Noi siamo il meccanismo del pregiudizio

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Noi siamo il meccanismo del pregiudizio
Noi siamo il meccanismo del pregiudizio
Dott. Stefano Defendi, Sociologo Operatore Salute Mentale
Ma credete veramente di essere pazzi? Davvero?
E invece no, voi non siete più pazzi della media dei coglioni che vanno in giro per la strada.
Ve lo dico io”.
(Jack Nicholson. Qualcuno volò sul nido del cuculo. 1975.)
Parlare di pregiudizio è sempre una cosa difficile soprattutto perché tutti noi usiamo questo
“meccanismo interno” per crearci delle opinioni, delle idee, dei pensieri, ecc.. Per pregiudizio
s’intende: opinione errata dovuta a scarsa conoscenza dei fatti o ad accettazione non critica di
errate opinioni altrui. Alcuni sinonimi sono: giudizio anticipato, opinione falsa, superstizione,
fisima, idea sbagliata, credenza popolare, preconcetto, ecc.. Possiamo quindi ricondurre il
significato etimologico della parola stessa a “giudizio prematuro”.
Sottrarsi a questa definizione, affermando di non appartenere a quel novero di persone che
esprimono opinioni preconcette è difficile da sostenere, in quanto tutti, il più delle volte e in
maniera più o meno marcata, si trovano nella condizione di esprimere un giudizio derivante da
una scarsa conoscenza della materia e/o della situazione. I pregiudizi sono negativi, positivi,
neutrali, ma per lo più il termine di per sé prende un’accezione negativa. Spesso i preconcetti
sono rivolti e interessano persone che appartengono ad un determinato gruppo con un
determinato atteggiamento e possono essere visti come posizioni concettuali di favore o
sfavore, che hanno come oggetto l’insieme dei membri del gruppo. E’ ovvio che queste
posizioni sono largamente condivise da tutti e si formano all’interno dello stesso. Il pregiudizio,
quindi, fa parte del senso comune di una cultura, una condivisione di pensieri, di forme sociali,
di ragionamenti che appartengono ad una specifica mentalità societaria che in maniera più o
meno consapevole ripropone il preconcetto stesso. Parte fondamentale e indispensabile del
“giudizio prematuro” è l’annullamento del senso critico.Questo fa sì che la verità di
un’affermazione può essere rifiutata o accettata non in base alle tesi che supportano la stessa,
quindi ad un avvicinamento alla realtà delle cose, ma solo in relazione alle idee culturali create
dal gruppo di riferimento, che si sviluppano spesso senza approfondimenti, quindi attraverso il
pregiudizio che rende i membri di una comunità “legati” a livello d’identità. Io sono perché te non
sei ed io per rimanere in vita devo far sì che tu non sarai mai come me, quindi mi creo delle
idee infondate o approssimative per tenerti sempre “diverso” da me. Qui il discorso si fa più
complesso in quanto le ragioni del pregiudizio e della diversità, quest’ultima strettamente legata
all’argomento, hanno origini e ragioni antropologiche che arrivano fino alla nascita della società.
I pregiudizi sono rivolti a chi non appartiene ad un determinato gruppo o categoria sociale, ad
un “diverso” e la società nasce da un atto di violenza nei confronti di un “diverso”. Uno dei primi
pensieri del primate umano prima di diventare essere umano comunitario si è basato sulla non
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conoscenza di un “diverso” che è stato ucciso. Spesso siamo indotti a pensare e parlare di cose
che non conosciamo e che solitamente approfondiamo poco, mai fino in fondo, eppure
esprimiamo giudizi e sentenze inappellabili. Portiamo un esempio. Una testata giornalistica per
vendere copie (quantità vs qualità) deve saper comunicare cose che rimangono impresse, che
fanno scalpore, deve saper comunicare l’inatteso.Non si è mai sentito parlare di alberi che
crescono, che danno ossigeno, che danno vita, ma solo di alberi che cadono, che distruggono,
che uccidono. Una mattina troviamo scritto sul giornale, in prima pagina, che una ragazza con
disturbi psichici ha ucciso suo figlio e poi si è suicidata e di fianco vediamo l’articolo sulla
modifica alla Legge 180 detta “Basaglia”. Far passare il messaggio che solo i malati mentali
uccidono è pregiudizievole, ma questo fa attirare l’attenzione, fa vendere, scrivere di un mafioso
che uccide oramai è passato di moda, non frega più nulla a nessuno. Inoltre manipolare
l’opinione pubblica cercando consenso per voler riformare la Legge 180 è scorretto, ed ha una
base preconcetta, ma crea consenso, crea opinione, fa leva sul non senso critico che è alla
base del pregiudizio e manipola il pensiero. In questa ottica il pregiudizio è “meccanismo”.
D’altro canto chi conosce ed è a contatto con persone affette da difficoltà mentali sa che questo
non è vero, chi ha disturbi psichici è più o meno aggressivo quanto i così detti “normali”. La
società fa leva sul meccanismo del pregiudizio e dell’annullamento del senso critico perché
questo fa comodo, attraverso il pregiudizio catalizzo le mie aggressività intrapsichiche di
antropologica memoria verso un “diverso” e unisco la mia parte di gruppo, di pensiero, di
società, ultimamente oserei dire di “funzionalità e valore di scambio”, ma questo è un altro
discorso. Dire che tutte le persone malate di mente non potranno mai lavorare o che chi ha
disturbi psichici è una persona aggressiva e quindi pericolosa, è pregiudizievole. Ma come
possiamo cambiare lo stato delle cose visto che il “giudizio prematuro” è nel meccanismo
fondante ed insito in noi? Non esiste una risposta sufficientemente esaustiva a questa
domanda, ma vari spunti di riflessione possono risultare utili. Possiamo cominciare a non
vergognarci ad avere avuto o ad avere una difficoltà psichica (sembra facile!?) ad esempio. Con
questo non si intende sbandierare ai quattro venti la nostra intimità di persone malate, ma di
accettarla, per quanto si possa accettare una malattia e iniziare ad osservarla come altre
malattie che affliggono il genere umano. Cominciare ad unirsi e dare prova di essere in grado di
lavorare, di amare, di tirarsi su le maniche, di crearsi una famiglia, in sintesi di uscire allo
scoperto e mettersi in discussione con le differenze che ci contraddistinguono e non con le
diversità. Noi siamo “diversi”, a volte, anche perché ci percepiamo “diversi” e traiamo vantaggi
secondari da questo. Come dice il regista Bernardo Bertolucci nel film “The Dreamers”: “Prima
di cambiare il mondo, devi capire che ne fai parte anche tu. Non puoi restare ai margini e
guardare dentro”. La storia ci ha insegnato come i cambiamenti avvengono attraverso
l’abbattimento dei pregiudizi. Albert Einstein diceva: ”è più facile spezzare un atomo che un
pregiudizio”; sacrosanta verità, ma non parla di impossibilità ma di difficoltà. I pregiudizi sono
una cosa difficile da affrontare, ma proseguiamo e riflettiamo.
Nel lontano 1 dicembre 1955 una donna di colore disobbedì civilmente alla legge dell’Alabama
sulla segregazione all’interno degli autobus. La Signora fu arrestata per non aver ceduto il posto
a sedere che occupava in un bus ad un uomo bianco. Il nome della donna è Rosa Park, morta
nel 2005 all’età di 92 anni. Quella volta il fatto non passò inosservato.42 mila persone di colore
per protesta boicottarono i trasporti pubblici per ben tredici mesi. Da questo episodio nacque il
primo Movimento Americano per i Diritti Civili della Gente di colore, la “Montgomery
Improvement Association” capeggiato dal giovane, allora 24enne, Pastore Battista Martin
Luther King. Qualcosa si era mosso. Ad oggi abbiamo una persona di colore che è candidato
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alla guida di uno dei paesi più potenti del Mondo: l’America.
Il motivo per cui fra tanti esempi storici si è preferito questo è perché da un gesto semplice
come dire “no” ad un bianco sia cambiata la storia. Noi viviamo di tanti gesti semplici. Invito i
lettori a ricercare nella storia passata chi per noi, attraverso dei gesti semplici, ci ha donato un
contributo notevole. Cominciamo con una data il 13 maggio 1978. Concludendo, è impossibile
come si diceva prima, “smontare” il “meccanismo del pregiudizio”, tutti ne siamo stati contagiati,
ma comunque potremmo “boicottarlo” un poco cominciando a lavorare su noi stessi affinché si
arrivi a piena consapevolezza delle proprie idee preconcette, quindi dei nostri pregiudizi prima
che di quelli degli altri, per relativizzarne il peso e togliere qualsiasi ambizione di verità assoluta
sugli argomenti. In sintesi sarebbe opportuno fare un “salto qualitativo” ed essere flessibili e
tolleranti alle idee degli altri, anche se non le condividiamo, cercando di rispettarle nella cultura
che le determinano, alleggerendo le nostre convinzioni. Tutti siamo coinvolti nessuno escluso.
La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il
problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia,
invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla.
Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere (Franco Basaglia).
Dedicato a chi vuol mettere in discussione la Legge 180.
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Stefano Defendi. Il trattamento della sindrome da immunodeficienza acquisita nella società
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