UNIONE DI POPOLI E NON DI STATI PROSPETTIVA FUTURA
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UNIONE DI POPOLI E NON DI STATI PROSPETTIVA FUTURA
Anno XLII - n. 5 - luglio-agosto 2012 ISSN.: 0391-6154 In caso di mancato recapito, rinviare all’Ufficio Postale di Vicenza per la restituzione al mittente che si impegna a corrispondere la tassa di spedizione. Direzione: Via delle Grazie, 12 - 36100 Vicenza - tel. 0444 324394 - e-mail: [email protected] - Direttore responsabile: Giuseppe Dal Ferro Mensile registrato al Tribunale di Vicenza n. 253 in data 27-11-1969 - Reg. ROC 11423 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) - art. 1, comma 1 DCB Vicenza - Associato USPI - Stampa CTO/Vi - Abb. annuale 20,00 €; 3,00 € a copia UNIONE DI POPOLI E NON DI STATI PROSPETTIVA FUTURA DELL’EUROPA Il 9 maggio 1950 nasce la Comunità Europea. In questa data, quando lo spettro di una terza guerra mondiale angosciava il mondo intero, sono state gettate le basi di quella che oggi è l’Unione Europea. E ancora, in quel non lontano giorno, a Parigi, la stampa era stata convocata nella sede del ministero degli esteri per una comunicazione importante. Le prime righe della dichiarazione del 9 maggio 1950 redatta da Robert Schuman, Ministro francese degli Affari Esteri, in collaborazione dell’amico e consigliere, Jean Monnet, danno un’idea dei propositi ambiziosi della stessa. “La pace mondiale non potrebbe essere salvaguardata senza iniziative creative all’altezza dei pericoli che ci minacciano. Mettendo in comune talune produzioni di base e istituendo una nuova Alta Autorità le cui decisioni saranno vincolanti per la Francia, la Germania e i paesi che vi aderiranno, saranno realizzate le prime fondamenta concrete di una federazione europea indispensabile alla salvaguardia della pace.” Veniva proposto di porre in essere una Istituzione europea sovrannazionale cui affidare la gestione delle materie prime che all’epoca erano il presupposto di qualsiasi potenza militare come il carbone Il riferimento europeo è ancora l’unico punto fermo per un’idea di pace, di concordia, di sviluppo di un continente dilaniato per secoli da massacri. L’edificio europeo può rappresentare una grande speranza per la politica mondiale. e l’acciaio in un momento, inoltre, particolarmente delicato quando le potenze mondiali ed europee erano ancora divise da odi e rancori storici. Tutto, quindi, iniziò quel 9 maggio e al vertice tenuto a Milano nel 1985 i capi di Stato e di Governo decisero di festeggiare questa data come Giornata dell’Europa. Ogni paese che da allora ha poi democraticamente scelto di aderire all’Unione Europea adotta “automaticamente” i valori di pace e di solidarietà su cui si fonda la costruzione comunitaria. Questi valori si realizzano grazie allo sviluppo economico e sociale e all’equilibrio del contesto ambientale e delle varie regioni, i soli fattori che possono garantire un livello di qualità della vita diffuso equamente tra i cittadini. Unione Europea Oggi l’Unione Europea (UE) è un partenariato economico e politico, unico nel suo genere, tra 27 paesi che coprono buona parte del continente. La costruzione europea è nata sulle rovine della II Guerra Mondiale con l’obiettivo di promuovere innanzitutto la cooperazione economica tra i paesi, partendo dal principio che il commercio produce un’interdipendenza che riduce i rischi di conflitti. Quella che era nata come un’unione puramente economica è diventata con il tempo un’organizzazione attiva in tutti i settori, dagli aiuti allo sviluppo alla politica ambientale. L’Unione Europea si fonda sul principio dello stato di diritto. Questo significa che tutti i suoi poteri riposano sui trattati europei, sottoscritti volontariamente e democraticamente dai paesi membri. Questi accordi vincolanti fissano anche gli obiettivi dell’UE nei suoi numerosi settori di attività. Uno di questi è la protezione dei diritti umani, sia al suo interno che nel resto del mondo. Dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e rispetto dei diritti umani sono i valori fondamentali dell’UE. Dalla firma del Trattato di Lisbona, nel 2009, la Carta dei diritti fondamentali sancisce tutti questi diritti insieme. Le istituzioni dell’UE hanno l’obbligo giuridico di difenderli, e altrettanto sono tenuti a fare i paesi membri quando applicano la legislazione europea. Il mercato unico, che permette la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone, è il principale motore economico dell’UE. Uno dei suoi obiettivi fondamentali è sviluppare questa immensa risorsa per consentire ai cittadini europei di beneficiarne pienamente. 9 maggio 2000: l’Europa dei popoli e/o l’Europa degli Stati L’EUROPA DEI POPOLI Dopo una presentazione sintetica di quando si è cominciato a parlare di UE riassumendo nella affermazione di Monnet “Noi non uniamo Stati, ma popoli” si vuole adesso affrontare una questione molto attuale per ciascun cittadino europeo. Parlare di Europa dei popoli è sicuramente un argomento intrigante e impegnativo: credo anch’io che la strada perchè si possa costituire un’Europa dei popoli sia una strada ancora molto lunga da percorrere. Già gli stessi padri fondatori dell’idea europea De Gasperi, Schuman, Adenauer si erano accorti del fatto che la scommessa era ardua, sebbene sapessero anche che era l’unico modo per offrire a un continente uscito da due guerre disastrose punti di riferimento e speranze in cui tornare a credere; un patrimonio di valori che comprendesse la solidarietà, la pace, una visione dell’uomo come soggetto centrale dell’universo. Le vicende di questi cinquant’anni ci hanno fornito le risposte che tutti conosciamo: molto, troppo distanti dalle aspettative che qualcuno, forse prematuramente, aveva coltivato. L’Europa che sta nascendo non è ancora l’Europa che avevano sognato De Gasperi, Schuman, Adenauer; anche a mio modo di vedere, l’unione economica e monetaria del continente, che pure era indispensabile, quasi ineludibile va completata con l’Europa delle identità, con l’Europa delle culture e delle tradizioni, con quella dei diritti civili che pure non possono prevaricare quelli già garantiti ed esercitati nei vari paesi. Accanto all’Europa delle monete, accanto all’Europa dei commerci, degli eserciti, dovrebbe prendere forma ed avere un significato per tutti gli Stati e per i loro popoli il valore di un’Europa come ideale di tolleranza, di democrazia diffusa ed operante,di vitalità dei singoli soggetti pur all’interno di progetti e obiettivi univoci. L’Europa non si può fare senza i popoli; o avremo un’Europa dei popoli o non sarà Europa. E’ vero che gli ultimi cinquant’anni hanno visto la nascita dell’Unione Europea che oggi conosciamo ma il lavoro fatto, pur importantissimo, non si è fatto con i cittadini: è stato un lavoro di costruzione fatto da politici e burocrati. Probabilmente era l’unica via per farlo, ma la realtà è che oggi i cittadini, i popoli, vedono l’Europa come qualcosa di lontano, qualcosa che non capiscono e che non considerano vicina alle loro preoccupazioni e ai loro problemi. A Bruxelles o Strasburgo si parla sempre di rendere l’Europa più vicina ai cittadini ma nessuno sa come farlo. Uno dei simboli di unione, di identità più forte tra i popoli, dei paesi singoli come ad esempio Italia, Francia, Spagna, Germania, è il calcio: fa competere le squadre fra di loro e alla fine configura un’identità comune. Questo esempio, che può sembrare fuori luogo, serve per dire che si potrà fare un’identità europea lavorando insieme sulle cose che sono vicine ai cittadini, sulle cose che i cittadini capiscono e che interessano loro. Evidentemente ci sono tante manifestazioni o eventi molto più importanti del calcio, che interessano i cittadini: la salute, la sicurezza nelle città, l’educazione, il futuro dei nostri figli...e solo se i cittadini, italiani ed europei, vedono che l’Europa si occupa di questi loro problemi si identificheranno con essa. Per arrivare a questo obiettivo bisogna lavorare insieme; i giovani sono coloro che hanno la più grande responsabilità. Possono essere la generazione dell’Unione, cresciuti e educati in un periodo in cui l’Europa non è più un’illusione ma una realtà. Tale generazione ha delle opportunità che i loro padri non potevano neppure sognare; oggi un giovane europeo può lavorare, installarsi, educarsi e muoversi liberamente in uno spazio di libertà e democrazia, spazio nel quale il progresso economico basato su una moneta comune rende MARCO FACCIN (continua a pag. 2) Pag. 2 REZZARA NOTIZIE UNIONE DI POPOLI E NON DI STATI (continua da pag. 1) possibile nuove prospettive per il nostro futuro. Non si deve vedere questo unicamente come una possibilità, una opportunità, ma si deve vederlo soprattutto come una responsabilità, la responsabilità di prendere in mano il nostro futuro, cioè il futuro dell’Europa unita. La garanzia della forza dei piccoli Stati, la garanzia della forza delle regioni, la garanzia della forza delle città è data proprio perchè vi è o si sta costruendo un punto di riferimento europeo, altrimenti tutto questo ritorna ad una dissoluzione. Unione di minoranze Si sta tentando di costruire un edificio, quello europeo, che non ha alcun precedente nella storia: questa è ancora l’unica grande speranza della politica mondiale. Il riferimento europeo è ancora l’unico punto fermo per un’idea di pace, per un’idea di concordia, per un’idea di sviluppo di un continente che è stato dilaniato da secoli e secoli di massacri; se non si riesce a costruire questa Europa, non si riuscirà neanche a costruire la pace. E’ comunque difficile dirlo ai giovani che non hanno avuto esperienze diverse, che, fortunatamente, non hanno avuto esperienze dirette di guerre. Ma questi stessi giovani dovrebbero meditare sul fatto che dentro ai confini dell’Europa non vi è stato alcun conflitto per due generazioni intere, mentre fuori dai confini europei, alle nostre porte, nel Kosovo o in Bosnia, abbiamo avuto tragici conflitti; non solo, ma si pensi anche alle tensioni che ci sono all’interno dell’Europa, che si avviano a una soluzione o l’hanno già avuta proprio perchè c’è un’Europa. Si pensi a cosa rappresentava una generazione e mezzo fa’ per gli Italiani il problema dell’Alto Adige: dopo l’entrata dell’Austria nell’Unione Europea il problema non esiste più, i ragazzi studiano a Bologna o a Innsbruck, scegliendo come vogliono. L’Europa può risolvere i problemi perchè è salvaguardia della diversità, quindi è garanzia dell’ espressione di tutti i popoli. Altre volte si è tentato di costruire l’Europa; ha tentato Napoleone, ha tentato Hitler...e ci sono anche riusciti, ma poi si è dissolto tutto, perchè hanno usato un metodo completamente diverso da quello di oggi. La grandezza di questa Europa è che l’Unione Europea è un’unione di minoranze, nessuno è in maggioranza in Europa: questo è il grande concetto nuovo della storia europea, questo è il grande insegnamento che noi riceviamo. Si è realizzato un processo di allargamento straordinario, perchè dopo che i primi sei paesi hanno costituito la prima Europa, quell’Europa in cui i problemi erano risolti da degli amici con la regola dell’unanimità, si sono aggiunti gli altri paesi, la Spagna, il Portogallo, la Grecia, la Svezia, la Gran Bretagna, l’Irlanda, la Danimarca, la Finlandia... adesso i paesi sono ventisette, e siamo di fronte ad un ulteriore processo di allargamento. L’allargamento significa capire che si deve fare uno sforzo verso paesi che hanno un livello di ricchezza, di reddito, di produzione diversi. La discussione sull’Europa cui si è assistito in questi anni è stata incentrata sull’obiettivo di carattere economico; da questo punto di vista, occorre notare che mettere insieme la moneta è la decisione più profondamente politica che nessun paese abbia mai preso nel corso della propria storia. Lo Stato moderno è nato e si è fondato sulla moneta e sull’esercito; ora si è messa la moneta insieme, ed è una trasformazione che non ha nulla a che fare con l’Europa dei banchieri, perchè implica conseguenze ben più grandi: il cambiamento della politica economica da parte di tutti i paesi, il prendere insieme le più importanti decisioni circa il futuro delle nostre generazioni. Certo ci sono anche gli aspetti economici, estremamente stringenti. Il processo continuo di allargamento ha messo in tensione continua le strutture, la pazienza, mette in tensione i popoli. Le differenze di storia e di cultura che ci sono tra i paesi sono già enormi, e l’allargamento non ha implicato certo un aumento di diversità. Ci sono alcuni paesi in cui la tradizione, il legame storico, fin dal Medioevo, con l’Europa e con i paesi europei, è stato indubbiamente più stretto che non per gli altri paesi che già partecipano all’Europa. L’allargamento significa la fine della crisi europea, significa una chiusura completa del capitolo del passato. Un’altra paura è il costo dell’allargamento; è un fatto costoso ma nella concorrenza mondiale un mercato come quello dell’Unione con diversi livelli di reddito è una carta positiva che, senza commettere errori di politica economica, può portare a risultati positivi. La terza paura, fortissima, riguarda l’immigrazione di massa e la criminalità: ma solo con l’allargamento, solo con la collaborazione giudiziaria di polizia si può ridurre l’immigrazione incontrollata e il rischio di criminalità organizzata. Non si possono evitare queste cooperazioni perché le frontiere non sono in questo momento in alcun modo difendibili di fronte a queste nuove immigrazioni, e solo una cooperazione interfrontaliera ci può portare a questi risultati. Il processo di allargamento ci porterà chiaramente ad un’Europa diversa da quella di oggi. La cooperazione rafforzata significa che l’Europa non è uno strumento di esclusione ma una porta sempre aperta, e qualsiasi paese se domani volesse unirsi agli altri che hanno realizzato un pezzo di Europa dovrà avere il diritto di farlo. Aperta al mondo È chiaro che quest’Europa ha sempre più necessità di una politica estera; la politica estera è fondamentalmente compito degli Stati nazionali, ma Maastricht, Amsterdam, Helsinki, hanno dato inizio alla politica estera di sicurezza comune. Il 50% degli aiuti multilaterali nel mondo sono o dell’Unione Europea o dei paesi componenti l’Unione Europea. Non esiste una politica estera senza un legame forte tra Europa e Stati Uniti: purtroppo in questo campo si vede pericolosissima l’involuzione americana, per via del senso di sfiducia che hanno verso qualsiasi organizzazione multinazionale, che sta portando, anche nella sensibilità individuale, ad una chiusura, ad un provincialismo, a un senso di maggiore difficoltà nell’affrontare questi temi. Il richiamo all’Europa ci obbliga ad una risposta verso alcuni vicini che ci reclamano, anzitutto verso la Russia che ha gran parte del suo commercio con l’Europa. Un rapporto con la Russia è fondamentale per la pace: non esiste una possibilità di risolvere alcune delle grandi tensioni internazionali nei Balcani senza un rapporto costruttivo con la Russia. Dagli anni ’90 è cominciato un processo storico di enorme portata di cui nessuno parla, perché molto spesso non si sa leggere la storia, ma che cambierà in una generazione la nostra vita e dei nostri figli. E’ il grande sviluppo dell’Asia: il Mediterraneo sta ritornando di nuovo al centro della carta geografica mondiale. Oltre il 10% del traffico si è spostato dal nord al Mediterraneo. Se questo è il contesto del cambiamento, l’Europa è il grande ponte nei confronti dell’Asia, e l’Italia - come la Spagna - se vuole avere una speranza seria, concreta, fondata, di sviluppo pacifico non deve impegnarsi verso l’immigrazione controllata, ma verso la grande crescita del Mediterraneo del sud. Nel momento in cui c’è da interpretare questa nuova costruzione storica del Mediterraneo, questa si può giovare fortissimamente del dialogo tra le tradizioni cristiana, islamica e giudaica e si può portare anche con la politica un contributo fondamentale al dialogo religioso che è indissolubilmente legato alla pace e alla prosperità del Mediterraneo. Questo dialogo è necessario per costruire l’Europa, anche se è chiaro che la tradizione cristiana è la radice più robusta di questo albero europeo, e che essa ha ispirato le grandi culture europee, anche quelle laiche: tuttavia non è l’unica idea ispiratrice dell’Europa. Essa si nutre, si deve nutrire con il confronto e con il dialogo con l’ebraismo, con l’islamismo, così come si è nutrita in questi anni con l’inizio di un dialogo interno con l’ortodossia. Il compito dell’Europa può diventare così molto più complesso di quello che si definisce comunemente, ed è chiaro che lo si può portare avanti solo se si rispetta la grande vocazione dell’universalità dell’Europa: la vocazione ai principi universali, al rispetto dei diritti umani, al rispetto della vita, al rispetto dell’equilibrio tra solidarietà e libertà. Basti pensare che in nessun paese europeo c’è la pena di morte, che invece c’è negli Stati Uniti. Questa è l’Europa, non è una creazione politica ed economica come le altre: ha una responsabilità di fronte al mondo rispetto a questi valori. 9 maggio 2012: la crisi dei debiti sovrani La crisi sui debiti sovrani ha messo a dura prova la fiducia degli italiani nell’Unione Europea, tanto che la maggioranza relativa della popolazione, il 34% ritiene che l’Europa non stia adottando le misure giuste per uscire da tale situazione. Dopo decenni di entusiasmo degli italiani verso l’UE, è questo il risultato più sorprendente del rapporto sull’Italia stilato in base all’Eurobarometro, il sondaggio periodico condotto nell’UE. Sui livelli di fiducia verso l’UE c’è stato un vero crollo: dal 70% circa dei tempi d’oro ora siamo attorno al 50%. A pesare è anche il fatto che con l’aggravarsi della crisi l’UE si è fatta più pressante nelle sue richieste verso il nostro paese, imponendo pesanti misure di risanamento. Per contro c’è anche la possibilità che gli italiani siano delusi dall’UE perché non ha risposto alle loro attese; invece di continuare nella costruzione dell’Europa voluta dai padri fondatori, hanno visto fare l’Europa delle banche e degli interessi particolari. Sulle azioni necessarie per uscire dalle difficoltà c’è comunque un ampio consenso: la maggioranza degli italiani, il 72%, ritiene essenziale una riforma del mercato del lavoro che miri a ridurre la disoccupazione. In particolare c’è una generale richiesta di maggiori opportunità di lavoro. Si chiedono riforme che tocchino le infrastrutture legate all’occupazione, come gli uffici di collocamento o le possibilità di formazione e qualificazione per coloro che sono già sul mercato. Inoltre, secondo gli italiani, gli elementi sui quali l’UE dovrebbe concentrare le proprie azioni per superare la crisi sono la lotta alla povertà, il mercato dell’industria e l’economia verde. L’alto tasso di disoccupazione giovanile ha determinato una scelta quasi scontata: il 51% ritiene infatti che l’Unione debba mettere in campo misure finalizzate a favorire l’occupazione dei giovani, senza tuttavia trascurare il miglioramento della qualità dell’istruzione e l’ulteriore promozione di programmi come l’Erasmus, che permettono di studiare all’estero. La situazione di difficoltà delle famiglie italiane si trascina da tempo. Non è un effetto della crisi del debito ma ha origini antiche, che risalgono a oltre un decennio, e cause ben precise. Come ad esempio il raddoppio dei prezzi operato al momento del change over lira euro, che ha dimezzato il valore di stipendi, salari e pensioni; la forzata moderazione salariale imposta attraverso il ritardato rinnovo dei contratti; i continui aumenti di molte tariffe e della tassazione soprattutto a livello locale. Conclusioni “La storia siamo noi, siamo noi padri e figli, siamo noi bella ciao che partiamo. La storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano. La storia siamo noi… siamo noi questo piatto di grano…”. Le parole di una delle canzoni di De Gregori tendono a sottolineare ancora che la riuscita di questa Unione Europea, in tutti i suoi aspetti, dipende esclusivamente da ciascun cittadino e nessuno si può esimere da questo compito arduo ma nello stesso tempo avvincente. REZZARA NOTIZIE Pag. 3 VALORI COMUNI DELL’UNIONE EUROPEA MATURATI DA ANNI DI ESPERIENZA È ben noto che due o più organismi per decidere di unirsi debbano avere interessi e fini comuni; ma questo non basta, poiché infatti deve sussistere anche un terreno comune su cui costruire. Questo humus è costituito dai principi e valori condivisi dalle parti che intendono intrecciare i loro destini. Ma cosa sono i valori? Secondo Antonio Papisca “i valori indicano uno standard desiderabile condiviso dalla gran parte dei membri del sistema, una sorta di adesione di principio a obiettivi ideali di carattere generale”. Risulta chiaro quindi che per raggiungere dei fini occorrono dei valori comuni. Il processo di integrazione europeo è l’unico grande esempio al mondo di come degli Stati abbiano voluto mettere da parte porzioni della loro sovranità per un bene comune più grande. Sono ben noti i motivi che hanno spinto i Paesi fondatori ad una simile scelta, ma ora viene da chiedersi: quali sono i valori alla base dell’Unione Europea? L’individuazione dei valori è importante perché consente di capire le ragioni profonde che stanno alla radice del processo di integrazione sopranazionale europeo. A mio avviso nel percorso storico del continente europeo, sono difficilmente individuabili dei principi comuni, poiché i popoli europei non appartengono e non derivano nemmeno da un’unica cultura; basti pensare ai due più grandi imperi che hanno governato l’Europa: quello Romano e quello Carolingio. Il primo, nonostante si sia espanso fino alla Gran Bretagna e ai paesi dell’est, comprendeva anche le regioni settentrionali dell’Africa e quelle del vicino oriente: niente a che vedere con la configurazione geografica dell’Europa attuale. Nemmeno l’impero Carolingio può essere definito come radice comune per i paesi europei, poiché, per quanto ci fosse una certa omogeneità Sulle tematiche europee l’Istituto Rezzara attua un master formativo biennale. Il ciclo autunnale inizia il 29 settembre 2012. Gli articoli del presente numero riportano alcune riflessioni maturate nel master. Per saperne di più si visiti il sito www.istitutorezzara.it/master. culturale, religiosa e politica tra i popoli sottomessi a Carlo Magno, questa valeva solo per la parte occidentale dell’europa, in netto contrasto con quella orientale. È chiaro quindi che non si può parlare di di un’identità storica, religiosa e culturale comune per tutta l’Europa; ma allora dove si possono rintracciare quei valori senza i quali l’attuale Unione Europea non avrebbe potuto nascere? Il modo migliore per capire su quali principi poggia l’Unione Europea è estrapolarli da ciò che gli stati membri hanno loro stessi dichiarato nei principali momenti fondativi, ovvero esaminando i testi dei principali trattati comunitari. Relazioni pacifiche Partiamo quindi dall’esaminare il primo trattato, quello che segna la nascita, nel 1951, della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. L’obiettivo comune è chiaro: la libera circolazione dei materiali dell’industria carbosiderurgica e il libero accesso alle fonti di produzione degli stessi. Anche il motivo di questa scelta è ben noto: allontanare lo spettro della guerra e ricostruire l’economia del continente. Infatti, il secondo conflitto mondiale aveva talmente sconvolto i Paesi europei, ed in particolare Francia e Germania, da indurli a cercare una nuova via affinché tali scenari non si ripetessero. Unire quindi la produzione del carbone e dell’acciaio, materiali indispensabili all’industria bellica, avrebbe di fatto reso impossibile la nascita di un nuovo conflitto. Non a caso, nel preambolo del trattato di Parigi la parola “pace” viene ripetuta con frequenza; i capi di Stato e di governo infatti si dicono “convinti che il contributo che un’Europa organizzata e viva può portare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche”. Successivamente compare la parola “popoli” e non “Stati”: questo è già in primis un segnale che l’integrazione europea non è rivolta ai governi bensì ai cittadini, si riveste quindi di una connotazione democratica. Se dal trattato CECA emerge soprattutto la volontà di superare le rivalità storiche tra gli Stati europei, nel preambolo e nei primi articoli del successivo trattato che istituisce la Comunità Economica Europea compaiono ben più precisi valori di riferimento. Ci si prefigge inizialmente un comportamento in sintonia con quanto affermato nello statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, ritorna in sostanza il riferimento ai valore della pace e della libertà già presenti, in tono minore, nel precedente trattato. Unità politica Mediante il trattato di Roma del 1957, oltre a stabilirsi nuove regole nella circolazione e negli scambi delle merci, si rafforza l’idea di un’unità politica tra gli Stati europei e con essa lo sviluppo di nuovi obiettivi non mera- I valori che uniscono i popoli sono quelli culturali, desunti dalla storia comune. Nella Carta Sociale europea si parla di libertà, uguaglianza e giustizia sociale. La cittadinanza europea include la solidarietà tra popoli nel rispetto di storia, cultura e tradizioni. mente economici. A questo riguardo, è interessante notare che nel preambolo gli Stati si dichiarano “determinati a promuovere lo sviluppo del massimo livello possibile di conoscenza nelle popolazioni attraverso un ampio accesso all’istruzione e attraverso l’aggiornamento costante”, segno che si è davanti ad una svolta: i mezzi per raggiungere i fini preposti non sono più solo economici ma anche politici e sociali. L’esigenza di nuovi riferimenti viene ribadita dal ben più incisivo articolato art. 2; qui, infatti, vengono citati “la parità di genere, un elevato livello di protezione dell’ambiente, il miglioramento del tenore e della qualità della vita”, significativo che in un’epoca in cui il sesso femminile stava lottando per ottenere maggiori riconoscimenti, i paesi della Comunità Europea si dicono intenzionati a promuovere la parità di genere. Si evince quindi dal testo dell’art. 2 che i principi alla base della Comunità Europea si allargano rispetto a quelli dalla CECA e sono più innovativi. Basti pensare al riferimento alla protezione dell’ambiente e ad uno sviluppo che sia sostenibile. Altra novità che emerge dall’art. 3 è l’intenzione di perseguire una politica comune nel settore sociale, creando un organismo apposito: il fondo sociale europeo. L’art. 3 è interessante anche per altri motivi: compaiono per la prima volta i temi della protezione della salute e della cooperazione allo sviluppo, segno che la CEE non vuole restare indifferente di fronte ai bisogni dei propri cittadini e dei Paesi in via di sviluppo: si fonda quindi sul valore della solidarietà. Infine, il comma 2 dell’art. 3 recita: “L’azione della Comunità a norma del presente articolo mira ad eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità, tra uomini e donne”. Al valore dell’uguaglianza viene dato, pertanto, un ulteriore risalto, segnale che per gli Stati membri è di particolare rilevanza combattere tutte le forme di discriminazione. Abbiamo visto che con il trattato di Roma del 1957 l’orizzonte dei valori si amplia notevolmente e soprattutto si caratterizza in termini innovativi. Diritti umani Una svolta importante e forse decisiva arriva nel 1986 con la firma a Lussemburgo dell’Atto Unico Europeo, per la prima volta difatti fa la sua comparsa il riferimento ai diritti umani. Nel preambolo gli Stati membri si dicono: “Decisi a promuovere insieme la democrazia basandosi sui diritti fondamentali sanciti dalle costituzioni e dalle leggi degli Stati membri, dalla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta sociale europea, in particolare la libertà, l’uguaglianza e la giustizia sociale”. La Comunità Economica Europea afferma pertanto che il rispetto dei diritti umani è un elemento imprescindibile per la democrazia, e lo fa non solo rimandando alle singole legislazioni degli Stati membri, ma anche ai documenti emanati dal Consiglio d’Europa, quindi comuni a tutti i membri della CEE. In questa citazione vengono nominati tre diritti, segno evidente che libertà, uguaglianza e giustizia sociale sono i valori cardini su cui si fonda la Comunità Europea. Importante poi ricordare che nel 1979 si tennero le prime elezioni a suffragio universale diretto del Parlamento Europeo, ed ecco perciò spiegato il riferimento ricorrente nel preambolo dell’Atto Unico al valore fondamentale della democrazia. In seguito si legge infatti: “Consapevoli della responsabilità che incombe all’Europa di adoperarsi per parlare sempre più ad una sola voce e per agire con coesione e solidarietà al fine di difendere più efficacemente i suoi interessi comuni e la sua indipendenza, nonché di far valere in particolare i principi della democrazia e il rispetto del diritto e dei diritti dell’uomo, al quale esse si sentono legate, onde fornire congiuntamente il loro contributo specifico al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali conformemente all’impegno che hanno assunto nell’ambito della Carta delle Nazioni Unite”. L’Europa ritiene dunque suo compito quello di diffondere ad ampio raggio i valori in cui crede e sui quali essa stessa si fonda. Il trattato sostanzialmente riprende i principi già enunciati in precedenza, con la sola peculiarità del riferimento ai diritti umani, che però resta ancora confinato nel preambolo, perciò senza un effettivo valore vincolante. Con il trattato di Maastricht del 1992 i diritti fondamentali finalmente fanno la loro apparizione all’interno dell’articolato, acquisendo quindi valore sostanziale. L’articolo 6 infatti recita: “1. L’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri. 2. L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario”. A questo riguardo è interessante notare come una mera enunciazione di principi comparsa nel preambolo dell’Atto Unico acquisisca un proprio valore giuridico nel trattato successivo; questo fa ben sperare per il futuro, perché quanto avvenuto con il trattato di Maastricht possa ripetersi, facendo sì che altri valori possano assumere una connotazione vincolante. Cittadinanza europea In riferimento al preambolo del trattato sull’Unione Europea, vale la pena soffermarci sull’innovativo concetto di cittadinanza europea che non intende uniformare le identità culturali dei singoli Paesi bensì valorizzarne le peculiarità; l’intento quindi è MARIA TURETTA (continua a pag. 8) Pag. 4 REZZARA NOTIZIE i padri ???????? fondatori PENSIERO CRISTIANO DEI FONDATORI GUIDA DEL PROGETTO EUROPEO Il cristianesimo è stato per i tre statisti Schuman, Adenauer e De Gasperi una forte motivazione di resistenza e di rinascita, una fonte di idealità a cui attingere per combattere e contrattaccare l’insidia delle ideologie nazionalistiche e della guerra fredda. Essi hanno trovato nell’esperienza cristiana i valori di umanità e di democrazia precedentemente negati. Il processo di integrazione europea ha compiuto oltre mezzo secolo di storia. Negli anni in cui i padri fondatori occupano posti di responsabilità nei rispettivi Governi, il vecchio continente ha appena vissuto i tragici avvenimenti del secondo conflitto mondiale, l’esperienza dei regimi totalitari; “la cortina di ferro” divide il blocco occidentale da quello orientale. In questo contesto storico, essi hanno avuto il coraggio e la tenacia di compiere i passi necessari per avviare e consolidare l’integrazione comunitaria. Fu il 9 maggio 1950, la data in cui venne infatti presentata la proposta del ministro degli esteri francese Robert Schuman (ispirata da Jean Monnet), cioè l’idea, in seguito alla discordia franco-tedesca, di sottoporre l’intera produzione francese e tedesca del carbone, del ferro e dell’acciaio ad un’organizzazione aperta anche ad altri paesi europei, cioè ad un’altra istituzione comune (appunto CECA). Tale proposta immediatamente accolta da Germania Federale, Italia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi costituì la “Piccola Europa” o “l’Europa dei Sei”. Robert Schuman poteva contare sul piano internazionale su altri due grandi statisti: il primo ministro della Germania Federale, Konrad Adenauer e il primo ministro italiano Alcide De Gasperi. Furono loro i principali padri fondatori dell’Unione europea. La loro lungimirante azione ha lasciato un segno profondo e visibile nella storia dell’integrazione comunitaria; essi hanno costruito i binari sui quali sarebbe transitata la locomotiva europea. Senza il loro tenace impegno e quello di altri protagonisti non meno importanti come Paul-Henri Spaak, Altiero Spinelli, Jacques Delors, la costruzione unitaria del vecchio continente non sarebbe stata realizzata. Creare una base comune La dichiarazione Schuman poneva l’Unione europea come tappa finale del processo di integrazione economica, al fine di assicurare la pace nel vecchio continente. Il ministro degli esteri francese Robert Schuman partiva dalla persuasione che: “il frazionamento dell’Europa è divenuto assurdo anacronismo”. L’Europa necessitava di una pace stabile e duratura; erano passati cinque anni dalla fine delle ostilità e della tragedia dell’Olocausto ed esistevano odi ideologici e lacerazioni abissali. La grande intuizione politica degli statisti Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi fu quella di individuare e creare un terreno comune di composizione degli interessi, altrimenti difficilmente realizzabili; una collaborazione concreta laddove pochi anni prima esistevano troppe diffidenze reciproche e teorie senza conseguenze concrete verso l’integrazione e l’unità europea. Analizzando la vita del ministro degli esteri francese Schuman, del primo ministro tedesco Adenauer e del primo ministro italiano De Gasperi possiamo rilevare come fossero accumunati da diversi fattori: furono “uomini di frontiera” cresciuti tra le minoranze etniche delle rispettive regioni d’origine (la Lorena, la Renania e il Trentino) con un senso di cittadinanza non limitato ai ristretti confini nazionali; caratterizzati da una simile formazione personale e politica; avevano condiviso l’esperienza di opposizione e resistenza ai totalitarismi ed alle dittature nazionali vivendo l’esperienza del carcere negli anni della dittatura nazista e fascista; avevano cercato ogni soluzione che potesse favorire la pace superando gli egoismi nazionali e soprattutto erano caratterizzati da una comune fede religiosa cristiana. Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi furono in sintesi particolarmente caratterizzati da ideologie politiche democratiche d’ispirazione, cristiana, antitotalitarie europeiste. Tutti e tre sono di formazione cattolica e convinti nell’impegno politico della dottrina sociale cristiana. Sono entrati nella vita politica forti dell’ammaestramento delle encicliche di papa Leone XIII, degli scritti sociali di monsignor Ketteler, di Giuseppe Toniolo, Federico Ozanam e altri ancora. Gli statisti aderiscono a partiti democratici d’ispirazione cristiana capaci di aggregare intorno a sé molteplici e larghe adesioni in punto di una scelta di civiltà: Robert Schuman nel novembre 1944 aderisce al Mouvement Républicain Populaire (MRP), Alcide De Gasperi fonda nell’ottobre 1942 la Democrazia Cristiana (DC) e Konrad Adenauer è tra i fondatori nel giugno 1945 della Christliche-Demokratische Union (CDU), nuovo soggetto politico che abbraccia cattolici e protestanti e considera il partito come borghese e antisocialista. Democrazia e cristianesimo I tre statisti considerano di fondamentale importanza il contributo fornito dal cristianesimo allo sviluppo del concetto di democrazia, pilastro essenziale della civiltà europea. Secondo Adenauer la sopravvalutazione del potere e dello Stato conduceva ad una svalutazione dei valori personali; democrazia e cristianesimo invece hanno in comune la salvaguardia dei valori della persona umana: la libertà dell’individuo e più in particolare il rispetto per la dignità dell’uomo è fondamento di ogni democrazia. Analogamente De Gasperi e Schuman considerano di fondamentale importanza il pensiero di Jacques Maritain: “La democrazia deve la sua esistenza al cristianesimo. Essa è nata il giorno in cui l’uomo è stato chiamato a realizzare nella sua vita temporale la dignità della persona umana, nella libertà individuale, nel rispetto dei diritti di ciascuno e con la pratica dell’amore fraterno verso tutti”. Secondo Schuman il cristianesimo è una dottrina che intende definire il dovere morale in tutti i campi, almeno nei suoi principi generali e non può riservarsi solo la pratica del culto e delle opere buone in quanto significa limitare la sua missione. La Chiesa si preoccupa di vedere tutelati i grandi interessi della persona umana: la libertà, dignità, sviluppo e si oppone a tutto ciò che può ostacolarla. Perciò si oppone a tutti i regimi totalitari sia di destra o di sinistra. Con encicliche clamorose, è interessante rilevare, Pio XI ha condannato successivamente Hitler, Mussolini, Stalin nel momento in cui erano al sommo della loro potenza e strappavano ai governi democratici rinunce inique e pericolose per la pace. Il cristianesimo, è importante sottolineare, è stato per i tre statisti, una forte motivazione di resistenza e di rinascita, una fonte di idealità a cui attingere per combattere e contrattaccare l’insidia delle ideologie nazionalistiche del fascismo e della “guerra fredda”. Essi hanno trovato nell’esperienza cristiana l’origine di quei valori di umanità e democrazia che i totalitarismi del Novecento negavano e combattevano con conseguenze devastanti sull’uomo e sull’umanità. Si tratta dunque di una fede religiosa cristiana comune come emerge analizzando le loro ideologie. Progetto europeista Secondo i tre uomini politici un’Europa cattolica, solidale e fraterna costituisce non solo il presupposto politico ma anche il modello ideologico e di civiltà del quale l’Occidente ha bisogno per fronteggiare la guerra fredda. Essi cercano ogni soluzione che possa garantire un possibile futuro di pace per l’Europa attraverso il superamento degli egoismi nazionali. “Mai più la guerra” rappresenta uno dei principali leitmotiv della loro azione politica. Con l’adesione al piano Schuman, i tre politici condividono il metodo funzionalista che prevede forme di integrazione economica e politica sempre più approfondite a livello sovranazionale: insieme hanno fiducia in un processo di integrazione comunitaria avente come obiettivo finale la Federazione europea. Con la CECA si sarebbe poi creata una solidarietà di interessi tale da favorire l’integrazione graduale di altri settori economici e, successivamente, delle principali attività statali - in primis la politica estera e la difesa - determinando quindi un progressivo affievolimento della sovranità assoluta degli Stati-Nazione. Schuman il 9 maggio a Parigi affermava: “L’Europa non verrà creata tutta in una volta e secondo un unico progetto generale, ma verrà costituita attraverso realizzazioni concrete tali da creare solidarietà reali […] col mettere in comune produzioni di base e con l’istituire una nuova Alta Autorità, le cui adesioni legheranno la Francia e la Germania e i Paesi che vi aderiranno, questo progetto getterà le basi concrete di una Federazione europea indispensabile alla preservazione della pace”. L’ideale europeistico di Alcide De Gasperi fu quello di un’Europa della pace e della democrazia soprannazionale, di una politica per l’unità dell’Europa, non si stancava di ripetere: “O l’Europa si unisce , o l’Europa perisce.” La fede europeista si ispira agli ideali del cristianesimo; l’influenza del pensiero di Jacques Maritain, sostenitore di un umanesimo integrale e critico nei confronti del liberalismo e del concetto di individualismo. Equilibrio per la pace Dopo l’adesione al piano Schuman, lo statista italiano, si batté per la creazione di un “esercito europeo al servizio di un’Europa Unita” (CED), progetto presentato dal primo ministro francese Pleven nel 1950, cercando di conciliare il principio della sicurezza con quello della solidarietà europea sostenendo che esso doveva divenire la base permanente per gli Stati Uniti d’Europa. Egli propose un’Assemblea che avrebbe dovuto preparare un progetto per la trasformazione della comunità in un organismo federale basato sul sistema bicamerale e sulla divisione dei poteri, intendeva garantire alla Comunità di Difesa un quadro politico istituzionale che avrebbe preparato la soluzione federale, la Comunità Politica Europea (CPE). Purtroppo l’obiettivo del trattato della CED, firmato ELISA BASSO (continua a pag. 5) REZZARA NOTIZIE Pag. 5 i padri fondatori GUIDA DI STATISTI ILLUMINATI. SCHUMAN, ADENAUER, DE GASPERI Alcide De Gasperi affermava che“Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione”. È interessante approfondire brevemente la vita dei tre statisti, mettendo in risalto il loro percorso politico e intellettuale, le ragioni di Stato e i sentimenti personali, i loro rapporti tra i democratici, i moderati e i conservatori europei. Dati biografici di coloro che hanno elaborato il progetto europeo, finalizzato a togliere rigidità alle frontiere, assicurando la pace e la collaborazione fra Nazioni che prima si erano combattute. Robert Schuman Jean-Baptiste Nicolas Robert Schuman nacque il 29 giugno 1886 a Clausen in Lussemburgo da padre loreno di nascita francese ma di lingua e cittadinanza tedesca e da madre lussemburghese. Visse a Lussemburgo per tutta l’infanzia e la giovinezza, diplomandosi sia lì che successivamente a Metz, all’epoca città tedesca. Alla fine della formazione secondaria Schuman parlava correntemente tedesco, francese e lussemburghese. Compì gli studi universitari in giurisprudenza in Germania, a Bonn, Berlino, Monaco di Baviera e Strasburgo e nel giugno 1912 aprì uno studio di avvocato a Metz. La carriera politica di Schuman cominciò verso la fine della guerra, quando nel 1918 divenne consigliere comunale a Metz. Dopo l’armistizio nel novembre 1918 l’Alsazia-Lorena passò dalla Germania alla Francia e nel 1919 Schuman venne eletto per conto dell’Unione Repubblicana Lorena al Parlamento francese come deputato della Mosella fino al 1940. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, Schuman venne nominato sottosegretario per i rifugiati. Poco tempo dopo verrà però arrestato dalla Gestapo, che ormai controllava ampie zone della Francia, ed imprigionato prima a Metz e poi a Neustadt. Capace di evadere, nell’agosto 1942 raggiunse la zona libera. Nel 1946 Schuman tornò ad essere eletto al Parlamento francese come deputato della Mosella e continuerà a rivestire tale carica fino al 1962. Venne eletto nelle fila del Movimento Repubblicano Popolare. Il 24 giugno 1946 venne nominato ministro delle finanze, poi il 24 novembre 1947 divenne Presidente del Consiglio e lo rimase fino al 26 luglio 1948. Subito dopo e fino all’8 gennaio 1953 fu ministro degli esteri. In tale veste Schuman fu protagonista dei negoziati che si svolsero alla fine della guerra e che portarono alla creazione del Consiglio d’Europa, della NATO, della CECA. Dal 19 marzo 1958 al 1960 Schuman è stato il primo presidente dell’Assemblea parlamentare europea, eletto all’unanimità. Alla fine del suo mandato l’Assemblea parlamentare europea proclamò Schuman padre dell’Europa. Nel 1962 si ritirò dalla vita politica e si spense l’anno successivo nella sua casa di Scy-Chazelles. Konrad Adenauer Il 5 gennaio 1876 Konrad Hermann Josef Adenauer nasce a Colonia, terzo di cinque figli, da una famiglia impiegatizia del ceto medio, di formazione conservatrice, secondo la tradizione cattolica. Dopo la maturità, studia diritto ed economia a Friburgo, Monaco e Bonn. Comincia la sua carriera politica alla conclusione dei suoi studi in legge, dopo aver svolto il suo praticantato a Colonia. Al tempo della scuola era membro di un’associazione studentesca cattolica. Nel 1905 entra nel Partito Tedesco di Centro e nel 1917 diviene Primo Borgomastro della città di Colonia fino 1933. A tale carica si unì per tutto lo stesso periodo quella di presidente del Consiglio di stato prussiano. Per la sua ferma lotta contro l’ascesa dei nazionalsocialisti, nel 1933, con l’avvento di Hitler al potere, fu esonerato da ogni carica politica e amministrativa e per due volte ebbe a soffrire la prigione. Di nuovo borgomastro nel 1945, fu tra i fondatori, dopo la seconda guerra mondiale, della Christliche Demokratische Union (CDU), che rappresentava la continuazione del vecchio Centro. Il 18 settembre 1948 fu eletto cancelliere della Repubblica Federale di Germania e nel marzo 1951 ebbe anche la carica di ministro degli Esteri. Alla sua opera di governo, sorretta da largo prestigio, si deve la rinascita della Germania occidentale dalle conseguenze politiche ed economiche della guerra: primo obiettivo di Adenauer è stato il raggiungimento della sovranità statale, ottenuto attraverso l’inserimento della Germania nel sistema politico occidentale, grazie agli accordi di Parigi del 23 ottobre 1954, che segnarono la fine del regime di occupazione, nel 1955 la Germania aderiva alla Nato. Lasciata la carica di ministro degli Esteri, nel 1957, forte di questi successi e della formidabile ripresa economica tedesca in pieno svolgimento Adenauer veniva rieletto cancelliere. Obiettivo proclamato della politica di Adenauer nell’ultimo periodo continuò ad essere la riunificazione delle due Germanie e la difesa della libertà di Berlino, congiuntamente all’integrazione europea, ma il complicarsi della situazione internazionale in seguito al nuovo corso della politica sovietica, e soprattutto di quella statunitense, portò ad un certo oscuramento della prima linea europeistica e filoamericana di Adenauer, che fu tratto ad accentuare i motivi dell’autonomia europea rispetto agli Usa da una parte e alla Gran Bretagna dall’altra, orientandosi verso un vigoroso rafforzamento dei legami politici, militari ed economici con la Francia di De Gaulle. Nell’ottobre 1963 lasciava la carica di cancelliere, sostituito da Erhard. Muore il 19 aprile 1967 e viene sepolto nel cimitero di Rhoendorf. Alcide De Gasperi Alcide De Gasperi nacque nel 1881 a Pieve Tesino, quando queste montagne del Trentino appartenevano ancora all’Impero austroungarico anche se erano territori di lingua italiana. E’proprio nella vita politica austriaca che il giovane De Gasperi iniziò a muovere i primi passi di quella che fu una lunga e fortunata carriera politica. Nel Parlamento viennese entrò in rappresentanza dell’intera comunità italiana trentina più che di una specifica parte politica. Dopo il passaggio del Trentino e dell’Alto Adige all’Italia continua l’attività politica nel Partito Italiano Popolare di don Luigi Sturzo divenendone segretario nel 1923. Successivamente nel novembre 1926 il partito si sciolse e cominciava l’era fascista. Condannato a due anni e sei mesi per sfuggire alle persecuzioni del fascismo fu assunto per esplicita volontà di Pio IX come funzionario della Bibilioteca Vaticana. Ciò gli permetteva di studiare, seguire la politica interna ed estera, approfondire la propria fede e acquisire un discernimento cristiano autentico. Dopo la caduta del fascismo e l’armistizio con gli alleati, fonda la Democrazia Cristiana ed entra nel Comitato di Liberazione Nazionale. Nel 1944 in qualità di ministro degli esteri condusse le trattative di pace tenutesi a Parigi, in cui l’Italia compariva sul banco degli imputati, tenendo un memorabile discorso in cui, affermando che tutto tranne la personale simpatia dei presenti, gli era avversa, riuscì a miscelare ragioni di Stato e sentimenti personali riuscendo, così anche ad instaurare ottimi e duraturi rapporti personali con i maggiori esponenti democristiani, moderati e conservatori europei; tali rapporti si riveleranno essenziali nella costitutiva della futura comunità europea. Il 10 dicembre 1945 divenne Presidente del Consiglio dei ministri, carica che conservò fino al 1953. Fu lui a guidare il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica Italiana, scongiurando lacerazioni e invitando alla riconciliazione. De Gasperi firmò e pubblicò la Carta Costituzionale che esaltava i valori della persona, della famiglia, della pace universale come condizione indispensabile per il progresso umano, sociale e politico dell’Europa e dell’umanità intera. Anche la politica estera, con la “scel- ta occidentale” e gli indirizzi europeistici che la caratterizzarono, fu del tutto innovativa occupandosi, fra l’altro, dell’apertura dei mercati di lavoro per la nostra manodopera nelle varie forme della cooperazione europea ed occidentale allora possibile. La partecipazione italiana al Patto Atlantico - voluta da De Gasperi e dalla maggioranza di governo, superando la durissima opposizione socialcomunista nel Parlamento e nelle piazze - costituì una soluzione al problema della sicurezza, consentì di far superare all’Italia la condizione di Stato sconfitto, di inserirla come membro con pari dignità nella comunità occidentale liberandola dalle pesanti eredità del fascismo. La costruzione dell’Europa unita costituì poi, all’inizio degli anni ’50, l’obiettivo più importante della politica estera di De Gasperi. Significative sono le iniziative politiche e diplomatiche da lui assunte; l’adesione al “Piano Schuman” e al trattato che istituì la Comunità Europea per il Carbone e l’Acciaio (CECA), la sua battaglia per la creazione di “un esercito europeo al servizio di un’Europa unita”(CED). Lo statista trentino morì nel 1954, appena un anno dopo l’abbandono della guida del governo. Poco dopo la morte di Alcide De Gasperi, iniziarono le richieste di avviare per lui il processo di beatificazione. E.B. PENSIERO CRISTIANO DEI FONDATORI (continua da pag. 4) a Parigi il 27 maggio 1952, non venne realizzato per la mancata ratifica da parte dell’Assemblea Nazionale francese. Se negli ultimi sessant’anni l’area geografica corrispondente l’Unione Europea ha vissuto uno straordinario periodo di pace, fatto epocale per un continente travagliato per secoli da lunghi e sanguinosi conflitti, un ringraziamento lo dobbiamo anche alle idee, all’opera, alla visionarietà di questi lungimiranti statisti. Essi in sintesi, hanno valorizzato le fondamenta cristiane del vecchio continente, favorendo l’intesa e il dialogo fra Paesi precedentemente in conflitto fra loro. Il loro pragmatismo ha permesso di adottare al momento opportuno una decisione storica: attraverso la Dichiarazione del 9 maggio 1950 hanno favorito la riconciliazione franco-tedesca, colto i potenziali vantaggi dell’ideale sovranazionale e avviato la nascita dell’Europa comunitaria. Si tratta inoltre del raggiungimento di un grande obiettivo politico di pace e stabilità euroatlantica realizzatosi grazie al pensiero, alla progettualità e all’azione di questi grandi padri fondatori dell’Unione europea. Pag. 6 REZZARA NOTIZIE linee di un progetto LA FORZA DI UN PROGETTO COMUNE ` UNIRE CULTURE DIVERSE POTRA Nell’attuale situazione riemergono rivalità di interessi e autoreferenzialità nazionali. È necessario ritornare ad un progetto comune per una radicale riforma della politica e dell’etica politica, del modo di risolvere i problemi umani quotidiani. L’anima dell’attuale unità europea è stata innanzitutto la paura, il timore di ripetersi di fatti e comportamenti disumani, di stragi che nessuna follia poteva e può giustificare in nome di un qualsiasi plausibile pretesto. Purtroppo ci sono volute due guerre e milioni di morti per giungere ad una conclusione che il buon senso suggeriva; ma l’uomo insegue sempre quella scintilla. Tale convinzione è supportata anche dagli attuali atteggiamenti dei politici, dei premier delle varie Nazioni che oggi compongono l’Europa. Forse la paura del ripetersi di angosciosi fatti di un recente passato impedisce la guerra armata, impedisce loro di usare l’arsenale militare, ma dimostrano di saper ben usare tutte le armi economiche in loro possesso. Queste, certamente, lasciano meno morti nelle trincee, ma segnano molto più profondamente nell’animo e nello spirito le persone che le subiscono, contribuiscono a scavare spesso un solco culturale e di rivalsa dei popoli, e fra le Nazioni. L’unità europea è stata ed è tuttora un’idea poco condivisa, forse mal condivisa dalla persona di strada, da chi, nolente o volente, contribuisce economicamente a mantenere strutture ed apparati politico-buracratici di cui non si conoscono bene le finalità, gli scopi, le mansioni e quali vantaggi il cittadino possa averne. Abbiamo visto e costatato con mano quanti individualismi e nazionalismi sono sorti, quanta grandeur intellettuale dei singoli è alla base di decisioni ed atteggiamenti, quanti veti incrociati hanno affondato validi principi di collaborazione e fattiva utilità del comune cittadino. Il sorgere di apparati burocratici, ben si intende, necessari alla vita della Comunità Europea, ha dato una parvenza di democraticità e di coinvolgimento delle persone, facendo loro scegliere i componenti del Consiglio. Ma tutto si è fermato a questo punto: la persona eletta è scomparsa nel grande calderone del Consiglio Europeo ed ha perso ogni contatto con la realtà degli elettori. Lo stesso Consiglio Europeo è quasi un cimitero di “elefanti” (personaggi sgraditi in patria) più che una struttura rappresentativa dell’Unione. Di quando in quando si percepiscono le decisioni prese in quelle stanze, ma non se ne comprendono le motivazioni, anzi spesso vengono elargite a piene mani solo dai mass-media, se ne elogiano i risvolti positivi e le buone conseguenze. Forse l’esempio più eclatante di questo è il fatto che nessuno ha mai spiegato, in modo ragionevole, il motivo della coesistenza di Strasburgo e di Bruxelles. Si ritorna al vecchio individualismo, alla vecchia grandeur che nessuno vuole abbandonare, alla paura di una Nazione di essere uno scalino più basso, rinasce quella latente divisione che oggi è mina vagante per la stabilità dell’unione politica, non solo economica, di questa Europa appena nata. Sono convinto che, come diceva Mazzini, sia necessario costruire una Nazione prima di costruire l’Europa: solo la consapevolezza di appartenenza ad una realtà nazionale e non nazionalista può far decollare l’idea di una Europa federale. La Patria e l’Umanità erano le basi per la costruzione dell’Europa mazziniana, basi tuttora attuali e valide. Purtroppo i politici che oggi ci guidano sono molto miopi se confrontati con Mazzini. Dopo infinite discussioni non siamo ancora in grado di darci una Costituzione, una carta dei diritti fondamentali della persona, non abbiamo compreso che si deve privilegiare l’uomo prima del denaro. Certamente l’unione monetaria ha contribuito, meglio, ha costretto le Nazioni a prendere decisioni e direzioni comuni, ha forzato la mano ed in qualche modo la mentalità dei politici, ma non ha convinto nel profondo la gente comune per una unità. La base, la grande massa dei popoli che compongono questo magma europeo, non riesce a vedere il traguardo, non comprende certi discorsi roboanti che inneggiano all’Europa. Anche le campagne elettorali delle varie Nazioni, in atto in questo periodo, non fanno altro che sottolineare la bontà delle varie monete ante Euro, quando ognuno pensava al proprio orticello e non aveva obblighi di “soccorso” nei confronti degli altri Stati; non ultime, le forti dichiarazioni della destra francese che aizza la popolazione per una uscita dalla moneta unica fonte solamente di guai, salvo tacere a quali costi e con quali conseguenze. Comunque è sempre l’economia il soggetto principale di tale unione e non una mentalità comune, un percepire ed un sentire unitario, la volontà di scambio di culture e valori che nei secoli hanno pervaso questo vecchio continente. Forse dobbiamo concludere che l’Europa può essere unita solo con la forza? Certamente non si costruisce l’uomo europeo, il sentirsi europeo, con la bacchetta magica, servono anni e forse secoli perchè troppo presenti e recenti sono le guerre e le stragi, le umiliazioni politiche e le rivalse, la volontà di primeggiare e di imporre agli altri Stati la propria organizzazione sociale, del lavoro ed economica. Fanno molto riflettere le ultime decisioni della Bundesbank, ormai sempre più indirizzata ad un nostalgico ricordo, oppure forse al ritorno del forte marco, e la creazione da parte delle autorità economiche francesi di un mercato interno dei futures relativamente alle obbligazioni domestiche. Sono atteggiamenti assai eloquenti, nonchè profondamente debilitanti , di quanto poco si creda in questa unione di popoli. Si ha la netta impressione che “l’inno alla gioia”, quale inno ufficiale dell’Europa, sia un vago ricordo, sia solamente parte di una sinfonia musicale, ma che nulla ha da dividere con la grande sinfonia dell’Unione dei popoli, che di gioia non fanno grandi salti. Inoltre, la volontà di far partecipare anche altre Nazioni a questo mercato, in questa situazione, apporta ulteriori e gravi problemi da risolvere. Credo che, prima di sbandierare l’annessione all’euro di altri popoli, questa Europa farebbe bene a darsi delle solide basi comuni sia culturali sia politiche, pure nella diversità che ognuno può innestare. Forse risuonano ancor più lontane da questi atteggiamenti le parole mazziniane sull’unità europea e forse dovremmo dire, parafrasando un celebre grido, “Qui si fa l’Europa o si muore”. Autoreferenzialità nazionale Alla luce della attuale situazione economica, che come detto prima, governa questa Unione, non credo siamo molto lontani da una rivoluzione, questa volta non nazionale, poiché la fame spinge ognuno di noi ad atteggiamenti e decisioni quanto mai imprevedibili ed irragionevoli. Esistono poche ricette per salvare questa Europa malata di autoreferenzialismo nazionale, come dimostrano le recenti elezioni politiche francesi, dove il fronte del malcontento verso l’Europa sta venendo a galla con tutta la sua forza e dove gli stessi politici cavalcano questa sbornia popolare per scalare il potere. E’ proprio questo il primo lato debole della nostra Unione Europea: nessuno dei politici locali, cioè della Nazione, intende lasciare, vuole scendere da quel cavallo del potere, momentaneamente assegnatogli. Risuonano più attuali che mai, e non solo per l’Italia, ma ormai anche per l’intera Europa le parole di Dante “Ahi serva Europa (in originale Italia) di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello” . Nuova progettualità politica La scintilla che deve oggi accendersi nell’animo dei nostri leaders è proprio la consapevolezza di una radicale riforma della politica e dell’etica politica, del modo di risoluzione dei problemi umani, che può e deve partire da ciascuna Nazione, con unità di metodo e di intenti, con lo stesso entusiasmo con il quale i nostri Padri hanno discusso e sottoscritto la costituzione di ciascun Paese. E’ inutile credere di riformare le istituzioni europee, il loro modo di trattare e risolvere le questioni, poiché il linguaggio e la mentalità di quelle persone che oggi ci governano sono frutto, sono una emanazione di quanto esiste nella politica di ciascun Paese dell’Unione. Personalmente sono convinto che il cambiamento deve partire proprio da una nuova progettualità di ogni Stato e questo è possibile solo con un profondo rimescolamento della classe governativa che ogni Nazione deve operare. Guardando dentro le nostre mura domestiche, è indubbio che da oltre trenta anni sono seduti ai posti di comando gli stessi uomini e che nessuno ha la minima intenzione di abbandonare la stanza dei bottoni, propensione trasmessa anche ai pochi innesti di nuove leve, succedute solo per causa di forza maggiore (morte), e tutto questo, per denaro, per volontà di apparire e di possedere. L’Europa, ma si può dire di ogni progetto politico di unità, si potrà costruire solo con due metodi: la forza delle armi oppure con la forza dei progetti. Unione di culture Se vogliamo essere, ma soprattutto, continuare ad essere un polo di attrazione, l’Europa degli economisti, del libero scambio, dell’euro forte, deve diventare l’Europa dei popoli, l’Europa della gente oltre che delle genti, dove ogni cultura può avere spazio e manifestarsi in tutta la sua profonda bellezza ed attrattiva, la sua diversità e la sua grandezza, essere condivisa e farne risaltare gli aspetti positivi, in una parola, rispettare tutte le altre culture che stanno vicino. Per essere veramente una grande sinfonia alla gioia, ogni componente dell’orchestra, ogni Nazione, deve suonare il proprio spartito in accordo con tutti gli altri, ma soprattutto seguire il direttore d’orchestra, cioè la Costituzione. Forse, per il fatto di non avere ancora chi dirige, ognuno è tentato di suonare il proprio spartito con tempi e modi a lui più consoni, ma il risultato sono delle forti stonature. Poche persone, forse dei politici quasi nessuno, hanno compreso che l’unica maniera per uscire da questa empasse culturale e politica è l’unione di intenti nei confronti delle altre potenze politico-economiche del resto del mondo. Infatti la nostra divisione è a tutto vantaggio di Cina, India, America, forti poli di attrazione di capitali e di cervelli, dove l’unica legge che trionfa e guida la politica è quella dell’economia. Mentre questo Continente MARIO ZORZI (continua a pag. 7) REZZARA NOTIZIE Pag. 7 linee di un progetto AMBIGUITA` EUROPEISTA DI CHURCHILL. LA GRAN BRETAGNA NEL PROCESSO UE Per secoli la Manica ha permesso all’isola inglese di rimanere relativamente intoccata dalle vicende del continente. Ciò ha spinto le popolazioni dell’isola a sviluppare una cultura ed una personalità politica assai differente dal continente. Chi non conosce Churchill? Nato nel 1874, promettente giovane, fu ufficiale dell’esercito e reporter dal fronte di guerra durante il conflitto che vide l’impero inglese affrontare la minaccia alle loro colonie e possedimenti perpetrata dalle forze degli Stati boeri. Visse rocambolesche avventure, fu fatto prigioniero e riuscì a fuggire, tornò in patria amato e famoso, pubblicò un libro sulle sue gesta ed entrò in politica. Si aprirono le prime crepe sulla sua immagine pubblica durante la Prima Guerra Mondiale quando era primo lord dell’Ammiragliato, a causa dell’operazione su Gallipoli, un disastro talmente grave dal punto di vista strategico, che fu costretto a rimanere nell’ombra durante il resto del conflitto. Quella sarebbe potuta essere la fine della carriera di Churchill. Per sua fortuna, e per sfortuna di tutto il mondo, una sola grande guerra non era bastata al continente europeo. La Seconda Guerra Mondiale, la vera guerra civile europea come alcuni hanno deciso di chiamarla, venne a colpire il mondo nel settembre del 1939 con l’invasione tedesca della Polonia. Nel 1940, inizia il Caso Giallo, nome delle operazioni militari che porteranno alla capitolazione molte delle nazioni dell’Europa Occidentale. Con la Francia sconfitta, l’isola inglese divenne l’ultimo grande bastione a rappresentare la libertà e l’uguaglianza in Europa, mentre il resto del continente era attanagliato dalla morsa totalitaria dei vari regimi fascisti. Fu a questo punto che Winston Churchill divenne il simbolo della resistenza di ogni cittadino dell’Impero Britannico contro gli invasori germanici. Memorabile il suo discorso sulle lacrime, il sangue e il sudore che aveva da offrire al suo popolo, e maestrale la sua guida salda e carismatica durante il corso del conflitto. Ambiguità del pensiero Ma il lato oscuro di Churchill, se così lo si può chiamare, venne dopo la guerra al nazismo. Possiamo davvero considerare Churchill un padre fondatore dell’Europa? Cosa ha fatto per meritarsi tale titolo? Parla lui di Stati Uniti d’Europa nel suo discorso del 1946 a Zurigo: “è nostro compito la ricostruzione della famiglia dei popoli europei, o in quanto più di essa possiamo ricostituire, e nel dotarla di una struttura che le permetta di vivere in pace, in sicurezza e in libertà. Dobbiamo creare una specie di Stati Uniti d’Europa”. Un nobile intento, un grande proposito, un’estasiante idea. Ma molti lati oscuri sono nascosti nelle frasi di Churchill, molti desideri e veri propositi nascosti da parole di buone speranza e pace. Quando parla degli Stati Uniti d’Europa, egli enfatizza come le svariate potenze mondiali debbano aiutare e cooperare con questa nuova organizzazione affinché abbia una vita prospera e lunga. Tra queste potenze che devono aiutare l’Europa Unita, egli ne cita una importante: il Commonwealth Britannico. Ecco quindi che dalle parole di Churchill lo spirito europeista esce rovinato e corrotto da un desiderio di mantenimento della supremazia ed estraneità del Regno Unito rispetto agli affari del continente. Anzichè un’unione dei fratelli Europei, vittime delle guerre fratricide del secolo, Churchill sembra voler avvallare una posizione separatista che non riconosce il Regno Unito come vera parte dell’Europa. E non è una sorpresa. Prima di essere europeista, se mai lo è stato, Churchill era amante della potenza imperiale inglese e sopratutto, più di qualunque altra cosa, era un convinto anticomunista. Mentre un fondatore dell’Europa, delle libertà e dell’uguaglianza, Alcide De Gasperi, veniva chiuso nelle carceri fasciste o tenuto sotto stretta sorveglianza dagli uomini del partito, Churchill ignorava queste palesi violazioni delle fondamentali libertà politiche, dando il suo appoggio al Partito Fascista: “Se io fossi italiano sarei stato con voi fin dal principio”. Questo disse nel 1927 durante un’intervista a Roma, rivolto alla figura del Duce. Ed essa è solo una delle frasi di supporto ed ammirazione verso il dittatore italiano. Non importava davvero la libertà di un individuo o di una Nazione, importava avere un muro che difendesse l’Europa dalla minaccia rossa, un muro che poteva anche essere nazionalista, militarista ed autoritario. Egli forse non vuole tanto un’Europa unita perchè la considera una strada verso un miglioramento della vita di tutti, verso una nuova epoca di pace... egli vuole l’Europa come ennesimo cuscinetto in funzione anti-sovietica. Avvicinamento all’Europa Allora perchè aggiungere Churchill alla lista dei fondatori dell’Unione Europea? Una prima ragione, la più triste e forse la più scorretta, sleale ed ingiusta: serve avere almeno un inglese. Per secoli, la Manica ha permesso all’isola inglese di rimanere relativamente intoccata dalle vicende del continente, libera da molti dei suoi conquistatori e barbari e guerre intestine che hanno plasmato i più noti confini dell’Europa. Questo, ha spinto le popolazioni dell’isola a sviluppare una cultura ed una personalità politica assai differente da tutte quelle dell’Europa continentale, con caratteristiche, qualità e vizi distinte. Questo può portare a grosse rotture, come il rifiuto inglese alla moneta unica, e ad altre più piccole e trascurabili, come il guidare sul lato sinistro della strada. Ma con l’avvento del mondo moderno e di tutte le sue avanzate tecnologie, la distanza che separato le coste inglesi da quelle europee è diventata irrilevante, rendendo così ancora più palese la loro appartenenza all’Europa. Di conseguenza, data la loro forza ed importanza a livello mondiale, è necessario riconoscere al Regno Unito un qualche ruolo di rilievo nella costituzione dell’Europa Unita, e la figura di Churchill diventa quindi un collante tra questi mondi così vicini e così diversi allo stesso tempo. Ma è ironico pensare come questa diversità, basata su stereotipi o realtà esistenti, che esiste tra Regno Unito ed Europa non hanno fatto altro che essere alimentata proprio da uomini come Churchill. Già abbiamo parlato di come enfatizzava la distanza tra il Commonwealth Inglese e “l’Europa unita”, dividendo i due gruppi. Quando a Yalta cooperò con Roosevelt perchè la Francia avesse un posto di riguardo nelle nuove Nazioni Unite, cercava egli di amplificare il ruolo dell’Europa o si stava semplicemente aggrappando con disperazione all’idea che sia Francia che Inghilterra avessero un posto nelle grandi potenze mondiali? Nel dopoguerra italiano, Churchill appoggiava l’idea di avere ancora una Monarchia a reggere il paese, malgrado la collaborazione che essa aveva dato al nemico Fascista. Forse vedeva nella Repubblica lo spettro della resistenza comunista? Strategia antisovietica Non parliamo poi dell’Operazione Unthinkable, somma perfetta dell’odio che Churchill provava per l’Unione Sovietica e la sua visione miope dei problemi che affliggevano l’Europa. Conosciuta da pochi e concepita immediatamente dopo la capitolazione tedesca, Unthinkable era un’operazione militare mirata a colpire e a distruggere il potenziale bellico sovietico, sfruttando forze americane, inglesi, polacche e tutto ciò che rimaneva dell’esercito tedesco una volta che fosse stato riarmato. L’obiettivo principale dell’operazione era il seguente: “Imporre alla Russia il volere degli Stati Uniti e dell’Impero Britannico”. Sebbene l’Europa fosse appena uscita da uno dei più devastanti conflitti della storia umana, Churchill era pronto a girare le spalle all’alleato Sovietico considerato “inaffidabile”, e a trasformare nuovamente il continente intero in un campo di battaglia, forse ancora più cruento e spietato di quanto fosse già stato nei passati cinque anni. Solo il 22 maggio del 1945, l’intera operazione venne bocciata per essere troppo “azzardata”. L’aggressivo anticomunismo di Churchill per poco non costò all’Europa e al mondo intero una Terza Guerra Mondiale a soli pochi mesi di distanza dalla seconda. Sembra quasi fantascienza, ma quando la mente torna alla Grande Guerra e alla tragica disfatta di Gallipoli che Churchill aveva voluto e congegnato, ci si rende conto che un piano del genere era completamente plausibile nella sua mente. Come ogni altra grande figura storica, è impossibile giudicare Churchill con interezza. Come ogni uomo egli aveva qualità e difetti, come ogni grande icona egli ha gente che lo ammira e altri che lo detestano e ripudiano. Ma quando si arriva al nocciolo della questione, non possiamo fare a meno che domandarci: egli davvero appartiene al nucleo dei fondatori dell’Europa? Può essere elencato assieme a pensatori e legislatori come De Gasperi, Adenauer e Schuman? Basta una frase sugli Stati Uniti d’Europa per entrare a far parte di quel gruppo? Forse no, ma ora è lì. Suppongo che toglierlo sarebbe ancora più offensivo d’averlo messo. LIVIO BAGGIO LA FORZA DI UN PROGETTO COMUNE (continua da pag. 6) sonnecchia c’è chi trama alle sue spalle per destabilizzare e far credere inutile una grande unione politica ed economica, poiché più la moneta unica si indebolisce e più si dividono i vari leaders maggiori sono i vantaggi per le altre Nazioni. Il fatto che noi popoli della Vecchia Europa non riusciamo ad accordarci per un bene comune, cioè di tutte le Nazioni, ci pone in balia dei Paesi emergenti, proprio di quei Paesi che consideravamo, fino a ieri, Paesi sottosviluppati. Ma proprio questi ci stanno dando una lezione di quanto l’unione sia la loro forza. Ma dove sono i grandi valori umani che abbiamo sventolato in quanto culla di tutte le civiltà? Non abbiamo più valori, non abbiamo idee, non abbia voglia di volare, di librarci in alto, sia perchè i vari politici hanno tarpato le ali ai giovani, sia perchè ci siamo adagiati mentalmente e culturalmente. Serve uno slancio dell’animo per riportare la gioia e l’entusiasmo nei nostri cuori per vedere ed interpretare i fatti sotto una lente diversa, che abbraccia non la singola Nazione, ma l’intera Europa, una economia sostenibile per tutti, delle regole uguali e rispettate da tutti. Pag. 8 REZZARA NOTIZIE 45° Convegno sui problemi internazionali VALORI COMUNI DELL’UNIONE EUROPEA (continua da pag. 3) (Recoaro Terme, 14-16 settembre 2012) programma venerdì 14 settembre ore 16 introduzione a cura di mons. Beniamino Pizziol, Vescovo di Vicenza prolusione: “Messaggio cristiano di rigenerazione” (card. Velasio De Paolis, Presidente emerito della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede) intervento: “Cultura della legalità” (prof. Lorenza Violini, Università di Milano) sabato 15 settembre ore 9 lezione: “Il bene comune: finalità di ogni progetto politico?” (mons. Mario Toso, Segretario Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace) ore 11 lezione: “Rigenerazione delle istituzioni per costruire il futuro” (prof. Giancarlo Rovati, Università Cattolica di Milano) ore 15 riflessione integrata: Cultura, società, politica 1. I poteri (occulti e tentacolari) dell’economia mondiale (prof. Oscar Garavello, Università di Milano) 2. Antipolitica e frammentazione sociale (prof. Renzo Gubert, Università di Trento) 3. Ruolo sociale delle politiche culturali (prof. Giovanni Gasparini, Università Cattolica di Milano) 4. Ruolo sociale delle politiche educative (prof. Simona Beretta, Università Cattolica di Milano) domenica 16 settembre ore 9.30 intervento: “Etica e formazione della responsabilità” (prof. Antonio Da Re, Università di Padova) intervento: “Diritti ed illegalità, problemi della convivenza sociale” (prof. Giampaolo Azzoni, Università di Pavia) conclusioni QUOTA D’ABBONAMENTO La quota di abbonamento per il 2012, da versare sul c.c.p. 10256360 intestato a Istituto “Nicolò Rezzara”, contrà delle grazie 14, 36100 Vicenza è di € 25,00. A quanti invieranno una cifra significativa sarà inviata al più presto una pubblicazione delle nostre edizioni. “intensificare la solidarietà tra i popoli rispettandone la storia, la cultura e le tradizioni”. Cinque anni dopo Maastricht, con Amsterdam, l’Unione Europea sente di dover apportare alcune significative modifiche al trattato che l’ha istituita. Innanzitutto nel preambolo viene aggiunto, subito dopo l’enunciazione dei principi ai quali l’Unione è legata, un punto molto rilevante riguardante i diritti di riferimento, in particolare a quelli dei lavoratori, si legge infatti: “Confermando il proprio attaccamento ai diritti sociali fondamentali quali definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989”. Il riconoscimento dei diritti sociali è da sempre, è lo è tuttora, una questione delicata e controversa, ma con questa integrazione l’Europa afferma di voler superare le barriere ideologiche e politiche storiche fra i singoli Stati per tutelare al massimo i propri cittadini. Inoltre sarebbe un controsenso che l’Unione Europea, nata come organizzazione più economica che politica, non prendesse in considerazione i diritti di quelli che sono il motore dell’economia: i lavoratori. Il settimo punto del preambolo recita: “Determinati a promuovere il progresso economico e sociale dei loro popoli, tenendo conto del principio dello sviluppo sostenibile e nel contesto della realizzazione del mercato interno e del rafforzamento della coesione e della protezione dell’ambiente, nonché ad attuare politiche volte a garantire che i progressi compiuti sulla via dell’integrazione economica si accompagnino a paralleli progressi in altri settori”; in realtà il riferimento al principio dello sviluppo sostenibile nel trattato originale di Maastricht non era presente, è stata una delle modifiche apportate dal successivo trattato di Amsterdam, ciò sta a significare che i Paesi europei vogliono sì continuare sulla strada del progresso soprattutto economico e tecnologico, ma lo vogliono fare con responsabilità. Veniamo ora alle integrazioni fatte all’articolato, due in particolare sono da rilevare: la prima la si trova nell’articolo A in cui viene esplicitato che “le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile”, ciò sta a significare che per l’Unione Europea è importante che valga non solo il principio di sussidiarietà, bensì che tutto ciò che l’Unione stabilisce sia chiaro e conoscibile dai cittadini; la seconda invece sta nell’enunciazione degli obiettivi dell’Unione all’articolo B tra i quali appare la promozione di “un elevato livello di occupazione”, questo a ribadire come l’attenzione per i valori del lavoro e dei diritti sociali siano divenuti anch’essi fondamento per l’Europa. ritti del minore”. Per la prima volta nel diritto comunitario compare il riferimento alla tutela dei diritti del minore, anche se con significativo ritardo rispetto la firma nel 1989 da parte degli stati membri delle Nazioni Unite della Dichiarazione dei diritti del fanciullo. Inoltre fa la sua comparsa anche una particolare attenzione al rispetto delle persone anziane. Salvaguardia delle diversità Qualità della vita In ultima analisi, il grande passo decisivo, il vero spartiacque, nella definizione dei valori che stanno alla base dell’Unione europea lo si fa nel 2007 con il trattato di Lisbona che modifica il trattato di Maastricht ed il trattato che istituisce la Comunità Europea. Non esiste una cultura europea unica, bensì molteplici, ma l’Unione Europea è consapevole che ognuna di esse ha contribuito allo sviluppo dei valori sui quali oggi essa si fonda. La vera novità sta però nell’articolato, infatti il trattato di Lisbona aggiunge l’articolo 1 bis che recita: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”; con questa integrazione l’orizzonte dei valori si amplia notevolmente e si connota in senso innovativo poiché infatti compare il riferimento alla tutela delle minoranze, finora mai espressamente citato. Risulta ancora più rafforzato il proposito di salvaguardare le diversità culturali dei singoli popoli dell’Unione, dal momento che compare espressamente nell’articolato la volontà del legislatore in questo senso: “Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo”. Il tema dell’uguaglianza è caro ai membri dell’Unione Europea, e questo lo si evince chiaramente dal fatto che l’articolo 3 riprende e allarga le fattispecie, infatti recita: “L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei di- Se con il trattato CECA si cerca di lasciarsi alle spalle lo spettro della Seconda Guerra Mondiale, i numerosi riferimenti alla pace tra i popoli ne sono l’esempio lampante, è con il trattato di Roma che vengono introdotti nuovi obiettivi che non siano meramente simbolici o economici. Ci si convince che una vera unione tra i Paesi europei possa passare solo attraverso un miglioramento della qualità della vita dei propri cittadini; il riferimento è dunque a quei valori che mirano ad alzare il livello d’istruzione e a combattere le discriminazioni di genere. Altro punto caldo che si fa largo in quegli anni è il rispetto per la natura: lo sviluppo è importante, ma quest’ultimo deve essere sostenibile, cioè compatibile con l’ambiente nel quale cresceranno le future generazioni di cittadini europei. Nel 1986 invece entrano in scena, per la prima volta nel contesto europeo, i diritti umani anche se purtroppo restano ancora confinati nel preambolo; tale situazione cambia però con la firma del trattato di Maastricht, il quale sposta il riferimento ai diritti fondamentali nell’articolato, donando loro valenza giuridica. I valori ai quali l’Unione Europea sente di essere profondamente legata vengono ulteriormente rinnovati con l’inserimento nel 1997 del riferimento ai diritti sociali ed in particolare a quelli dei lavoratori. Infine con il trattato di Lisbona i Paesi europei ribadiscono a gran voce e con estrema chiarezza quali siano i valori in cui credono: rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, della non discriminazione. Alla luce di quanto detto finora e del percorso che gli Stati dell’Unione Europea hanno svolto dal 1951 ad oggi, l’articolo 1 bis del trattato di Lisbona non può in nessun modo essere considerato come una mera enunciazione di principi, ma è invece il cuore pulsante dello spirito dell’Unione Europea: è ciò in cui essa crede.