L`attore Hugh Laurie trionfa in Tv come dottor House. Ma siamo

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L`attore Hugh Laurie trionfa in Tv come dottor House. Ma siamo
[LA COPERTINA]
DI GIULIA CERQUETI
È
scontroso e poco socievole, misantropo, indisponente, irritante e
privo di tatto perfino con i pazienti. Un carattere ostico, non
c’è dubbio. Eppure è un bravissimo medico, molto rispettato nel
suo ambiente – il reparto di medicina diagnostica di un ospedale del New Jersey di cui è primario – e un competente infettivologo che riesce a risolvere casi ai
quali gli altri medici non hanno
saputo dare risposte. Con i suoi
metodi clinici poco convenziona-
Italia, la seconda serie, trasmessa
su Italia 1 fino a novembre 2006,
si è chiusa in bellezza con più di
5.500.000 spettatori totalizzati
nelle ultime puntate e il 19%
di share che l’ha consacrato
uno dei più grandi successi
nella storia dei telefilm in
Italia. Ora, da gennaio
2007, è partita la terza serie, sempre su Italia 1.
Hugh Laurie, l’attore
britannico che interpreta
House, si sta godendo negli Stati Uniti quella sorta
L’attore Hugh Laurie trionfa in Tv come dottor House.
CON QUELLA
FACCIA
UN PO’ COSÌ
li e la sua faccia da duro un po’
tenebroso, il dottor Gregory
House ha stregato il pubblico
televisivo. Probabilmente proprio perché questo personaggio
eccentrico stravolge lo stereotipo tradizionale del medico compassionevole e comprensivo.
Negli Stati Uniti la prima puntata della prima serie di Doctor
House - Medical division ha registrato 7 milioni di spettatori. La
seconda serie si è aperta con 16
milioni di persone incollate allo
schermo. E la terza ha raggiunto la bellezza di 20 milioni. In
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Ma siamo sicuri che ci piacerebbe averlo come medico?
L’attore inglese
Hugh Laurie
(al centro)
con gli altri
protagonisti dei
telefilm dedicati
al dottor House
di “trattamento reale”
che gli è stato riservato per decenni in
Gran Bretagna,
dove è conosciutissimo per il suo lavoro di comico alla Bbc.
«Una sera sono andato con degli amici in un bar che, già dall’esterno, appariva stracolmo di
gente», racconta l’attore, «e io ho
pensato: non riusciremo mai a entrare. Invece, il gestore del locale
ci ha dato uno
sguardo e ha
esclamato:
“Venga da questa parte, signor Laurie, qui
c’è il suo tavolo, signor Laurie, siamo qui
per servirla”. E io mi sono detto:
Be’, forse la gente sta guardando
la Tv».
Con un’ottima istruzione alle
spalle, studi universitari di antropologia e archeologia a
Oxford e Cambridge nel curriculum, l’affascinante Hugh Lau-
rie in passato ha lavorato in teatro con la
bravissima attrice Emma Thompson. Oggi
è sposato (sua moglie
è architetto), ha tre figli e conduce una vita
tranquilla.
Nella serie televisiva
House è affiancato da altri personaggi: il dottor James Wilson, il
suo unico vero amico, la bella
dottoressa Allison Cameron, la
dottoressa Lisa Cuddy, il neurologo Eric Foreman e il dottor
Robert Chase, brillante esperto
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di terapia intensiva. Alcuni di loro hanno cominciato a cambiare
le vite degli attori interpreti. «In
casa ho due bambine», racconta
l’attore Omar Epps, che veste i
panni del dottor Foreman, «e se
una di loro adesso ha la tosse io dico: aspetta, so esattamente cosa fa-
re». E Jennifer Morrison, l’attrice
che interpreta
l’immunologa
Cameron, ammette che il suo
personaggio ha
preso un certo potere su di lei e sulla sua
vita: «Allison Cameron
mi aiuta a confrontarmi
molto di più con le persone
nella mia vita reale».
Una particolarità? Gregory
House ha subìto una frattura alla gamba destra, per questo cammina appoggiandosi a un bastone da passeggio e si imbottisce
di pasticche antidolorifiche, il
Vicodin. Se la schiavitù delle pillole finora è stata trattata come
una mera peculiarità del personaggio, presto sarà rappresentata come un vero e proprio pro-
blema di tossicodipendenza.
«House è un “drogato” e noi
vogliamo trattare questo problema con onestà», spiega David Shore, il creatore del Doctor
House. «Siamo consapevoli del
fatto che si tratta di un fenomeno molto vasto nella vita reale.
Le percentuali di dipendenza
fra i medici sono più elevate rispetto alla media della popolazione nel suo insieme, e noi non
potevamo semplicemente girare
intorno alla questione senza parlarne seriamente».
Tutti custodiscono dentro se
stessi dei lati negativi contro cui
combattere. Così, dietro la facciata dura e impenetrabile, il
dottore più antipatico del mondo – eccentrico anche nel rifiuto
di indossare il camice come tutti
i medici – rivela le sue profonde debolezze e mostra, finalmente, il suo volto più umano.
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HOUSE? NO, GRAZIE
MEGLIO L’INFERMIERA
Storia vera di un paziente vero in un ospedale vero
DI GIGI VESIGNA
S
incope: il giornalista si accascia sul computer proprio
mentre conclude il pezzo
che deve consegnare. La moglie,
per caso lì vicino, si accorge del
mancamento e tenta la respirazione bocca a bocca e momentaneamente lo salva. Fine della presentazione del telefilm e… mi sveglio
al pronto soccorso del più grande
ospedale della città.
Riacquistando i sensi mi aspetto da un momento all’altro di veder apparire quella carogna del
dottor House, o uno dei suoi assistenti: Foreman il medico di colore, Cameron la bella dottoressa
che, neanche troppo velatamente,
“punta” il misogino House, oppure Chase, bello, biondo e sciupafemmine. Invece di loro non c’è
traccia e il protagonista stavolta
sono io, in balia di efficienti medici che mi visitano, mi fanno un
sacco di esami e di lastre sinché
uno di loro mi dice serafico: «Lei
ha vinto un bel pace maker».
Penso che avrei preferito vincere
un pesce rosso al Luna Park ma
non è nel copione: così verso mezzanotte mi trovo in una camera a
tre letti, con una plafoniera che,
ad asse sugli occhi dei pazienti, risulta molto ma molto fastidiosa.
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DOTTOR HOUSE, CI SPIACE, MA I COLLEGHI ITALIANI LA BOCCIANO SU TUTTA LA LINEA
Dottor Ovidio Brignoli,
vicepresidente della Simmg (Società italiana
medici di medicina generale).
씰 È credibile il dottor House?
«Come personaggio di un telefilm sicuramente sì, visti gli ascolti anche in Italia. Dal
punto di vista pratico, direi proprio di no. Lui
in un batter d’occhio risolve situazioni cliniche drammatiche e
rimette in piedi pazienti con disturbi che nella realtà richiederebbero giorni o addirittura settimane per essere inquadrati.
Con questo intendo dire che l’approccio del medico è ben diverso in caso di problemi di salute: c’è una visita, c’è la richiesta di
esami che il dottor House difficilmente prescrive, insomma, c’è
un iter da seguire che permette di ottenere una diagnosi».
Dottoressa Teresa Petrangolini,
segretario generale di Cittadinanzattiva.
씰 Che cosa potrebbe pensare il paziente
italiano del dottor House?
«Indubbiamente porta avanti le sue opi16
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nioni con una sicurezza che fa quasi invidia e questo fa sentire bene il paziente, lo rassicura. Nella realtà, invece, molte
volte ci si trova in una situazione opposta. Ovvero, il medico
adotta una linea cauta per il timore di incorrere in problemi
legali e il paziente perde fiducia perché si sente abbandonato. È positivo anche quel suo approccio senza il camice che, a
ben pensarci, crea una barriera psicologica tra medico e paziente. Un difetto però c’è: non porta il cartellino di riconoscimento. Ma d’altra parte, lui è il dottor House».
Dottor Stefano Ottolini,
responsabile Area medica pronto soccorso
Istituto clinico Humanitas di Milano.
씰 L’approccio alla dottor House è entrato anche nella pratica clinica italiana?
«No, fortunatamente. Al di là delle capacità cliniche, il dottor House è troppo pieno di
sé e soprattutto gli mancano le qualità che deve avere il buon
medico: il sapere di lavorare in gruppo, la capacità di condividere le informazioni, l’empatia verso i pazienti e i collabora-
tori e l’umiltà di capire i propri limiti e quando hai bisogno
degli altri. Il dottor House dice che ha studiato per curare le
malattie, il medico vero ha studiato per curare invece i malati. E cioè deve “sapere, sapere fare e sapere essere”».
Professor Roberto Perricone,
docente universitario e direttore
della Clinica di reumatologia dell’Azienda
ospedaliera universitaria Policlinico
Tor Vergata di Roma.
씰 Pensa che gli studenti di Medicina potranno essere dei futuri dottor House?
«Non credo proprio. Cerchiamo di non dimenticarci che si
tratta di un personaggio creato “a tavolino” per ottenere telefilm di successo. Il suo modo di fare il medico non è esattamente quello che viene insegnato, credo neppure negli Stati Uniti.
Anzi, negli Usa in particolare l’insegnamento della medicina
avviene su “binari” ben standardizzati e nella pratica medica
quasi nulla viene affidato alla semplice intuizione di un medico, a differenza di come fa pressoché sempre il dottor House».
Dottor Fabrizio Pregliasco,
specialista di igiene e medicina preventiva
del Dipartimento di sanità pubblica
Istituto di virologia Università di Milano
씰 Il dottor House, secondo lei, è un personaggio ben ideato?
«Per chi è un medico, no. Il dottor House è un internista, ma agisce come se fosse superspecializzato in tutto, sa tutto di ogni branca medica. Questo è impossibile. Inoltre, anche a livello di gestione della sua attività non è realistico. Per fare qualche esempio: utilizza
terapie sperimentali senza chiedere permessi e applica
pratiche mediche non di sua competenza. Nella realtà
non è così. Ci sono specifici protocolli e regolamentazioni che assegnano i compiti in base alle competenze. In
una puntata andava a casa di una paziente per risolvere
un suo dubbio diagnostico e frugava nei cassetti in cerca
di certi farmaci, ma se da noi fai una cosa del genere ti denunciano. E poi non lo vedi mai coi guanti, il camice e lavarsi le mani…».
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ressa che con molta calma mi spiega quel che succede. La visita del
mattino è l’unico contatto con il
personale medico che, purtroppo, a causa delle vacanze di Natale e di Capodanno, comincia a
cambiare. Ogni giorno arriva un
medico diverso che aspetta correttamente il ritorno della “titolare”: intanto fraternizzo con i
Mi visitano, fanno un sacco di lastre finché un medico
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Mi “incatenano” a un monitor
collegandomi con una serie di
gommini adesivi che fanno la spia
non appena mi muovo, suonando
sinchè non arriva un’infermiera a
sistemarli. Solo allora mi rendo
conto che il dottor House non
c’entra perché nel suo modernissimo, pulitissimo Princeton Plainsoboro Teaching Hospital nel
New Jersey di infermiere non ce
ne sono o quasi e fanno tutto i medici. Inoltre ogni paziente ha la
sua stanza e anche la sua brava assicurazione sanitaria, altrimenti
addio cure. I pavimenti non sono
così lustri, le lenzuola mostrano
qualche buchetto e le coperte un
probabile effetto tarma. Meglio
così, penso, perché l’idea che in
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una stanza House e i suoi discettino
su quel che ho, cercando
tra le malattie più impronunciabili, ordinando esami dolorosi,
ipotizzando un contagio da lebbra, un possibile tumore, assalendoti con antibiotici per vedere se
funzionano, mi fa rabbrividire.
Però ogni notte sogno questi
agguati e solo all’alba, quando fuori è ancora notte fonda e mi vengono a svegliare rassicuranti infermiere, l’incubo svanisce. Sono lì
per un pace maker, quell’intervento che ha fatto anche Berlusconi, riapparendo dopo una non
lunga assenza più pimpante e galante che mai. Una sciocchezza,
roba da cinque giorni di degenza,
mi dicono tutti. Intanto però mi
becco una broncopolmonite, un
versamento di pleurite, una brutta faringite, mi viene la febbre, i
globuli bianchi aumentano e l’intervento non si può fare.
Vedo ogni mattina una dotto-
stra. L’indomani sento profumo
di casa, ma la febbre rimane e così, dopo il Natale, mi tocca anche
la notte di San Silvestro.
L’infermiera tiene fede alla sua
promessa. A mezzanotte ci sono
lenticchie e cotechino, uva e panettone e, naturalmente, champagne e spumante che ciascuno
dei pazienti s’è procurato. E an-
che chi non si può muovere dal
letto riceve un pezzetto di dolce e
un sorso di spumante. Certo le differenze tra il feudo del dottor
House e questo ospedalone
non proprio luccicoso sono tante. Ma almeno c’è umanità, c’è calore, anche se le regole rimangono ferree e il personale è troppo ridotto. Però fa quello che può e an-
che quello che non potrebbe, magari mugugnando ma lo fa.
Il mio telefilm finisce con il ritorno a casa: tra qualche mese tornerò laggiù, con una certa ansia,
per un controllo ma non sarà più
un telefilm. Io da House non mi
farei curare: la sua curiosità, la
sua “tigna” di guarirti ora mi fan왎
no paura anche in Tv.
dice: «Complimenti, lei ha vinto un bel pace maker»
“coinquilini” e faccio amicizia
con le infermiere. Chiudono un
occhio se i parenti vengono anche
fuori orario e confesso che a loro
devo molta riconoscenza perché
senza le visite di mia moglie, i giornali, le telefonate all’alba e per dirci buonanotte, la “prigionia” sarebbe pesata molto di più.
Le infermiere, dunque: una giovanissima che praticamente è entrata lo stesso giorno del mio ricovero mi chiede se, da giornalista, posso dare un’occhiata alla
tesina che ha preparato per l’esame finale; un’altra, mi fa leggere
delicate poesie che, credo, meriterebbero una pubblicazione. E poi
c’è l’infermiera più anziana, anche se è ancora giovane e molto
bella, che sa infonderci fiducia.
Sta organizzando una festicciola
per l’ultimo dell’anno e le confermo che ci sarò.
Poi un giorno, all’ora di pranzo, torna la “mia” dottoressa e
mi chiede se me la sento di esser
operato tra un paio d’ore. Certo
che me la sento. La sala operatoria è la prova che il dottor House e i suoi sperimentatori da fiction non hanno prevalso. Niente
intubazioni, nessuna necrosi, sarcoidosi, antrace, dermatiti, biopsie. La diagnosi era : pace maker e
l’apparecchio mi viene inserito
sotto pelle, praticandomi una “tasca” nel torace sotto la spalla siniCLUB3
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