1 rassegna stampa martedì 23 ottobre 2012

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1 rassegna stampa martedì 23 ottobre 2012
Federazione ittaalliiaannaa bancari e assicuurativi
via Modena, 5 – 00184 Roma – tel. 06-4746351 / fax 06-4746136
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Aderente alla UNI (Union Network International), alla CES (Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale
RASSEGNA STAMPA
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23 OTTOBRE 2012
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 Crediti con la Pa, intesa Tesoro-Abi ....................................................................... 3
 I tagli alle stime dei profitti Usa frenano le Borse ............................................... 4
 Rating alle banche, favorite le big .......................................................................... 6
 Bilancio Ue, Londra sfida Berlino ........................................................................... 8
 A Wall Street il bonus resta d’oro ........................................................................... 9
 Ubs e Credit Suisse preparano nuovi tagli dei dipendenti ................................... 10
 Fondazioni, in Cariplo e Crt partono i rinnovi al vertice...................................... 11
 Merkel sgrida la Gran Bretagna sul bilancio Ue ................................................... 12
 Consiglio Intesa, l’ipotesi anticipo ......................................................................... 13
 La pista asiatica per Bsi Per Generali il nodo prezzo ........................................... 14
 Il Fisco riscrive (e semplifica) 65 modelli .............................................................. 15
 E l’avvocato da 3,5 miliardi (di azioni) fa dimagrire il nuovo vertice Seat ........ 16
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Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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 Manovra Irpef tutta da rifare più detrazioni alle famiglie ................................... 17
 Alla Bce esplode il caso quote rosa ........................................................................ 18
 Malacalza avverte Tronchetti “Niente soldi, solo azioni Pirelli” ......................... 19
 “Lavorare tutti, lavorare di più i miei operai si tagliano le ferie” ...................... 20
UN AFORISMA AL GIORNO
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*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
Stato debitore. Gli intermediari finanziari potranno accedere alla piattaforma elettronica per
la certificazione
Crediti con la Pa, intesa Tesoro-Abi
AI NASTRI DI PARTENZA
Banche pronte ad aderire ai protocolli siglati a maggio con le associazioni d'impresa per
facilitare il finanziamento delle aziende
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ROMA
Un passo in avanti sul percorso per rendere più agevole lo sconto dei crediti verso la Pa. Il ministero
dell'Economia e l'Abi hanno infatti siglato ieri la convenzione che permette l'accesso da parte delle banche e
degli intermediari finanziari alla piattaforma elettronica per la certificazione dei crediti verso le amministrazioni
pubbliche.
Il collegamento tra la piattaforma elettronica pubblica e il sistema finanziario permetterà a banche e
intermediari finanziari di verificare direttamente lo stato del credito, velocizzando e semplificando le procedure
di anticipazione o sconto per le imprese fornitrici della pubblica amministrazione.
Intanto, secondo le rilevazioni Abi, il settore bancario sta dando un seguito concreto all'accordo per agevolare
lo smobilizzo dei crediti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione e quello per favorire il
finanziamento di progetti di investimento in Italia.
Il 63,5% delle banche, in termini di sportelli sul territorio, segnala infatti Palazzo Altieri, è pronto ad aderire
agli accordi, ovvero ai due protocolli sottoscritti il 22 maggio scorso tra l'Abi e le associazioni di impresa,
finalizzati a sostenere le aziende per quanto riguarda lo sblocco dei crediti della pubblica amministrazione e gli
investimenti delle piccole e medie imprese.
La lista completa delle banche che hanno già aderito agli accordi è, peraltro, già disponibile da venerdì scorso
sul sito dell'Abi (www.abi.it).
Nel momento in cui il quadro normativo sarà completo le banche potranno procedere per dare avvio alla fase
operativa vera e propria.
Da ricordare che la scorsa settimana il Comitato di gestione del Fondo centrale di garanzia per le piccole e
medie imprese ha formalizzato il regolamento operativo del Fondo: adesso manca un ultimo tassello, ovvero la
pubblicazione del decreto con il regolamento, e il quadro sarà completo.
Per il sostegno alle piccole e medie imprese sul terreno dello smobilizzo crediti è previsto un plafond di 10
miliardi di euro. I crediti che possono essere smobilizzati devono essere certificati come certi, liquidi ed
esigibili (di qui l'importanza della convenzione firmata ieri al Tesoro).
L'anticipazione non potrà essere inferiore al 70% dell'ammontare del credito che l'impresa vanta nei confronti
della Pa e la durata sarà coerente con la data di pagamento prevista. Le imprese che possono accedere al
plafond Crediti Pa sono le Pmi che operano in Italia, definite dalla normativa comunitaria, di tutti i settori. Al
momento della domanda non devono avere posizioni classificate dalla banca come sofferenze, partite
incagliate, esposizioni ristrutturate o esposizioni scadute o sconfinanti da oltre 90 giorni, né procedure esecutive
in corso.
Per le imprese con esposizioni scadute e per gli sconfinamenti da oltre 90 giorni fino a 180, la banca può
valutare la realizzazione dell'operazione, se il ritardo nel pagamento è imputabile al mancato incasso dei crediti
Pa.
Anche per quanto attiene ai progetti di investimento delle Pmi c'è un plafond di 10 miliardi di euro: l'intervento
è stato reso possibile grazie alla liquidità messa a disposizione dalla Bce attraverso le due operazioni
straordinarie di rifinanziamento con durata fino a 3 anni.
Infine, sempre a supporto degli investimenti, c'è anche la convenzione tra Abi e Cassa depositi e prestiti con cui
quest'ultima ha messo a disposizione 10 miliardi di euro per il finanziamento delle Pmi.
R.Boc.
*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
di: Luca Davi
LA GIORNATA DEI LISTINI
I tagli alle stime dei profitti
Usa frenano le Borse
Milano tiene (+0,03%) con i bancari sulla scia degli acquisti sul BTp Italia
FORTI SCAMBI SU BTP ITALIA
Alla prima giornata di contrattazioni, il nuovo titolo legato all'inflazione italiana ha
registrato scambi per 280 milioni
I PIANI DI VIA XX SETTEMBRE
Il Tesoro starebbe studiando una riduzione delle aste anche se per il ministro Grilli è difficile
dire già oggi se ci sarà una revisione
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Per una volta tanto le mosse degli operatori finanziari ieri non sono state dominate dalle valutazioni sullo stato
di salute del Vecchio Continente, ma piuttosto dai timori sui rischi di crescita globali. Un'incertezza che è stata
scatenata soprattutto dai tagli alle stime per il 2012 di un colosso mondiale come Caterpillar. Se il leader
mondiale dei macchinari per il movimento terra riduce le sue attese di ricavi e utili, significa che l'andamento
del business dell'edilizia, e dell'economia nel suo complesso, rallenta.
La reazione delle Borse
Per questo le borse hanno tenuto un atteggiamento cauto. A Wall Street, dopo una seduta in flessione, alla fine
il Dow Jones ha registrato un progresso dello 0,02%%, l'S&P500 dello 0,03% e il Nasdaq dello 0,38%. A
chiudere in discesa sono stati anche i listini europei: il Ftse 100 di Londra è arretrato dello 0,22%, il Dax di
Francoforte dello 0,71% e il Cac di Parigi dello 0,61%. In positivo, seppure di poco, Milano, con un progresso
dello 0,3% grazie al supporto dei titoli bancari. Che continuano a beneficiare del buon momento dei governativi
italiani: lo spread tra tassi di Roma e Berlino sulla scadenza decennale si è fermato a quota 315 punti dai 318 di
venerdì, mentre quello spagnolo è risalito a 386 da 376 punti di fine settimana.
I segnali da Caterpillar
La prudenza che ha contrassegnato gli scambi è frutto soprattutto di una paura. E cioè che il rallentamento
globale possa impattare negativamente sui ricavi delle società le cui quotazioni appaiono per alcuni aspetti
anche sopravvalutate. Il campanello d'allarme è suonato ieri alla diffusione dei dati di Caterpillar, ultimo tra i
grandi colossi a battere le attese sul fronte degli utili ma a rivedere al ribasso le previsioni sui ricavi. Il
produttore di mezzi meccanici ha chiuso il terzo trimestre con un utile netto in aumento del 49% a 1,7 miliardi
di dollari, pari a 2,54 dollari per azione, contro i 2,21-2,23 attesi dagli analisti. Nello stesso tempo però la
debolezza della congiuntura e gli stock eccessivi hanno spinto l'azienda a prevedere per il 2012 un profitto da 9
a 9,25 dollari per azione contro una precedente stima di 9,60 dollari. È la seconda volta nel corso dell'anno che
il gruppo taglia le sue previsioni per il 2012. Ma ciò che preoccupa maggiormente gli analisti è che si sta
allungando la lista delle aziende che si preparano a un rallentamento globale maggiore di quanto previsto fino
ad ora. Commenti timorosi sul futuro sono arrivati nei giorni scorsi da multinazionali del calibro di General
Electric o di Honeywell, entrambe preoccupate dei rischi al ribasso di un recupero che, nel migliore dei casi,
potrebbe rivelarsi tiepido. Più che sui risultati del trimestre (il 60,2% delle 123 quotate dell'S&P 500 ha battuto
le attese), il mercato si sta «dunque concentrando sulle previsioni relative alla riga alta dei bilanci, la voce dei
ricavi, e teme sia in arrivo una contrazione» spiega un operatore italiano. E proprio sugli utili delle banche
americane potrebbe impattare, negativamente, la Volcker Rule: secondo l'agenzia di rating Standard&Poor's, gli
utili ante-imposte delle maggiori otto banche americane potrebbero ridursi di 10 miliardi di dollari l'anno per
effetto della legge che limita drasticamente l'attività speculativa delle banche.
Il successo del BTp Italia
In una giornata contrassegnata dall'assenza di dati macro di rilievo e di aste di titoli di Stato, il mercato
obbligazionario italiano ha proseguito nella buona intonazione della scorsa settimana. A brillare è stato in
particolare il BTp Italia collocato la scorsa settimana per la cifra record di 18 miliardi di euro. Alla sua prima
giornata sul secondario, il titolo scadenza ottobre 2016 ha toccato un massimo a 100,72 per chiudere a 100,66.
Forti le richieste, con scambi per 280 milioni di euro, contro i 15-20 milioni degli altri due BTp Italia. Secondo
alcuni analisti, il trend rialzista potrebbe continuare. L'avvicinamento ai livelli attuali del BTp€i settembre 2016
potrebbe tradursi in una ulteriore riduzione dei tassi di circa 40 punti base, con un rialzo del prezzo fino a quota
102. Sulla scia di questo interesse, anche gli altri due BTp Italia si sono mossi al rialzo: il titolo giugno 2016 ha
chiuso in progresso di 18 centesimi a 104,19, mentre il marzo 2016 è salito di un cent a 100,95.
Prossime aste da rivedere
Ma ciò che più è confortante, per le casse pubbliche, è che proprio il successo dell'asta del BTp Italia potrebbe
consentire al Tesoro di ridurre le emissioni di Titoli di Stato da qui a fine anno. Ieri sul tema è intervenuto il
ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, che sebbene abbia di detto di non essere «in grado di dire in questo
momento» se ci sarà una riduzione delle aste di fine anno, ha riconosciuto che «i nostri bisogni di
finanziamento si sono ridotti». Sul tavolo dei tecnici di via XX Settembre ci sarebbe comunque l'ipotesi di un
taglio delle aste dei bond a breve termine nell'ultima parte del 2012. Secondo i piani del Tesoro, nel quarto
trimestre dell'anno è prevista l'emissione di nuovi Btp a cinque e tre anni rispettivamente per almeno 10 e 9
miliardi di euro. Oltre a queste, ci sono però ulteriori tranche di Btp in corso di emissione e le consuete aste di
Bot annuali (a metà novembre e dicembre) e semestrali (a fine di ogni mese).
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*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
di: Maximilian Cellino
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FINANZA E REGOLE
Rating alle banche, favorite le big
Uno studio di esperti Bce: giudizi più benevoli ai grandi istituti che garantiscono business
alle agenzie
IL VANTAGGIO
Il fattore dimensione può far diminuire il costo della raccolta finanziaria di 40 punti base a
parità di rischiosità dell'emittente
LA DISTORSIONE
I conflitti di interesse che scaturiscono dalle attività sulle cartolarizzazioni compromettono la
qualità dei giudizi sugli istituti
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Dei potenziali conflitti di interesse delle agenzie di rating si parla ormai da anni, se non decenni. Il tema torna
prepotentemente alla ribalta ogni volta che su uno stato, una banca o una società di primo piano cade la scure di
Moody's, S&P o Fitch: l'irritazione dell'emittente declassato si traduce in una critica a tutto campo sui metodi di
valutazione utilizzati dalle «onnipotenti» agenzie, che quasi sempre tocca il nodo cruciale dell'intreccio di
interessi fra chi giudica e chi invece deve essere giudicato. Obiezioni che naturalmente vengono sempre
respinte al mittente dai signori del rating e che rimandano così il duello all'infinito.
Se a parlare dei conflitti è però uno studio targato Banca centrale europea (Bce), la questione assume connotati
differenti, quantomeno perché nei piani alti dell'Eurotower non si è fatto mai mistero di discutere sulla
creazione di un organismo unico targato Europa per giudicare sui debiti di società e Stati. A puntare il dito sulle
distorsioni legate ai giudizi delle «Tre sorelle» è una ricerca intitolata «Rating bancari, cosa determina la loro
qualità» e condotta da Harald Hau, docente di economia e Finanza presso l'Università di Ginevra, Sam
Langfield della Fsa (l'organismo di controllo dei mercati britannico) e dall'economista iberico David MarquesIbanez.
Se grande è anche affidabile
Un documento che, va precisato, come tutti i «working paper» della Bce riflette le opinioni degli autori e non
necessariamente quelle dell'istituto di Francoforte, ma che a partire dall'analisi di ben 38.753 osservazioni sui
rating assegnati a 369 banche dell'Unione europea e degli Stati Uniti fra il 1990 e il 2011 giunge a una
conclusione piuttosto chiara: «Le agenzie sembrano assegnare sistematicamente giudizi più favorevoli di
quanto meritano alle banche più grandi e alle istituzioni che garantiscono loro un business aggiuntivo sui
mercati della finanza strutturata».
In altre parole, confrontando i rating emessi e un indicatore di probabilità di default attesa nei due anni
successivi si scopre che S&P, Moody's e Fitch tendono sistematicamente a compiere errori a favore delle
banche principali. La distorsione può anche essere attribuita al maggior potere economico esercitato dagli
istituti di dimensioni più grandi e soprattutto al fatto che, per la loro importanza sistemica, questi vengono
guardati con un occhio di riguardo dai Governi dei Paesi in cui risiedono.
Una sorta di garanzia indiretta, insomma, che se da un lato rinforza il concetto di banca «troppo grande per
fallire», dall'altro crea inevitabilmente distorsioni sul mercato dei capitali. I tre economisti della Bce stimano
per esempio che il fattore dimensione possa avere conseguenze simili a un miglioramento (ingiustificato) di
rating da «A-» ad «A» e, ciò che più conta, sia in grado di far diminuire il costo di finanziamento di 40 punti
base a parità di rischiosità dell'emittente.
Generosi con chi paga di più
Sebbene sia meno rilevante, l'impatto derivante dai «vantaggi» che le agenzie accorderebbero alle banche che
con loro effettuano un numero maggiore di operazioni di cartolarizzazione (per le quali è richiesto il rating,
ovviamente a pagamento) è un elemento di assoluto rilievo della ricerca. Dopotutto il fatto che più una banca
paghi l'agenzia e migliori sono i voti che poi da questa ottiene rappresenta, almeno in teoria, la quintessenza del
conflitto di interessi.
Si potrà infatti anche obiettare che le banche che compiono il maggior numero di operazioni (la Bce ne isola 53
all'interno del suo panel analizzando le cifre sulle securitization raccolte da Dealogic fra il 1990 e il 2012) sono
poi verosimilmente anche quelle di taglia grossa e quindi i due effetti tendono a mescolarsi. Il responso dello
studio non lascia però scampo: «I dati rappresentano la chiara evidenza che i conflitti di interesse che
scaturiscono dal business delle cartolarizzazioni compromettono la qualità dei rating sulle banche».
La conclusione non può ovviamente che portare acqua al mulino della Bce e al suo progetto di agenzia europea:
«Il dibattito politico dovrebbe incoraggiare fonti alternative di informazioni sui rating del credito», sottolinea la
ricerca. Che va però oltre quel progetto ricordato a più riprese da Mario Draghi, sottolineando anche la
necessità agevolare e rendere meno costoso l'accesso alle informazioni necessarie a elaborare un giudizio sul
merito di credito di un emittente: «Un sistema pubblico di informazioni migliore e una maggiore diffusione di
dati da parte delle banche rappresenta la strategia più opportuna per ridurre il potere e l'influenza esorbitante
delle agenzie di rating nel sistema attuale». In attesa di una riforma a tutto campo, liberare il mondo finanziario
dalla dipendenza dei rating resta un sogno.
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*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
Dal nostro corrispondente Beda Romano
LO SCONTRO SUL BUDGET
Bilancio Ue, Londra sfida Berlino
Secondo Ft la Merkel sarebbe pronta a cancellare il vertice del 22 novembre
IL POSSIBILE COMPROMESSO
La Germania avrebbe proposto di bloccare all'1% del Pil comunitario gli stanziamenti per il
periodo 2014-2020
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BRUXELLES.
Chiudere la trattativa sul bilancio comunitario 2014-2020 è una partita tutta in salita, nonostante l'impegno del
presidente del consiglio europeo Herman Van Rompuy di concludere i negoziati entro il vertice di fine
novembre. A complicare le discussioni è la crisi economica, che induce molti Paesi a cercare un calo dei loro
contributi. Lo sguardo corre al Governo inglese che ha minacciato il veto, ma che deve soppesare i pro e i
contro di un'arma negoziale a doppio taglio.
La proposta che la Commissione ha presentato nel 2011 non fa proprio l'unanimità. Prevede un bilancio su sette
anni di 1.033 miliardi di euro, con un aumento del 5% rispetto al periodo precedente. Il premier britannico
David Cameron chiede addirittura un congelamento della spesa. Ancora ieri l'uomo politico conservatore ha
detto alla Camera dei Comuni: «Non ho imposto in Gran Bretagna misure difficili per poter poi accettare a
Bruxelles forti aumenti».
La Germania e altri Stati membri hanno scelto un atteggiamento più accomodante. Vogliono modificare la
proposta della Commissione, ma in alcuni casi difendendo alcuni capitoli di spesa (la Francia, per esempio,
l'agricoltura). Inoltre, molti sanno - almeno in cuor loro - che il volano europeo è ormai indispensabile per
rilanciare l'economia del continente mentre i Paesi dell'Unione sono costretti a risanare i propri conti pubblici,
optando per l'austerità.
Ieri il Financial Times spiegava che la Germania sarebbe pronta a cancellare il vertice del 22-23 novembre, se
la Gran Bretagna dovesse rimanere intransigente. «Non è compito della Germania indire un vertice, ma di Van
Rompuy», nota un diplomatico europeo. Il Governo federale ha smentito che mai ci sia stata una minaccia
tedesca. Più interessante è il fatto che Berlino avrebbe offerto un compromesso: un bilancio pari all'1% del Pil
europeo, rispetto a una proposta della Commissione dell'1,1 per cento.
Ieri Londra non ha voluto ripetere la minaccia di un veto. Forse perché l'arma negoziale è in parte spuntata?
Secondo le regole europee, senza accordo sul 2014-2020, il bilancio 2013 verrebbe ripetuto per il 2014,
associandovi l'inflazione. In questo caso, l'esborso inglese aumenterebbe, non diminuirebbe. Nel negoziato, la
Germania può contare sull'apoggio di Francia, Austria, Olanda, Svezia e Finlandia. Sul fronte opposto c'è una
alleanza poco omogenea di Paesi che difendono l'ammontare originale.
La partita si è complicata nelle ultime settimane a causa dell'idea di dare all'unione monetaria una propria
"capacità di bilancio". In generale gli Stati membri sono attirati dall'ipotesi, ma stanno ancora cercando di
capirne le ramificazioni. Alcuni Paesi temono di perdere risorse. Probabilmente, Londra vede in questa idea un
grimaldello per ottenere il suo obiettivo: ai suoi occhi un nuovo bilancio della zona euro giustificherebbe un
calo del suo contributo al bilancio dell'Unione.
La presidenza cipriota ha distribuito ieri pomeriggio alle delegazioni un documento informale in cui ha
riassunto i punti più ostici sul versante delle entrate. Entro lunedì, Cipro invierà nuovi criteri negoziali, questa
volta con una proposta di cifre. L'obiettivo è di discuterne a livello di ambasciatori la settimana prossima. Poi
successivamente, dal 5 novembre in poi, Van Rompuy (che giovedì vedrà Cameron a Londra) avrà incontri
bilaterali con le delegazioni nazionali.
Intanto si sono incontrati ieri a Roma il ministro per gli affari europei Enzo Moavero e il suo omologo inglese
David Lidington, alla ricerca di punti di contatto. In questo clima teso, il destino vuole che la Commissione
debba presentare oggi una manovra per tappare un buco nel bilancio del 2012. Alcuni programmi comunitari come Erasmus - sono a corto di liquidità. Alain Lamassoure, il presidente della commissione bilancio del
Parlamento, ha stimato l'ammanco in «circa 10 miliardi di euro».
*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
di: Marco Valsania
INCHIESTA - Come cambia la politica dei compensi delle grandi aziende statunitensi
A Wall Street il bonus resta d’oro
Nel 2012 remunerazioni ancora elevate ma più difficili da incassare
LE STIME
Si prevede un calo minimo rispetto al 2011: le grandi firme non vogliono correre il rischio di
farsi «scippare» i manager migliori
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NEW YORK Bonus e compensi nell'alta finanza – a cominciare da Wall Street – restano dorati anche nel 2012. Ma
saranno un po' più difficili da guadagnare. Per l'anno in corso le previsioni ufficiali delle authority di New York
sono, in particolare, di un secondo declino consecutivo dei bonus in contanti, anche se è presto per tirare somme
certe. I premi liquidi e immediati, insomma, dovrebbero diminuire rispetto ai 19,7 miliardi versati per l'anno scorso,
già in calo del 14 per cento. Altrettanto probabile è tuttavia che i compensi totali rimangano elevati grazie alla
diffusione di più prudenti formule basate su titoli e performance delle società. Formule che consentono di distribuire
le paghe nell'arco di più anni - e di farli svanire in caso del mancato raggiungimento di prefissati obiettivi. I casi si
sono moltiplicati: il britannico Lloyds Banking Group sta adesso considerando di abrogare bonus annuali a favore di
incentivi decennali. Mentre la statunitense Morgan Stanley ha già messo all'opera una «mannaia» legata ai risultati.
E piani di bonus composti di Performance based stock unites, o Psu, sono scattati negli ultimi anni a Bank of
America come a Goldman Sachs. L'obiettivo: responsabilizzare i banchieri e limitare le corse all'eccesso di rischio,
adattandosi a un periodo di tensioni nell'economia e sui mercati e a riforme delle regolamentazioni che stringono i
controlli sul settore. Senza, allo stesso tempo, dover rinunciare a remunerare e attirare «talento». Al momento la
ricerca del nuovo equilibrio sembra dare risultati: per il 2011 la «total compensation» è lievitata del 4% a 60 miliardi
(+16% in due anni) a una cifra media di 361.950 dollari a dipendente, nonostante il calo dei premi in contanti, che
rappresentano abitualmente un terzo della «paga» e spesso la stragrande maggioranza. E le sfide aperte sulla
performance e sui bonus di sicuro non hanno intaccato l'ottimismo sui guadagni a Wall Street: un sondaggio di
eFinancialCareers ha visto il 48% degli interpellati aspettarsi miglioramenti dei premi anzichè flessioni. La nuova
sobrietà, però, si fa sentire. I colossi dell'alta finanza globale con sede a New York sono avviati a registrare profitti
per oltre 15 miliardi nell'anno in corso, ha indicato il Comptroller dello stato di New York Thomas DiNapoli, il
doppio dei 7,7 miliardi del 2011. Le entrate nette - sulle quali i compensi sono in realtà calcolati, spesso vicini alla
metà del totale – sono però in affanno e le riforme a Wall Street, interne ed esterne, non sono ancora completate. A
Morgan Stanley il maggior rigore potrebbe costringere il suo amministratore James Gorman a perdere azioni per 2,9
milioni quest'anno a causa del fallimento di traguardi su prezzo del titolo e redditività. A primavera gli azionisti di
Citigroup avevano bocciato un pacchetto di 15 milioni destinato all'ora dimissionato chief executive Vikram Pandit,
sostituendolo con un compenso pluriennale. Ancora: l'anno scorso Brian Moynihan di Bank of America aveva
intascato l'intero premio annuale, circa nove milioni, in Psu e ulteriori versamenti sono legati a target di redditività
entro il 2016. Lloyd Blankfein e altri dirigenti a Goldman vedranno per intero bonus differiti per circa dieci
assegnati tra 2011 e 2012 se otterrà determinati risultati, tra cui in media un Roe del 10% in tre anni.
I grandi numeri, tuttavia, possono a loro volta ingannare su quanto Wall Street stia davvero tirando la cinghia. Lo
stesso Gorman di recente ha denunciato che il settore soffre ancora di compensi esagerati. E nei giorni scorsi è uscito
il libro-denuncia dell'ex banchiere Greg Smith – «Why I left Goldman Sachs» - che mette sotto accusa proprio i
bonus quale simbolo degli eccessi della finanza. In parte, inoltre, i recenti declini nei premi sono legati non
all'austerity sulle paghe ma all'eliminazione di posizioni: 1.200 da inizio anno, oltre 20.000 dalla crisi. Goldman
Sachs ha ridotto del 9% le posizioni e dovrebbe tagliare costi per due miliardi entro fine anno, Bank of America è in
preda a drastiche ristrutturazioni. Banche non americane seguono simili strade: Credit Suisse eliminerà 451 posti
quest'anno a New York. Alcuni protagonisti sembrano inoltre fremere alla prospettiva di contenere troppo i
compensi, perdendo competitività quando si tratta di assumere o tenere i dipendenti migliori. Goldman ha destinato
almeno il 10% in più a compensi e benefit rispetto all'anno scorso, 11 miliardi in nove mesi pari in media a 336.442
dollari a testa, seppur in linea con gli aumenti delle entrate. JP Morgan, reduce dallo scandalo delle scommesse
errate sui derivati, ha da parte sua aumentato del 12% nel terzo trimestre la spesa per i compensi nella investment
bank ma nel 2012 li ha finora limati del 6,9%, a 269.703 dollari per dipendente. Anche se simili compensi
rappresentano tuttora una frazione contenuta delle revenue rispetto al passato: il 32% per Jp Morgan, in calo dal
41% di un anno fa, e il 44% per Goldman, invariata rispetto al 2011.
*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
di: Lino Terlizzi
Riassetti. I big svizzeri puntano al recupero della redditività
Ubs e Credit Suisse preparano
nuovi tagli dei dipendenti
LE INDISCREZIONI
Per i due istituti, nell'attesa della presentazione dei conti trimestrali, si parla rispettivamente
di 3-5mila e fino a 2mila esuberi
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LUGANO
Non si fermano le voci su nuovi tagli agli organici che le due grandi banche svizzere, Ubs e Credit Suisse,
starebbero preparando. Sulla piazza elvetica i riflettori sono puntati in particolare su Ubs. Se le indiscrezioni
raccolte la settimana scorsa dalla stampa svizzera indicavano il taglio di 10mila posti su un organico mondiale
di Ubs di circa 62mila addetti, le voci di questi ultimi giorni indicano invece come possibile un taglio ancora
consistente ma ben inferiore, cioè tra 3mila e 5mila posti. Dunque la cura dimagrante per la maggiore banca
rossocrociata sarebbe più contenuta e riguarderebbe soprattutto l'investment banking. L'informatica, per la
quale le precedenti indiscrezioni ipotizzavano un taglio di 2mila su complessivi 8.200 posti, sarebbe toccata
dalla ristrutturazione in modo meno duro: perderebbe 900 posti, di cui 300 in Svizzera.
Ubs non ha confermato queste ultime indiscrezioni, come d'altronde non aveva confermato le precedenti. La
reazione emersa dal vertice della banca era stata quella del ticinese Sergio Ermotti, ceo del gruppo, che aveva
inviato a tutti i dipendenti una lettera in cui affermava che l'analisi del quadro delle attività non era stata ancora
completata ed in cui comunque deprecava il fatto che qualcuno all'interno dell'istituto alimentasse indiscrezioni
e speculazioni sui media.
In effetti, vi erano e vi sono ancora voci anche su un dissenso di alcuni top manager di Ubs nei confronti di
ipotesi di ristrutturazione che comportino non solo tagli ma anche una ulteriore centralizzazione di alcune
funzioni. Ermotti sembra comunque deciso a proseguire lungo il percorso di riduzione dei costi per mantenere e
rafforzare la redditività, con uno schema che prevede ancora il private banking come attività centrale e con un
investment banking ancora presente ma con rischi ulteriormente ridotti e strutture snellite. Ieri il mercato ha
reagito alle ultime voci con un rialzo del titolo Ubs, che a Zurigo ha chiuso con►+1,3% a 12,35 franchi.
Per quel che riguarda l'altra grande banca elvetica, il Credit Suisse , le voci di questi giorni indicano tagli
possibili di 1000-2000 posti di lavoro, su un organico mondiale di circa 48mila addetti. Anche in questo caso,
nessun commento da parte di Credit Suisse. A Zurigo il titolo Cs ieri ha chiuso a 21,81 franchi con un -0,37%. I
temi per il gruppo Cs, guidato dal ceo Brady Dougan, sono abbastanza simili a quelli di Ubs. Meno colpito
rispetto ad Ubs dalle ondate della crisi finanziaria del 2008-09, il Credit Suisse cerca comunque a sua volta di
assicurarsi la redditività con la riduzione dei costi e con un ricentramento attorno al private banking e un
investment banking riorganizzato. Cs renderà noti i risultati del terzo trimestre giovedi e l'attesa di analisti ed
operatori è anche su eventuali annunci al riguardo di costi e organici. Stessa cosa per Ubs, che pubblicherà i
conti trimestrali a fine mese.
*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
di: Marco Ferrando
Gli azionisti delle banche. Avviate le procedure per il rinnovo dei due grandi enti
Fondazioni, in Cariplo e Crt
partono i rinnovi al vertice
A Milano Guzzetti sarà riconfermato, a Torino manovre sul dopo-Comba
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Rassegna Stampa del giorno 23 Ottobre 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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Formalmente il rinnovo è previsto nella primavera prossima, ma i delicati eliquibri che ne stanno alla base si
troveranno già nelle prossime settimane, non appena – ed è questione di giorni – dalle sedi di Fondazione
Cariplo e Fondazione Cassa di risparmio di Torino – partiranno le lettere ufficiali agli enti che devono
designare i propri rappresentanti.
La prima metà del 2013 sarà un periodo denso di rinnovi nel mondo delle Fondazioni bancarie (tra le altre, sono
coinvolte l'Ente Carifirenze, la Fondazione Carisbo e quella Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo), ma quelli
che vedono coinvolti, a Torino, il primo azionista italiano di UniCredit e a Milano il secondo azionista di Intesa
Sanpaolo sono i più rilevanti per le dinamiche che governano il mondo bancario italiano.
A Torino, nella sede storica di via XX Settembre che fu della Cassa di risparmio, il ricambio di fatto è già
iniziato in estate, quando Massimo Lapucci ha preso il posto di Angelo Miglietta al posto di segretario generale.
Ora però si apre la partita più delicata, quella che parte con il rinnovo del consiglio di indirizzo, il parlamentino
da 24 membri che tra l'altro designa gli organi esecutivi, ovvero cda e presidente. La mediazione tra i numerosi
stakeholder partirà proprio da quest'ultima poltrona, su cui oggi siede Andrea Comba: al vertice dell'ente dal
1996, ha guidato la Fondazione – oggi azionista anche di Atlantia e Generali – nella transizione dalla Cassa a
UniCredit ed è stato confermato l'ultima volta nel 2007, per quello che già allora venne configurato come un
ultimo mandato. Chi prenderà il posto? La nomina, un anno fa, di Sergio Chiamparino alla Compagnia di San
Paolo, ha dimostrato che i meccanismi del "sistema Torino" sono rodati (per i più polemici anche troppo),
dunque si è alla ricerca di una figura di garanzia che possa accontentare orientamenti politici e istanze
differenti: i nomi più ricorrenti sono quelli del notaio Antonio Maria Marocco, consigliere di UniCredit, del
senatore Enzo Ghigo e di Gian Maria Gros-Pietro, che da consigliere della Compagnia di San Paolo al
momento sembra più esposto sul fronte di Intesa, dove peraltro l'anno prossimo si rinnovano gli organi.
Mediazione altrettanto complessa a Milano, in Fondazione Cariplo, a maggior ragione con la situazione politica
particolarmente "fluida" in Lombardia. In questo caso, considerata altamente probabile la conferma di Giuseppe
Guzzetti, la partita più interessante riguarda le designazioni che arriveranno dagli enti locali cui spetta nominare
19 dei 40 componenti della Commissione centrale di beneficenza. Come nel caso della Fondazione Crt, in
Cariplo lo statuto prevede che le lettere agli enti di nomina debbano essere inviate 180 giorni prima della
scadenza dei sei anni di mandato, quindi – considerato che gli organi in carica sono stati eletti tra aprile e
maggio 2007 – siamo agli sgoccioli.
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Paolo Lepri
Merkel sgrida la Gran Bretagna
sul bilancio Ue
Più probabile una rottura con Londra
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Rassegna Stampa del giorno 23 Ottobre 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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BERLINO — Che il confronto sul bilancio dell'Unione Europea fosse destinato a diventare molto aspro lo si
era capito in settimana scorsa, quando il primo ministro britannico David Cameron aveva minacciato il veto di
Londra sull'intero documento. «Se non riusciamo a trovare un accordo — è stato il messaggio del premier
conservatore — vorrà dire che non ci sarà accordo». Ma una cancellazione del vertice straordinario in
programma il 22 e il 23 novembre a Bruxelles per discutere questo intricato dossier, come ha ipotizzato ieri il
Financial Times attribuendone l'intenzione ad Angela Merkel, sarebbe un passo senza precedenti. Tanto è vero
che nelle due capitali tutti si sono affrettati ad escludere questa possibilità. I nervi però sono molto tesi e la
Germania sta premendo sulla Gran Bretagna perché la sua proposta di compromesso sia valutata con più
attenzione. La cancelliera ne parlerà con Cameron ai primi di novembre, mentre oggi è atteso a Berlino il
ministro degli Esteri William Hague. Il cammino però è pieno di ostacoli.
Il piano tedesco è stato pensato per contenere gli impegni di quello che si chiama in linguaggio ufficiale il
«Multiannual Financial Framework» 2014-2020 dell'Unione Europea. Il portavoce della cancelliera, Steffen
Seibert ha smentito «categoricamente» che sia stata presa in considerazione l'ipotesi di fare saltare il vertice, ma
ha confermato che la Germania è favorevole ad un aumento «moderato» del bilancio. «Siamo convinti — ha
aggiunto — che un accordo su queste basi sarebbe un forte segnale inviato dall'Europa sulla sua capacità di
azione futura», ha proseguito, aggiungendo che Berlino è fortemente interessata ad un successo del vertice.
«Non abbiamo mai avuto una discussione di questo genere con i tedeschi», ha precisato poco dopo il portavoce
di Cameron, ripetendo però che il primo ministro britannico non vede nessun motivo di aumentare le spese
dell'Unione Europea al di là del tasso di inflazione. La proposta di mediazione di Angela Merkel ha per il
momento raccolto il sostegno di Austria, Finlandia, Svezia, Danimarca, Olanda e Repubblica Ceca.
Il bilancio pluriennale, che deve essere approvato all'unanimità dai Ventisette, è da sempre uno dei nodi più
difficili da sciogliere per i leader europei e le tensioni di questi giorni ne sono una conferma. Il documento è la
base per finanziare le risorse di tutti i programmi comunitari, dalla coesione regionale ad Erasmus, dalla ricerca
alla politica agricola. Ai nastri di partenza c'è la proposta della Commissione, aggiornata dopo il via libera
all'ingresso della Croazia, che prevede impegni dell'entità di 1.033 miliardi di euro per i sette anni di esercizio,
pari all'1,08 per cento del Pil. Troppi, per Londra. Lo ha fatto capire ieri a Roma anche il ministro per gli Affari
Europei David Lidington al termine di un incontro con il collega italiano Enzo Moavero Milanesi. «La nostra
posizione — ha detto — è che ogni denaro dell'Ue deve essere speso bene per sostenere la competitività a lungo
termine. Vogliamo un accordo giusto con una spesa efficace». Al di là del procedere della trattativa, è quasi
scontato che la questione del bilancio sarà destinata a replicare le tensioni che si registrarono sul Patto di
bilancio europeo, l'accordo fortemente voluto da Angela Merkel approvato in marzo senza la Gran Bretagna e
la Repubblica Ceca. Anche perché la politica europea di Londra diventa di giorno in giorno meno conciliante.
Ne è stato un segnale chiaro la recente decisione di ritirarsi da una serie di programmi comuni dell'Unione in
materia di giustizia e di affari interni, come per esempio il mandato di cattura europeo. «Sono contento per lo
status quo in Europa? No, non lo sono. Credo che siano necessari alcuni cambiamenti», ha detto Cameron in
Parlamento. Non una dichiarazione di guerra, ma quasi.
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
di: Federico De Rosa
Consiglio Intesa, l’ipotesi anticipo
L’assemblea per il rinnovo del board potrebbe arrivare a marzo
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Rassegna Stampa del giorno 23 Ottobre 2012
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MILANO — In attesa del via libera dei soci al nuovo statuto in Intesa Sanpaolo è iniziato il lavoro per il
rinnovo dei vertici. Nelle scorse settimane ci sarebbero stati contatti tra Compagnia Sanpaolo e Fondazione
Cariplo per le prime valutazioni e nei prossimi giorni, secondo alcune indiscrezioni, il tavolo si potrebbe
allargare alle altre fondazioni azioniste di Ca' de Sass, che dovranno indicare i loro rappresentanti per il
consiglio di sorveglianza in scadenza con la prossima assemblea di bilancio.
Questa volta la partita sul rinnovo dei consigli della banca si sovrappone all'agenda politica. In aprile ci saranno
infatti anche le elezioni del Parlamento e in alcune Regioni le amministrative. Scadenze a cui Intesa non
vorrebbe sovrapporsi con il rinnovo delle cariche. E gli azionisti di Ca' de Sass starebbero quindi ragionando
sull'idea di anticipare le nomine. Per il momento sono stati condotti sondaggi riservati tra i principali soci, il cui
esito lascerebbe aperta questa possibilità. Si tratterebbe, almeno secondo le intenzioni, di un anticipo breve
dell'assemblea di bilancio. Invece che ad aprile inoltrato, i soci verrebbero convocati all'inizio di marzo per
deliberare sul bilancio 2012 e sul rinnovo del consiglio di sorveglianza, a cui poi spetterà nominare il consiglio
di gestione nella nuova configurazione prevista dalla statuto che sarà sottoposto al voto dell'assemblea lunedì
prossimo a Torino. Il nuovo assetto vedrà una maggiore presenza di manager nel board. Tra Milano e Torino si
sarebbe iniziato a parlare, oltre che delle date, anche delle persone da indicare per il rinnovo dei vertici.
Scontata la riconferma alla presidenza del consiglio di sorveglianza per Giovanni Bazoli, mentre per il consiglio
di gestione la scelta quasi certamente sarà definita a Torino. Il presidente della Compagnia di Sanpaolo, Sergio
Chiamparino, starebbe già effettuando sondaggi e tra i nomi che stanno circolando per la guida del board
operativo di Intesa, oggi in mano ad Andrea Beltratti, ci sarebbe quello di Gian Maria Gros Pietro.
Il tema dell'anticipo dell'assemblea era già arrivato al tavolo nella fase di preparazione della nuova governance
di Intesa. L'ipotesi era quella di convocare entro fine anno un'unica assemblea per approvare lo statuto e
procedere alle nomine. Ma ragioni di opportunità e tecniche avrebbero fatto tramontare questa ipotesi.
Che però non è stata del tutto accantonata e ora verrebbe riproposta come opzione per non sovrapporre la
complessa partita sulle nomine ai vertici della prima banca italiana alle novità del voto politico e
amministrativo, in modo da evitare che nelle designazioni da parte delle fondazioni per i due consigli ci siano
spinte improprie. Va anche considerato che tra i grandi azionisti di Ca' de Sass, è il caso della Fondazione
Carisbo, c'è chi in primavera dovrà a sua volta rinnovare i vertici.
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
di: Fabrizio Massaro
[email protected]
La pista asiatica per Bsi
Per Generali il nodo prezzo
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Rassegna Stampa del giorno 23 Ottobre 2012
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MILANO — In attesa della definizione del nuovo piano industriale di Generali e dopo la prima riunione di ieri
a Milano del nuovo group management committee, appena introdotto dal consiglio d'amministrazione e guidato
dal group ceo Mario Greco con il vice Sergio Balbinot, il Leone deve affrontare anche il capitolo dismissioni.
La prossima settimana, il 30 ottobre, è attesa la firma della vendita della controllata israeliana Migdal al gruppo
Eliahu, dalla quale Trieste ricaverà a 705 milioni. Circa l'altra grande partecipazione delle Generali considerata
ormai non più strategica, la Banca della Svizzera italiana (Bsi), i lavori stanno entrando nel vivo, ma l'ostacolo
principale sarà naturalmente la questione del prezzo.
Per la dismissione del private banking sono state incaricate gli advisor JPMorgan e Mediobanca. Dai sondaggi
sarebbe emerso interesse da parte di investitori asiatici e per questo a Trieste stanno completando la
documentazione da rendere disponibile agli interessati: il dossier dovrebbe essere disponibile per metà
novembre. Secondo fonti finanziarie, però, le valutazioni del mercato sembra siano lontane dai 2 miliardi di
euro attribuiti da Generali a Bsi, che ha 78 miliardi di asset in gestione. Per di più la parte asiatica della banca,
aperta da poco e già cresciuta a 2 miliardi di euro di attività in gestione, viene ancora considerata una start-up.
Di recente peraltro lo stesso Greco ha spiegato agli analisti che Generali «non è un venditore a tutti i costi» né
per Bsi né per qualsiasi altro asset del gruppo, come per esempio Generali Usa, il ramo americano per la cui
cessione è stata incaricata Citi. Tutte le cessioni sul tavolo rientreranno comunque nell'ambito della revisione
del gruppo che sarà realizzata nel piano industriale. I tempi sono ormai ravvicinati: al consiglio dell'8 novembre
Greco indicherà i tempi della presentazione al mercato, attesa comunque per gennaio.
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
di: Gabriele Dossena
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Il Fisco riscrive
(e semplifica) 65 modelli
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Rassegna Stampa del giorno 23 Ottobre 2012
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MILANO — Un aggettivo. Una semplice parola, ma con il grande potere di ridurre la distanza tra contribuente
e Fisco. Così, nei nuovi moduli predisposti dall'Agenzia delle Entrate, la comunicazione del funzionario di
turno non sarà più scritta in maniera asettica e burocratica, ma comincerà addirittura con un «Gentile ...». Una
piccola rivoluzione, e un segno di cortesia, decisi dall'ente guidato da Attilio Befera, ispirati al concetto che «un
linguaggio più semplice agevola gli adempimenti da parte dei contribuenti». Ecco quindi che sono stati
«riscritti» 65 documenti tra i modelli maggiormente utilizzati (dalla domanda di rimborso Irpef, a quella per
ottenere una copia della dichiarazione dei redditi, alla richiesta di annullamento degli atti non fondati) con un
linguaggio più chiaro, istruzioni più semplici e, appunto, un «gentile» tanto per cominciare. Le comunicazioni
avranno un linguaggio semplificato anche per quanto i documenti relativi alla nuova mediazione tributaria, gli
avvisi di accertamento, la lettera per la comunicazione dell'Iban, per gli enti beneficiari del 5 per mille e per il
modello utilizzato per chiedere la registrazione dei contratti di locazione. «La semplificazione del linguaggio sottolineano all'Agenzia delle Entrate - integra l'attività di riduzione degli adempimenti attualmente in corso».
Prossimamente potrebbe essere emanato un provvedimento con le indicazioni per evitare duplicati o passaggi
superflui negli appuntamenti di cittadini e imprese con il Fisco.
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
di: Francesca Basso
[email protected]
E l’avvocato da 3,5 miliardi (di azioni)
fa dimagrire il nuovo vertice Seat
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Rassegna Stampa del giorno 23 Ottobre 2012
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MILANO — La svolta di Seat Pagine Gialle sembra finalmente arrivata. Concluso il processo di
ristrutturazione del debito il 6 settembre scorso, che ha fatto entrare nel capitale i possessori del bond
Lighthouse (a seguito della conversione in azioni di 1,2 miliardi di euro di obbligazioni), ieri l'assemblea degli
azionisti ha nominato presidente Guido de Vivo e il nuovo consiglio di amministrazione espressione del nuovo
riassetto azionario. Venerdì dovrebbe poi riunirsi il Consiglio per nominare il nuovo amministratore delegato. I
rumors indicano Vincenzo Santelia.
Si riapre così la partita per Seat Pg, la «Società elenchi abbonati al telefono», come fu battezzata a Torino nel
1925, che si è trovata a un passo dal fallimento, dopo la spericolata politica dei maxi dividendi portata avanti
dai fondi di private equity (Cvc, Permira, Investitori Associati e Bc Partners, sfilatosi nel 2009) che a partire dal
2003 presero la maggioranza, facendo lievitare negli anni il debito fino a 2,7 miliardi di euro.
Il segnale del nuovo corso è arrivato dalla proposta per il board dell'avvocato Carlo Pedersoli, in rappresentanza
di oltre 3,6 miliardi di azioni (circa il 22% del capitale, tra cui il fondo Anchorage Capital, primo socio con il
17,61%): nove consiglieri, durata della carica fino all'approvazione del bilancio 2014, compenso di 50 mila
euro annui ciascuno e un'assicurazione a copertura delle responsabilità civile fino a 350 mila euro. È stato
Pedersoli, nel corso dell'assemblea, a spiegare che la proposta «sui compensi e sull'assicurazione è per dare un
segnale di cambiamento. L'assicurazione — ha proseguito — deve coprire i rischi del consiglio di
amministrazione e non gli illeciti individuali o quelli collegiali». Pedersoli ha anche aggiunto che se «saranno
raggiunti i risultati si penserà a qualcosa di più elevato per il compenso». La sua proposta ha fatto seguito al
voto contrario da parte dell'avvocato alla modifica della composizione del consiglio, come proposto dal board
uscente, che avrebbe aumentato il numero dei consiglieri, facendo crescere di conseguenza anche i costi.
L'assemblea ha poi nominato, su indicazione di Pedersoli, Guido de Vivo presidente e gli altri componenti del
Consiglio: Vincenzo Santelia, Chiara Damiana Maria Burberi, Mauro Pretolani, Paul Douek, Luca Rossetto,
Francesca Fiore, Herald Rosch e Mauro Del Rio. Un altro segnale ritenuto importante per il mercato è che su 9
consiglieri 6 sono indipendenti.
L'assemblea ha poi deliberato, in parte straordinaria, la modifica degli articoli 8 (Diritto di intervento), 10
(Convocazione) e 11 (Assemblea ordinaria e straordinaria) dello Statuto.
*la Repubblica*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
di: ROBERTO PETRINI
Le tasse
Manovra Irpef tutta da rifare più
detrazioni alle famiglie
Monti accetta l’invito dei partiti. Il Pdl vuole evitare l’Iva
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Rassegna Stampa del giorno 23 Ottobre 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
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ROMA
— Si va verso l’eliminazione dell’intero pacchetto Irpef dal disegno di legge di Stabilità che oggi debutta alla
Commissione Bilancio della Camera. Il taglio delle due aliquote più basse (dal 23 al 22 fino a 15 mila euro e
dal 27 al 26 tra 15 e 28 mila euro) è stato oggetto, in pochi giorni, di una sventagliata di critiche che hanno
dimostrato come l’operazione, sommata all’aumento dell’Iva, penalizzi i redditi più bassi e non avvantaggi più
di tanto i medi. Senza contare che il doppio effetto di tetto e franchigia su detrazioni e deduzioni sembrerebbe
vanificare ogni beneficio del taglio di aliquote.
«La manovra riduce le tasse e non le aumenta», si è difeso ancora una volta ieri il ministro dell’Economia Grilli
che con il taglio delle aliquote intendeva dare il segno numerico, anche all’estero, di una riduzione della
pressione fiscale. Tuttavia il titolare del Tesoro ha ripetuto di essere disponibile a «discutere» con il
Parlamento, naturalmente a «saldi invariati».
La strada che maggioranza sta imboccando è tuttavia diversa e, secondo indiscrezioni emerse ieri dopo il
vertice Monti-Casini, il presidente del Consiglio non sarebbe contrario alla modifica del pacchetto Irpef. Il
responsabile economico dell’Udc Galletti, che ha partecipato all’incontro, parla di «eliminazione dell’intervento
sulle aliquote Irpef». Fassina responsabile economico del Pd ha detto ieri che bisogna «cancellare l’intervento
sull’Irpef»; mentre Brunetta del Pdl e relatore alla legge di Stabilità ha definito l’intervento sull’Irpef uno
«specchietto per le allodole». Naturalmente mancano ancora nove giorni alla presentazione degli
emendamenti, cui sta lavorando il relatore Baretta, e la questione tasse potrebbe essere costantemente
esposta a sorprese.
L’operazione che sembra prospettarsi al momento è quella di smontare la riduzione di aliquote e recuperare
4,2 miliardi. Da questa cifra uscirebbero i 2,5 miliardi - dei quali sono a caccia governo e maggioranza destinati ad eliminare le questioni sociali più «spinose»: tassazione Tfr, aumento Iva no profit, pensioni di
guerra, tassazione imprese agricole, esodati, scuola. Circa un miliardo andrebbe a compensare
le maggiori entrate previste dai tetti alle detrazioni che uscirebbero di scena portandosi dietro polemiche e
malumori.
Sgombrato il campo dalla manovra sulle aliquote Irpef, dalle detrazioni e recuperate le risorse per «riparare»
le norme meno accettabili sul piano sociale, resterebbero 1,6 miliardi. Dove indirizzarli? Per l’Udc, ma anche
per il Pd (ieri Monti ha visto Enrico Letta), la destinazione dovrebbe essere quella dell’aumento delle detrazioni
per figli e coniuge a carico, legate al reddito e in grado di compensare per stipendi più bassi l’impatto
dell’aumento dell’Iva. Non è escluso invece che il Pdl punti direttamente ad un ulteriore intervento di
sterilizzazione dell’Iva. La proposta di mediazione, sulla quale potrebbe convergere anche il governo, sarebbe
quella di introdurre una nuova «clausola di salvaguardia» in base alla quale ci si impegni a trovare le risorse
per scongiurare l’aumento dell’ Iva previsto per luglio 2013 con un intervento selettivo sulle detrazioni fiscali e
rimettendo in campo il piano Giavazzi per rivedere gli sconti fiscali alle imprese. Le ipotesi restano tuttavia
tutte aperte: e ieri Boccia (Pd) per salvare l’operazione Iva-Irpef ed eliminare il taglio alle detrazioni ha
rilanciato l’ipotesi di una patrimoniale.
*la Repubblica*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ANDREA TARQUINI
Il parere negativo espresso non sulla qualità del candidato lussemburghese, ma per
protestare contro l’assenza di donne nel consiglio
Alla Bce esplode il caso quote rosa
Il Parlamento europeo boccia la nomina di Mersch nel board
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Rassegna Stampa del giorno 23 Ottobre 2012
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BERLINO
— Schiaffo dell’Europarlamento alla Banca Centrale Europea, in nome della pari opportunità. La commissione
economico- finanziaria dell’assemblea (Econ) ha espresso una plateale protesta contro l’assenza di donne al
vertice della Eurotower. Ha bocciato con “parere negativo di protesta” la nomina del lussemburghese Yves
Mersch, pur stimatissimo governatore della banca centrale del Granducato, a sostituire lo spagnolo Gonzalez
Paramo nell’esecutivo Bce. La bocciatura non è motivata dalle qualità del candidato, bensì dalla gender parity,
appunto la parità di chances di carriera di donne e uomini.
Ventuno sì, 12 no, 13 astenuti. Con questo responso da spaccatura è stata presa la decisione. Più volte,
spiegano gli eurolegislatori, abbiamo sollevato il problema della gender parity al vertice della Bce la più
potente e influente istituzione dell’Unione. Per cui anche nel mezzo della tempesta perfetta dell’eurocrisi
la Eurotower deve farsi carico del problema. Tra l’altro, continua la Econ, il Consiglio europeo non ha dato
risposte formali alla lettera inviata l’8 maggio scorso al presidente dell’Eurogruppo (il premier lussemburghese
Jean-Claude Juncker) che chiedava la nomina di una donna al posto di Gonzalez Paramo.
«Sono convinta che abbiamo preso la decisione giusta», ha subito detto a caldo la presidente della Econ, la
liberaldemocratica britannica Sharon Bowles, che tra l’altro è candidata a prossimo governatore della Bank of
England. «Noi contestiamo che la più potente istituzione europea venga guidata solo da uomini», ha aggiunto.
«Stiamo parlando di un cambio di cultura nel mondo dei servizi finanziari, non solo di gender parity».
Oggi toccherà al presidente dell’Esecutivo europeo, Herman van Rompuy, prendere posizione in aula. Giovedì
prossimo la raccomandazione negativa della Econ sarà discussa in seduta plenaria dall’Europarlamento. Il
quale così si arroga più diritti di voce in capitolo, in nome della legittimità democratica di un’Europa
politicamente sempre più unita. E in nome della gender parity, naturalmente. A Londra, da anni (Stella
Rimington fu la prima) vengono affidati a donne anche incarichi top secret come la guida del leggendario Mi5,
l’intelligence del mitico James Bond. Draghi e i suoi sono richiesti di adeguarsi al mondo dei gialli di Ian
Fleming, almeno quanto a pari opportunità.
*la Repubblica*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
di: SARA BENNEWITZ
Malacalza avverte Tronchetti
“Niente soldi, solo azioni Pirelli”
I paletti della famiglia genovese per uscire da Camfin
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MILANO
— Azioni Pirelli in cambio di titoli della controllante Camfin. Questo in buona sostanza sarebbe la soluzione
industriale che i Malacalza sarebbero pronti ad accettare, se Marco Tronchetti Provera avesse voglia di
risolvere la questione con gli azionisti genovesi in tempi brevi. Dopo un rapido contatto che risale ad alcuni
giorni fa, e che si è risolto in un buco nell’acqua, i due soci non si sono mai seduti ad un tavolo per trovare una
soluzione, né al momento risulta che ci sia una proposta di questo tipo. Ma secondo fonti attendibili, quando
erano emerse le prime divergenze tra i Malacalza e Tronchetti Provera, l’idea di scindere le attività di Camfin e
dare alla famiglia genovese direttamente in mano titoli della Bicocca, era stata rappresentata dagli advisor dei
due soci. Chi conosce i Malacalza è convito che la famiglia genovese non sia, e non sarà mai disposta ad
accettare un conguaglio in denaro per uscire dalla partita. Per una questione di principio e forti di un contratto
che gli conferisce anche dei diritti di governance in Pirelli, i Malacalza non vogliono barattare quello che loro
hanno sempre considerato un investimento industriale con una buonuscita in denaro. Pertanto, se anche
Tronchetti ha ricevuto diverse manifestazioni di interesse da parte di primari investitori istituzionali,
difficilmente riuscirà a sostituire gli azionisti genovesi trovando dei compratori per il loro 25% posseduto in
Camfin. A questo proposito non solo l’Investindustrial di Andrea Bonomi, ma anche il fondo Clessidra guidato
da Claudio Sposito, Jp Morgan e il fondo sovrano del governo di Singapore, si sarebbero fatti avanti per
entrare ai piani alti della catena che governa sulla Bicocca.
I modi per riconoscere ai Malacalza la loro quota parte di Camfin sono diversi, e il risultato che si ottiene
cambia a seconda di quale strada si intenda percorrere. La famiglia genovese controlla direttamente e
indirettamente attraverso Gpi il 25% di Camfin, che a sua volta detiene tra le attività il 26% di Pirelli e il 14% di
Prelios, a cui si aggiungono circa 400 milioni di passività. Pertanto, ipotizzando che sia possibile spartire
senza vincoli gli asset della holding, i Malacalza sarebbero titolari in trasparenza del 5,7% del gruppo degli
pneumatici, del 3,5% di Prelios e di 100 milioni di debiti. Se invece Camfin fosse considerata come un unicum
secondo il metodo del patrimonio netto, avrebbe una valutazione di 650 milioni, per cui la quota parte dei
Malacalza ammonterebbe a 162 milioni, che tradotti in azioni Pirelli corrispondo a circa il 4%. Ma prima di
trovare una mediazione sul quanto e come spartirsi Camfin, c’è bisogno che i due soci abbiano voglia di
sedersi a un tavolo e discutere il da farsi. I Malacalza in più occasioni hanno ribadito di voler difendere il profilo
industriale del loro investimento e di non essere intenzionati a vendere. Se quindi Tronchetti Provera volesse
sostituire gli azionisti genovesi con nuovi investitori, sarà costretto a valutare opzioni più complesse rispetto a
quella più semplice, vale a dire trovare qualcuno pronto a comprare quel 25% di Camfin in mano ai Malacalza.
*la Repubblica*
MARTEDÌ, 23 OTTOBRE 2012
di: GIOVANNI PONS
L’intervista
“Lavorare tutti, lavorare di più
i miei operai si tagliano le ferie”
Bertelli (Prada): fantasia, qualità, produttività è la ricetta anti-crisi
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Rassegna Stampa del giorno 23 Ottobre 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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MILANO— «Io e Miuccia teniamo molto all’Italia e riteniamo un dovere far crescere l’azienda assumendo giovani».
La quotazione di Prada alla Borsa di Hong Kong non ha distratto Patrizio Bertelli e sua moglie dalle responsabilità
assunte nel Paese dove sono nati e cresciuti. Nel momento in cui la Fiat non sta più investendo nella produzione di
automobili in Italia, sembra strano trovare un’azienda che scommette sulla mano d’opera ad alta qualità del nostro
Paese. E non si arrende nel vedere un sistema declinante e incapace di reagire. «Nel breve periodo l’unica strada
da intraprendere è quella di incrementare il turismo, i visitatori dall’estero per le meraviglie d’Italia. Ma come è
possibile che il ministero dei Beni culturali sia l’unico senza portafoglio, come fa a promuovere l’Italia all’estero
senza quattrini?». Domanda da girare al governo Monti considerando che lo stesso ministero dello Sviluppo
economico per le capacità di spesa dipende da quello dell’Economia, che tiene tutti a stecchetto. Bertelli,
scoppiettante come al solito, sta partendo per la Cina e venerdì sarà in Nuova Zelanda per il varo del nuovo
catamarano Luna Rossa che parteciperà alla prossima Coppa America. Ma intanto sta cercando di spingere la
produzione in Italia visto che la domanda per i suoi prodotti non accenna a diminuire.
Dottor Bertelli, Prada è nella invidiabile posizione di avere una domanda in aumento e di non riuscire a far
fronte con l’attuale produzione. Come farete?
«Abbiamo da poco chiuso un accordo con i sindacati interni all’azienda che prevede una riduzione delle ferie di 5
giorni all’anno per lavorare di più e guadagnare di più. In pratica un operaio con questo accordo si troverà una
busta paga più pesante di 400 euro e per questa ragione siamo soddisfatti. L’assemblea dei lavoratori ha dato il suo
assenso a procedere in questa direzione e noi siamo contenti di aiutare gli operai in un momento difficile. Speriamo
che anche altre aziende seguano questa strada».
Dal momento che spingete l’acceleratore sulla produzione in Italia non siete tra quelli che si lamentano per
il costo del lavoro troppo pesante?
«No, io non ho mai detto che il costo del lavoro in Italia è troppo alto. Il problema, a mio parere, è da inquadrare
diversamente: come si può innalzare la qualità della produzione e del lavoro a un costo sostenibile per le aziende.
È sempre più difficile produrre con qualità e con margini di profitto accettabili visto che il costo del lavoro assorbe
molte risorse e restituisce poco in termini di welfare e servizi pubblici ».
Questo discorso vale per tutte le aziende della filiera della moda o solo per voi?
«È chiaro che solo le aziende grandi e internazionalizzate possono sopportare un costo del lavoro alto mentre per
le piccole e medie imprese è un problema più grave. In Italia ci sono troppe produzioni manifatturiere povere che
non giustificano un costo del lavoro così alto oltre a una fiscalità che incentiva a evadere. In Germania e in Francia
è diverso».
A livello di organico state investendo in Italia o all’estero?
«Su entrambi i fronti. Dal dicembre 2010 a settembre di quest’anno siamo passati da 8.061 dipendenti a livello di
gruppo fino a 9.732 unità. La forza lavoro italiana nello stesso periodo è passato da 3.341 a 3.564 dipendenti con
un forte incremento nei negozi e nell’area corporate. Inoltre Prada ha il 79% di conferme di contratti da tempo
determinato a indeterminato contro una media italiana del 23%».
E a livello di retribuzioni Prada come si colloca nel panorama italiano e internazionale?
«Le retribuzioni medie del nostro gruppo sono del 30% più alte rispetto alla media del Paese. In un confronto
europeo sono addirittura più elevate di quelle francesi e tedesche, il doppio di quelle che si possono trovare in
Turchia e cinque volte più robuste rispetto alla Romania. Ma non abbiamo alcuna intenzione di spostare il know
how e le produzioni in Paesi con costo del lavoro più basso».
Dunque, anche dopo la quotazione a Hong Kong che vi ha permesso di abbattere i debiti, la vostra strategia
di sviluppo non cambia?
«La quotazione in Borsa ci ha soddisfatto pienamente, oggi il valore di Prada è salito a 15 miliardi di euro contro i
9,5 miliardi del giugno 2011. Siamo diversificati in 35 Paesi e vogliamo continuare ad aprire negozi di proprietà in
mercati interessanti, come Stoccolma, Copenaghen, Bruxelles oppure l’Azerbaigian. L’andamento delle vendite ci
conferma che ci sono benestanti locali disposti a comprare prodotti di qualità e noi vogliamo soddisfarli».
La Fiba-Cisl
Vi augura di trascorrere
una giornata serena
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domani 24Ottobre
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mppaa!!