chi vede l’esperienza migratoria come una “temporanea necessità” (2,8).
Grafico 24. La prospettiva complessiva del percorso migratorio
L’approfondimento ulteriore consente di fare emergere due profili distinti di progetti
migratori (Graf. 25).
“La temporaneità” connota principalmente donne che non hanno un permesso di
soggiorno, di età più matura e che hanno lasciato i figli nel Paese d’origine. Per meglio esplicitare queste situazioni si riportano alcuni vissuti.
“Sono abbastanza contenta della mia vita di adesso, ma sono senza famiglia e
sento tanto la mancanza! La famiglia resta là, io lavoro altri due anni e poi torno
a casa mia!” (10FR).
“Non sono per niente contenta della mia vita perché mi manca molto mia figlia.
87
Badante, una professione di congiunzione
Non so dire sul futuro, spero migliori ma resterà uguale. Io penso di tornare in Bielorussia già il prossimo anno (poi sarà fatica tornare qua senza permesso). Ma
penso di tornare là almeno per qualche anno: ho una figlia adolescente che ha bisogno di me!” (10DM).
“Penso che la mia famiglia mi possa raggiungere in Italia anche se non ho ancora il
permesso di soggiorno. E lavorare qui una decina d’anni, dopo ritorneremo in Moldavia. Sono in Italia dal 2004 e non sono mai tornata a casa. Spero di avere presto il
permesso di soggiorno per poter tornare a casa almeno un po’ dai miei figli” (11RS).
“Penso di restare in Italia per altri due anni al massimo, perché sono stanca di
questo lavoro che non mi dà soddisfazioni. Mi piacerebbe comunque vivere in
Italia, ma senza permesso è difficile! Sono laureata in Lingue e mi piacerebbe tornare a fare l’insegnante com’ero nel mio Paese” (6AC).
“Vorrei portare mio figlio qua il prima possibile. Vorrei continuare a fare questo lavoro a ore. Spero sempre che le cose migliorino. Ancora non so cosa farò, mi trovo bene qua ma il mio Paese è il mio Paese!” (11FR).
“Quando avrò risparmiato abbastanza per comperarmi una casa vorrei tornare a
casa e lì costruirmi una famiglia, avere dei figli” (8AC).
“Vorrei tornare in Romania e sposarmi con il mio fidanzato che è rimasto là. Vorremmo avere dei figli. Per il lavoro dovrò adeguarmi a quello che troverò. Mi piacerebbe tornare a fare l’avvocato” (9AC).
“Vorrei rimanere qui per altri 3 anni se c’è lavoro. Poi non saprei perché tutto dipende dal lavoro, anche costruirmi una famiglia. Mi piacerebbe tornare nel mio
Paese ma non so se là ho le possibilità economiche per costruirmi un futuro” (7AC).
“La stanzialità” connota principalmente donne più giovani, con regolare permesso di
soggiorno, che in alcuni casi stanno cercando di costruirsi una propria vita familiare
qui. Per meglio esplicitare anche queste situazioni si riportano alcuni vissuti.
“Sono arrivata a Vicenza da sola, avevo amici qua. Ora convivo e ho un bambino
nato qua. Il mio primo lavoro me lo ha trovato la mia attuale suocera. Vorrei fini-
88
re di pagare il mutuo e poi sposarmi e resterò qua in Italia” (2DM).
“La mia prospettiva è di non tornare più in Moldavia ma di restare qua. Qua ho
mio marito e mia figlia” (4DM).
“I miei fratelli mi hanno raggiunta qui, mi sto costruendo una famiglia qui in Italia
Grafico 25. I profili di chi vorrebbe restare e di chi vorrebbe tornare
con un uomo italiano, ho appena acquistato una casa e andrò ad abitarci” (2CG).
“Spero di trovare un lavoro migliore, di integrarmi in questa società e di avere dei
documenti regolari e magari riuscire a fare venire qui anche le mie figlie. Mi piacerebbe un giorno tornare anche nel mio Paese, quando potrò permettermi
un’attività propria!” (6CG).
“Mi piacerebbe avere una famiglia qui e avere dei bambini, vivere semplicemente accontentandomi di ciò che ho, ma con il mio marito a fianco, ora ho un fidanzato italiano. Spero che con le carte in regola la mia condizione migliorerà” (9RS).
“Mi piacerebbe avere un altro figlio e fare un lavoro che mi dia più soddisfazione e
valorizzi di più le mie conoscenze. Comunque ormai restiamo a vivere qui” (4AC).
Più specificatamente, si è cercato di trarre un bilancio di previsione rispetto a quattro
dimensioni fondamentali della vita: la famiglia, il lavoro, l’alloggio, il benessere personale (Graf. 26).
Complessivamente, il quadro previsionale formulato prospetta una situazione invariata per lavoro e alloggio, mentre più positiva si prefigura la condizione familiare e del
benessere.
Scendendo nel dettaglio, relativamente alla prospettiva lavorativa, nella formulazione delle valutazioni incide notevolmente la condizione dell’anziano assistito, che
89
Badante, una professione di congiunzione
Grafico 26. Lo schema previsionale per il prossimo anno
spesso vive una situazione di salute in progressivo peggioramento, comportando di
conseguenza un appesantimento del carico assistenziale. Si legge, per esempio:
“...la signora peggiora sempre, prima faceva delle cose da sola, ora faccio tutto
io! Mi hanno offerto un lavoro pagato meglio ma non lo voglio perché devo abituarmi ad un’altra famiglia e non è semplice” (2FR).
Non è tuttavia possibile comprendere quanto la formulazione del giudizio dipenda da
valutazioni circostanziate, oppure esprima solamente un auspicio o dei desiderata.
Per cercare di delineare in maniera più particolareggiata le prospettive attese vengono di seguito riportati alcuni racconti.
“Mi mancano mio figlio e mio marito, ma è meglio che io stia qua che là (in Moldavia). Per me il lavoro va bene, il peggio è con gli affetti. Vorrei vendere casa e
fare il permesso di soggiorno per tutti e tre. Lì non si può più restare per la povertà ma anche venire qua non è semplice. Mi manca tanto la mia famiglia, anche mia mamma e i miei 6 fratelli. Penso che pago i debiti e vado via, vorrei una
casa mia e comunque anche lì c’è lavoro. Spero che le cose migliorino...” (2FR)
“Ho molta nostalgia, però le mie prospettive sono di aiutare la mia famiglia con il
lavoro. Non ho altri pensieri. Mi piace l’Italia, ma voglio tornare là!” (4FR).
90
“Mi piace il mio lavoro ma sento molto la mancanza della mia famiglia. Ho 48
anni, vorrei continuare a fare la badante. Tra sette anni in Ucraina vado in pensione. Per la famiglia non saprei, tutto dipende dalla politica ma comunque è difficile che si muovano. Spero più salute per mio marito. I più giovani sono più abi-
tuati a stare qua, io no. E quindi vorrei tornare a vivere nel mio Paese. Il problema
grave è il permesso di soggiorno, spero che arrivi presto!” (6FR).
“Si vedrà per il lavoro, penso di tornare a casa ma si vedrà. Adesso molti prendono due badanti che si danno il turno 3 mesi e 3 mesi e sto pensando a questo
per tornare di più dalla mia famiglia: 3 mesi o 6 mesi. Nelle grandi città fanno così. Si vedrà per fare venire qua i figli. Forse resterò a vivere in Italia” (7FR).
“Quello che mi manda Dio, vedo giorno per giorno. La famiglia è un po’ qua e un
po’ in Spagna, un po’ in Romania e io resto. Sto bene qua, là non c’è niente, mio
figlio è qua, là non ho più casa...” (8FR).
“Non sono contenta della mia vita di adesso! Non ho una vita privata, non posso
pensare a me! Il lavoro fino quando hanno bisogno resto qua, per un altro paio d’anni voglio restare qua, anche con un altro lavoro. La mia famiglia resta là, voglio che
restino là a farsi la loro vita. Qua penso che le cose miglioreranno, almeno per la casa: vogliono fare un appartamento nuovo per me e l’anziano che assisto. Per la mia
famiglia là spero sempre meglio! Ho rinnovato il permesso in giugno e devo aspettare fino a dicembre per tornare a casa, per avere in mano il permesso...” (9FR).
Il non facile confronto tra il “noi” e il “voi”
A conclusione di questa parte di indagine, è interessante riportare alcune riflessioni
che le stesse lavoratrici hanno chiesto di poter fare a margine dell’intervista: si tratta
sostanzialmente di comparazioni spontanee tra il “noi” e il “voi”, tra il “nostro sistema” e il “vostro sistema”, che possono assumere, oltre a una valenza prettamente
conoscitiva, una anche interpretativa delle diverse realtà.
Modelli culturali e stili di vita
Complessivamente, non si percepisce una grande distanza culturale, sebbene le donne moldave e ucraine tendano a identificare l’Italia di oggi con i loro Paesi di provenienza di ieri, ossia prima della crisi politico-economica che li ha colpiti.
Ciò non di meno la percezione delle differenze negli stili di vita viene centrata proprio sul
confronto inerente la cura degli anziani o l’educazione dei figli. Alcune donne trovano inconcepibile affidare a strutture socio-sanitarie o a estranei pagati i propri genitori anziani,
così come gli approcci educativi dei figli vengono interpretati come troppo protettivi o
91
Badante, una professione di congiunzione
addirittura assistenzialistici. In questo senso emergono anche delle percezioni sui ruoli e
le relazioni di genere: le donne italiane vengono descritte come “libere”, “autonome”,
“autoritarie” e quindi maggiormente rispettate dalla componente maschile.
Le intervistate constatano poi nella società locale il rinvio della nuzialità e della fecondità, che si traducono in un ritardo nelle transizioni di ruolo da figlio a coniuge e
da coniuge a genitore. Il conseguente calo della natalità si ripercuote anche nella diminuzione del numero di fratelli che un figlio si trova ad avere, rendendo gli aspetti
relativi alla socializzazione con i pari sempre più critici. Le seguenti testimonianze
esplicitano questi concetti.
“I risparmi di tanti anni ce li ha rubati lo Stato... il futuro da noi non si può dire, sono già passati tanti anni e quale futuro c’è stato? Ormai tutti sono andati via e lavorano in altri Paesi... In Moldavia restano solo persone anziane e le nostre famiglie che aspettano noi... Non c’è più vita, cultura, scuola, sanità... Prima di quella
crisi non era diversa la Moldavia da qui: anche noi avevamo le nostre feste, i nostri lavori, le nostre vite, le nostre famiglie... le persone qui non conoscono cosa
succede nel nostro Paese, quando mi chiedono e io racconto non mi crede nessuno... La mia signora ha due figlie non sposate, qui si sposano dopo... Io ho 40
anni e posso fare confronti, ma poi per avere bambini diventa un problema, ne
puoi fare uno, ma poi come cresce bene senza fratelli o sorelle? Ma forse non è
molto interessante questo qui o forse non si capisce e si aspetta...” (1GC).
“Da noi il lavoro c’è, solo che pagano poco. Le cose costano tanto e la gente è povera. Molte donne sono andate via... Sono le donne che vanno via forse perché hanno
più forza degli uomini, forse perché facciamo lavori che si vedono poco, forse perché
è più facile che una donna faccia la badante o lavori dentro in casa... Io ero una pediatra in Moldavia, apprezzo il vostro sistema sanitario nazionale che non è a pagamento e la medicina in Italia è all’avanguardia rispetto alle tecniche mediche usate
nel mio Paese. Quando i miei figli si ammalano mando i farmaci dall’Italia perché
quelli acquistati in Moldavia sono poco efficaci... arrivano dalla Russia!” (1RS).
92
“Assistere queste persone non è facile e non tutti hanno il carattere per stare con
queste persone... Secondo me chi si occupa di persone anziane dovrebbe farlo
solo se “portate”, solo con il cuore e non per soldi e con rabbia, non solo perché
c’è crisi economica da noi... Il sistema qui trascura un po’ gli anziani, li considera
poco dentro le famiglie, tutti hanno altri pensieri... Le donne qua fanno anche meno lavoro in famiglia, sono più libere. Da noi le donne in casa lavorano molto e
poi avevano anche il loro lavoro fuori di casa” (3DM).
La “nostra” presenza qui
Considerazioni interessanti riguardano il “ruolo” svolto come badanti, che viene correlato talora alla scarsa “comprensione” da parte delle persone autoctone; talora alle
difficoltà che una condizione irregolare porta quotidianamente a vivere; talora agli
aspetti amministrativi-burocratici.
“Abito con la signora che assisto, se voglio avere un’amicizia con un’amica bisogna rispondere a tante domande e mi controlla: noi siamo immigrati e non si sa bene cosa facciamo qui ...lavoro sempre, sia notte che giorno... uscire non me lo posso permettere se succede qualche cosa o sto male, non ho il permesso e non posso andare in ospedale, mi chiedono i documenti, chi sono, cosa mi può succedere allora? Bisogna fare qualche cosa per questi stranieri. Bisogna accettare che ci siamo qua e
che lavoriamo qua. Noi aiutiamo voi e voi aiutate noi. Ma la politica non capisce questo...” (6GC).
“È dura essere qua, sanno che siamo esseri umani ma non ci danno uguali diritti, ci
trattano come animali per ignoranza perché pensano che nel mio Paese si muore
di fame come in Africa, ma siamo come qua, è solo l’economia che è andata in crisi” (9RS).
“Ho avuto qualche difficoltà con la lingua all’inizio, ora parlo bene l’italiano (sono
qui dal 2001). Ho il permesso di soggiorno ma le difficoltà sono legate alla lunga
attesa (6 mesi) per ottenere il rinnovo del permesso. Questo qui è un sistema
non giusto, bisognerebbe pensare a cosa facciamo noi qui...” (5RS).“...Ho rinnovato il permesso in giugno e devo aspettare fino a dicembre per tornare a casa, per
avere in mano il permesso... Per me è un grosso problema perché ho la madre
che sta per morire e non posso tornare. È un bel problema, più che altro per la
Moldavia! Il Governo moldavo fa problemi perché tante donne vogliono andare
via. Non è facile andare via. Io potrei andare in questura per permesso speciale
ma ci vuole troppo tempo. Spero che la situazione migliori, soprattutto dove ci sono emergenze. Ce ne sono altre donne con questo problema!” (9FR).
93
Badante, una professione di congiunzione
Capitolo 4
L’impatto della presenza delle badanti
Le cause di una domanda crescente di
assistenza familiare
I fattori che concorrono a determinare una domanda così ampia di assistenti familiari
sono ascrivibili ad alcuni fenomeni socio-demografici ed economici che caratterizzano la società odierna.
I fattori sono molteplici e la complessità delle relazioni tra questi rende la lettura del
fenomeno ancora più complicata: invecchiamento, non autosufficienza, sistema relazionale dell’anziano, stili di vita e relazioni sociali, struttura familiare ed evoluzione
delle dinamiche familiari, mercato del lavoro, flussi migratori, disponibilità economiche, sistema dei servizi, modelli culturali propri del contesto di riferimento.
L’invecchiamento
Un primo fattore concerne il crescente invecchiamento della popolazione: è noto infatti che l’Italia rappresenta il Paese con l’indice di invecchiamento più elevato al
mondo, contando 140 ultra 64enni per ogni 100 soggetti di età inferiore ai 15 anni.
Più in dettaglio gli ultra 64enni rappresentano il 19,8% della popolazione residente e
gli ultra 74enni ben il 9,3%. In particolare è l’aumento degli ultra 74enni, i cosiddetti
“grandi anziani”, a dimostrarsi in rapida ascesa: rappresentano invero il gruppo di
persone ove risulta maggiormente diffusa la condizione di non autosufficienza e
quindi ove aumenta il bisogno di assistenza.
Se si focalizza l’attenzione sul contesto provinciale (Tab. 25), gli indicatori demografici
considerati sembrano confermare nel corso degli anni una tendenza crescente all’invecchiamento, sebbene i valori si mantengano al di sotto della media nazionale e regionale. È ipotizzabile che quest’ultimo differenziale sia indotto dall’accentuata pre-
Tabella 25. Indicatori demografici
Serie storica
2001
94
Provincia di Vicenza
2002
2003 2004
Incidenza ultra 65enni su pop. totale
16,8%
17,0%
Incidenza ultra 75enni su pop. totale
7,6%
7,8%
Indice di vecchiaia
Fonte: ns. elaborazione su dati ISTAT
17,2% 17,4%
7,9%
8,0%
2005
Veneto
2005
Italia
2005
17,7%
19,2%
19,8%
8,2%
9,1%
9,3%
112,9% 113,0% 114,2% 115,0% 116,4%
138,5% 140,4%
senza immigrata che connota il contesto vicentino e che genera un abbassamento
dell’età della popolazione residente rispetto al contesto regionale e nazionale.
L’invecchiamento della popolazione e, conseguentemente, i miglioramenti dei livelli
di sopravvivenza e la riduzione del tasso di mortalità rappresentano necessariamente dei benefici per la società, ma comportano dei costi: diventano più diffuse le malattie croniche e le disabilità di lungo periodo, inducendo un aumento dei costi sociali e sanitari. Esiste infatti una correlazione stretta tra la presenza di malattie croniche
e la perdita di autonomia e, dunque, la necessità di assistenza.
All’allungamento della vita non sempre, quindi, corrisponde un effettivo miglioramento della sua qualità: sebbene venga traslato temporalmente in avanti il punto di
inizio dei processi di perdita significativa dell’autonomia nella gestione della vita quotidiana, con l’aumentare dell’età cresce il problema della mancata autosufficienza,
aggravata dalla presenza di pluripatologie e dall’isolamento sociale dell’anziano.
La rarefazione della rete parentale
Un secondo fattore che determina la domanda di assistenza riguarda i mutamenti che
la famiglia italiana ha subìto nel corso degli ultimi anni: la crescente partecipazione
delle donne al mercato del lavoro, l’instabilità coniugale, la riduzione delle dimensioni
medie del nucleo familiare rendono rarefatta la rete tradizionale di sostegno.
Il crescente carico di funzioni e compiti e la frammentazione dei nuclei, che riduce
l’ampiezza delle reti parentali su cui fare affidamento, indeboliscono il ruolo della famiglia nella cura e nell’assistenza ai soggetti dipendenti. Ne consegue che la riorganizzazione dei ruoli interni alla famiglia comporta una domanda estesa di manodopera per i compiti di cura, un tempo svolti dalle mogli, madri e figlie, esclusive o principali prestatrici di cura all’interno del cosiddetto welfare familistico29.
Al tradizionale ruolo della donna all’interno della famiglia quale casalinga-mogliemadre si aggiunge quello di lavoratrice, comportando un notevole aggravio in termini di impegno: sembra infatti che l’emancipazione delle donne non abbia comportato una sufficiente re-distribuzione dei compiti domestici e assistenziali all’interno del
nucleo, bensì semplicemente il trasferimento ad altre donne, le collaboratrici e assistenti familiari, di una parte degli
stessi30.
In altre parole, per mantenere il lavoro
svolto fuori casa, le donne occidentali hanno sempre più bisogno di collaboratrici do-
95
29 Per un approfondimento si rinvia
a Esping-Andersen (1990).
30 Per un approfondimento si rinvia
a Ehrenreich, Hochschild (2002).
Badante, una professione di congiunzione
mestiche, baby-sitter e badanti per occuparsi delle faccende domestiche, dei bambini e degli anziani.
È vero altresì che la caratterizzazione della famiglia allungata porta alla co-presenza
di più generazioni all’interno della rete familiare e quindi un maggior numero di soggetti a potenziale supporto dell’anziano. Il passaggio da famiglia allargata a famiglia
allungata vedrebbe perciò una compensazione assistenziale. Tuttavia si dimostra che
negli attuali modelli familiari di vita e di lavoro, neanche la coabitazione garantisce di
per sé la possibilità di prendersi cura dei soggetti deboli della famiglia, rispondendo
in termini di esigenze di tempo, dedizione e prestazioni. E questo si traduce nella necessità di richiedere un sostegno esterno per le funzioni di cura.
La cultura, i costi e l’offerta pubblica
Un terzo fattore è l’esito della combinazione tra una diffusa propensione al mantenimento dell’anziano nella propria dimora e gli eccessivi costi per il ricovero in strutture
residenziali. Si riscontra infatti come soltanto una minima parte di anziani non autosufficienti si rivolga a suddette strutture: si stima l’8% dei 2,8 milioni di anziani non
autosufficienti presenti oggi in Italia31.
Sussistono poi elementi intrinseci ai nuclei familiari che favoriscono la permanenza
dell’anziano nel proprio contesto domestico o inducono all’istituzionalizzazione, per
esempio: una maggiore propensione alla gestione domiciliare è ascrivibile a livelli di
scolarizzazione bassi, una maggiore propensione all’acquisto di servizi di supporto
esterni è ascrivibili alle famiglie con scolarizzazioni e redditi più elevati.
Se una soluzione alternativa è offerta dall’assistenza domiciliare pubblica, invero si riscontra che l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i Paesi industrializzati con appena
l’1% degli anziani assistiti a domicilio32. Peraltro il modello di assistenza domiciliare
offre un servizio “ausiliario” ma non in grado di soddisfare appieno i fabbisogni dell’anziano, che spesso richiede una cura giornaliera 24 ore su 24. Inoltre si sconta molto spesso la mancanza di un coordinamento tra servizi socio-assistenziali e la rete fa-
96
31
Per approfondimenti si rinvia a Di
Vico (2004).
miliare, rendendo in questo modo meno efficienti gli interventi stessi e lasciando la
32
famiglia in un sostanziale stato di isolamento.
A titolo comparativo si pensi che
Germania e Spagna si attestano sul
2% e la Francia raggiunge il 7%. Per
approfondimenti si rinvia a Barbagli,
Colombo, Sciortino (2004).
Si constata comunque come la decisione di ricorrere all’istituzionalizzazione rappresenti frequentemente l’estrema ratio, ossia la conclusione di un percorso che vede la
messa in campo di tutte le strategie possibili per mantenere l’individuo al proprio domicilio. Ne consegue un innalzamento dell’età media della popolazione istituzionalizzata, con peggioramento delle condizioni di chi è inserito in struttura, cosicché le
strutture stesse si trovano in carico i pazienti più difficilmente gestibili.
Le modalità di sostegno
Un quarto fattore è rappresentano dalla tipologia delle misure di sostegno caratterizzanti il welfare italiano. Le misure adottate riguardano contributi economici (per
esempio indennità di accompagnamento33) a sostegno dei bisogni di cura, ma rinviano quasi interamente alla famiglia le funzioni di cura e assistenza. E, probabilmente, l’incapacità della stessa a soddisfare detti bisogni ha concorso ad alimentare un
acquisto “privato” di supporto, per l’appunto offerto dalle badanti.
Resta ancora riconducibile a sperimentazioni e non molto diffusa l’azione delle Amministrazioni Locali per attivare forme di accreditamento dei soggetti che erogano
assistenza privata. In questi modelli il soggetto pubblico eroga dei “buoni” o vouchers, spendibili dal beneficiario esclusivamente presso uno degli erogatori accreditati: in questo modo da un lato viene sostenuta la capacità di spesa delle famiglie
meno abbienti, dall’altro viene garantita la qualità dell’assistenza oltre che alimentare un segmento di mercato del lavoro regolare.
Si tratta dunque di una soluzione diversa rispetto ai sussidi elargiti senza alcun vincolo di destinazione, che in molti casi servono a pagare, e quindi a incentivare, il lavoro
in nero. Con questo sistema, invece, il lavoro di cura potrebbe essere inserito all’interno della rete dei servizi sociali, restituendo alle Amministrazioni Locali una funzione di “garante” della qualità del servizio stesso.
L’impatto economico sul sistema di welfare
Come si è desunto dall’indagine, lo stipendio medio mensile di un’assistente familiare
si colloca attorno agli 800 euro, cifra variabile a seconda che si tratti di un rapporto di
lavoro regolare (a cui andranno pertanto aggiunti i contributi trimestrali, le ferie spettanti, la tredicesima mensilità e il Tfr), sia che si tratti di un rapporto di lavoro in nero.
A ogni modo il sistema familiare risulta avvantaggiato dall’impiego di questa risorsa
33 Si tratta di una prestazione monetaria fornita a persone di qualsiasi
età totalmente non autosufficienti
al fine di contribuire ai costi supplementari dovuti ai bisogni assistenziali insorti. Viene assegnata sulla
base del bisogno del richiedente
senza considerare la sua condizione
economica o quella dei suoi familiari. Per approfondimenti si rinvia a
Gori (2002).
97
Badante, una professione di congiunzione
assistenziale: oltre a consentire all’anziano di continuare a vivere nella propria abitazione, si conviene che l’assunzione di una badante sia per la famiglia nettamente inferiore rispetto alla retta di una struttura residenziale34.
Posto dunque che si tratta di due risposte assistenziali qualitativamente diverse, in
termini di costi si calcola che una retta mensile in Casa di riposo mediamente equivale a 1.500 euro, a fronte di uno stipendio mensile per la badante più o meno di
800 euro. E l’impatto economico risulta tanto più elevato quanto più lunga diviene la
permanenza nella struttura residenziale: il differenziale per tre mesi assommerebbe
a 2.100 euro, per tre anni assommerebbe a 25.200 euro.
Pertanto la presenza di assistenti familiari induce consistenti risparmi al sistema assistenziale pubblico, che, altrimenti, dovrebbe garantire l’assistenza presso strutture residenziali per poco più della metà dei costi35.
Va anche osservato che la retribuzione in media di una badante in regola ha subìto
nell’ultimo triennio un decisivo incremento (si calcola sia passata da 600 euro a 800
euro mensili) e questo porta a due considerazioni legate alle dinamiche della domanda e dell’offerta. Da un lato l’aumento potrebbe essere causato dalla maggiore la
domanda espressa dalle famiglie, spinta dalle inefficienze del sistema pubblico oppure dalla diffusione tra la gente di una pratica ritenuta come una valida soluzione;
dall’altro potrebbe essersi ridotta l’offerta.
L’elevato turnover e la non misurabilità delle uscite potrebbero far pensare che molte
donne arrivino in Italia, permangano per alcuni anni e poi ritornino nel proprio Paese
o cambino segmento del mercato del lavoro (per esempio accettando una occupazione in fabbrica). Le due dinamiche farebbero in qualche modo aumentare la concorrenzialità nel mercato dell’assistenza, con il conseguente innalzamento retributivo.
L’impatto economico sui Paesi di origine
attraverso le rimesse
98
34 Per
approfondimenti si rinvia a Righetti (2005).
Come rilevato dall’indagine, se per le 58 lavoratrici interpellate il volume mensile de-
35 Secondo
gli stipendi percepito è complessivamente pari a circa 44.000 euro, il volume mensi-
la Caritas Veneziana, il risparmio della Regione per mancati
ricoveri in Residenze per anziani, sarebbe stato di addirittura 900 miliardi di lire (Papiers, 2004).
le delle rimesse ammonta complessivamente a circa 25.500 euro, ossia al 58% del
percepito. Adottando un procedimento proxy e proiettando questi parametri sul tota-
le delle presenze stimate per la provincia di Vicenza (5.255) si avrebbe un volume
complessivo di rimesse mensili pari circa a 2,3 milioni di euro, considerabile come
“flusso di entrate di natura vicentina”.
Per rendere conto delle dimensioni, si richiama come recenti indagini abbiano dimostrato che metà del PIL della Moldavia consiste proprio in rimesse da migranti, per la
maggior parte costituite da donne. Non v’è dubbio, quindi, che il sistema delle rimesse costituisca uno strumento di entrata economica e di sviluppo familiare: sono
una opportunità per far studiare i figli, apportano un maggiore benessere per l’individuo e la sua famiglia, permettono un livello di consumo diverso, possono talora consentire l’avvio di un’attività imprenditoriale in Terra d’origine. Ma non è detto che tutto questo concorra allo sviluppo economico effettivo del Paese d’origine: in questo
senso il caso albanese36 è emblematico poiché le rimesse hanno accresciuto i consumi di prodotti esteri, affossando l’attività produttiva interna.
L’impatto sull’opinione delle famiglie
Il tema badanti può essere inteso come fenomenologia sociale poiché ampia è la
complessità che caratterizza questo argomento.
Sotto l’aspetto sistemico, la natura sommersa dell’assistenza privata fa sì che essa si sviluppi al di fuori della rete di sostegno a favore degli anziani non autosufficienti, in modo
frammentato e in un vuoto di relazioni e di coordinamento con lo sviluppo dei servizi
pubblici territoriali. Si evince cioè la mancanza di una regia sulla programmazione complessiva in riferimento ai contenuti del lavoro di cura, alla qualità delle prestazioni e alla
professionalità degli addetti. Al contempo si riscontra la mancata sintonia tra le politiche
socio-sanitarie, le politiche dell’immigrazione, le politiche occupazionali: ciascuna di esse
è infatti fissata su obiettivi funzionali propri e poco orientata alla visione di sistema.
Sotto l’aspetto privatistico le famiglie mettono in evidenza i seguenti aspetti37.
I
Sulla formulazione di valutazioni incidono prevalentemente le difficoltà insorte
con precedenti assistenti familiari e queste vengono a influenzare una sorta di
pregiudizio generale sulle badanti e sul beneficio che il loro lavoro apporta effettivamente al sistema locale. Permane in questi casi l’atteggiamento dell’aver dato
36 Per un approfondimento si rinvia
a Piperno (2003).
37 Per cercare di trarre ulteriori elementi di analisi e per completare il
quadro, sono stati contattati in qualità di “testimonial” alcuni datori di
lavoro, o per meglio dire alcune famiglie che hanno usufruito per un
proprio familiare dell’assistenza di
una badante o che ne stanno attualmente fruendo. Come metodo di rilevazione si è preferito non utilizzare questionari o interviste strutturate, quanto piuttosto è stata svolta
una conversazione aperta, cercando
di individuare punti di forza e punti
di debolezza. Il numero di contatti
avuti (6) non assume alcun significato statistico, ma è volto a raccogliere una serie di riflessioni.
99
Badante, una professione di congiunzione
“tutto” e dell’essere stati “traditi”, perché il rapporto di lavoro si è interrotto improvvisamente oppure per qualche azione impropria compiuta dalle stesse badanti, con diminuzione repentina della fiducia riposta in esse dalle famiglie (“...ho
trovato mia madre una volta sul letto senza lenzuola perché lei le aveva lavate... non si tratta così un anziano! Mia madre per giunta!... Vengono qui solo
per fare soldi e fanno tutte la bella vita!... Basta andare fuori da una Casa di riposo, le trova là che stanno fuori con l’anziano in carrozzina e fumano e chiacchierano: non sarà mica lavoro e sacrificio questo. Sarà perché io ho lavorato
molto nella mia vita e certe cose davvero non le concepisco!”).
I
Il bisogno di un supporto nell’attività di cura a un familiare non risulta formulato in
modo generico: le famiglie richiedono cioè un rapporto fiduciario tra assistito e assistente, quasi una forma di legame affettivo a garanzia di una attenta cura della
persona anziana. Tuttavia la vicinanza che la badante è chiamata a vivere con l’anziano assistito innesca meccanismi di relazioni triangolari (anziano, familiare, assistente) che richiedono una chiarezza di ruoli teoricamente predeterminabile ma
praticamente “spontanea”.
Le famiglie, inoltre, esprimono comprensibili atteggiamenti di “controllo” perché
vogliono “sapere chi entra nelle loro case”, a chi affidano i loro cari. E per alcuni
è anche un po’ come mettere a disposizione parte del proprio “privato”, aprirlo alla presenza di un’altra persona che resta in casa per tutto il tempo e che può liberamente in essa circolare (“Può entrare in tutte le stanze, guardare che cosa c’è,
vedere le mie cose...”).
I
L’esosità economica per la retribuzione di una badante induce spesso una sorta di
“malcontento”: sono soldi che la famiglia potrebbe impiegare alternativamente
(magari per i propri figli o per sé stessa) se il sistema di protezione sociale funzionasse meglio.
Ad accrescere sentimenti di preoccupazione vi sono poi gli oneri contributivi che la
famiglia cerca, all’insegna di una giustificazione di “tenuta del bilancio familiare”,
100
di evitare, preferendo contratti “grigi” (ossia dichiarando soltanto una parte delle
ore lavorate) o addirittura “in nero” (quest’ultimi giustificati da uno stato di bisogno e dall’impossibilità di far fronte in altra maniera).
Il vincolo economico è dunque una costante: frequenti e legittime sono le doman-
de “Quanto devo pagare?”, “Come posso risparmiare?”, nonché sentimenti di
“ricatto morale” (“...Quando ci penso mi viene freddo, sono tanti soldi che potrei spendere per me, per il mio futuro, ho 47 anni... però è sempre mia mamma e non posso non pensare a lei...”).
Inoltre, per alcuni familiari, il presentare la domanda per entrare nel decreto flussi
viene descritta “più una gara che una reale opportunità di miglioramento... Intanto non sai neanche a chi rivolgerti per capire cosa devi fare di preciso e
poi... le lunghe file... ma dove siamo? Stiamo tornando indietro...”.
I
La caratteristica logorante del lavoro di cura prestato a propri familiari non autosufficienti (anche gravi) viene spesso misconosciuta o minimizzata. Permane invece l’idea che le risorse economiche spese possano sempre giustificare un lavoro di cura partecipato “Pago per avere qualche cosa...”. Tuttavia molta rilevanza
assume il legame affettivo ed emotivo con il quale la famiglia affronta l’argomento, nonché il significato attribuito al lavoro di cura agito in prima persona e
“delegato” a un soggetto “estraneo” alla cerchia parentale (“...È naturale che se
fossi io ad assistere mia mamma sarebbe molto meglio, sono sua figlia! È logico che lei invece è una estranea..., ma non vedo alternative, anzi questo è
già tanto ed è quanto riesco a permettermi... se fosse per i miei fratelli non so
dove saremmo adesso...”).
I
Vi sono delle esperienze in cui questo lavoro ha costituito anche un avvicinamento tra le due culture, configurandosi come una risorsa relazionale, descrivendo
momenti di incontro e conoscenza reciproca (non di rado si verifica la curiosità di
far tradurre vocaboli italiani nella lingua originaria) oppure di conoscenza del Paese (per esempio con la lettura di libri, il racconto storico o geografico). Laddove si
sono innescati meccanismi di “reciprocità” il rapporto ha funzionato bene e la
soddisfazione è stata reciproca (per il datore e per il lavoratore).
I
Va diffondendosi la consapevolezza che esistano delle “categorie” o delle “provenienze” più dedite a questa professione rispetto ad altre, interpretate dalle famiglie
come “caratteristiche innate”, ma che forse riflettono modelli familiari e culturali
simili relativamente alla cura degli anziani. Ne consegue una sorta di gerarchia delle preferenze etniche nel processo di selezione dell’assistente familiare (“...Le ucraine sono migliori delle rumene, si vede che sono più portate per questo lavoro, ci
101
Badante, una professione di congiunzione
mettono impegno e anche dedizione, hanno cura per i nostri anziani... forse
perché sono abituate così anche da loro oppure perché hanno bambini piccoli
a casa e cercano qui di compensare una mancanza di affetto...”).
Qualche strumento di potenziale intervento
A fronte delle evidenze fin qui prodotte, si può asserire che questo segmento di mercato del lavoro costituisca di fatto una sorta di welfare privato, la cui rilevanza fa
emergere l’esigenza di alcune azioni.
I
Potenziare i flussi informativi e il loro utilizzo per migliorare la programmazione
degli interventi.
Una prima criticità che è emersa durante la realizzazione della presente ricerca,
ma che in generale viene riscontrata qualora si voglia dimensionare il fenomeno
dell’assistenza familiare, concerne gli archivi delle fonti ufficiali: una miniera di
informazioni poco accessibili, poco organizzate e certamente non fruibili in maniera “sufficientemente tempestiva”. Ciò comporta una duplice ricaduta: da un lato
permane una carenza informativa sull’argomento che impone il ricorso a metodi
di stima; dall’altro si constata l’assenza di un’ottica programmatoria di sistema basata su evidenze.
Si ritiene pertanto che potenziare i flussi informativi possa consentire una programmazione migliore che non sia anacronistica, ma possa di fatto supportare interventi armonici tra politiche dell’immigrazione, politiche sociali, politiche sanitarie, politiche occupazionali.
Da qui nasce l’esigenza di disporre di un “Osservatorio esperto” i cui compiti potrebbero così declinarsi:
a) quantificare la presenza regolare attraverso un puntuale utilizzo delle fonti ufficiali, integrate anche da fonti locali (per esempio: sportelli Caritas ecc.);
102
b) provvedere alla formazione delle badanti intesa non in senso strettamente
“professionalizzante”, quanto piuttosto di sostegno ad aspetti di socializzazione e di approccio ai problemi (gestione delle relazioni, problematiche che si
possono presentare assistendo un certo tipo di anziano ecc.);
c) quantificare le rimesse e monitorare il loro effettivo impatto sull’economia dei
Paesi di provenienza;
d) quantificare e qualificare i bisogni delle famiglie attraverso la messa in rete di
informazioni circa la richiesta di contributi o altre forme di supporto;
e) individuare validi strumenti di supporto alle famiglie, spesso disorientate e lasciate sole a gestire l’anziano e a trovare le soluzioni assistenziali;
f) individuare modalità differenti di gestione dei flussi, per esempio prevedendo
una certificazione del bisogno fondato sullo stato di salute dell’anziano e stabilendo, rispetto alla gravità del caso, una priorità nella presentazione delle domande.
I
Adottare misure economiche a sostegno dei costi sostenuti dalle famiglie.
Proprio a fronte dell’importanza e dell’impatto che questo tipo di assistenza produce sul welfare, diviene più importante definire esattamente, su una scala dei bisogni e del quadro clinico dell’anziano, il “giusto” contributo da erogare alla famiglia che decide di mantenere l’anziano al domicilio.
Nell’ottica poi di garantire una equa opportunità a tutte le famiglie di potersi avvalere di personale a supporto, dovrebbe essere promossa la riduzione dei costi sostenibili per l’assistenza privata a pagamento, purché svolta nel mercato regolare,
rendendone competitivo il costo complessivo. Come visto, molte famiglie non possono permettersi una badante in regola e sono, perciò, attratte dal mercato clandestino, risparmiando così i contributi e gli altri obblighi. Questo aspetto viene altresì alimentato dal fatto che l’offerta (ossia le potenziali lavoratrici “irregolari”) essendo già presente in Italia può entrare facilmente in relazione con la domanda
(le famiglie).
Sembra peraltro ventilata la possibilità di istituire un fondo per la non autosufficienza, che dovrebbe aiutare a sostenere le spese più gravose, e finanziare una
rete di servizi domiciliari.
A ogni modo andrebbe raffinato l’attuale sistema degli incentivi alle famiglie, tenendo effettivamente in considerazione lo stato di salute e il conseguente carico
assistenziale dell’anziano.
I
Attivare la rete degli “attori” territoriali.
Proprio per la complessità delle dinamiche che discendono da questo tipo di occupazione e dai bisogni che generano la domanda e l’offerta, si rende decisivo pre-
103
Badante, una professione di congiunzione
vedere l’attivazione sinergica degli “attori” locali. Questi soggetti potrebbero agire
per facilitare la diffusione informativa tra gli immigrati in cerca di occupazione e gli
stessi datori di lavoro, per intercettare i bisogni delle famiglie e farli emergere (si
pensi al riguardo al ruolo fondamentale giocato dal medico di famiglia), per coniugare le risorse pubbliche (assistenza domiciliare socio-sanitaria pubblica) con quelle private, per garantire una formazione adeguata alle badanti e dunque migliorarne l’approccio assistenziale.
Inoltre la famiglia, che vive già una condizione di disagio al suo interno, necessita
di essere supportata e facilitata nei percorsi non solo di gestione dei contratti con
le assistenti familiari, ma più in generale nei percorsi socio-assistenziali e nell’approccio ai servizi.
I
Attivare la formazione quale leva di accrescimento professionale.
Si potrebbero strutturare percorsi formativi non a carattere puramente strumentale e occasionale, ma costruiti su più livelli e atti ad accrescere la professionalità di
queste lavoratrici. In prima battuta il bisogno è quello di far conoscere le strutture
e i servizi presenti sul territorio, gli usi e i costumi locali, la lingua italiana e dialettale e di acquisire informazioni di base sull’organizzazione del mercato del lavoro
e la prevenzione degli incidenti domestici. Successivamente potrebbe prefigurarsi
interessante garantire conoscenze e qualificazioni più approfondite in tema di assistenza e cura, somministrazione dei farmaci, medicina di primo intervento e di
prevenzione.
Va detto, però, che la realizzazione di percorsi di formazione rivolti a questo segmento di forza lavoro potrebbe scontrarsi con la temporaneità del progetto migratorio che queste donne intraprendono (di breve periodo e funzionale a proprie necessità economiche), con la conseguenza che l’interesse per una qualificazione in
tal senso si potrebbe configurare davvero limitato.
Sussiste poi una carenza di figure in ambito assistenziale e quindi è lecito attendersi che la richiesta sempre maggiore di personale straniero non riguarderà solo
104
il mercato privato, ma anche quello dei servizi pubblici e/o convenzionati. Già note sono le carenze di personale presso molte strutture residenziali le quali, per
fronteggiarle, guardano con crescente interesse all’impiego di personale proveniente dall’estero.
I
Promuovere sistemi di analisi della domanda e dell’offerta.
Potrebbe risultare strategico, e già vi sono timide sperimentazioni38, provvedere
alla costituzione di un sistema di gestione del mercato del lavoro focalizzato sull’a38
nalisi personalizzata dei fabbisogni delle famiglie e delle competenze/disponibilità della lavoratrice, prevedendo anche un servizio di assistenza durante tutta la
fase d’inserimento.
Proprio questo settore di attività si fonda su un rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, ma perché questo rapporto possa costituirsi è indispensabile un
incontro diretto tra i due “contraenti” supportato, come precedentemente detto,
dalla mediazione di un soggetto organizzato che governi domanda e offerta di lavoro. Più in dettaglio l’azione mediatrice potrebbe sostanziarsi nella selezione e
nella formazione del personale, nel monitoraggio delle prestazioni, nella sostituzione del personale in caso di ferie, malattia, giorni di riposo, nella gestione di
eventuali controversie.
Proprio perché la conoscenza diretta rappresenta un prezioso requisito in questo
particolare lavoro, fondato essenzialmente su un rapporto di fiducia tra persone,
meccanismi legati alla “sponsorizzazione” di matrice anglosassone sono oggi al
vaglio dell’attuale Governo39.
Infine, una ulteriore opportunità potrebbe derivare dall’incentivazione di “permessi vincolati” finalizzati cioè al lavoro di badante, similmente a quanto accade attualmente per gli ingressi di personale infermieristico40. Ciò potrebbe favorire un
minore turnover per la lavoratrice, una maggiore continuità assistenziale per la famiglia, una migliore finalizzazione dell’ingresso per questo segmento specifico del
welfare privato e una maggiore trasparenza all’intero processo.
Un esempio è dato dal progetto
denominato “Occupazione e servizi
alla persona”, di cui è titolare Italia
Lavoro, che, attraverso sportelli decentrati presso i quali operano anche dei mediatori culturali, cura le
relazioni con le famiglie e individua
il loro bisogno scegliendo le assistenti familiari più idonee anche in
base alle rispettive disponibilità. Si
tratta di 28 sportelli territoriali: 12
sono in Veneto, 8 in Friuli Venezia
Giulia e 8 in Lombardia.
39 In una recente proposta di riforma
del Testo Unico dell’Immigrazione si
legge: “...i datori di lavoro potranno rivolgersi agli sponsor, soggetti
che possono far entrare lavoratori
stranieri offrendo garanzie per
l’assicurazione al SSN, i mezzi di
sussistenza ecc. In questi casi al lavoratore verrà concesso un “permesso per inserimento” della durata di un anno. Lo Sponsor affiderà il lavoratore a un imprenditore e se dopo un periodo di prova
questi deciderà di assumerlo, il
permesso per inserimento verrà
convertito in un permesso per lavoro subordinato. Se non ci sarà
l’assunzione, il lavoratore tornerà
sotto la garanzia dello sponsor,
che potrà aiutarlo a trovare un altro lavoro” (del 4/10/2006).
40
Con le modifiche introdotte dalla
legge Bossi-Fini (L. 30 luglio 2002,
n. 189) al Testo Unico sull’Immigrazione (si veda l’art. 27, comma 1,
lett. r bis), tale categoria di lavoratori è stata collocata al di fuori delle
quote, rendendo possibile assumere
infermieri dall’estero in qualsiasi
momento dell’anno senza dover attendere il decreto flussi. Quindi, previa verifica di idoneità del titolo di
studio posseduto (che peraltro deve
essere riconosciuto dal Ministero
della Sanità in Italia) viene rilasciato
il visto d’ingresso e conseguentemente il permesso di soggiorno, il
cui utilizzo è limitato all’esclusivo
svolgimento della attività di infermiere professionale, ossia sempre
rimanendo nel medesimo ambito
lavorativo (sanità) e professionale
(infermiere).
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Badante, una professione di congiunzione
Appendice
Alcune note sul contratto
per le assistenti familiari
Retribuzioni minime.
Da gennaio 2006 sono state aumentate le retribuzioni minime (Tab. A.1) per i lavoratori domestici il cui contratto nazionale viene applicato anche alle assistenti familiari, non essendoci ancora una loro categoria contrattuale.
Tabella A.1 Minimi retributivi previsti dal Contratto Collettivo di Lavoro –
Decorrenza 1° gennaio 2006
Colf conviventi a tempo pieno
(Retribuzione mensile in euro)
Colf non conviventi
(Paga oraria in euro)
Prima categoria super*
777,726
Prima categoria super
5,869
Prima categoria
693,473
Prima categoria
5,345
Seconda categoria
563,843
Seconda categoria
4,454
Terza categoria
434,265
Terza categoria
3,249
*Prima categoria super: vi appartengono coloro che attestino professionalità specifica sul piano pratico operativo e
che, svolgendone le mansioni, siano in possesso di un diploma specifico o attestato professionale riconosciuto dallo
stato o enti pubblici.
Prima categoria: vi appartengono coloro che con piena autonomia e responsabilità presiedano all’andamento della
casa per esplicito incarico delegato dal datore di lavoro, o comunque svolgano mansioni per le quali occorra una specifica elevata competenza professionale (per esempio: addetto alla compagnia, governante, maggiordomo, assistente geriatrico, infermiere diplomato, capo cuoco).
Seconda categoria: vi appartengono coloro che svolgono mansioni relative alla vita familiare con la necessaria specifica capacità professionale (per esempio: baby-sitter, autista, cameriere, aiuto cucina, addetto alle pulizie).
Orario di lavoro.
Da gennaio 2004 è stato stabilito l’orario di lavoro per le lavoratrici non conviventi in
44 ore settimanali, mentre è stato fissato in 54 ore per le lavoratrici conviventi. Le
ore di lavoro straordinario devono, pertanto, essere retribuite con la maggiorazione
stabilita nelle singole situazioni (notturno, festivo).
Per quanto riguarda i riposi e le ferie, alla lavoratrice domestica spettano 36 ore di riposo settimanale, di cui 24 ore da godere la domenica e le restanti 12 in qualsiasi altro giorno della settimana. Spettano altresì permessi retribuiti in misura variabile a
seconda delle motivazioni che possono essere la frequenza di corsi di formazione, visite mediche, lutto familiare o nascita di un figlio per il lavoratore uomo.
106
Le ferie sono stabilite in 26 giorni lavorativi, indipendentemente dalle ore svolte, da assegnare (compatibilmente con le esigenze del datore di lavoro) possibilmente nei mesi da giugno a settembre. Nella retribuzione feriale gioca anche l’eventuale compenso
sostitutivo del vitto e dell’alloggio, quando il lavoratore ne usufruisca abitualmente.
Trattamento di fine rapporto.
Un ulteriore elemento retributivo riconosciuto ai collaboratori domestici è il trattamento di fine rapporto che, attualmente, matura come per gli altri lavoratori subordinati, in misura pari all’ammontare della retribuzione annua complessiva. Come per gli
altri dipendenti, il Tfr accantonato è soggetto a rivalutazione annuale.
Retribuzione non soggetta a ritenute fiscali.
Differentemente dagli altri lavoratori la retribuzione non è soggetta a ritenute fiscali,
poiché il datore di lavoro privato non riveste il ruolo di sostituto d’imposta.
L’importo erogato al lavoratore è, pertanto, al netto della sola trattenuta previdenziale ed è il lavoratore stesso che deve provvedere a dichiarare al fisco quanto percepito, salvo che operino i presupposti per l’esonero dall’obbligo dichiarativo. Il lavoratore
domestico non può avvalersi del modello 730 proprio in quanto manca il sostituto
d’imposta che provvede alla gestione dell’assistenza fiscale.
Contributi previdenziali.
Relativamente ai contributi da versare, va detto che all’aumentare delle ore lavorate
settimanalmente crescono i costi relativi alla retribuzione complessiva e agli oneri indiretti (ferie, tredicesima, liquidazione). Questo criterio vale anche per la contribuzione ma soltanto fino alle 24 ore settimanali. Infatti, per i rapporti di lavoro che si protraggono per 25 o più ore alla settimana con la stessa lavoratrice, in proporzione, i
versamenti previdenziali diventano più leggeri. Per queste collaborazioni “a tempo
pieno” scatta l’applicazione della quarta fascia che prevede una tariffa agevolata.
107
Badante, una professione di congiunzione
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