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CULTURA
Corriere della Sera Giovedì 28 Luglio 2016
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#
Gli operatori economici
«È l’ora di fare sistema
senza cedere al richiamo
dei campanilismi»
di Elisabetta Andreis
La parola d’ordine che arriva dal mondo degli
industriali e dei commercianti milanesi è
«Fare sistema, adesso. E non lasciarsi
andare a trionfalistici campanilismi che
porterebbero danno». Lo dice Antonio
Calabrò, vicepresidente di Assolombarda. E
lo ribadisce Alberto Meomartini, omologo in
Camera di Commercio: «La scelta degli
editori conferma la capacità di Milano e della
Fiera di proporsi con successo come gestori
Antonio Calabrò,
vicepresidente
Assolombarda
di un grande evento , ma Torino non deve
essere penalizzata», raccomanda. La strada
da seguire: «Moltiplicare gli eventi e creare
sinergie tra le due città, sull’esempio di
MiTo». È urgente cercare una soluzione
condivisa che «porti ricchezza a tutto il
territorio, aumentando il numero dei lettori».
Come dire: se Torino manterrà una sorta di
«Salone» coi piccoli editori e a Milano ci sarà
la «grande» kermesse, l’importante sarà
giocare sul coordinamento e la crescita
complessiva. Cruciale poi, aggiunge Calabrò,
«evitare qualsiasi rischio di
cannibalizzazione», anche rispetto a
BookCity che per cinque anni, in autunno, ha
invaso la città con eventi originali,
coinvolgendo il mondo editoriale, la filiera
del libro, le istituzioni e anche molti volontari.
«Dal suo successo, che continuerà, è anzi
indispensabile imparare». © RIPRODUZIONE RISERVATA
Feltrinelli guida il fronte dei 7 no
ma chiede un «piano condiviso»
L’assessore Del Corno
«Pronti a
condividere
un modello
vincente»
E/o lascia l’associazione: è subalterna. E c’è chi invoca l’esempio MiTo
Scettici
di Alessia Rastelli
N
 Ernesto
Franco (in alto),
direttore
editoriale della
casa editrice
torinese
Einaudi (Foto
Vittorio La
Verde/ Agf):
nella votazione
dell’Aie si è
astenuto
 Marco
Zapparoli (al
centro),
fondatore e
direttore della
milanese
Marcos y
Marcos: ha
votato contro il
progetto di
Associazione
italiana editori
e Fiera Milano
 Marco
Polillo (in
basso),
fondatore di
Polillo Editore,
già alla
presidenza
dell’Aie: ha
votato no alla
proposta della
associazione
degli editori
o a prove di forza, alla
logica di una città
contro l’altra, al metodo dell’aut aut, al rifiuto di concedere un altro po’
di tempo per mediare. Non sono pochi gli editori che ieri
mattina, durante un Consiglio
generale dell’Aie durato 3 ore e
descritto come «molto teso»,
hanno scelto di non votare per
il progetto di promozione del
libro, gestito dalla stessa Associazione italiana editori e da
Fiera Milano, che ha come
punto chiave una manifestazione nel capoluogo lombardo
a maggio. Sette i «no», 8 gli
astenuti (in totale 15, contro 17
«sì»), distribuiti in modo trasversale tra grandi e piccoli
marchi. Cui si aggiungono editori come e/o, che annuncia
l’uscita dall’Aie denunciandone la «subalternità ai grandi
gruppi milanesi», e Lindau,
che minaccia di lasciare l’Associazione e si prepara a raccogliere in un coordinamento chi
sostiene il Salone di Torino.
Contro il «piano-Milano»
votano uno a uno, per chiamata, Gianni Cicognani (Principato), Carlo Gallucci, dell’omonima casa editrice, Ulisse Jacomuzzi (Sei), Agnese Manni
(Piero Manni), Alessandro
Monti (Feltrinelli), Marco Polillo, ex presidente dell’Aie
(Polillo Editore), e Marco Zapparoli (Marcos y Marcos). Tra
gli astenuti, Ernesto Franco di
Einaudi, Giovanni Hoepli, Irene Enriques di Zanichelli, Andrea Angiolini del Mulino, Benedetta Torrani di Nottetempo
e Luigi Trevisini della casa editrice che porta il suo nome.
La posizione di Feltrinelli è
chiara già prima del Consiglio,
espressa in una nota in cui si
sottolinea che è necessario
prendersi «il tempo di un progetto condiviso». Il documento riconosce i passi avanti di
Torino, insieme con gli sforzi
del governo e degli investitori
privati, così come la capacità di
«fare le cose» dimostrata da
Milano con Expo e il Salone del
Anselm Kiefer (1945), Breaking of the vessels (1990, installazione)
mobile. Ma, conclude, bisogna
escludere prove di forza: «La
questione va affrontata con la
lungimiranza di capire se esiste un progetto organico pluriennale che sappia valorizzare
quanto il Paese (Milano e Torino in primis, ma anche Mantova, Pordenone, Roma, eccetera) ha fatto negli ultimi anni,
integrando e non dividendo».
Dialogante pure Zapparoli:
«Il mio non è un voto contro
Milano ma un appello a mantenere il tavolo con Torino».
«Perché non pensare a un ToMi sul modello di quanto già si
fa, in ambito musicale, con il
festival MiTo?», propone. E si
augura che il «conflitto» in se-
no all’Aie sia «sano», utile a fare in modo «che una manifestazione non uccida l’altra».
«Ci sono state poste 2 opzioni
rigide, non si è voluta verificare davvero la possibilità di integrarle», aggiunge Cicognani.
Poco indulgente l’analisi di
Gallucci: «È un dato di fatto
che l’Aie sia spaccata. Vincere
per pochi voti — riflette — è
come vincere ai rigori». Ma anche lui non si arrende. «L’evento milanese potrebbe diventare un potenziamento di BookCity — suggerisce — lasciando che il Salone di Torino si
svolga a maggio. Continuo a
pensare che non si possa andare così caparbiamente al muro
contro muro». Spostare la data
della manifestazione lombarda sembra però difficile perché non ci sarebbero — è la
motivazione ufficiale — disponibilità alternative nel calendario di Fiera Milano. «Gli editori
hanno voluto un evento in cui
essere protagonisti ma già la
data ci viene imposta da qualcun altro», nota Jacomuzzi.
Anche lui precisa che non ha
votato contro il progetto-Milano ma che il piano, «sicuramente interessante, va meglio
dettagliato». Nell’edizione del
trentennale, inoltre, non gli
sembrava «il momento di abbandonare Torino, cui, nonostante gli errori, si può dare ancora una chance».
Più spiccatamente pro Lingotto Agnese Manni, che si è
espressa collegata in videoconferenza da Roma. «Temo che
una fiera a Milano, dove hanno
sede i grandi gruppi, sia penalizzante per i piccoli editori»,
spiega. E aggiunge che «il nuovo evento potrebbe anche cannibalizzare manifestazioni per
noi importanti come Book Pride, la fiera dell’editoria indipendente che si tiene nella città lombarda in aprile». «Il progetto Aie-Fiera Milano ha dei
lati che apprezzo e altri meno»,
interviene Polillo. Ma non è
questo il punto: «È in contemporanea con la fiera al Lingotto
e trent’anni di storia non si cancellano». Da ex presidente degli editori, inoltre, assicura che
«a Torino gli editori non sono
mai stati trattati male» e «che
nessuno si è mai lamentato».
Avrebbe detto «no» anche
Nottetempo. «Ma il quesito
posto in Consiglio, niente affatto chiaro, chiedeva di scegliere tra un progetto per la
promozione nazionale del libro, che include la manifestazione milanese, e il Salone di
Torino. Non capisco — spiega
l’editore Andrea Gessner —
perché le due opzioni non possano andare insieme. Ed è solo
per non votare contro un principio di sostegno alla lettura
che ci siamo astenuti».
@al_rastelli
di Severino Colombo
S

La questione non va
affrontata
come
una
dimostrazione di
forza di
qualcuno
contro
qualcun
altro
ma con
un progetto
organico
pluriennale

Serve
integrare
e non
dividere,
agire come
un sistema
coeso,
con un
disegno
strategico
economico,
politico
e gestionale
Carlo
Feltrinelli
iamo pronti. Milano
risponde così, per bocca
di Filippo Del Corno
(nella foto sopra), assessore
alla Cultura del Comune, alla
scelta — da parte
dell’Associazione italiana
editori (Aie) — di Milano
come sede per una
manifestazione di
promozione del libro e della
lettura. «Il Comune è pronto a
condividere con tutti gli
editori e con Fiera Milano il
nuovo percorso di respiro
nazionale» ha dichiarato Del
Corno. Se il sindaco Giuseppe
Sala invitava, qualche giorno
fa, a un dialogo con Torino
(per non «rischiare di creare
un
conflitto»),
ora che l’idea
di un «salone
del libro» a
Milano
diventa reale,
occorre
andare nel
concreto. Del
Corno
propone di
partire dal
modello
Milano: «Un
format già di
grande successo che prevede
un ampio coinvolgimento
della città e di tutte le sue
componenti creative e
imprenditoriali». Del Corno
cita l’iniziativa BookCity che,
nata nel 2012, si caratterizza
per convolgere molteplici
realtà e luoghi (prossima
edizione dal 17 al 20
novembre). Un link tra il
futuro salone di Milano e la
formula vincente di BookCity
è stato fatto da Piergaetano
Marchetti (nella foto sotto),
presidente del Comitato
direttivo della manifestazione.
Che invita gli organizzatori a
sedersi attorno a un tavolo
«per un discorso tra pari».
Proprio come era accaduto
per la nascita di BookCity.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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 Il commento
I problemi sono altri, in Italia si legge poco
di Paolo Di Stefano
D
iciamolo, di questa triste discussione che
ci affligge da qualche settimana non si è
capito quasi nulla. Soprattutto non si è
capito il perché. Non si capisce con quale
programma e a quale scopo preciso
l’Associazione italiana editori si sia battuta con
tanto ardore e impegno per spostare a Milano il
Salone del Libro fondato a Torino nel 1988. Non
lo abbiamo ancora capito noi che osserviamo e
partecipiamo da anni al mondo dell’editoria, ma
il sospetto è che non l’abbiano capito bene
neanche gli stessi editori (esclusi i pochissimi
fieri combattenti di questa crociata). Dunque,
figurarsi che cosa avranno capito i lettori, gli
amanti del libro, i potenziali fruitori del futuro
Salone milanese (ovvero di quello che per adesso
è chiamato con la solita provinciale, e ormai un
po’ ridicola, formula anglofona MiBook,
ossessiva ripetitività proprio nel Paese di
Manuzio, inventore del libro e non del book).
Insomma quanti cuori avrà scaldato questo
dibattito estivo tra Milano e Torino, oltre a quelli
dei dirigenti dell’Aie? L’impressione è che si sia
trattato di una questione di politica delle
peggiori, cioè delle più opache e indecifrabili,
proprio intorno a un argomento (la cultura, la
lettura) che dovrebbe invece essere affrontato
con ben altra profondità e determinazione in un
Paese che legge pochissimo e che diserta le
librerie. Sarebbe stato ben più utile se l’Aie, in
questi anni di crisi, avesse messo la stessa
passione profusa a proposito del trasloco TorinoMilano, affrontando piuttosto temi seri come la
crisi culturale (che riguarda anche l’editoria),
l’assottigliarsi delle librerie indipendenti, le
difficoltà delle piccole case editrici di cultura, il
calo di interesse generale verso la lettura. Di tutto
insomma aveva bisogno il mondo italiano del
libro tranne che di una incomprensibile (e nel
migliore dei casi inutile) diatriba sulla sede del
Salone. Tanto più che con questa decisione di
imperioso autolesionismo (bulimico) si aggiunge
confusione alla confusione. A Torino che cosa
resterà? E BookCity, che a Milano si è imposta con
un suo tratto politico-culturale specifico e
apprezzabile, rimarrà inalterata? E BookPride, la
fiera dell’editoria indipendente (sempre
milanese)? E ora MiBook che cosa proporrà di
tanto innovativo rispetto a un appuntamento,
quello torinese, che in questi anni (nonostante le
gravi magagne economiche) ha creato una sua
tradizione internazionale di tutto prestigio,
solida e riconosciuta? E soprattutto, garantirà ai
piccoli editori quella stessa visibilità che ha
sempre assicurato Torino, dove davvero si andava
per visitare la più grande libreria italiana con la
sorpresa di trovare titoli introvabili durante
l’anno nei megastore? In un momento in cui i
piccoli temono legittimamente di rimanere
schiacciati dalle crescenti concentrazioni, c’era la
necessità di una nuova frattura? E infine: perché
la Buchmesse di Francoforte rimane a
Francoforte e nessuno si sognerebbe mai di
trasferirla a Berlino o a Colonia?
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