JOHN MILTON Areopagitica 1644

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JOHN MILTON Areopagitica 1644
Politica
JOHN MILTON
Areopagitica
1644
PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO
Questo breve trattato in forma di esortazione ai membri del Parlamento inglese è un
caposaldo delle libertà civili dell’Occidente perché rappresenta la prima opera
espressamente dedicata alla libertà di pubblicazione. È dunque un riferimento
fondamentale per comprendere il cammino intrapreso dalla libertà di stampa per
affrancarsi da tutele, censure, condizionamenti. Ai nostri giorni sembra pacifica la facoltà
di ciascuno di poter pubblicare tutto ciò che desidera sostenendo liberamente il proprio
pensiero, ma in realtà ha avuto una lunga gestazione, che per molti versi non può dirsi
ancora del tutto conclusa. Questa stentorea difesa del diritto di espressione, scritta con
una prosa immaginifica e ricca di echi classici, di richiami all’intera cultura europea e di
stringenti dimostrazioni, costituisce non solo un importante documento storico, ma anche
un testo utile per capire la situazione politica dell’Inghilterra di Carlo I prima dell’avvento
di Cromwell.
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PUNTI CHIAVE

L’autore si appella al Parlamento per rimuovere la legge che impone un controllo
per ogni pubblicazione

Un libro è come un essere vivente

La Chiesa cattolica romana ha rivelato al mondo guasti della censura

I controlli e le proibizioni desertificano la vita culturale ed inibiscono le possibilità
della conoscenza

La cultura, invece, ha necessità di scorrere libera ed incontrollata

Queste misure censorie sono in contraddizione con i valori stessi del Parlamento
inglese
RIASSUNTO
Il contesto storico
Milton rivolge ai membri del Parlamento inglese un ammonimento a rivedere la loro
posizione in seguito alla reintroduzione di un legge volta al controllo dell’attività di
stampa. Questa posizione era già stata espressa, nelle sue linee principali, da un decreto
della Camera Stellata, che rappresentava l’autorità assolutistica del Re e del Clero. Come
tale era stata osteggiata dal Parlamento Corto e, dopo lo scioglimento del medesimo, era
stata riproposta ed approvata in seguito all’aggravarsi degli scontri tra fazioni religiose.
Siamo in anni delicatissimi per l’Inghilterra e di grande importanza per la storia della
modernità. Il paese è diviso tra i sostenitori del Re Carlo I, filocattolico ed assertore di un
ritorno alla centralizzazione assolutistica, ed il composito fronte parlamentare, che
presenta molte anime e che mostrerà di sapersi coagulare in un’opposizione di tale forza
da condurre, di lì a pochi anni, all’esecuzione del sovrano stesso, la prima in Europa.
Ci troviamo nella fase in cui Carlo I Stuart viene costretto dalle necessità a concedere
progressivamente sempre più spazi e potere ai membri del Parlamento. Costoro, nel clima
infuocato degli scontri fra confessioni rivali, si sentono autorizzati a ripristinare lo schema
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del decreto del periodo assolutistico con una legge che prevede la presenza di
licenze ed autorizzazioni per la pubblicazione e che, di fatto, inibisce la libertà di stampa.
Il titolo dell’opera
Il titolo del Discorso rivolto da John Milton al Parlamento di Inghilterra sembra, con
grande probabilità, rifarsi a quello della settima orazione di Isocrate, retore
contemporaneo di Platone. Tale orazione, infatti, è intitolata Areopagitico ed il testo di
Milton sembra riprenderne la struttura. Altri interpreti insistono su un possibile
riferimento al famoso discorso di S. Paolo sull’Areopago di Atene, ma sembra più fondata
la prima ipotesi.
Il sottotitolo “Per la libertà di stampare senza licenza” offre al lettore, con la sua
formulazione battagliera, un’idea precisa del tema principale dell’opera. Fin dall’inizio,
quindi, è messa in chiaro la tesi dell’autore: nessuno può interdire, condizionare, limitare
la libertà di ciascuno di pubblicare. Allo stesso modo non si possono invocare pretesti
indiretti basati su eventuali autorizzazioni dell’autorità, su licenze di stampa, su comitati di
approvazione.
L’appello
Milton apre questo trattato con un appello rivolto al Parlamento, vero depositario del
potere sovrano, teso al ripristino della libertà di manifestare il dissenso. Questa libertà era
stata ristretta e soffocata dalla reintroduzione di un’ordinanza che, di fatto, poneva sotto il
controllo delle autorità la libertà di espressione. Milton, pur facendo presente la sua
appartenenza al fronte parlamentare, criticata con perentorietà questa ordinanza. Stiamo
parlando della Legge del 16 giugno 1643, che presuppone per ogni pubblicazione la
necessità dell’approvazione da parte di un gruppo di preposti nominati dall’autorità.
Poiché riprende le linee del Decreto della Camera Stellata del 1637, a Milton questa legge
sembra un ritorno ai tempi del potere incontrollato della Corona e del clero.
L’esortazione iniziale di Milton rappresenta dunque un monito a seguire i principi che
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hanno sempre guidato l’azione parlamentare. La libertà di espressione è infatti il
fondamento della possibilità per l’uomo di aprirsi ai contributi altrui e progredire in tutti i
campi. Milton ci consegna una suggestiva definizione delle opere letterarie quali esseri
viventi, proiezioni dell’energia di chi li ha creati, moltiplicatori di potenza, custodi di verità
nel tempo, immagini di immortalità. Queste creature non possono essere soffocate, pena
tutta una serie di conseguenze di gravità inaudita.
Anzi, spesso non è nemmeno possibile intendere o valutare la portata della censura o dei
divieti di pubblicazione. Infatti è un tipo di delitto che inibisce la possibilità stessa di
un’evoluzione della conoscenza, che per forza di cose non conosciamo ma che avrebbe
potuto sicuramente essere diversa. Gli uomini non possono permettersi di impedire il
cambiamento, anche se questo può comportare la possibilità di errori, punti di vista
eterodossi e opinioni scomode.
La censura immiserisce tutta l’umanità
Milton traccia quindi una storia sommaria degli effetti orribili della censura. Rifacendosi
soprattutto alle riflessioni di Paolo Sarpi, egli afferma che la censura ha, nella sua forma
più odiosa, repressiva e drammatica, un connotato relativamente recente, soprattutto
dalla Controriforma cattolica in poi, con il suo esito terminale nel Concilio di Trento e
nell’Inquisizione spagnola. Questo percorso della Chiesa romana aveva avuto il suo inizio
nel IX secolo, con la progressiva acquisizione delle prerogative temporali. La Chiesa
accentrò il proprio potere per avocarsi l’ultima e più importante parola sul mondo
spirituale e culturale in genere. L’età classica aveva invece realizzato un tipo di controllo
della cultura da parte delle autorità completamente diverso rispetto a quella della Chiesa
cattolica.
Chi ha proibito un libro o un’opera dell’ingegno o dell’arte, afferma Milton, ha reso al
mondo un pessimo servizio perché l’ha privato di una serie di possibilità potenzialmente
infinita e sconosciuta. Allo stesso modo, chi ha inteso impedire l’accesso ad una
qualsivoglia cultura (qui Milton pensa immediatamente al caso della cultura classica da
parte di taluni settori del cristianesimo lungo i secoli) ha sbagliato profondamente. Le
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culture, ed i libri che le rappresentano, servono al manifestarsi della suprema
Verità, che non può certo temere nessun tipo di confronto. Anzi, essa per rendersi palese
agli uomini necessita di tutti i contributi indistintamente, siano essi corretti od erronei.
Il cristianesimo deve servirsi della cultura classica. Queste due culture devono
congiungersi e compendiarsi in un mutuo e fecondo rapporto di interscambio. Meglio
conoscere che ignorare, ci dice Milton, e meglio conoscere anche l’errore perché l’errore
può essere fondamentale per raggiungere una maggior consapevolezza del cammino che
ci porta allo svelamento della verità. Bene e male, infatti, sono inscindibilmente intrecciati
e all’uomo tocca cercare il primo attraverso l’esperienza del secondo. Se Paolo Sarpi
condannava la censura preventiva operata dalla Chiesa romana su tematiche non
religiose, la posizione di Milton è più radicale, visto che condanna ogni forma di misura
preventiva, da chiunque esercitata. Sopprimere un libro, infatti, significa indulgere
nell’irrazionalità. La censura è inutile e vana.
Non può esistere il censore perfetto
I censori, infatti, non possono essere infallibili o onniscienti. Sono esseri umani, esposti
all’errore come ciascun loro simile. L’autore di un’opera è il primo giudice del suo operato,
e le sue fatiche hanno diritto di venire alla luce, per rispetto della sua persona e dell’intera
umanità. La presenza di un censore occhiuto che controlla, giudica e condanna è uno
sfregio per la nazione che lo permette. L’esempio di Galileo, di cui Milton delinea un
ritratto drammatico nella sua vecchiaia di sconfitta e di silenzio, costretto all’abiura da
pratiche soverchianti di annichilimento dell’opinione, è portato come un’icona di quella
libertà di pensiero e di opinione che deve regnare incontrastata.
A suffragio di questa parte sta anche una bella citazione di uno degli autori prediletti da
Milton, Francesco Bacone: la proibizione si ritorcerà contro il censore per il danno che
infligge a tutti. Tanto quanto la fede ha necessità della più libera esplicazione, così la
conoscenza necessita di scorrere come acqua che sgorga. Per quanto possa essere
comodo, il conformismo è veleno per l’emergere della verità. Il mondo ha bisogno di tutte
le voci, anche quelle dissenzienti dal comune sentire. L’Inghilterra in generale e la città di
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Londra in particolare non meritano, ad avviso dell’autore, questa legge, che di fatto
rappresenta un disonore per le tradizioni ed i costumi consolidati da anni di lotte.
Contraddizione con i valori stessi del Parlamento
Il Parlamento Lungo al quale Milton sta rivolgendo la sua accorata supplica è lo stesso
organo che sta lottando contro i tentativi di ripristinare l’assolutismo regio e le misure di
controllo nelle materie religiose caldeggiate dal clero anglicano. Nella sua lotta contro
Carlo I il Parlamento si è contraddistinto per la difesa dei valori di libertà nell’ambito civile
e religioso, e Milton è stato un partigiano della fazione parlamentare fin dalla prima ora.
All’autore pare una palese contraddizione la misura di repressione della libertà di
espressione attuata dal Parlamento stesso. Pochi anni prima il Re e la Camera Stellata
avevano emesso un decreto simile al fine di poter sovrintendere alla vita culturale e
religiosa di un intero popolo. Dopo pochi anni, e pur nella continua ostilità verso la politica
di persistente accentramento della monarchia Stuart, il Parlamento si ritrova ad approvare
un’ordinanza che va contro i suoi stessi valori. Nelle ore difficili in cui si trova ad operare,
osserva l’autore, la Nazione ha bisogno di dispute, di confronti e di un clima di aperta e
franca contrapposizione.
Non si può più tornare indietro all’epoca in cui la libertà non era assicurata. I migliori
membri del Parlamento, e qui Milton cita espressamente Lord Brooke, hanno più volte
insistito sulla libertà come pilastro fondante della vita politica. Si tratta di una libertà che
non ammette i cattolici, così come non li ammetterà nel consesso delle libertà civili
nemmeno Locke, ma che è da intendersi estesa a tutto il fronte Riformato.
L’auspicio con il quale viene chiusa l’opera è infatti la creazione di un fronte unitario e
pacificato tra i Riformati ed in genere tra tutti i membri del Parlamento per opporsi ai
pericoli ancora incombenti da parte del fronte reazionario. Perfino la voce più difficile da
ascoltare fra le frange estremiste degli scismatici e dei settari doveva poter contare sulla
possibilità di esprimersi. Nella pagina conclusiva Milton adombra infine la possibilità più
prosaica che dietro alla riproposizione di un decreto tanto odioso si nascondano gli
interessi privati proveniente da una parte del composito mondo della stampa.
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CITAZIONI RILEVANTI
I libri
«I libri infatti non sono per nulla cose morte, ma contengono in sé una potenza di vita che
li rende tanto attivi quanto quello spirito di cui sono la progenie; di più, essi preservano
come in una fiala la più pura forza espressiva ed essenza di quel vivente intelletto che li
generò. So bene che sono così vivi, e così vigorosamente produttivi, come quei favolosi
denti di drago che seminati qui e là può succedere che facciano nascere uomini armati»
(p. 11).
I delitti verso i libri.
«è quasi uguale uccidere un uomo che uccidere un buon libro. Chi uccide un uomo uccide
una creatura ragionevole, immagine di Dio; ma chi distrugge un buon libro distrugge la
ragione stessa, uccide l’immagine di Dio nella sua stessa essenza … un buon libro è il
prezioso sangue vitale di uno spirito sommo, preservato apposta e custodito gelosamente
per una vita oltre la vita … il volgere degli evi spesso non recupera la perdita di una verità
respinta, per la cui mancanza popoli interi vengono a soffrire ... vediamo che una specie di
omicidio può così venire commesso, a volte un martirio, che se si estende all’intera
edizione diventa una specie di massacro, che non si limita all’assassinio di una semplice
vita, ma colpisce quell’essenza eterea e sublime, il respiro della ragione stessa : uccide
un’immortalità più ancora che una vita» (p. 11).
Effetto della censura
«La punizione degli ingegni ne accresce l’autorità ed uno scritto proibito è come una
scintilla di verità che schizza sul volto di chi vorrebbe soffocarla» (citazione da Francesco
Bacone, p. 63).
Le libertà primarie
«Prima di ogni altra libertà, datemi la libertà di conoscere, di esprimermi, e di discutere
liberamente secondo coscienza» (p. 83).
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L’AUTORE
John Milton (1608-1674) nasce a Londra il 9 dicembre 1608. Viene educato in un
ambiente puritano, e dopo aver conseguito la laurea al Christ's College di Cambridge
l’avversione per il clero anglicano e il crescente interesse per la poesia lo induce a
rinunciare a prendere gli ordini sacri. Dal 1632 al 1638 ha la possibilità di dedicarsi in tutta
tranquillità agli studi nella sua residenza del Buckinghamshire, dove vive con il padre.
Studia i classici e la storia ecclesiastica e politica, specialmente sui testi
di Bembo, Dante, Petrarca e Tasso. Negli anni successivi viaggia molto tra Francia e Italia,
incontrando anche Galileo, ma nel 1640 fa rientro in Inghilterra dove è scoppiata la guerra
civile. Si stabilisce a Londra, dove appoggia con i suoi scritti la causa parlamentare.
Nel 1649 viene nominato segretario degli Affari esteri. Pochi anni dopo, nel 1652, viene
però colpito da cecità e per scrivere deve ricorrere all’aiuto di un assistente. Dopo la
restaurazione di Carlo II Stuart nel 1660, Milton venne incarcerato come simpatizzante
di Oliver Cromwell. Viene però liberato dopo poco grazie all’influenza del suo amico e
studente Andrew Marvell. Tra il 1660 ed il 1674 scrive Il Paradiso Perduto Lost, Il Paradise
Riconquistato e la tragedia I nemici di Sansone. Muore a Londra l’8 novembre 1674.
NOTA BIBLIOGRAFICA
John Milton, Areopagitica. Per la libertà di stampare senza licenza, Rusconi, Milano, 1998,
a cura di Mariano Gatti e Hilary Gatti, p. 136.
Titolo originale: Areopagitica: A speech of Mr. John Milton for the liberty of unlicensed
printing to the Parliament of England.
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