TRAUMATOLOGIA DELL`ARTO INFERIORE

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TRAUMATOLOGIA DELL`ARTO INFERIORE
2003-04-03
ORTOPEDIA
Sbob. Andrea Rossi
TRAUMATOLOGIA DELL’ARTO INFERIORE
Avviso: il professore da la sua disponibilità per il lunedì e giovedì pomeriggio per assistere ad artroscopie a
gruppi di due persone.
Le fratture di femore vengono suddivise in fratture dell’ estremo prossimale, fratture diafisarie e fratture
dell’estremo distale.
Dal punto di vista delle fratture dell’estremo prossimale del femore bisogna fare delle puntualizzazioni
epidemiologiche, anatomiche, cliniche, sulle indagini strumentali ed infine per quanto riguarda la clinica.
Dal punto di vista epidemiologico questo tipo di frattura ha ed avrà in futuro sempre maggior rilevanza. La
popolazione sta invecchiando e presenta l’osteoporosi, perdita del tenore calcico associato ad un’alterazione
microstrutturale delle trabecole ossee: l’osso, quello a particolare velocità di rimaneggiamento, l’osso
epifisario, l’osso spongioso, è quello che più facilmente va in contro ad osteoporosi sia di tipo metabolico
(alla donna che va in menopausa viene a mancare lo stimolo estrogenico e osteopositivo) sia di tipo senile
per l’ invecchiamento. Tutti alla fine perdiamo osso e se la donna all’inizio ha un grosso picco di perdita di
massa ossea, a 80 anni la donna e l’uomo hanno perso lo stesso osso: la differenza è la velocità iniziale di
perdita che è di tipo ormonale. Il 50% delle giornate di ospedalizzazione di un pz con fratture sono dovute
alle fratture dell’ estremo prossimale del femore: tante persone si rompono il femore e la situazione tende a
peggiorare con l’invecchiamento della popolazione sia in termini di costi per le cure mediche sia in termini di
perdita di produttività dei pz stessi.
L’età: è più frequente nell’ anziano con un’ età media di 73aa e le donne si rompono con una frequenza
superiore di 3 volte rispetto agli uomini in assoluto, con una frequenza doppia se consideriamo la classe di
età.
Mortalità e morbilità: la frattura di femore rende una persona non autonoma, richiede un allettamento, un
intervento chirurgico, aumenta il rischio di trombosi e di embolie, di polmoniti, di decubiti e di infezioni
generali. Tali rischi si possono risolvere con un intervento chirurgico eseguito con celerità associato ad una
precoce immobilizzazione: operiamo per permettere ai pz di mettersi seduti in seconda giornata, in poltrona
tra terza e la quinta giornata e in piedi il più velocemente possibile.
Dal punto di vista clinico: il pz si presenta in pronto soccorso sdraiato, dolorante, con una mano portata sull’
inguine o sulla regione trocanterica, con l’arto inferiore più corto di quello controlaterale (mettendo un dito sul
malleolo mediale / tibiale di entrambi gli arti, il dito sull’arto fratturato sarà più in alto), con il piede dal lato
della frattura, che fisiologicamente ha un’ extra rotazione di 18°, molto più extra ruotato. Tele sintomatologia
non è sempre presente: ad es. demenza senile che non fa sentire il dolore oppure una frattura molto mediale
in cui l’accorciamento non è particolarmente evidente. Qual è la differenza tra tessuto osseo spongioso e
tessuto osteonico / compatto ? E’ la trabecolatura, ben visibile all’ RX. Le zone articolate ed epifisarie sono
costituite da osso spongioso / trasecolare per via dei carichi che vengono sopportati dalle diverse zone
dell’osso. Quindi l’ idrossiapatite e il calcio si dispongono secondo queste trabecole che sono delle linee
lungo le quali sono trasmessi i carichi, con un andamento ben preciso secondo le linee di carico. Tali linee
sono studiabili mediante l’ RX per vedere se si sono indeboliti, cosa che accade nell’ osteoporosi dove su
questi sistemi arciformi indeboliti si va a collocare la frattura. Le zone con poco calcio, le zone
osteoporotiche si presenteranno nere all’ RX (triangolo di Ward dove c’è la minima concentrazione di
trabecole ossee).
Capsula articolare e vascolarizzazione: noi parliamo di sistema prossimale del femore ma sostanzialmente
parliamo dell’ articolazione coxo-femorale, tra la testa del femore e l’acetabolo: è una diartrosi, perché
ricoperta di cartilagine jalina, è un’ enartrosi, perché 2/3 di sfera all’interno di una sfera cava. La capsula è
fondamentale per la classificazione delle fratture che ci permette di capire la natura della frattura, dare una
prognosi e scegliere il trattamento chirurgico di quella frattura. La testa del femore viene nutrita dall’ arteria
del legamento rotondo, arriva a livello prossimale dal legamento rotondo e attraverso esso penetra nella
testa del femore, di cui rappresenta il 15% della vascolarizzazione. La capsula arriva da laterale invece ,
racchiude il collo del femore, si porta fino all’anca e attraverso di essa passano dei vasi che lungo il collo
arrivano fino alla testa e la vascolarizzano per la maggior parte. Nell’ anziano l’arteria del legamento rotondo
è spesso obliterata, quindi la vascolarizzazione della testa dipende dai vasi capsulari laterali che arrivano
dalle circonflesse anteriore e posteriore che girano intorno al collo, a loro volta rami dell’arteria femorale. Se
c’è una frattura all’interno della capsula che rompe in due il collo del femore, i vasellini possono essere
interrotti non ossigenando più la testa del femore che è dunque destinata alla necrosi ischemica; da ciò
consegue che la frattura non guarirà, la testa collabirà con conseguente malacia della stessa che collasserà
e non sarà più in grado di sostenere il carico. Ecco perché bisogna operare. Tali arterie inoltre
contribuiscono al nutrimento della cartilagine articolare, che è un tessuto non vascolarizzato e non innervato,
attraverso il liquido sinoviale prodotto dalla membrana sinoviale che inoltre lava la cartilagine dai cataboliti.
La cartilagine è un tessuto costituito da cellule che si moltiplicano in maniera amitotica, quindi possiamo
trovare clusters cellulari di cellule binucleate che non si moltiplicano, quindi una lesione cartilaginea non ridà
cartilagine, dà modificazioni del carico che porteranno ad artrosi, malattia della cartilagine. Nel bimbo questi
vasi vascolarizzano l’epifisi prossimale in accrescimento mentre nell’adulto la testa del femore.
Allora la frattura dell’estremo prossimale del femore, intracapsulare, determina una lesione dei vasi
intracapsulari, necrosi, artrosi: quindi la lesione ha bassa probabilità di guarire perché il callo si forma prima
di tutto grazie all’ematoma, primum movens perché si verifichi tutta quella serie di processi biochimici e
cellulari con l’ arrivo degli elementi differenziati etc. etc. che porteranno al deposito di sali di idrossiapatite e
quindi poi la formazione del callo osseo. Il liquido sinoviale per le sostanze che contiene impedisce la
formazione dell’ematoma, spiegazione per cui le fratture intracapsulari hanno in sé il germe biochimico ed
ambientale affinché la frattura non guarisca e si rischi la necrosi dell’estremo più prossimale di questa
frattura. Quindi la domanda è: se una cosa è verosimilmente destinata a morire perché lasciarla? Non si
lascia. E invece le fratture laterali alla capsula, che stanno prima della capsula, le fratture che determinano la
rottura di una parte che non è all’interno della capsula che cosa faranno visto che i vasi sono lontani?
Questo è il motivo per cui noi suddividiamo le fratture dell’estremo prossimale del femore in mediali e laterali:
le mediali in capsulari, le laterali in extracapsulari. Le fratture laterali interessano la regione trocanterica, del
grande e piccolo trocantere. Tale distinzione è fondamentale per capire il tipo di trattamento da applicare a
tali fratture: intuitivamente se è mediale dovremo togliere la testa e ci vorrà una protesi, se laterale la
tratteremo con una osteosintesi.
Le fratture mediali si classificano in base all’altezza alla quale si viene a formare la rima di frattura: capitata,
sottocapitata, medio cervicale, basi cervicale. Pauwels ha fatto degli studi sull’inclinazione della rima di
frattura e ha visto che in base all’inclinazione la possibilità che questa testa si incastrasse nella dialisi era
diversa: maggiore l’angolo, maggiore lo scivolamento, minore era la probabilità di guarigione. Il trattamento
delle frattura intracapsulari sono le endoprotesi nelle quali metto tutto attaccato al femore senza toccare
l’acetabolo ( differenti perciò dalle artroprotesi) lasciando una parte sana e risparmiando un’ora di intervento.
Importante è la radiografia del bacino in quanto vi può essere la presenza di fratture della branca ischiopubica o ileo-pubica (ileo, ischio e pube si riuniscono nella cartilagine psilonica sul fondo dell’acetabolo) che
danno dolore ma hanno come conseguenza solo eparina a basso peso molecolare sottocute, analgesici, 2
settimane a casa a letto, 2 settimane letto-poltrona, lastra di controllo dopo un mese.
Immagini di endoprotesi: stelo all’interno del canale femorale, colletto, testina, rivestimento in polietilene che
è radiotrasparente, sopra una testa metallica infilata nell’acetabolo. E’ un’endoprotesi biarticolata perché c’e
una testina all’interno della testa metallica che a sua volta si articola con l’acetabolo. Da tener presente che
se la frattura è composta e la rima non ben visibile in un paziente giovane si prova l’intervento col
posizionamento di viti risparmiando se tutto andrà bene la testa del femore ed evitando un’endoprotesi dalla
durata non ben definita.
Le fratture laterali non dovrebbero a regola interessare i vasi che vanno alla testa del femore, con un rischio
di necrosi quindi molto molto limitato; interessano invece la regione del grande e piccolo trocantere.
Le fratture che attraversano il trocantere sono definite pertrocanteriche. Se dalla regione trocanterica si
portano al di sotto sono definite per-sotto-trocanteriche. Se invece si trovano al di sotto della regione
trocanterica ma non ancora a livello della dialisi sono chiamata sotto-trocanteriche.
Classificazione di Boyde-Griffin: tipo I: dal grande al piccolo trocantere; tipo II: grande e piccolo trocantere
con più rime di frattura; tipo III: rime di frattura pertrocanteriche e sottotrocanteriche; tipo IV: dalla regione
trocanterica scende distalmente.
Il trattamento delle fratture laterali prevede l’uso di viti e placca o chiodo gamma. ( Vitone entra nel collo
ancora la testa e l’avvicina, placca che ancora il vitone alla placca e la placca è ancorata al tutto per mezzo
di viti sulla diafisi femorale : questo sistema ricompatta la frattura, blocca tutto e permette al paziente di
rimettersi in carico, cioè di alzarsi in piedi e camminare) Vengono descritte altre immagini: trazione
transcheletrica transcondiloidea, un chiodo di 2.5 / 3 mm nel femore , legato ad una staffa legata ad un
baldacchino in modo tale che tirando si riesce a ridurre la frattura per poi passare all’intervento chirurgico.
Chiodi gamma ovvero chiodi endomidollari con due viti per bloccare la diafisi in modo che sia stabile, per
sintetizzare le fratture sotto-trocanteriche o anche per le pertrocanteriche, in quelle fratture in cui c’è bisogno
di una tenuta importante perché riduce il braccio di leva ovvero lo stress sul chiodo stesso.
Lussazione dell’anca: meccanismo è di tipo traumatico, una violenta sollecitazione trasmessa lungo l’asse
del femore. Ad esempio incidente frontale violento, viene colpito il ginocchio che spinge posteriormente la
testa del femore, il quale forza nell’ acetabolo che può far due cose: o saltar fuori, o spaccare l’acetabolo e
lussarsi posteriormente, realizzando così non una lussazione pura ma una frattura lussazione, che è più
frequente.
Cosa fa la testa del femore uscendo dal cotile? Un disastro. Sono traumi ad alta energia,traumi della strada,
è una frattura dei ragazzi giovani oppure incidenti del lavoro.
Complicanze: frattura del cotile, frattura del femore, lesione del nervo sciatico,necrosi asettica tardiva,
irriducibilità per la presenza di qualche frammento tra la testa e l’acetabolo. Il pz viene portato in sala
operatoria, viene addormentato ( sempre sotto narcosi perché è un dolore allucinante e il pz può andare in
contro a shock vagali che possono dare arresto cardiaco) e si riduce la frattura: se l’anca va dentro, bene, se
non va significa che c’è qualche pezzettino. A questo punto possiamo o aprire l’articolazione e vedere dov’è
questo pezzettino o aprire e stabilizzare il tutto o lasciare così. Per quanto riguarda la necrosi asettica
succede la stessa cosa che per una frattura mediale di femore, ossia la rottura dei vaserellini che vanno alla
testa del femore: il problema vero è che sono pazienti giovani di 20, 30, 40 anni e attivi. Spesso inoltre la
composizione della frattura dà come risultato una morfologia dell’acetabolo che non è la stessa di prima e
ciò significa che i carichi non saranno gli stessi di prima: i carichi precedentemente distribuiti su una certa
superficie ora verranno distribuiti su una superficie più piccola. Ne consegue un ipercarico che darà una
ipersollecitazione della cartilagine che col tempo si danneggerà facendo il primo passo verso l’artrosi. Quindi
se non metteremo la protesi ad un ragazzo perché non ha la necrosi della testa gliela metteremo comunque
dopo 10 anni perché si presenterà l’artrosi, non primitiva ma secondaria, post-traumatica.
Fratture diafisarie: riguardano la diafisi, età media 33aa, ciò significa che la frattura dell’osso compatto è
una frattura ad alta energia, mentre quella dell’ osso spongioso è a bassa energia. La sede è il terzo
prossimale al di sotto dell’istmo, il terzo medio(la più frequente) e il terzo distale. Sono esposte nel 20% dei
casi, c’è associazione con trauma cranico, frattura della tibia omolaterale, emorragia da shock e in uno su
dieci bisogna chiamare il chirurgo. Per quanto riguarda il trattamento bisogna guardare il tipo di frattura e lo
stato del paziente (se politrauma, in emorragia, frattura di fegato, rottura di milza), l’età del pz, un conto se è
un bambino o un adulto. Nell’adulto si tende a trattare in modo cruento mentre nel bambino in modo
incruento; nell’adulto c’è maggior frequenza di fratture scomposte rispetto al bimbo proprio perché l’ osso ha
consistenza e plasticità diversa. Comunque il trattamento cruento in tempi rapidi permette una precoce
mobilizzazione e risolve le complicanze che deriverebbero da una lunga immobilità. Il trattamento prevede
una trazione transcheletrica perché favorisce la riduzione, fino ad 11 kg in trazione, associata ad
osteosintesi: il mezzo più utilizzato sono i chiodi endomidollari, poi usiamo i fissatori esterni in particolar
modo nelle fratture esposte. E’ da sottolineare l’importanza della doppia proiezione radiografica per valutare
lo spostamento posteriore dell’osso fratturato e l’entità della scomposizione, importante per valutare
eventuali lesioni a vasi e nervi come una dislocazione del nervo sciatico o una lesione dell’arteria femorale
che è un ramo terminale sia dal punto di vista anatomico sia da quello funzionale. Oltre al trattamento con un
chiodo endomidollare si può effettuare una stimolazione del callo osseo tra i 3 e i 6 mesi con uno stimolo
meccanico per far aumentare la produzione di osso: come si fa? Dando un minimo di movimento attraverso
la dinamizzazione del chiodo che permette un gioco di stantuffo sul focolaio di frattura: il chiodo è statico se
fissato con viti sopra e sotto, diventa dinamico se si toglie una vite. Così come è fondamentale perché la
frattura evolva in senso positivo far camminare il paziente sulla frattura perché il carico facilita la
distribuzione delle forze.
La frattura del terzo distale del femore: sono pz giovani che vanno incontro a cadute a ginocchio flesso,
a traumi ad alta energia, spesso sono politraumi oppure osteoporotici in quanto si parla di epifisi distale,
tessuto spongioso. Le fratture possono interessare i condili, fratture condiloidee, oppure fratture collocate al
di sopra dei condili, sopra- condiloidee. Possono essere extra-articolari, mono-condiloidee quando
interessano solo un condilo, bicondiloidee quando interessano entrambi i condili, oppure intra-articolari
oppure miste.
Per l’osteosintesi si possono usare un sacco di cose, delle placche, delle viti, dei chiodi o dei fissatori
esterni.
Per quanto riguarda la frattura di ginocchio il trattamento chirurgico è la scelta migliore perché permette di
affrontare in maniera corretta il focolaio di frattura, una precoce mobilizzazione e una rapida messa in carico,
anche se si aspetta a dare il carico in quanto zona articolare: importante è dunque la precoce
mobilizzazione in piscina, in bicicletta, in situazioni cioè che prevedono la mobilizzazione senza caricare
peso sul ginocchio. Fondamentale è evitare che i carichi siano distribuiti in maniera corretta, cioè non diano
un ipercarico che porterà all’artrosi, situazione non accettabile soprattutto in pz giovani. Nuovamente
vengono proiettate immagini: placche e viti per la riduzione dei condili che così hanno ripristinato il proprio
asse. Dalle immagini si evince un concetto importante riguardo le scomposizioni: le fratture non si
scompongono per fattori gravitazionali ma per la presenza di forze muscolari che attraverso i tendini tirano le
porzioni ossee.
La frattura della rotula è la più comune frattura del ginocchio, è un trauma diretto (es: caduta su uno
scalino), la più frequente è la frattura trasversale ( inserzione del quadricipite da una parte, tendine rotuleo
dall’altra, la rotula si scompone), solitamente scomposta, per cui c’è necessità di intervento chirurgico.
Segno clinico è l’impossibilità di sollevare la gamba in quanto la forza del quadricipite si risolve a livello della
base della rotula. La diagnosi viene fatta attraverso la lastra. Come le trattiamo? Con delle sintesi, con dei fili
metallici rigidi con dei cerchiaggi rotondi o dei cerchiaggi equatoriali oppure con l’uso delle viti.
Fratture del piatto tibiale: i 2/3 delle fratture del piatto tibiale (condili sui quali avviene il movimento dei
condili femorali) avviene per incidenti stradali o traumi sportivi, per trauma diretto (paraurti) o indiretto,
compressione sollecitazione varo-valgo, cioè un traumatismo in valgo spacca il laterale, un traumatismo in
varo spacca il mediale. La maggior parte è l’emipiatto laterale perché è più facile un traumatismo in valgo
per una questione di movimento in extrarotazione con il piede che rimane fermo. Problema è la
scomposizione in quanto l’epifisi è tessuto spongioso e quando si rompe si frantuma: quindi può capitare che
ripristinato il piatto tibiale non ci sia l’osso sottostante e allora è necessario prelevarlo dalla cresta iliaca e
metterlo li dove manca facendo un trapianto. Spesso si presenta una frattura frammentata, fino a 4
frammenti, oppure comminuta, oltre i 4 frammenti. E’ fondamentale ottenere il ripristino della superficie
articolare per evitare che l’articolazione lavori male e quindi intervenga artrosi di ginocchio. Trattamento:
incruento con uno stivalone gessato dalla radice della coscia fino al piede (la ginocchiera parte dalla radice
della coscia e arriva al di sopra dei malleoli, il pelvi-pedideo parte dall’ombelico prende l’anca fino al piede),
cruento mediante riduzione con sintesi, placche, viti e placche e viti a livello percutaneo ( le viti da spongiosa
hanno spire grandi, mentre quelle da corticale hanno spire più piccole ).
La frattura di gamba: è la frattura di ossa lunghe più frequente ed è la frattura che più frequentemente non
consolida. Può essere da trauma diretto od indiretto. Si classificano in biossee se vi è rottura sia di perone
che di tibia, a rima trasversale, a rima obliqua, del terzo distale, bifocali, con frammento a farfalla,
sconquasso (quando proprio è un disastro). I trattamenti possono essere cruenti o incruenti a seconda del
tipo di frattura, dell’età del paziente, della scomposizione, della parte di tibia interessata.
Le fratture del malleolo: sono molto frequenti ( interessano il malleolo laterale o peroniale, malleolo
mediale o tibiale, terzo malleolo che completa la superficie articolare tibiale posteriormente che si confronta
con l’astragalo e quarto malleolo, protuberanza tibiale anteriore ) e per la loro posizione sono spesso
associate a distorsioni di caviglia. A seconda dell’entità della frattura del malleolo decideremo se sintetizzarla
o meno, perché dipende dall’ interessamento articolare. Il trattamento può essere incruento, stivaletto
gessato, o cruento, con posizionamento di viti per ripristinare la superficie articolare per evitare sovraccarichi
dell’ articolazione che portano ad artrosi della stessa.
Le fratture di calcagno sono frequentissime nei defenestrati, nei tentati suicidi che si presentano con i
calcagni infossati. Dovuti a traumi diretti ad energia medio- alta, carichi assiali, cadute dall’alto. Il calcagno è
osso spongioso che sotto il carico si compatta ed è per questo difficilissimo ripristinare la morfologia normale
del calcagno. Il trattamento incruento prevede il gesso, quello cruento placche e viti. Questo tipo di frattura
dà problemi di deambulazione tremendi.
Nota: la lezione è stata impostata come lettura di una serie di lucidi e commento ad una serie di immagini
radiografiche (una novantina in tutto) che per il momento molto generosamente non ci verranno forniti.
Pertanto mi scuso per la qualità della sbobinatura nella quale ho cercato di inserire i concetti fondamentali
della lezione tralasciando gli sketch e le note di folkrore proposte dal Dott. Guerrasio. A’ regà ce tocca er
libbbro! Ciao mitttisci! Vostro Giampiè