UNIONE DI POPOLI E NON DI STATI PROSPETTIVA FUTURA

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UNIONE DI POPOLI E NON DI STATI PROSPETTIVA FUTURA
Anno XLII - n. 5 - luglio-agosto 2012
ISSN.: 0391-6154
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UNIONE DI POPOLI E NON DI STATI
PROSPETTIVA FUTURA DELL’EUROPA
Il 9 maggio 1950 nasce la
Comunità Europea. In questa
data, quando lo spettro di una
terza guerra mondiale angosciava il mondo intero, sono
state gettate le basi di quella
che oggi è l’Unione Europea.
E ancora, in quel non
lontano giorno, a Parigi, la
stampa era stata convocata
nella sede del ministero degli
esteri per una comunicazione
importante. Le prime righe
della dichiarazione del 9
maggio 1950 redatta da
Robert Schuman, Ministro
francese degli Affari Esteri,
in collaborazione dell’amico
e consigliere, Jean Monnet,
danno un’idea dei propositi
ambiziosi della stessa. “La
pace mondiale non potrebbe
essere salvaguardata senza
iniziative creative all’altezza
dei pericoli che ci minacciano. Mettendo in comune
talune produzioni di base e
istituendo una nuova Alta Autorità le cui decisioni saranno
vincolanti per la Francia, la
Germania e i paesi che vi
aderiranno, saranno realizzate le prime fondamenta
concrete di una federazione
europea indispensabile alla
salvaguardia della pace.”
Veniva proposto di porre in
essere una Istituzione europea
sovrannazionale cui affidare
la gestione delle materie
prime che all’epoca erano il
presupposto di qualsiasi potenza militare come il carbone
Il riferimento europeo è ancora l’unico punto fermo per un’idea di pace, di concordia, di sviluppo di un continente dilaniato per secoli da massacri. L’edificio
europeo può rappresentare una grande speranza per la politica mondiale.
e l’acciaio in un momento,
inoltre, particolarmente delicato quando le potenze mondiali ed europee erano ancora
divise da odi e rancori storici.
Tutto, quindi, iniziò quel 9
maggio e al vertice tenuto
a Milano nel 1985 i capi di
Stato e di Governo decisero di
festeggiare questa data come
Giornata dell’Europa.
Ogni paese che da allora ha
poi democraticamente scelto
di aderire all’Unione Europea
adotta “automaticamente” i
valori di pace e di solidarietà
su cui si fonda la costruzione
comunitaria. Questi valori si
realizzano grazie allo sviluppo economico e sociale
e all’equilibrio del contesto
ambientale e delle varie regioni, i soli fattori che possono
garantire un livello di qualità
della vita diffuso equamente
tra i cittadini.
Unione Europea
Oggi l’Unione Europea
(UE) è un partenariato economico e politico, unico nel suo
genere, tra 27 paesi che coprono buona parte del continente.
La costruzione europea è nata
sulle rovine della II Guerra
Mondiale con l’obiettivo
di promuovere innanzitutto
la cooperazione economica
tra i paesi, partendo dal
principio che il commercio
produce un’interdipendenza
che riduce i rischi di conflitti. Quella che era nata
come un’unione puramente
economica è diventata con
il tempo un’organizzazione
attiva in tutti i settori, dagli
aiuti allo sviluppo alla politica
ambientale.
L’Unione Europea si fonda
sul principio dello stato di
diritto. Questo significa che
tutti i suoi poteri riposano sui
trattati europei, sottoscritti
volontariamente e democraticamente dai paesi membri.
Questi accordi vincolanti
fissano anche gli obiettivi
dell’UE nei suoi numerosi
settori di attività. Uno di questi è la protezione dei diritti
umani, sia al suo interno che
nel resto del mondo. Dignità
umana, libertà, democrazia,
uguaglianza, stato di diritto
e rispetto dei diritti umani
sono i valori fondamentali
dell’UE. Dalla firma del Trattato di Lisbona, nel 2009, la
Carta dei diritti fondamentali
sancisce tutti questi diritti insieme. Le istituzioni dell’UE
hanno l’obbligo giuridico di
difenderli, e altrettanto sono
tenuti a fare i paesi membri
quando applicano la legislazione europea.
Il mercato unico, che permette la libera circolazione
di beni, servizi, capitali e
persone, è il principale motore
economico dell’UE. Uno dei
suoi obiettivi fondamentali è
sviluppare questa immensa
risorsa per consentire ai cittadini europei di beneficiarne
pienamente.
9 maggio 2000:
l’Europa dei popoli
e/o l’Europa degli Stati
L’EUROPA DEI POPOLI
Dopo una presentazione
sintetica di quando si è
cominciato a parlare di UE
riassumendo nella affermazione di Monnet “Noi non
uniamo Stati, ma popoli” si
vuole adesso affrontare una
questione molto attuale per
ciascun cittadino europeo.
Parlare di Europa dei popoli
è sicuramente un argomento
intrigante e impegnativo:
credo anch’io che la strada
perchè si possa costituire
un’Europa dei popoli sia una
strada ancora molto lunga da
percorrere. Già gli stessi padri
fondatori dell’idea europea
De Gasperi, Schuman, Adenauer si erano accorti del fatto
che la scommessa era ardua,
sebbene sapessero anche che
era l’unico modo per offrire
a un continente uscito da
due guerre disastrose punti
di riferimento e speranze
in cui tornare a credere; un
patrimonio di valori che
comprendesse la solidarietà,
la pace, una visione dell’uomo come soggetto centrale
dell’universo.
Le vicende di questi cinquant’anni ci hanno fornito le
risposte che tutti conosciamo:
molto, troppo distanti dalle
aspettative che qualcuno,
forse prematuramente, aveva
coltivato. L’Europa che sta
nascendo non è ancora l’Europa che avevano sognato
De Gasperi, Schuman, Adenauer; anche a mio modo di
vedere, l’unione economica e
monetaria del continente, che
pure era indispensabile, quasi
ineludibile va completata con
l’Europa delle identità, con
l’Europa delle culture e delle
tradizioni, con quella dei diritti civili che pure non possono
prevaricare quelli già garantiti ed esercitati nei vari paesi.
Accanto all’Europa delle
monete, accanto all’Europa
dei commerci, degli eserciti,
dovrebbe prendere forma ed
avere un significato per tutti
gli Stati e per i loro popoli
il valore di un’Europa come
ideale di tolleranza, di democrazia diffusa ed operante,di
vitalità dei singoli soggetti
pur all’interno di progetti e
obiettivi univoci.
L’Europa non si può fare
senza i popoli; o avremo
un’Europa dei popoli o non
sarà Europa. E’ vero che gli
ultimi cinquant’anni hanno
visto la nascita dell’Unione
Europea che oggi conosciamo
ma il lavoro fatto, pur importantissimo, non si è fatto con i
cittadini: è stato un lavoro di
costruzione fatto da politici e
burocrati. Probabilmente era
l’unica via per farlo, ma la
realtà è che oggi i cittadini,
i popoli, vedono l’Europa
come qualcosa di lontano,
qualcosa che non capiscono
e che non considerano vicina
alle loro preoccupazioni e ai
loro problemi. A Bruxelles o
Strasburgo si parla sempre di
rendere l’Europa più vicina ai
cittadini ma nessuno sa come
farlo. Uno dei simboli di unione, di identità più forte tra i
popoli, dei paesi singoli come
ad esempio Italia, Francia,
Spagna, Germania, è il calcio:
fa competere le squadre fra
di loro e alla fine configura
un’identità comune. Questo
esempio, che può sembrare
fuori luogo, serve per dire
che si potrà fare un’identità
europea lavorando insieme
sulle cose che sono vicine
ai cittadini, sulle cose che i
cittadini capiscono e che interessano loro. Evidentemente
ci sono tante manifestazioni
o eventi molto più importanti
del calcio, che interessano i
cittadini: la salute, la sicurezza nelle città, l’educazione,
il futuro dei nostri figli...e
solo se i cittadini, italiani ed
europei, vedono che l’Europa si occupa di questi loro
problemi si identificheranno
con essa.
Per arrivare a questo obiettivo bisogna lavorare insieme; i giovani sono coloro
che hanno la più grande responsabilità. Possono essere
la generazione dell’Unione,
cresciuti e educati in un periodo in cui l’Europa non è più
un’illusione ma una realtà.
Tale generazione ha delle opportunità che i loro padri non
potevano neppure sognare;
oggi un giovane europeo può
lavorare, installarsi, educarsi
e muoversi liberamente in
uno spazio di libertà e democrazia, spazio nel quale il
progresso economico basato
su una moneta comune rende
MARCO FACCIN
(continua a pag. 2)
Pag. 2
REZZARA NOTIZIE
UNIONE DI POPOLI E NON DI STATI
(continua da pag. 1)
possibile nuove prospettive
per il nostro futuro. Non si
deve vedere questo unicamente come una possibilità,
una opportunità, ma si deve
vederlo soprattutto come una
responsabilità, la responsabilità di prendere in mano il
nostro futuro, cioè il futuro
dell’Europa unita.
La garanzia della forza dei
piccoli Stati, la garanzia della
forza delle regioni, la garanzia
della forza delle città è data
proprio perchè vi è o si sta
costruendo un punto di riferimento europeo, altrimenti
tutto questo ritorna ad una
dissoluzione.
Unione di minoranze
Si sta tentando di costruire
un edificio, quello europeo,
che non ha alcun precedente
nella storia: questa è ancora
l’unica grande speranza
della politica mondiale. Il
riferimento europeo è ancora l’unico punto fermo per
un’idea di pace, per un’idea
di concordia, per un’idea di
sviluppo di un continente che
è stato dilaniato da secoli e
secoli di massacri; se non
si riesce a costruire questa
Europa, non si riuscirà neanche a costruire la pace.
E’ comunque difficile dirlo
ai giovani che non hanno
avuto esperienze diverse,
che, fortunatamente, non
hanno avuto esperienze
dirette di guerre. Ma questi
stessi giovani dovrebbero
meditare sul fatto che dentro
ai confini dell’Europa non vi
è stato alcun conflitto per due
generazioni intere, mentre
fuori dai confini europei,
alle nostre porte, nel Kosovo
o in Bosnia, abbiamo avuto
tragici conflitti; non solo,
ma si pensi anche alle tensioni che ci sono all’interno
dell’Europa, che si avviano
a una soluzione o l’hanno
già avuta proprio perchè c’è
un’Europa. Si pensi a cosa
rappresentava una generazione e mezzo fa’ per gli
Italiani il problema dell’Alto Adige: dopo l’entrata
dell’Austria nell’Unione
Europea il problema non
esiste più, i ragazzi studiano
a Bologna o a Innsbruck,
scegliendo come vogliono.
L’Europa può risolvere i
problemi perchè è salvaguardia della diversità, quindi è
garanzia dell’ espressione di
tutti i popoli.
Altre volte si è tentato
di costruire l’Europa; ha
tentato Napoleone, ha tentato Hitler...e ci sono anche
riusciti, ma poi si è dissolto
tutto, perchè hanno usato
un metodo completamente
diverso da quello di oggi. La
grandezza di questa Europa è
che l’Unione Europea è un’unione di minoranze, nessuno
è in maggioranza in Europa:
questo è il grande concetto
nuovo della storia europea,
questo è il grande insegnamento che noi riceviamo.
Si è realizzato un processo
di allargamento straordinario,
perchè dopo che i primi sei paesi hanno costituito la prima
Europa, quell’Europa in cui i
problemi erano risolti da degli
amici con la regola dell’unanimità, si sono aggiunti gli
altri paesi, la Spagna, il Portogallo, la Grecia, la Svezia,
la Gran Bretagna, l’Irlanda,
la Danimarca, la Finlandia...
adesso i paesi sono ventisette,
e siamo di fronte ad un ulteriore processo di allargamento.
L’allargamento significa
capire che si deve fare uno
sforzo verso paesi che hanno
un livello di ricchezza, di reddito, di produzione diversi.
La discussione sull’Europa
cui si è assistito in questi anni
è stata incentrata sull’obiettivo di carattere economico; da
questo punto di vista, occorre
notare che mettere insieme
la moneta è la decisione più
profondamente politica che
nessun paese abbia mai preso
nel corso della propria storia.
Lo Stato moderno è nato e
si è fondato sulla moneta e
sull’esercito; ora si è messa
la moneta insieme, ed è una
trasformazione che non ha
nulla a che fare con l’Europa
dei banchieri, perchè implica
conseguenze ben più grandi:
il cambiamento della politica
economica da parte di tutti
i paesi, il prendere insieme
le più importanti decisioni
circa il futuro delle nostre
generazioni. Certo ci sono
anche gli aspetti economici,
estremamente stringenti.
Il processo continuo di
allargamento ha messo in tensione continua le strutture, la
pazienza, mette in tensione i
popoli. Le differenze di storia
e di cultura che ci sono tra i
paesi sono già enormi, e l’allargamento non ha implicato
certo un aumento di diversità.
Ci sono alcuni paesi in cui la
tradizione, il legame storico,
fin dal Medioevo, con l’Europa e con i paesi europei, è stato
indubbiamente più stretto che
non per gli altri paesi che già
partecipano all’Europa. L’allargamento significa la fine
della crisi europea, significa
una chiusura completa del
capitolo del passato.
Un’altra paura è il costo
dell’allargamento; è un fatto
costoso ma nella concorrenza
mondiale un mercato come
quello dell’Unione con diversi livelli di reddito è una
carta positiva che, senza
commettere errori di politica
economica, può portare a
risultati positivi.
La terza paura, fortissima,
riguarda l’immigrazione di
massa e la criminalità: ma
solo con l’allargamento, solo
con la collaborazione giudiziaria di polizia si può ridurre
l’immigrazione incontrollata
e il rischio di criminalità
organizzata. Non si possono
evitare queste cooperazioni
perché le frontiere non sono
in questo momento in alcun
modo difendibili di fronte a
queste nuove immigrazioni,
e solo una cooperazione interfrontaliera ci può portare
a questi risultati.
Il processo di allargamento
ci porterà chiaramente ad
un’Europa diversa da quella
di oggi. La cooperazione rafforzata significa che l’Europa
non è uno strumento di esclusione ma una porta sempre
aperta, e qualsiasi paese se
domani volesse unirsi agli
altri che hanno realizzato un
pezzo di Europa dovrà avere
il diritto di farlo.
Aperta al mondo
È chiaro che quest’Europa
ha sempre più necessità di
una politica estera; la politica
estera è fondamentalmente
compito degli Stati nazionali,
ma Maastricht, Amsterdam,
Helsinki, hanno dato inizio
alla politica estera di sicurezza comune. Il 50% degli aiuti
multilaterali nel mondo sono
o dell’Unione Europea o dei
paesi componenti l’Unione
Europea.
Non esiste una politica estera senza un legame forte tra
Europa e Stati Uniti: purtroppo in questo campo si vede
pericolosissima l’involuzione
americana, per via del senso
di sfiducia che hanno verso
qualsiasi organizzazione
multinazionale, che sta portando, anche nella sensibilità
individuale, ad una chiusura,
ad un provincialismo, a un
senso di maggiore difficoltà
nell’affrontare questi temi.
Il richiamo all’Europa
ci obbliga ad una risposta
verso alcuni vicini che ci
reclamano, anzitutto verso la
Russia che ha gran parte del
suo commercio con l’Europa.
Un rapporto con la Russia è
fondamentale per la pace:
non esiste una possibilità di
risolvere alcune delle grandi
tensioni internazionali nei
Balcani senza un rapporto
costruttivo con la Russia.
Dagli anni ’90 è cominciato
un processo storico di enorme
portata di cui nessuno parla,
perché molto spesso non si sa
leggere la storia, ma che cambierà in una generazione la
nostra vita e dei nostri figli. E’
il grande sviluppo dell’Asia:
il Mediterraneo sta ritornando
di nuovo al centro della carta
geografica mondiale. Oltre il
10% del traffico si è spostato
dal nord al Mediterraneo.
Se questo è il contesto del
cambiamento, l’Europa è il
grande ponte nei confronti
dell’Asia, e l’Italia - come
la Spagna - se vuole avere
una speranza seria, concreta,
fondata, di sviluppo pacifico
non deve impegnarsi verso
l’immigrazione controllata,
ma verso la grande crescita
del Mediterraneo del sud.
Nel momento in cui c’è da
interpretare questa nuova costruzione storica del Mediterraneo, questa si può giovare
fortissimamente del dialogo
tra le tradizioni cristiana,
islamica e giudaica e si può
portare anche con la politica
un contributo fondamentale
al dialogo religioso che è
indissolubilmente legato
alla pace e alla prosperità del
Mediterraneo. Questo dialogo è necessario per costruire
l’Europa, anche se è chiaro
che la tradizione cristiana è la
radice più robusta di questo
albero europeo, e che essa
ha ispirato le grandi culture
europee, anche quelle laiche:
tuttavia non è l’unica idea
ispiratrice dell’Europa. Essa
si nutre, si deve nutrire con il
confronto e con il dialogo con
l’ebraismo, con l’islamismo,
così come si è nutrita in questi
anni con l’inizio di un dialogo
interno con l’ortodossia.
Il compito dell’Europa
può diventare così molto più
complesso di quello che si
definisce comunemente, ed
è chiaro che lo si può portare
avanti solo se si rispetta la
grande vocazione dell’universalità dell’Europa: la vocazione ai principi universali,
al rispetto dei diritti umani, al
rispetto della vita, al rispetto
dell’equilibrio tra solidarietà
e libertà. Basti pensare che in
nessun paese europeo c’è la
pena di morte, che invece c’è
negli Stati Uniti.
Questa è l’Europa, non
è una creazione politica ed
economica come le altre: ha
una responsabilità di fronte al
mondo rispetto a questi valori.
9 maggio 2012:
la crisi dei debiti sovrani
La crisi sui debiti sovrani
ha messo a dura prova la
fiducia degli italiani nell’Unione Europea, tanto che la
maggioranza relativa della
popolazione, il 34% ritiene
che l’Europa non stia adottando le misure giuste per uscire
da tale situazione. Dopo
decenni di entusiasmo degli
italiani verso l’UE, è questo
il risultato più sorprendente
del rapporto sull’Italia stilato
in base all’Eurobarometro, il
sondaggio periodico condotto
nell’UE.
Sui livelli di fiducia verso
l’UE c’è stato un vero crollo:
dal 70% circa dei tempi d’oro
ora siamo attorno al 50%. A
pesare è anche il fatto che con
l’aggravarsi della crisi l’UE
si è fatta più pressante nelle
sue richieste verso il nostro
paese, imponendo pesanti
misure di risanamento. Per
contro c’è anche la possibilità
che gli italiani siano delusi
dall’UE perché non ha risposto alle loro attese; invece di
continuare nella costruzione
dell’Europa voluta dai padri
fondatori, hanno visto fare
l’Europa delle banche e degli
interessi particolari.
Sulle azioni necessarie per
uscire dalle difficoltà c’è comunque un ampio consenso:
la maggioranza degli italiani,
il 72%, ritiene essenziale
una riforma del mercato del
lavoro che miri a ridurre la
disoccupazione. In particolare c’è una generale richiesta
di maggiori opportunità di
lavoro. Si chiedono riforme
che tocchino le infrastrutture
legate all’occupazione, come
gli uffici di collocamento o le
possibilità di formazione e
qualificazione per coloro che
sono già sul mercato.
Inoltre, secondo gli italiani,
gli elementi sui quali l’UE dovrebbe concentrare le proprie
azioni per superare la crisi
sono la lotta alla povertà, il
mercato dell’industria e l’economia verde. L’alto tasso di
disoccupazione giovanile ha
determinato una scelta quasi
scontata: il 51% ritiene infatti
che l’Unione debba mettere
in campo misure finalizzate
a favorire l’occupazione
dei giovani, senza tuttavia
trascurare il miglioramento
della qualità dell’istruzione
e l’ulteriore promozione di
programmi come l’Erasmus,
che permettono di studiare
all’estero.
La situazione di difficoltà
delle famiglie italiane si
trascina da tempo. Non è un
effetto della crisi del debito
ma ha origini antiche, che
risalgono a oltre un decennio,
e cause ben precise. Come
ad esempio il raddoppio dei
prezzi operato al momento
del change over lira euro,
che ha dimezzato il valore di
stipendi, salari e pensioni; la
forzata moderazione salariale
imposta attraverso il ritardato
rinnovo dei contratti; i continui aumenti di molte tariffe e
della tassazione soprattutto a
livello locale.
Conclusioni
“La storia siamo noi, siamo
noi padri e figli, siamo noi
bella ciao che partiamo. La
storia non ha nascondigli, la
storia non passa la mano. La
storia siamo noi… siamo noi
questo piatto di grano…”. Le
parole di una delle canzoni di
De Gregori tendono a sottolineare ancora che la riuscita
di questa Unione Europea,
in tutti i suoi aspetti, dipende
esclusivamente da ciascun
cittadino e nessuno si può
esimere da questo compito
arduo ma nello stesso tempo
avvincente.
REZZARA NOTIZIE
Pag. 3
VALORI COMUNI DELL’UNIONE EUROPEA
MATURATI DA ANNI DI ESPERIENZA
È ben noto che due o più organismi per decidere di unirsi
debbano avere interessi e fini
comuni; ma questo non basta,
poiché infatti deve sussistere
anche un terreno comune su
cui costruire. Questo humus
è costituito dai principi e
valori condivisi dalle parti
che intendono intrecciare i
loro destini. Ma cosa sono
i valori? Secondo Antonio
Papisca “i valori indicano
uno standard desiderabile
condiviso dalla gran parte
dei membri del sistema, una
sorta di adesione di principio
a obiettivi ideali di carattere
generale”. Risulta chiaro
quindi che per raggiungere
dei fini occorrono dei valori
comuni.
Il processo di integrazione
europeo è l’unico grande
esempio al mondo di come
degli Stati abbiano voluto
mettere da parte porzioni
della loro sovranità per un
bene comune più grande.
Sono ben noti i motivi che
hanno spinto i Paesi fondatori
ad una simile scelta, ma ora
viene da chiedersi: quali sono
i valori alla base dell’Unione
Europea?
L’individuazione dei valori
è importante perché consente
di capire le ragioni profonde
che stanno alla radice del
processo di integrazione sopranazionale europeo.
A mio avviso nel percorso storico del continente
europeo, sono difficilmente
individuabili dei principi
comuni, poiché i popoli
europei non appartengono
e non derivano nemmeno
da un’unica cultura; basti
pensare ai due più grandi
imperi che hanno governato
l’Europa: quello Romano e
quello Carolingio. Il primo,
nonostante si sia espanso
fino alla Gran Bretagna e ai
paesi dell’est, comprendeva
anche le regioni settentrionali
dell’Africa e quelle del vicino
oriente: niente a che vedere
con la configurazione geografica dell’Europa attuale.
Nemmeno l’impero Carolingio può essere definito come
radice comune per i paesi
europei, poiché, per quanto
ci fosse una certa omogeneità
Sulle tematiche europee
l’Istituto Rezzara attua
un master formativo
biennale. Il ciclo autunnale inizia il 29 settembre 2012. Gli articoli del
presente numero riportano alcune riflessioni
maturate nel master.
Per saperne di più si
visiti il sito www.istitutorezzara.it/master.
culturale, religiosa e politica
tra i popoli sottomessi a
Carlo Magno, questa valeva
solo per la parte occidentale
dell’europa, in netto contrasto
con quella orientale.
È chiaro quindi che non si
può parlare di di un’identità
storica, religiosa e culturale
comune per tutta l’Europa;
ma allora dove si possono
rintracciare quei valori senza i quali l’attuale Unione
Europea non avrebbe potuto
nascere?
Il modo migliore per capire
su quali principi poggia l’Unione Europea è estrapolarli
da ciò che gli stati membri
hanno loro stessi dichiarato nei
principali momenti fondativi,
ovvero esaminando i testi dei
principali trattati comunitari.
Relazioni pacifiche
Partiamo quindi dall’esaminare il primo trattato,
quello che segna la nascita,
nel 1951, della Comunità Europea del Carbone e
dell’Acciaio.
L’obiettivo comune è chiaro: la libera circolazione dei
materiali dell’industria carbosiderurgica e il libero accesso
alle fonti di produzione degli
stessi. Anche il motivo di
questa scelta è ben noto:
allontanare lo spettro della
guerra e ricostruire l’economia del continente. Infatti, il
secondo conflitto mondiale
aveva talmente sconvolto i
Paesi europei, ed in particolare Francia e Germania, da
indurli a cercare una nuova
via affinché tali scenari non
si ripetessero.
Unire quindi la produzione
del carbone e dell’acciaio, materiali indispensabili
all’industria bellica, avrebbe
di fatto reso impossibile la
nascita di un nuovo conflitto.
Non a caso, nel preambolo
del trattato di Parigi la parola
“pace” viene ripetuta con
frequenza; i capi di Stato e
di governo infatti si dicono
“convinti che il contributo
che un’Europa organizzata e
viva può portare alla civiltà è
indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche”.
Successivamente compare la
parola “popoli” e non “Stati”:
questo è già in primis un
segnale che l’integrazione europea non è rivolta ai governi
bensì ai cittadini, si riveste
quindi di una connotazione
democratica.
Se dal trattato CECA emerge soprattutto la volontà di
superare le rivalità storiche
tra gli Stati europei, nel preambolo e nei primi articoli del
successivo trattato che istituisce la Comunità Economica
Europea compaiono ben più
precisi valori di riferimento.
Ci si prefigge inizialmente
un comportamento in sintonia
con quanto affermato nello
statuto dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite, ritorna in
sostanza il riferimento ai valore della pace e della libertà
già presenti, in tono minore,
nel precedente trattato.
Unità politica
Mediante il trattato di
Roma del 1957, oltre a stabilirsi nuove regole nella
circolazione e negli scambi
delle merci, si rafforza l’idea
di un’unità politica tra gli Stati
europei e con essa lo sviluppo
di nuovi obiettivi non mera-
I valori che uniscono
i popoli sono quelli
culturali, desunti dalla
storia comune. Nella
Carta Sociale europea si parla di libertà,
uguaglianza e giustizia
sociale. La cittadinanza europea include la
solidarietà tra popoli
nel rispetto di storia,
cultura e tradizioni.
mente economici. A questo
riguardo, è interessante notare
che nel preambolo gli Stati
si dichiarano “determinati a
promuovere lo sviluppo del
massimo livello possibile di
conoscenza nelle popolazioni
attraverso un ampio accesso
all’istruzione e attraverso
l’aggiornamento costante”,
segno che si è davanti ad una
svolta: i mezzi per raggiungere i fini preposti non sono
più solo economici ma anche
politici e sociali.
L’esigenza di nuovi riferimenti viene ribadita dal ben
più incisivo articolato art. 2;
qui, infatti, vengono citati “la
parità di genere, un elevato
livello di protezione dell’ambiente, il miglioramento del
tenore e della qualità della
vita”, significativo che in
un’epoca in cui il sesso
femminile stava lottando per
ottenere maggiori riconoscimenti, i paesi della Comunità
Europea si dicono intenzionati a promuovere la parità di
genere. Si evince quindi dal
testo dell’art. 2 che i principi
alla base della Comunità
Europea si allargano rispetto
a quelli dalla CECA e sono
più innovativi. Basti pensare
al riferimento alla protezione
dell’ambiente e ad uno sviluppo che sia sostenibile. Altra
novità che emerge dall’art. 3
è l’intenzione di perseguire
una politica comune nel
settore sociale, creando un
organismo apposito: il fondo
sociale europeo.
L’art. 3 è interessante anche
per altri motivi: compaiono
per la prima volta i temi della
protezione della salute e della
cooperazione allo sviluppo,
segno che la CEE non vuole
restare indifferente di fronte
ai bisogni dei propri cittadini e
dei Paesi in via di sviluppo: si
fonda quindi sul valore della
solidarietà.
Infine, il comma 2 dell’art.
3 recita: “L’azione della Comunità a norma del presente
articolo mira ad eliminare
le ineguaglianze, nonché
a promuovere la parità, tra
uomini e donne”. Al valore
dell’uguaglianza viene dato,
pertanto, un ulteriore risalto,
segnale che per gli Stati membri è di particolare rilevanza
combattere tutte le forme di
discriminazione. Abbiamo
visto che con il trattato di
Roma del 1957 l’orizzonte dei
valori si amplia notevolmente
e soprattutto si caratterizza in
termini innovativi.
Diritti umani
Una svolta importante e
forse decisiva arriva nel 1986
con la firma a Lussemburgo
dell’Atto Unico Europeo, per
la prima volta difatti fa la sua
comparsa il riferimento ai
diritti umani.
Nel preambolo gli Stati
membri si dicono: “Decisi a
promuovere insieme la democrazia basandosi sui diritti
fondamentali sanciti dalle
costituzioni e dalle leggi degli
Stati membri, dalla convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta
sociale europea, in particolare
la libertà, l’uguaglianza e la
giustizia sociale”.
La Comunità Economica
Europea afferma pertanto che
il rispetto dei diritti umani è
un elemento imprescindibile
per la democrazia, e lo fa non
solo rimandando alle singole
legislazioni degli Stati membri, ma anche ai documenti
emanati dal Consiglio d’Europa, quindi comuni a tutti i
membri della CEE. In questa
citazione vengono nominati
tre diritti, segno evidente
che libertà, uguaglianza e
giustizia sociale sono i valori
cardini su cui si fonda la
Comunità Europea.
Importante poi ricordare
che nel 1979 si tennero le
prime elezioni a suffragio
universale diretto del Parlamento Europeo, ed ecco
perciò spiegato il riferimento
ricorrente nel preambolo
dell’Atto Unico al valore
fondamentale della democrazia. In seguito si legge
infatti: “Consapevoli della
responsabilità che incombe
all’Europa di adoperarsi per
parlare sempre più ad una
sola voce e per agire con coesione e solidarietà al fine di
difendere più efficacemente
i suoi interessi comuni e la
sua indipendenza, nonché
di far valere in particolare
i principi della democrazia
e il rispetto del diritto e dei
diritti dell’uomo, al quale
esse si sentono legate, onde
fornire congiuntamente il
loro contributo specifico al
mantenimento della pace e
della sicurezza internazionali conformemente all’impegno che hanno assunto
nell’ambito della Carta delle
Nazioni Unite”. L’Europa
ritiene dunque suo compito
quello di diffondere ad ampio
raggio i valori in cui crede e
sui quali essa stessa si fonda.
Il trattato sostanzialmente riprende i principi già enunciati in precedenza, con la sola
peculiarità del riferimento
ai diritti umani, che però
resta ancora confinato nel
preambolo, perciò senza un
effettivo valore vincolante.
Con il trattato di Maastricht
del 1992 i diritti fondamentali
finalmente fanno la loro apparizione all’interno dell’articolato, acquisendo quindi
valore sostanziale. L’articolo
6 infatti recita: “1. L’Unione
si fonda sui principi di libertà,
democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, e dello stato
di diritto, principi che sono
comuni agli Stati membri.
2. L’Unione rispetta i diritti
fondamentali quali sono
garantiti dalla Convenzione
europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, firmata
a Roma il 4 novembre 1950, e
quali risultano dalle tradizioni
costituzionali comuni degli
Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario”. A questo riguardo è
interessante notare come una
mera enunciazione di principi
comparsa nel preambolo
dell’Atto Unico acquisisca
un proprio valore giuridico
nel trattato successivo; questo
fa ben sperare per il futuro,
perché quanto avvenuto con
il trattato di Maastricht possa
ripetersi, facendo sì che altri
valori possano assumere una
connotazione vincolante.
Cittadinanza europea
In riferimento al preambolo
del trattato sull’Unione Europea, vale la pena soffermarci
sull’innovativo concetto di
cittadinanza europea che
non intende uniformare le
identità culturali dei singoli
Paesi bensì valorizzarne le
peculiarità; l’intento quindi è
MARIA TURETTA
(continua a pag. 8)
Pag. 4
REZZARA NOTIZIE
i padri
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fondatori
PENSIERO CRISTIANO DEI FONDATORI
GUIDA DEL PROGETTO EUROPEO
Il cristianesimo è stato per i tre statisti Schuman, Adenauer e De Gasperi una forte motivazione di resistenza e di rinascita, una fonte di idealità a cui attingere per combattere e contrattaccare l’insidia delle ideologie nazionalistiche e della
guerra fredda. Essi hanno trovato nell’esperienza cristiana i valori di umanità e di democrazia precedentemente negati.
Il processo di integrazione
europea ha compiuto oltre
mezzo secolo di storia. Negli
anni in cui i padri fondatori
occupano posti di responsabilità nei rispettivi Governi,
il vecchio continente ha
appena vissuto i tragici avvenimenti del secondo conflitto
mondiale, l’esperienza dei
regimi totalitari; “la cortina
di ferro” divide il blocco occidentale da quello orientale.
In questo contesto storico,
essi hanno avuto il coraggio
e la tenacia di compiere i
passi necessari per avviare
e consolidare l’integrazione
comunitaria.
Fu il 9 maggio 1950, la
data in cui venne infatti
presentata la proposta del
ministro degli esteri francese
Robert Schuman (ispirata da
Jean Monnet), cioè l’idea,
in seguito alla discordia
franco-tedesca, di sottoporre
l’intera produzione francese e tedesca del carbone,
del ferro e dell’acciaio ad
un’organizzazione aperta
anche ad altri paesi europei,
cioè ad un’altra istituzione
comune (appunto CECA).
Tale proposta immediatamente accolta da Germania
Federale, Italia, Belgio,
Lussemburgo e Paesi Bassi
costituì la “Piccola Europa”
o “l’Europa dei Sei”.
Robert Schuman poteva
contare sul piano internazionale su altri due grandi
statisti: il primo ministro
della Germania Federale,
Konrad Adenauer e il primo
ministro italiano Alcide
De Gasperi. Furono loro i
principali padri fondatori
dell’Unione europea. La
loro lungimirante azione ha
lasciato un segno profondo e
visibile nella storia dell’integrazione comunitaria; essi
hanno costruito i binari sui
quali sarebbe transitata la
locomotiva europea. Senza
il loro tenace impegno e
quello di altri protagonisti
non meno importanti come
Paul-Henri Spaak, Altiero
Spinelli, Jacques Delors, la
costruzione unitaria del vecchio continente non sarebbe
stata realizzata.
Creare una base comune
La dichiarazione Schuman
poneva l’Unione europea
come tappa finale del processo di integrazione economica, al fine di assicurare la
pace nel vecchio continente.
Il ministro degli esteri francese Robert Schuman partiva
dalla persuasione che: “il
frazionamento dell’Europa
è divenuto assurdo anacronismo”.
L’Europa necessitava di
una pace stabile e duratura;
erano passati cinque anni
dalla fine delle ostilità e della
tragedia dell’Olocausto ed
esistevano odi ideologici e
lacerazioni abissali.
La grande intuizione politica degli statisti Robert
Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi
fu quella di individuare e
creare un terreno comune di
composizione degli interessi,
altrimenti difficilmente realizzabili; una collaborazione
concreta laddove pochi anni
prima esistevano troppe diffidenze reciproche e teorie
senza conseguenze concrete
verso l’integrazione e l’unità
europea.
Analizzando la vita del
ministro degli esteri francese
Schuman, del primo ministro tedesco Adenauer e del
primo ministro italiano De
Gasperi possiamo rilevare
come fossero accumunati da
diversi fattori: furono “uomini di frontiera” cresciuti tra
le minoranze etniche delle
rispettive regioni d’origine
(la Lorena, la Renania e il
Trentino) con un senso di
cittadinanza non limitato ai
ristretti confini nazionali;
caratterizzati da una simile
formazione personale e
politica; avevano condiviso
l’esperienza di opposizione
e resistenza ai totalitarismi
ed alle dittature nazionali
vivendo l’esperienza del
carcere negli anni della
dittatura nazista e fascista;
avevano cercato ogni soluzione che potesse favorire la
pace superando gli egoismi
nazionali e soprattutto erano
caratterizzati da una comune
fede religiosa cristiana.
Robert Schuman, Konrad
Adenauer e Alcide De Gasperi furono in sintesi particolarmente caratterizzati da
ideologie politiche democratiche d’ispirazione, cristiana,
antitotalitarie europeiste.
Tutti e tre sono di formazione cattolica e convinti
nell’impegno politico della
dottrina sociale cristiana.
Sono entrati nella vita politica forti dell’ammaestramento delle encicliche di papa
Leone XIII, degli scritti sociali di monsignor Ketteler,
di Giuseppe Toniolo, Federico Ozanam e altri ancora. Gli
statisti aderiscono a partiti
democratici d’ispirazione
cristiana capaci di aggregare intorno a sé molteplici e
larghe adesioni in punto di
una scelta di civiltà: Robert
Schuman nel novembre
1944 aderisce al Mouvement Républicain Populaire
(MRP), Alcide De Gasperi
fonda nell’ottobre 1942 la
Democrazia Cristiana (DC) e
Konrad Adenauer è tra i fondatori nel giugno 1945 della
Christliche-Demokratische
Union (CDU), nuovo soggetto politico che abbraccia
cattolici e protestanti e considera il partito come borghese
e antisocialista.
Democrazia e cristianesimo
I tre statisti considerano di
fondamentale importanza il
contributo fornito dal cristianesimo allo sviluppo del concetto di democrazia, pilastro
essenziale della civiltà europea. Secondo Adenauer la
sopravvalutazione del potere
e dello Stato conduceva ad
una svalutazione dei valori
personali; democrazia e cristianesimo invece hanno in
comune la salvaguardia dei
valori della persona umana:
la libertà dell’individuo e più
in particolare il rispetto per
la dignità dell’uomo è fondamento di ogni democrazia.
Analogamente De Gasperi
e Schuman considerano di
fondamentale importanza il
pensiero di Jacques Maritain:
“La democrazia deve la sua
esistenza al cristianesimo.
Essa è nata il giorno in cui
l’uomo è stato chiamato
a realizzare nella sua vita
temporale la dignità della
persona umana, nella libertà
individuale, nel rispetto dei
diritti di ciascuno e con la
pratica dell’amore fraterno verso tutti”. Secondo
Schuman il cristianesimo
è una dottrina che intende
definire il dovere morale in
tutti i campi, almeno nei suoi
principi generali e non può
riservarsi solo la pratica del
culto e delle opere buone in
quanto significa limitare la
sua missione. La Chiesa si
preoccupa di vedere tutelati i
grandi interessi della persona
umana: la libertà, dignità,
sviluppo e si oppone a tutto
ciò che può ostacolarla.
Perciò si oppone a tutti i
regimi totalitari sia di destra
o di sinistra. Con encicliche
clamorose, è interessante
rilevare, Pio XI ha condannato successivamente
Hitler, Mussolini, Stalin nel
momento in cui erano al
sommo della loro potenza
e strappavano ai governi
democratici rinunce inique e
pericolose per la pace.
Il cristianesimo, è importante sottolineare, è stato
per i tre statisti, una forte
motivazione di resistenza e di
rinascita, una fonte di idealità
a cui attingere per combattere
e contrattaccare l’insidia delle ideologie nazionalistiche
del fascismo e della “guerra
fredda”. Essi hanno trovato
nell’esperienza cristiana
l’origine di quei valori di
umanità e democrazia che i
totalitarismi del Novecento
negavano e combattevano
con conseguenze devastanti
sull’uomo e sull’umanità.
Si tratta dunque di una fede
religiosa cristiana comune
come emerge analizzando
le loro ideologie.
Progetto europeista
Secondo i tre uomini politici un’Europa cattolica,
solidale e fraterna costituisce non solo il presupposto
politico ma anche il modello
ideologico e di civiltà del
quale l’Occidente ha bisogno
per fronteggiare la guerra
fredda. Essi cercano ogni
soluzione che possa garantire
un possibile futuro di pace
per l’Europa attraverso il
superamento degli egoismi nazionali. “Mai più la
guerra” rappresenta uno dei
principali leitmotiv della loro
azione politica.
Con l’adesione al piano Schuman, i tre politici condividono il metodo
funzionalista che prevede
forme di integrazione economica e politica sempre
più approfondite a livello
sovranazionale: insieme
hanno fiducia in un processo
di integrazione comunitaria
avente come obiettivo finale la Federazione europea.
Con la CECA si sarebbe
poi creata una solidarietà
di interessi tale da favorire l’integrazione graduale
di altri settori economici
e, successivamente, delle
principali attività statali - in
primis la politica estera e la
difesa - determinando quindi
un progressivo affievolimento della sovranità assoluta
degli Stati-Nazione.
Schuman il 9 maggio a
Parigi affermava: “L’Europa non verrà creata tutta
in una volta e secondo un
unico progetto generale, ma
verrà costituita attraverso
realizzazioni concrete tali da
creare solidarietà reali […]
col mettere in comune produzioni di base e con l’istituire
una nuova Alta Autorità, le
cui adesioni legheranno la
Francia e la Germania e i
Paesi che vi aderiranno, questo progetto getterà le basi
concrete di una Federazione
europea indispensabile alla
preservazione della pace”.
L’ideale europeistico di
Alcide De Gasperi fu quello
di un’Europa della pace e
della democrazia soprannazionale, di una politica per
l’unità dell’Europa, non si
stancava di ripetere: “O l’Europa si unisce , o l’Europa
perisce.” La fede europeista
si ispira agli ideali del cristianesimo; l’influenza del
pensiero di Jacques Maritain,
sostenitore di un umanesimo
integrale e critico nei confronti del liberalismo e del
concetto di individualismo.
Equilibrio per la pace
Dopo l’adesione al piano
Schuman, lo statista italiano,
si batté per la creazione di un
“esercito europeo al servizio
di un’Europa Unita” (CED),
progetto presentato dal primo
ministro francese Pleven nel
1950, cercando di conciliare
il principio della sicurezza
con quello della solidarietà
europea sostenendo che
esso doveva divenire la base
permanente per gli Stati
Uniti d’Europa. Egli propose
un’Assemblea che avrebbe
dovuto preparare un progetto
per la trasformazione della
comunità in un organismo
federale basato sul sistema
bicamerale e sulla divisione
dei poteri, intendeva garantire alla Comunità di Difesa un
quadro politico istituzionale
che avrebbe preparato la
soluzione federale, la Comunità Politica Europea (CPE).
Purtroppo l’obiettivo del
trattato della CED, firmato
ELISA BASSO
(continua a pag. 5)
REZZARA NOTIZIE
Pag. 5
i padri fondatori
GUIDA DI STATISTI ILLUMINATI.
SCHUMAN, ADENAUER, DE GASPERI
Alcide De Gasperi affermava che“Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione”. È interessante approfondire brevemente la vita dei tre statisti, mettendo in risalto il loro percorso politico e intellettuale, le ragioni di Stato e i sentimenti personali, i loro rapporti tra i democratici, i moderati e i conservatori europei.
Dati biografici di coloro
che hanno elaborato il progetto europeo, finalizzato a
togliere rigidità alle frontiere,
assicurando la pace e la collaborazione fra Nazioni che
prima si erano combattute.
Robert Schuman
Jean-Baptiste Nicolas Robert Schuman nacque il 29
giugno 1886 a Clausen in
Lussemburgo da padre loreno di nascita francese ma di
lingua e cittadinanza tedesca
e da madre lussemburghese.
Visse a Lussemburgo per tutta
l’infanzia e la giovinezza,
diplomandosi sia lì che successivamente a Metz, all’epoca città tedesca. Alla fine
della formazione secondaria
Schuman parlava correntemente tedesco, francese e
lussemburghese. Compì gli
studi universitari in giurisprudenza in Germania, a Bonn,
Berlino, Monaco di Baviera e
Strasburgo e nel giugno 1912
aprì uno studio di avvocato
a Metz. La carriera politica
di Schuman cominciò verso
la fine della guerra, quando
nel 1918 divenne consigliere
comunale a Metz. Dopo l’armistizio nel novembre 1918
l’Alsazia-Lorena passò dalla
Germania alla Francia e nel
1919 Schuman venne eletto
per conto dell’Unione Repubblicana Lorena al Parlamento
francese come deputato della
Mosella fino al 1940. Dopo lo
scoppio della seconda guerra
mondiale, Schuman venne
nominato sottosegretario per
i rifugiati. Poco tempo dopo
verrà però arrestato dalla Gestapo, che ormai controllava
ampie zone della Francia, ed
imprigionato prima a Metz
e poi a Neustadt. Capace di
evadere, nell’agosto 1942
raggiunse la zona libera.
Nel 1946 Schuman tornò ad
essere eletto al Parlamento
francese come deputato della
Mosella e continuerà a rivestire tale carica fino al 1962.
Venne eletto nelle fila del
Movimento Repubblicano
Popolare. Il 24 giugno 1946
venne nominato ministro delle finanze, poi il 24 novembre
1947 divenne Presidente del
Consiglio e lo rimase fino al
26 luglio 1948. Subito dopo
e fino all’8 gennaio 1953 fu
ministro degli esteri. In tale
veste Schuman fu protagonista dei negoziati che si
svolsero alla fine della guerra
e che portarono alla creazione
del Consiglio d’Europa, della
NATO, della CECA. Dal 19
marzo 1958 al 1960 Schuman
è stato il primo presidente
dell’Assemblea parlamentare
europea, eletto all’unanimità.
Alla fine del suo mandato
l’Assemblea parlamentare
europea proclamò Schuman
padre dell’Europa. Nel 1962
si ritirò dalla vita politica e si
spense l’anno successivo nella sua casa di Scy-Chazelles.
Konrad Adenauer
Il 5 gennaio 1876 Konrad
Hermann Josef Adenauer
nasce a Colonia, terzo di
cinque figli, da una famiglia
impiegatizia del ceto medio,
di formazione conservatrice, secondo la tradizione
cattolica. Dopo la maturità,
studia diritto ed economia a
Friburgo, Monaco e Bonn.
Comincia la sua carriera
politica alla conclusione
dei suoi studi in legge, dopo
aver svolto il suo praticantato a Colonia. Al tempo
della scuola era membro di
un’associazione studentesca
cattolica. Nel 1905 entra nel
Partito Tedesco di Centro
e nel 1917 diviene Primo
Borgomastro della città di
Colonia fino 1933. A tale
carica si unì per tutto lo stesso
periodo quella di presidente
del Consiglio di stato prussiano. Per la sua ferma lotta
contro l’ascesa dei nazionalsocialisti, nel 1933, con
l’avvento di Hitler al potere,
fu esonerato da ogni carica
politica e amministrativa e
per due volte ebbe a soffrire
la prigione. Di nuovo borgomastro nel 1945, fu tra i
fondatori, dopo la seconda
guerra mondiale, della Christliche Demokratische Union
(CDU), che rappresentava la
continuazione del vecchio
Centro. Il 18 settembre 1948
fu eletto cancelliere della
Repubblica Federale di Germania e nel marzo 1951 ebbe
anche la carica di ministro
degli Esteri. Alla sua opera
di governo, sorretta da largo
prestigio, si deve la rinascita
della Germania occidentale
dalle conseguenze politiche
ed economiche della guerra:
primo obiettivo di Adenauer
è stato il raggiungimento
della sovranità statale, ottenuto attraverso l’inserimento
della Germania nel sistema
politico occidentale, grazie
agli accordi di Parigi del 23
ottobre 1954, che segnarono
la fine del regime di occupazione, nel 1955 la Germania
aderiva alla Nato. Lasciata la
carica di ministro degli Esteri, nel 1957, forte di questi
successi e della formidabile
ripresa economica tedesca in
pieno svolgimento Adenauer
veniva rieletto cancelliere. Obiettivo proclamato
della politica di Adenauer
nell’ultimo periodo continuò
ad essere la riunificazione
delle due Germanie e la
difesa della libertà di Berlino, congiuntamente all’integrazione europea, ma il
complicarsi della situazione
internazionale in seguito al
nuovo corso della politica
sovietica, e soprattutto di
quella statunitense, portò ad
un certo oscuramento della
prima linea europeistica e
filoamericana di Adenauer,
che fu tratto ad accentuare i
motivi dell’autonomia europea rispetto agli Usa da una
parte e alla Gran Bretagna
dall’altra, orientandosi verso
un vigoroso rafforzamento
dei legami politici, militari
ed economici con la Francia
di De Gaulle. Nell’ottobre
1963 lasciava la carica di
cancelliere, sostituito da
Erhard. Muore il 19 aprile
1967 e viene sepolto nel
cimitero di Rhoendorf.
Alcide De Gasperi
Alcide De Gasperi nacque
nel 1881 a Pieve Tesino,
quando queste montagne
del Trentino appartenevano
ancora all’Impero austroungarico anche se erano
territori di lingua italiana.
E’proprio nella vita politica
austriaca che il giovane De
Gasperi iniziò a muovere
i primi passi di quella che
fu una lunga e fortunata
carriera politica. Nel Parlamento viennese entrò in
rappresentanza dell’intera
comunità italiana trentina più
che di una specifica parte politica. Dopo il passaggio del
Trentino e dell’Alto Adige
all’Italia continua l’attività
politica nel Partito Italiano
Popolare di don Luigi Sturzo
divenendone segretario nel
1923. Successivamente nel
novembre 1926 il partito si
sciolse e cominciava l’era
fascista. Condannato a due
anni e sei mesi per sfuggire
alle persecuzioni del fascismo fu assunto per esplicita
volontà di Pio IX come
funzionario della Bibilioteca
Vaticana. Ciò gli permetteva
di studiare, seguire la politica
interna ed estera, approfondire la propria fede e acquisire
un discernimento cristiano
autentico. Dopo la caduta
del fascismo e l’armistizio
con gli alleati, fonda la Democrazia Cristiana ed entra
nel Comitato di Liberazione
Nazionale. Nel 1944 in
qualità di ministro degli
esteri condusse le trattative
di pace tenutesi a Parigi, in
cui l’Italia compariva sul
banco degli imputati, tenendo
un memorabile discorso in
cui, affermando che tutto
tranne la personale simpatia
dei presenti, gli era avversa,
riuscì a miscelare ragioni di
Stato e sentimenti personali
riuscendo, così anche ad
instaurare ottimi e duraturi
rapporti personali con i
maggiori esponenti democristiani, moderati e conservatori europei; tali rapporti si
riveleranno essenziali nella
costitutiva della futura comunità europea. Il 10 dicembre
1945 divenne Presidente del
Consiglio dei ministri, carica
che conservò fino al 1953.
Fu lui a guidare il passaggio
dalla Monarchia alla Repubblica Italiana, scongiurando
lacerazioni e invitando alla
riconciliazione. De Gasperi
firmò e pubblicò la Carta
Costituzionale che esaltava i
valori della persona, della famiglia, della pace universale
come condizione indispensabile per il progresso umano,
sociale e politico dell’Europa
e dell’umanità intera. Anche
la politica estera, con la “scel-
ta occidentale” e gli indirizzi
europeistici che la caratterizzarono, fu del tutto innovativa occupandosi, fra l’altro,
dell’apertura dei mercati di
lavoro per la nostra manodopera nelle varie forme della
cooperazione europea ed
occidentale allora possibile.
La partecipazione italiana al
Patto Atlantico - voluta da De
Gasperi e dalla maggioranza
di governo, superando la durissima opposizione socialcomunista nel Parlamento
e nelle piazze - costituì una
soluzione al problema della
sicurezza, consentì di far
superare all’Italia la condizione di Stato sconfitto, di
inserirla come membro con
pari dignità nella comunità
occidentale liberandola dalle
pesanti eredità del fascismo.
La costruzione dell’Europa
unita costituì poi, all’inizio
degli anni ’50, l’obiettivo
più importante della politica
estera di De Gasperi. Significative sono le iniziative
politiche e diplomatiche da
lui assunte; l’adesione al
“Piano Schuman” e al trattato che istituì la Comunità
Europea per il Carbone e
l’Acciaio (CECA), la sua battaglia per la creazione di “un
esercito europeo al servizio
di un’Europa unita”(CED).
Lo statista trentino morì nel
1954, appena un anno dopo
l’abbandono della guida
del governo. Poco dopo la
morte di Alcide De Gasperi,
iniziarono le richieste di
avviare per lui il processo di
beatificazione.
E.B.
PENSIERO CRISTIANO DEI FONDATORI
(continua da pag. 4)
a Parigi il 27 maggio 1952,
non venne realizzato per la
mancata ratifica da parte
dell’Assemblea Nazionale
francese.
Se negli ultimi sessant’anni l’area geografica corrispondente l’Unione Europea
ha vissuto uno straordinario
periodo di pace, fatto epocale
per un continente travagliato per secoli da lunghi e
sanguinosi conflitti, un ringraziamento lo dobbiamo
anche alle idee, all’opera,
alla visionarietà di questi
lungimiranti statisti. Essi in
sintesi, hanno valorizzato le
fondamenta cristiane del vecchio continente, favorendo
l’intesa e il dialogo fra Paesi
precedentemente in conflitto
fra loro. Il loro pragmatismo
ha permesso di adottare al
momento opportuno una decisione storica: attraverso la
Dichiarazione del 9 maggio
1950 hanno favorito la riconciliazione franco-tedesca,
colto i potenziali vantaggi
dell’ideale sovranazionale
e avviato la nascita dell’Europa comunitaria. Si tratta
inoltre del raggiungimento
di un grande obiettivo politico di pace e stabilità euroatlantica realizzatosi grazie
al pensiero, alla progettualità
e all’azione di questi grandi
padri fondatori dell’Unione
europea.
Pag. 6
REZZARA NOTIZIE
linee di un progetto
LA FORZA DI UN PROGETTO COMUNE
` UNIRE CULTURE DIVERSE
POTRA
Nell’attuale situazione riemergono rivalità di interessi e autoreferenzialità nazionali. È necessario ritornare ad un progetto comune per una radicale riforma della politica e dell’etica politica, del modo di risolvere i problemi umani quotidiani.
L’anima dell’attuale unità
europea è stata innanzitutto
la paura, il timore di ripetersi di fatti e comportamenti
disumani, di stragi che nessuna follia poteva e può
giustificare in nome di un
qualsiasi plausibile pretesto.
Purtroppo ci sono volute due
guerre e milioni di morti per
giungere ad una conclusione
che il buon senso suggeriva;
ma l’uomo insegue sempre
quella scintilla.
Tale convinzione è supportata anche dagli attuali atteggiamenti dei politici, dei premier delle varie Nazioni che
oggi compongono l’Europa.
Forse la paura del ripetersi di
angosciosi fatti di un recente
passato impedisce la guerra
armata, impedisce loro di
usare l’arsenale militare, ma
dimostrano di saper ben usare
tutte le armi economiche in
loro possesso. Queste, certamente, lasciano meno morti
nelle trincee, ma segnano
molto più profondamente
nell’animo e nello spirito le
persone che le subiscono,
contribuiscono a scavare
spesso un solco culturale e
di rivalsa dei popoli, e fra le
Nazioni. L’unità europea è
stata ed è tuttora un’idea poco
condivisa, forse mal condivisa dalla persona di strada, da
chi, nolente o volente, contribuisce economicamente a
mantenere strutture ed apparati politico-buracratici di
cui non si conoscono bene le
finalità, gli scopi, le mansioni
e quali vantaggi il cittadino
possa averne.
Abbiamo visto e costatato
con mano quanti individualismi e nazionalismi sono sorti,
quanta grandeur intellettuale
dei singoli è alla base di
decisioni ed atteggiamenti,
quanti veti incrociati hanno
affondato validi principi di
collaborazione e fattiva utilità
del comune cittadino.
Il sorgere di apparati
burocratici, ben si intende,
necessari alla vita della Comunità Europea, ha dato una
parvenza di democraticità e
di coinvolgimento delle persone, facendo loro scegliere
i componenti del Consiglio.
Ma tutto si è fermato a questo
punto: la persona eletta è
scomparsa nel grande calderone del Consiglio Europeo
ed ha perso ogni contatto
con la realtà degli elettori.
Lo stesso Consiglio Europeo
è quasi un cimitero di “elefanti” (personaggi sgraditi in
patria) più che una struttura
rappresentativa dell’Unione.
Di quando in quando si percepiscono le decisioni prese
in quelle stanze, ma non se
ne comprendono le motivazioni, anzi spesso vengono
elargite a piene mani solo dai
mass-media, se ne elogiano
i risvolti positivi e le buone
conseguenze.
Forse l’esempio più eclatante di questo è il fatto che
nessuno ha mai spiegato, in
modo ragionevole, il motivo
della coesistenza di Strasburgo e di Bruxelles. Si ritorna
al vecchio individualismo,
alla vecchia grandeur che
nessuno vuole abbandonare,
alla paura di una Nazione di
essere uno scalino più basso,
rinasce quella latente divisione che oggi è mina vagante
per la stabilità dell’unione
politica, non solo economica,
di questa Europa appena nata.
Sono convinto che, come
diceva Mazzini, sia necessario costruire una Nazione
prima di costruire l’Europa:
solo la consapevolezza di
appartenenza ad una realtà
nazionale e non nazionalista
può far decollare l’idea di una
Europa federale. La Patria e
l’Umanità erano le basi per la
costruzione dell’Europa mazziniana, basi tuttora attuali e
valide. Purtroppo i politici
che oggi ci guidano sono
molto miopi se confrontati
con Mazzini. Dopo infinite
discussioni non siamo ancora
in grado di darci una Costituzione, una carta dei diritti
fondamentali della persona,
non abbiamo compreso che
si deve privilegiare l’uomo
prima del denaro.
Certamente l’unione monetaria ha contribuito, meglio,
ha costretto le Nazioni a prendere decisioni e direzioni comuni, ha forzato la mano ed in
qualche modo la mentalità dei
politici, ma non ha convinto
nel profondo la gente comune per una unità. La base, la
grande massa dei popoli che
compongono questo magma
europeo, non riesce a vedere
il traguardo, non comprende
certi discorsi roboanti che
inneggiano all’Europa.
Anche le campagne elettorali delle varie Nazioni, in
atto in questo periodo, non
fanno altro che sottolineare
la bontà delle varie monete
ante Euro, quando ognuno
pensava al proprio orticello e non aveva obblighi di
“soccorso” nei confronti
degli altri Stati; non ultime,
le forti dichiarazioni della
destra francese che aizza la
popolazione per una uscita
dalla moneta unica fonte
solamente di guai, salvo
tacere a quali costi e con
quali conseguenze. Comunque è sempre l’economia il
soggetto principale di tale
unione e non una mentalità
comune, un percepire ed un
sentire unitario, la volontà di
scambio di culture e valori
che nei secoli hanno pervaso
questo vecchio continente.
Forse dobbiamo concludere che l’Europa può essere unita solo con la forza?
Certamente non si costruisce
l’uomo europeo, il sentirsi
europeo, con la bacchetta
magica, servono anni e forse
secoli perchè troppo presenti
e recenti sono le guerre e le
stragi, le umiliazioni politiche e le rivalse, la volontà
di primeggiare e di imporre
agli altri Stati la propria
organizzazione sociale, del
lavoro ed economica. Fanno
molto riflettere le ultime
decisioni della Bundesbank,
ormai sempre più indirizzata
ad un nostalgico ricordo, oppure forse al ritorno del forte
marco, e la creazione da parte
delle autorità economiche
francesi di un mercato interno dei futures relativamente
alle obbligazioni domestiche.
Sono atteggiamenti assai
eloquenti, nonchè profondamente debilitanti , di quanto
poco si creda in questa unione di popoli. Si ha la netta
impressione che “l’inno alla
gioia”, quale inno ufficiale
dell’Europa, sia un vago
ricordo, sia solamente parte
di una sinfonia musicale, ma
che nulla ha da dividere con la
grande sinfonia dell’Unione
dei popoli, che di gioia non
fanno grandi salti. Inoltre,
la volontà di far partecipare
anche altre Nazioni a questo
mercato, in questa situazione, apporta ulteriori e gravi
problemi da risolvere. Credo
che, prima di sbandierare
l’annessione all’euro di altri
popoli, questa Europa farebbe
bene a darsi delle solide basi
comuni sia culturali sia politiche, pure nella diversità che
ognuno può innestare. Forse
risuonano ancor più lontane
da questi atteggiamenti le
parole mazziniane sull’unità
europea e forse dovremmo
dire, parafrasando un celebre
grido, “Qui si fa l’Europa o
si muore”.
Autoreferenzialità
nazionale
Alla luce della attuale
situazione economica, che
come detto prima, governa
questa Unione, non credo
siamo molto lontani da una
rivoluzione, questa volta
non nazionale, poiché la
fame spinge ognuno di noi
ad atteggiamenti e decisioni
quanto mai imprevedibili ed
irragionevoli.
Esistono poche ricette per
salvare questa Europa malata di autoreferenzialismo
nazionale, come dimostrano
le recenti elezioni politiche
francesi, dove il fronte del
malcontento verso l’Europa
sta venendo a galla con tutta
la sua forza e dove gli stessi
politici cavalcano questa
sbornia popolare per scalare
il potere. E’ proprio questo il
primo lato debole della nostra
Unione Europea: nessuno dei
politici locali, cioè della Nazione, intende lasciare, vuole
scendere da quel cavallo del
potere, momentaneamente
assegnatogli. Risuonano più
attuali che mai, e non solo
per l’Italia, ma ormai anche
per l’intera Europa le parole
di Dante “Ahi serva Europa
(in originale Italia) di dolore
ostello, nave senza nocchiere
in gran tempesta, non donna
di province, ma bordello” .
Nuova progettualità
politica
La scintilla che deve oggi
accendersi nell’animo dei
nostri leaders è proprio la
consapevolezza di una radicale riforma della politica e
dell’etica politica, del modo
di risoluzione dei problemi
umani, che può e deve partire
da ciascuna Nazione, con unità di metodo e di intenti, con lo
stesso entusiasmo con il quale
i nostri Padri hanno discusso
e sottoscritto la costituzione
di ciascun Paese.
E’ inutile credere di riformare le istituzioni europee,
il loro modo di trattare e
risolvere le questioni, poiché
il linguaggio e la mentalità
di quelle persone che oggi
ci governano sono frutto,
sono una emanazione di
quanto esiste nella politica
di ciascun Paese dell’Unione.
Personalmente sono convinto
che il cambiamento deve
partire proprio da una nuova
progettualità di ogni Stato e
questo è possibile solo con
un profondo rimescolamento
della classe governativa che
ogni Nazione deve operare.
Guardando dentro le nostre
mura domestiche, è indubbio
che da oltre trenta anni sono
seduti ai posti di comando gli
stessi uomini e che nessuno
ha la minima intenzione di
abbandonare la stanza dei
bottoni, propensione trasmessa anche ai pochi innesti di
nuove leve, succedute solo
per causa di forza maggiore
(morte), e tutto questo, per denaro, per volontà di apparire
e di possedere. L’Europa, ma
si può dire di ogni progetto
politico di unità, si potrà costruire solo con due metodi:
la forza delle armi oppure con
la forza dei progetti.
Unione di culture
Se vogliamo essere, ma
soprattutto, continuare ad
essere un polo di attrazione,
l’Europa degli economisti,
del libero scambio, dell’euro
forte, deve diventare l’Europa
dei popoli, l’Europa della
gente oltre che delle genti,
dove ogni cultura può avere
spazio e manifestarsi in tutta
la sua profonda bellezza ed
attrattiva, la sua diversità
e la sua grandezza, essere
condivisa e farne risaltare gli
aspetti positivi, in una parola,
rispettare tutte le altre culture
che stanno vicino.
Per essere veramente una
grande sinfonia alla gioia,
ogni componente dell’orchestra, ogni Nazione, deve
suonare il proprio spartito in
accordo con tutti gli altri, ma
soprattutto seguire il direttore
d’orchestra, cioè la Costituzione. Forse, per il fatto di
non avere ancora chi dirige,
ognuno è tentato di suonare
il proprio spartito con tempi e
modi a lui più consoni, ma il
risultato sono delle forti stonature. Poche persone, forse
dei politici quasi nessuno,
hanno compreso che l’unica
maniera per uscire da questa
empasse culturale e politica è l’unione di intenti nei
confronti delle altre potenze
politico-economiche del resto
del mondo. Infatti la nostra
divisione è a tutto vantaggio
di Cina, India, America, forti
poli di attrazione di capitali e
di cervelli, dove l’unica legge
che trionfa e guida la politica è quella dell’economia.
Mentre questo Continente
MARIO ZORZI
(continua a pag. 7)
REZZARA NOTIZIE
Pag. 7
linee di un progetto
AMBIGUITA` EUROPEISTA DI CHURCHILL.
LA GRAN BRETAGNA NEL PROCESSO UE
Per secoli la Manica ha permesso all’isola inglese di rimanere relativamente intoccata dalle vicende del continente. Ciò
ha spinto le popolazioni dell’isola a sviluppare una cultura ed una personalità politica assai differente dal continente.
Chi non conosce Churchill?
Nato nel 1874, promettente
giovane, fu ufficiale dell’esercito e reporter dal fronte
di guerra durante il conflitto
che vide l’impero inglese
affrontare la minaccia alle
loro colonie e possedimenti
perpetrata dalle forze degli
Stati boeri. Visse rocambolesche avventure, fu fatto
prigioniero e riuscì a fuggire,
tornò in patria amato e famoso, pubblicò un libro sulle sue
gesta ed entrò in politica.
Si aprirono le prime crepe
sulla sua immagine pubblica
durante la Prima Guerra Mondiale quando era primo lord
dell’Ammiragliato, a causa
dell’operazione su Gallipoli,
un disastro talmente grave
dal punto di vista strategico,
che fu costretto a rimanere
nell’ombra durante il resto
del conflitto. Quella sarebbe
potuta essere la fine della
carriera di Churchill. Per
sua fortuna, e per sfortuna
di tutto il mondo, una sola
grande guerra non era bastata
al continente europeo. La
Seconda Guerra Mondiale,
la vera guerra civile europea
come alcuni hanno deciso di
chiamarla, venne a colpire
il mondo nel settembre del
1939 con l’invasione tedesca della Polonia. Nel 1940,
inizia il Caso Giallo, nome
delle operazioni militari che
porteranno alla capitolazione
molte delle nazioni dell’Europa Occidentale.
Con la Francia sconfitta, l’isola inglese divenne l’ultimo
grande bastione a rappresentare la libertà e l’uguaglianza
in Europa, mentre il resto del
continente era attanagliato
dalla morsa totalitaria dei
vari regimi fascisti. Fu a
questo punto che Winston
Churchill divenne il simbolo
della resistenza di ogni cittadino dell’Impero Britannico
contro gli invasori germanici.
Memorabile il suo discorso
sulle lacrime, il sangue e il
sudore che aveva da offrire
al suo popolo, e maestrale la
sua guida salda e carismatica
durante il corso del conflitto.
Ambiguità del pensiero
Ma il lato oscuro di Churchill, se così lo si può chiamare, venne dopo la guerra al
nazismo. Possiamo davvero
considerare Churchill un padre
fondatore dell’Europa? Cosa
ha fatto per meritarsi tale titolo?
Parla lui di Stati Uniti d’Europa
nel suo discorso del 1946 a
Zurigo: “è nostro compito la
ricostruzione della famiglia dei
popoli europei, o in quanto più
di essa possiamo ricostituire,
e nel dotarla di una struttura
che le permetta di vivere in
pace, in sicurezza e in libertà.
Dobbiamo creare una specie di
Stati Uniti d’Europa”.
Un nobile intento, un grande proposito, un’estasiante
idea. Ma molti lati oscuri
sono nascosti nelle frasi di
Churchill, molti desideri e
veri propositi nascosti da parole di buone speranza e pace.
Quando parla degli Stati
Uniti d’Europa, egli enfatizza come le svariate potenze
mondiali debbano aiutare e
cooperare con questa nuova
organizzazione affinché abbia
una vita prospera e lunga. Tra
queste potenze che devono
aiutare l’Europa Unita, egli ne
cita una importante: il Commonwealth Britannico. Ecco
quindi che dalle parole di
Churchill lo spirito europeista
esce rovinato e corrotto da un
desiderio di mantenimento
della supremazia ed estraneità
del Regno Unito rispetto agli
affari del continente. Anzichè un’unione dei fratelli
Europei, vittime delle guerre
fratricide del secolo, Churchill sembra voler avvallare
una posizione separatista che
non riconosce il Regno Unito
come vera parte dell’Europa.
E non è una sorpresa. Prima
di essere europeista, se mai lo
è stato, Churchill era amante della potenza imperiale
inglese e sopratutto, più di
qualunque altra cosa, era un
convinto anticomunista.
Mentre un fondatore
dell’Europa, delle libertà e
dell’uguaglianza, Alcide De
Gasperi, veniva chiuso nelle
carceri fasciste o tenuto sotto
stretta sorveglianza dagli
uomini del partito, Churchill
ignorava queste palesi violazioni delle fondamentali
libertà politiche, dando il suo
appoggio al Partito Fascista:
“Se io fossi italiano sarei stato
con voi fin dal principio”.
Questo disse nel 1927 durante
un’intervista a Roma, rivolto
alla figura del Duce. Ed essa
è solo una delle frasi di supporto ed ammirazione verso
il dittatore italiano.
Non importava davvero la
libertà di un individuo o di
una Nazione, importava avere
un muro che difendesse l’Europa dalla minaccia rossa, un
muro che poteva anche essere
nazionalista, militarista ed autoritario. Egli forse non vuole
tanto un’Europa unita perchè
la considera una strada verso
un miglioramento della vita di
tutti, verso una nuova epoca
di pace... egli vuole l’Europa
come ennesimo cuscinetto in
funzione anti-sovietica.
Avvicinamento all’Europa
Allora perchè aggiungere
Churchill alla lista dei fondatori dell’Unione Europea?
Una prima ragione, la più
triste e forse la più scorretta,
sleale ed ingiusta: serve avere
almeno un inglese.
Per secoli, la Manica ha
permesso all’isola inglese
di rimanere relativamente
intoccata dalle vicende del
continente, libera da molti dei
suoi conquistatori e barbari
e guerre intestine che hanno
plasmato i più noti confini
dell’Europa.
Questo, ha spinto le popolazioni dell’isola a sviluppare
una cultura ed una personalità
politica assai differente da
tutte quelle dell’Europa continentale, con caratteristiche,
qualità e vizi distinte.
Questo può portare a grosse
rotture, come il rifiuto inglese
alla moneta unica, e ad altre
più piccole e trascurabili,
come il guidare sul lato sinistro della strada.
Ma con l’avvento del
mondo moderno e di tutte le
sue avanzate tecnologie, la
distanza che separato le coste
inglesi da quelle europee è diventata irrilevante, rendendo
così ancora più palese la loro
appartenenza all’Europa. Di
conseguenza, data la loro
forza ed importanza a livello
mondiale, è necessario riconoscere al Regno Unito un
qualche ruolo di rilievo nella
costituzione dell’Europa
Unita, e la figura di Churchill
diventa quindi un collante tra
questi mondi così vicini e così
diversi allo stesso tempo.
Ma è ironico pensare come
questa diversità, basata su
stereotipi o realtà esistenti,
che esiste tra Regno Unito ed
Europa non hanno fatto altro
che essere alimentata proprio
da uomini come Churchill.
Già abbiamo parlato di
come enfatizzava la distanza
tra il Commonwealth Inglese
e “l’Europa unita”, dividendo
i due gruppi.
Quando a Yalta cooperò con
Roosevelt perchè la Francia
avesse un posto di riguardo
nelle nuove Nazioni Unite,
cercava egli di amplificare il
ruolo dell’Europa o si stava
semplicemente aggrappando
con disperazione all’idea che
sia Francia che Inghilterra
avessero un posto nelle grandi
potenze mondiali?
Nel dopoguerra italiano,
Churchill appoggiava l’idea
di avere ancora una Monarchia a reggere il paese,
malgrado la collaborazione
che essa aveva dato al nemico
Fascista. Forse vedeva nella
Repubblica lo spettro della
resistenza comunista?
Strategia antisovietica
Non parliamo poi dell’Operazione Unthinkable, somma
perfetta dell’odio che Churchill provava per l’Unione
Sovietica e la sua visione
miope dei problemi che affliggevano l’Europa.
Conosciuta da pochi e
concepita immediatamente
dopo la capitolazione tedesca,
Unthinkable era un’operazione militare mirata a colpire
e a distruggere il potenziale
bellico sovietico, sfruttando
forze americane, inglesi,
polacche e tutto ciò che rimaneva dell’esercito tedesco una
volta che fosse stato riarmato.
L’obiettivo principale dell’operazione era il seguente:
“Imporre alla Russia il volere
degli Stati Uniti e dell’Impero
Britannico”.
Sebbene l’Europa fosse
appena uscita da uno dei
più devastanti conflitti della
storia umana, Churchill era
pronto a girare le spalle all’alleato Sovietico considerato
“inaffidabile”, e a trasformare
nuovamente il continente intero in un campo di battaglia,
forse ancora più cruento e
spietato di quanto fosse già
stato nei passati cinque anni.
Solo il 22 maggio del 1945,
l’intera operazione venne
bocciata per essere troppo
“azzardata”. L’aggressivo
anticomunismo di Churchill
per poco non costò all’Europa e al mondo intero una
Terza Guerra Mondiale a
soli pochi mesi di distanza
dalla seconda. Sembra quasi
fantascienza, ma quando
la mente torna alla Grande
Guerra e alla tragica disfatta
di Gallipoli che Churchill
aveva voluto e congegnato,
ci si rende conto che un piano
del genere era completamente
plausibile nella sua mente.
Come ogni altra grande
figura storica, è impossibile giudicare Churchill con
interezza. Come ogni uomo
egli aveva qualità e difetti,
come ogni grande icona egli
ha gente che lo ammira e altri
che lo detestano e ripudiano.
Ma quando si arriva al
nocciolo della questione, non
possiamo fare a meno che
domandarci: egli davvero appartiene al nucleo dei fondatori dell’Europa? Può essere
elencato assieme a pensatori
e legislatori come De Gasperi,
Adenauer e Schuman? Basta
una frase sugli Stati Uniti
d’Europa per entrare a far
parte di quel gruppo? Forse
no, ma ora è lì. Suppongo
che toglierlo sarebbe ancora
più offensivo d’averlo messo.
LIVIO BAGGIO
LA FORZA DI UN PROGETTO COMUNE
(continua da pag. 6)
sonnecchia c’è chi trama alle
sue spalle per destabilizzare e
far credere inutile una grande
unione politica ed economica,
poiché più la moneta unica si
indebolisce e più si dividono
i vari leaders maggiori sono i
vantaggi per le altre Nazioni.
Il fatto che noi popoli
della Vecchia Europa non
riusciamo ad accordarci per
un bene comune, cioè di
tutte le Nazioni, ci pone in
balia dei Paesi emergenti,
proprio di quei Paesi che consideravamo, fino a ieri, Paesi
sottosviluppati. Ma proprio
questi ci stanno dando una
lezione di quanto l’unione
sia la loro forza.
Ma dove sono i grandi
valori umani che abbiamo
sventolato in quanto culla di
tutte le civiltà?
Non abbiamo più valori,
non abbiamo idee, non abbia
voglia di volare, di librarci in
alto, sia perchè i vari politici
hanno tarpato le ali ai giovani,
sia perchè ci siamo adagiati
mentalmente e culturalmente.
Serve uno slancio dell’animo per riportare la gioia e
l’entusiasmo nei nostri cuori
per vedere ed interpretare i
fatti sotto una lente diversa,
che abbraccia non la singola
Nazione, ma l’intera Europa,
una economia sostenibile per
tutti, delle regole uguali e
rispettate da tutti.
Pag. 8
REZZARA NOTIZIE
45° Convegno sui problemi internazionali
VALORI COMUNI DELL’UNIONE EUROPEA
(continua da pag. 3)
(Recoaro Terme, 14-16 settembre 2012)
programma
venerdì 14 settembre
ore 16 introduzione a cura di mons. Beniamino Pizziol,
Vescovo di Vicenza
prolusione: “Messaggio cristiano di rigenerazione” (card. Velasio De Paolis,
Presidente emerito della Prefettura
degli Affari Economici della Santa
Sede)
intervento: “Cultura della legalità” (prof. Lorenza Violini, Università di Milano)
sabato 15 settembre
ore 9
lezione: “Il bene comune: finalità di ogni progetto politico?” (mons. Mario Toso,
Segretario Pontificio Consiglio della
Giustizia e della Pace)
ore 11 lezione: “Rigenerazione delle istituzioni per
costruire il futuro” (prof. Giancarlo
Rovati, Università Cattolica di Milano)
ore 15 riflessione integrata: Cultura, società, politica
1. I poteri (occulti e tentacolari) dell’economia
mondiale (prof. Oscar Garavello, Università
di Milano)
2. Antipolitica e frammentazione sociale (prof.
Renzo Gubert, Università di Trento)
3. Ruolo sociale delle politiche culturali (prof.
Giovanni Gasparini, Università Cattolica di
Milano)
4. Ruolo sociale delle politiche educative (prof.
Simona Beretta, Università Cattolica di Milano)
domenica 16 settembre
ore 9.30 intervento: “Etica e formazione della responsabilità” (prof. Antonio Da Re,
Università di Padova)
intervento: “Diritti ed illegalità, problemi
della convivenza sociale” (prof.
Giampaolo Azzoni, Università di
Pavia)
conclusioni
QUOTA D’ABBONAMENTO
La quota di abbonamento per il 2012, da versare sul
c.c.p. 10256360 intestato a Istituto “Nicolò Rezzara”,
contrà delle grazie 14, 36100 Vicenza è di € 25,00. A
quanti invieranno una cifra significativa sarà inviata
al più presto una pubblicazione delle nostre edizioni.
“intensificare la solidarietà tra
i popoli rispettandone la storia,
la cultura e le tradizioni”.
Cinque anni dopo Maastricht, con Amsterdam, l’Unione Europea sente di dover
apportare alcune significative
modifiche al trattato che l’ha
istituita.
Innanzitutto nel preambolo
viene aggiunto, subito dopo
l’enunciazione dei principi
ai quali l’Unione è legata,
un punto molto rilevante
riguardante i diritti di riferimento, in particolare a
quelli dei lavoratori, si legge
infatti: “Confermando il
proprio attaccamento ai diritti
sociali fondamentali quali
definiti nella Carta sociale
europea firmata a Torino il
18 ottobre 1961 e nella Carta
comunitaria dei diritti sociali
fondamentali dei lavoratori
del 1989”.
Il riconoscimento dei diritti
sociali è da sempre, è lo è
tuttora, una questione delicata e controversa, ma con
questa integrazione l’Europa
afferma di voler superare le
barriere ideologiche e politiche storiche fra i singoli
Stati per tutelare al massimo
i propri cittadini. Inoltre
sarebbe un controsenso che
l’Unione Europea, nata come
organizzazione più economica che politica, non prendesse
in considerazione i diritti di
quelli che sono il motore
dell’economia: i lavoratori.
Il settimo punto del preambolo recita: “Determinati
a promuovere il progresso
economico e sociale dei loro
popoli, tenendo conto del
principio dello sviluppo sostenibile e nel contesto della
realizzazione del mercato
interno e del rafforzamento
della coesione e della protezione dell’ambiente, nonché
ad attuare politiche volte
a garantire che i progressi
compiuti sulla via dell’integrazione economica si
accompagnino a paralleli
progressi in altri settori”; in
realtà il riferimento al principio dello sviluppo sostenibile nel trattato originale di
Maastricht non era presente,
è stata una delle modifiche
apportate dal successivo
trattato di Amsterdam, ciò
sta a significare che i Paesi
europei vogliono sì continuare sulla strada del progresso
soprattutto economico e
tecnologico, ma lo vogliono
fare con responsabilità.
Veniamo ora alle integrazioni fatte all’articolato,
due in particolare sono da
rilevare: la prima la si trova
nell’articolo A in cui viene
esplicitato che “le decisioni
siano prese nel modo più
trasparente possibile”, ciò sta
a significare che per l’Unione
Europea è importante che
valga non solo il principio di
sussidiarietà, bensì che tutto
ciò che l’Unione stabilisce
sia chiaro e conoscibile dai
cittadini; la seconda invece
sta nell’enunciazione degli
obiettivi dell’Unione all’articolo B tra i quali appare la
promozione di “un elevato livello di occupazione”, questo
a ribadire come l’attenzione
per i valori del lavoro e dei
diritti sociali siano divenuti
anch’essi fondamento per
l’Europa.
ritti del minore”. Per la prima
volta nel diritto comunitario
compare il riferimento alla
tutela dei diritti del minore,
anche se con significativo
ritardo rispetto la firma nel
1989 da parte degli stati
membri delle Nazioni Unite
della Dichiarazione dei diritti
del fanciullo. Inoltre fa la sua
comparsa anche una particolare attenzione al rispetto
delle persone anziane.
Salvaguardia delle diversità
Qualità della vita
In ultima analisi, il grande
passo decisivo, il vero spartiacque, nella definizione dei
valori che stanno alla base
dell’Unione europea lo si fa
nel 2007 con il trattato di Lisbona che modifica il trattato
di Maastricht ed il trattato
che istituisce la Comunità
Europea.
Non esiste una cultura
europea unica, bensì molteplici, ma l’Unione Europea
è consapevole che ognuna
di esse ha contribuito allo
sviluppo dei valori sui quali
oggi essa si fonda.
La vera novità sta però
nell’articolato, infatti il trattato di Lisbona aggiunge l’articolo 1 bis che recita: “L’Unione si fonda sui valori del
rispetto della dignità umana,
della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello
Stato di diritto e del rispetto
dei diritti umani, compresi i
diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi
valori sono comuni agli
Stati membri in una società
caratterizzata dal pluralismo,
dalla non discriminazione,
dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla
parità tra donne e uomini”;
con questa integrazione l’orizzonte dei valori si amplia
notevolmente e si connota
in senso innovativo poiché
infatti compare il riferimento
alla tutela delle minoranze,
finora mai espressamente
citato.
Risulta ancora più rafforzato il proposito di salvaguardare le diversità culturali dei
singoli popoli dell’Unione,
dal momento che compare
espressamente nell’articolato
la volontà del legislatore in
questo senso: “Essa rispetta
la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e
vigila sulla salvaguardia e
sullo sviluppo del patrimonio
culturale europeo”.
Il tema dell’uguaglianza
è caro ai membri dell’Unione Europea, e questo lo si
evince chiaramente dal fatto
che l’articolo 3 riprende e
allarga le fattispecie, infatti
recita: “L’Unione combatte
l’esclusione sociale e le
discriminazioni e promuove
la giustizia e la protezione
sociali, la parità tra donne e
uomini, la solidarietà tra le
generazioni e la tutela dei di-
Se con il trattato CECA si
cerca di lasciarsi alle spalle
lo spettro della Seconda
Guerra Mondiale, i numerosi riferimenti alla pace tra
i popoli ne sono l’esempio
lampante, è con il trattato di
Roma che vengono introdotti
nuovi obiettivi che non siano
meramente simbolici o economici. Ci si convince che
una vera unione tra i Paesi
europei possa passare solo
attraverso un miglioramento
della qualità della vita dei
propri cittadini; il riferimento
è dunque a quei valori che
mirano ad alzare il livello
d’istruzione e a combattere
le discriminazioni di genere.
Altro punto caldo che si fa largo in quegli anni è il rispetto
per la natura: lo sviluppo è
importante, ma quest’ultimo
deve essere sostenibile, cioè
compatibile con l’ambiente
nel quale cresceranno le future generazioni di cittadini
europei.
Nel 1986 invece entrano
in scena, per la prima volta
nel contesto europeo, i diritti
umani anche se purtroppo
restano ancora confinati nel
preambolo; tale situazione
cambia però con la firma
del trattato di Maastricht, il
quale sposta il riferimento ai
diritti fondamentali nell’articolato, donando loro valenza
giuridica.
I valori ai quali l’Unione
Europea sente di essere profondamente legata vengono
ulteriormente rinnovati con
l’inserimento nel 1997 del
riferimento ai diritti sociali
ed in particolare a quelli dei
lavoratori.
Infine con il trattato di
Lisbona i Paesi europei
ribadiscono a gran voce e
con estrema chiarezza quali
siano i valori in cui credono:
rispetto della dignità umana,
della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, della
non discriminazione.
Alla luce di quanto detto
finora e del percorso che
gli Stati dell’Unione Europea hanno svolto dal 1951
ad oggi, l’articolo 1 bis
del trattato di Lisbona non
può in nessun modo essere
considerato come una mera
enunciazione di principi, ma è
invece il cuore pulsante dello
spirito dell’Unione Europea:
è ciò in cui essa crede.