Melone tipico delle Province di Ferrara, Bologna e Modena

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Melone tipico delle Province di Ferrara, Bologna e Modena
Melone dell’Emilia
Relazione storica
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Origine del melone e sua introduzione in Italia
Le origini del melone (Cucumis melo) sono antichissime, ma piuttosto
incerte. Secondo il naturalista Linneo e il suo collega De Candolle1, la
specie sarebbe originaria dell’Asia centrale, mentre secondo altri studiosi,
come David Levingstone, esploratore missionario scozzese (metà 1900),
potrebbe provenire dalle zone tropicali e sub tropicali dell’Africa, dalle
quali si sarebbe diffusa in seguito in India, in Cina e in tutto il Medio
Oriente,
giungendo
infine
nel
bacino
del
Mediterraneo2.
Solo
successivamente, da qui, sarebbe stata introdotta in America.
Sull’origine africana del melone, però depongono favorevolmente anche
le notizie fornite dal botanico Chevalier nel 1901, circa la presenza lungo
il Nilo di varietà simili a quelle coltivate in Europa, come anche le
ricerche di Schumacher e Thonning sul Cucumis arenarius, una varietà
ritrovata allo stato selvatico nelle regioni del Sudan occidentale, ed
assomigliante alle specie già coltivate in altre zone3.
Nel nostro Paese il melone sarebbe stato introdotto probabilmente nel I
secolo a.C., a seguito di scambi commerciali intercorsi tra l'Asia e il
bacino del Mediterraneo durante tutta l’età imperiale4, come dimostrano
alcuni dipinti raffiguranti poponi rinvenuti negli scavi di Ercolano.
Il primo autore a segnalarne la presenza in Italia denominandolo
melopepaes è Plinio, il quale racconta che il frutto era particolarmente
gradito all’imperatore Tiberio.
1
Linneo, medico e naturalista svedese vissuto dal 1707 al 1778, acquisì fama per le sue importanti scoperte botaniche
raccolte nei “Fundamenta Botanica” (1736) e “Genera Plantarum” (1737). Augustin P. De Candolle (1778-1841),
naturalista svizzero, fu docente di botanica a Montpellier e in seguito presso l’Università di Ginevra. Iniziò una grande
opera sistematica, “Regni Vegetabilis Systema Naturale”, tra il 1818 e il 1821 contenente un nuovo sistema di
classificazione botanica, portata a termine dal figlio Alphonse Louis Pyramus.
2
Poluzzi, Coltivazione del melone e del cocomero. Frammenti di storia, Marefosca, 2 settembre 1989, p. 19.
3
L.Uncini, “Coltura del melone e miglioramento genetico in Italia”, Agricoltura e Ricerca, anno X, numero 85, maggio
1988, pag. 13; L. Poluzzi, Coltivazione del melone e del cocomero, Frammenti di storia, Marefosca, 2 settembre 1989,
p. 19.
4
Poluzzi, Coltivazione del melone e del cocomero, p. 19.
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Da quel momento in poi le notizie che giungono a noi sulla presenza del
melone nel nostro Paese diventano scarse e frammentarie.
Di certo sappiamo che il re Carlo VIII, nel 1495, rimase così colpito dalla
qualità nel melone italiano, da importare alcune forme di Cantalupo
provenienti dal napoletano e dalla Sabina in Francia, dove la coltura fu
avviata con successo a partire dal XVI secolo5.
Nel 1859 il botanico Maudin scrisse una memoria sulle cucurbitacee
(famiglia botanica nella quale rientrano il melone, il cocomero, la zucca,
ecc.) pubblicata in Francia negli “Annali di scienze naturali”, nella quale
precisa che i meloni, nonostante le molte varietà presenti, erano soliti
essere distinti in due grandi categorie: i Cantalupo e i Retati. I primi,
considerati i migliori per sapore e profumo, furono portati in Europa, ai
primi del XV secolo, da alcuni missionari provenienti dai paesi asiatici e
diretti per l’appunto a Cantalupo, antico castello e residenza papale alle
porte di Roma. I Retati, di consumo popolare nei decenni a cavallo della
Seconda Guerra mondiale, sono invece, a differenza dei Cantalupo, di
sapore meno delicato e poco profumati, ma generalmente più rustici6.
In Italia il melone ha trovato condizioni ambientali ed economiche
favorevoli per svilupparsi in diverse forme: nelle regioni meridionali ed
insulari, ad esempio, sono preferiti i meloni vernini, a lunga
conservazione, mentre i meloni estivi si sono maggiormente diffusi nelle
regioni centrali e settentrionali.
5
6
Ibidem, pag. 13.
U. Lunati, “La situazione produttiva del melone in Emilia-Romagna”, anno X, numero 86, giugno 1988, pag. 89.
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Coltivazione del melone in provincia di Bologna, Ferrara e Modena
dalle origini ai giorni nostri
La coltivazione del melone nel territorio delle tre province di
Bologna, Ferrara e Modena è antica, rinomata e ricca di riferimenti
bibliografici (nonché artistici) che ne confermano la notorietà.
Le origini della sua introduzione sono incerte, secondo alcuni
risalenti al tempo dei Cesari.7 C’è da precisare, tuttavia, che
inizialmente il melone era coltivato unicamente nell’ambito dell’orto
familiare poiché la sua coltivazione “richiedeva la competenza di un
esperto ortolano ed era considerata una superflua abitudine
alimentare e terapeutica dei ricchi”8. Successivamente “i meloni,
originariamente piccoli frutti selvatici della grandezza di una mela
diventarono poi, nel corso dei secoli […], un frutto dalle molteplici
forme e sapori.”9
Tra i
riferimenti
più
antichi
sulla
coltivazione
della
cucurbitacea possiamo citare quelli del botanico bolognese Pier
Crescenzi, docente presso l’Università di Bologna fra il XIII e il XIV
secolo, il quale “nelle sue disamine relative a queste coltura illustra
aspetti teorici e partici di coltivazione che sono senza dubbio il frutto
di secolari esperienze”.10
Il Pier De Crescenzi, nella sua opera in materie di scienze
botaniche “Ruralium Commodorum” (1303), tratta “de melloni, cioè
poponi”, come di una delle tradizionali colture che del suo territorio.
7
L. Poluzzi “Coltivazione del melone e del cocomero, frammenti di storia”.
Secondo l’autore ai tempi dei Cesari la coltura era apprezzata “tanto che alcuni dignitari dell’età imperiale [volevano]
farlo coltivare in cassoni mobili per meglio proteggerlo dai rigori del clima”.
8
Idem, pag.20.
9
Idem, pag.20.
10
L. Poluzzi “Coltivazione del melone e del cocomero, frammenti di storia”.
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Di essi l’autore non fornisce soltanto il nome delle specie allora
presenti ma suggerisce anche i modi migliori per la degustazione.
“De melloni cioè poponi”
(Pier De Crescenzi)
“Li
Melloni
che
per
alcuni
li
chiamano
poponi
desiderano
somigliantemente terra & aere quale desiderano (…) i cocomeri. Ma
meno grassa e meno letaminata acciò che più saporosi e sodi divengano
e più tosto si maturino. Alcuni sono grossi e mangiansi maturi, ciè
quando cominciano a diventari odoriferi e gialli (…). Altri sono sottili e
molto lunghi & quasi tutti torti, i quali li chiamano melangoli e questi
appelliamo melloni, i quali si mangiano acerbi siccome li cedriuoli e
sono di uno medesimo sapore, ma sono meno freddi e più digistibili e
inperciò si dice che sono migliori dei cedriuoli. I melloni cioè poponi,
sono freddi e humidi nel secondo grado e quelli che sono dolci sono
temperatamente freddi.” 11
In piena epoca rinascimentale riferimenti alla coltivazione del
melone giungono dagli scritti di Cristoforo da Messisbugo (1557),
scalco rinascimentale alla corte ferrarese degli Este, il quale racconta
che il frutto era tra quelli più coltivati negli orti che sorgevano in città
ed in campagna12. Non solo: una curiosità, avvolta tra storia e
leggenda ma comunque significativa, è la presunta morte di Alfonso I
d’Este (duca di Ferrara, Modena e Reggio Emilia dal 1505 al 1534) a
causa di una indigestione di meloni13.
11
Ibidem.
“Agenda 1999”, Amministrazione Provinciale di Ferrara in collaborazione con Associazione Cuochi Estense di
Ferrara, Ferrara 1998.
13
U. Malù, “Ville e delizie del ferrarese”, Industrie Grafiche Ferrara, Ferrara 1972, pag. 132.
12
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Pochi anni più tardi, nel 1578, il ferrarese Marco Bussato
trasferisce il suo mestiere di potatore in un opera che verrà ristampata
fino al 1700: in essa viene esaltato il ruolo estetico degli alberi da
frutto, anche e soprattutto come fonte di diletto e piacere per i nobili
che li volevano per abbellire i loro giardini. L’autore fornisce una
dettagliata lista della varietà allora presenti e dedica molte pagine alle
cucurbitacee (meloni, cocomeri e zucche) consigliando la pratica di
“castrare” dette piante, cioè cimarle in modo da favorire la
formazione dei getti laterali14.
Andando avanti nei secoli leggiamo che nel 1644 il bolognese
Vincenzo Tanara pubblica l’esauriente trattato di agricoltura
“L’Economia del cittadino in Villa” nel quale fornisce indicazioni
sull’orticoltura e frutticoltura in base all’esperienza praticata nel suo
territorio di provenienza. Il Tanara suggerisce di coltivare, tra gli
ortaggi “da orto”, le seguenti tipologie: “asparago, assenzio, cardi,
cipolla, cocomeri, fagioli, finocchio, meloni, origano, fragole, salvia,
ruta, ecc.” ulteriore riferimento ad una particolare vocazione del
terreno allo sviluppo di questa cocurbitacea.15
Come accennato in precedenza, i riferimenti alla presenza di
coltivazioni di melone nel territorio non provengono, unicamente, da
fonti bibliografiche ma anche da interessanti testimonianze artistiche. E’
datata 1833 l’opera del pittore Angelo Lamma per il decoro della volta
della Sala Consigliare del Consorzio dei Partecipanti di San Giovanni in
Persicento (provincia di Bologna) nella quale l’artista raffigura i prodotti
tipici dell’agricoltura locale di allora: tra di essi spiccano, oltre al mais,
alberi di pesco e tralci di vite, anche i meloni.
14
Accademia Nazionale di Agricoltura, “Marco Bussato e l’agricoltura del tardo rinascimento”, a cura di A. Bignardi,
Estratto dagli annali, III serie, Vol. LXXVII, anno accademico 1965, Bologna.
15
AA.VV. “La frutticoltura emiliano-romagnola”, pag. 21
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Nella seconda metà dell’800 riferimenti alla presenza del frutto
nelle campagne modenesi si ricavano dagli scritti di G. Morselli in merito
alla storia del comune di Mirandola in provincia di Modena. Lo storico
racconta che nel 1862 si formò, alle porte della città, il sobborgo di
Francia Corta dove trovarono alloggio le famiglie più povere della città.
Nel descrivere gli stenti ai quali era sottoposta questa popolazione il
Morselli riporta che la povera gente campava “di espedienti, elemosine,
di qualche giornata lavorativa, della generosità di qualche buona
dama”16. E poi: “d’inverno si rubano le fascine e gli alberi in campagna
per fare un po’ di legna; in primavera e in estate si va a rubare un po’ di
frutta […] con qualche pannocchia di grano turco, con i cocomeri e i
meloni”17. L’informazione risulta essere importante ai fini della presente
relazione storica perché attesta una consolidata quanto mai abbondante
presenta del frutto sul territorio.
Ciò comporta, inevitabilmente, anche un suo utilizzo nella cucina
locale. Ed infatti il gastronomo modenese Carlo Vincenti, in una raccolta
di specialità culinarie locali risalente al 1850, riporta una informazione
riguardo ai meloni reperibili nella zona: “les melons (de Masse)
varitables cantaloups, sont les meilleurs de l’Italie; la graine,
recherchèe, s’exporta au loin, et le voyageur agronome fera bien de s’en
approvisionner”18.
A partire dai primi del XX secolo si cominciano ad avere dati
costanti sulla produzione di melone nelle tre province.
Con l’avvento del regime fascista, e la conseguente grande
opera di bonifica del Delta del Po del ferrarese, si cominciò a passare
da un’economia prevalentemente di sussistenza ad un’economia più
16
G. Morselli, “Mirandola 30 secoli di cronaca”, Centro Programmazione editoriale, Modena 1976.
Idem, pag. 139.,
18
Zibaldone di un gastronomo modenese, a cura di Orlando Zocca, Modena, Fiera del libro 1973, p. 19.
17
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rivolta al mercato19. Prima di tale intervento la realtà agricola locale
era estremamente frammentata (ecco spiegata la carenza di dati
attendibili sui quantitativi di melone prodotti) e le produzioni presenti
erano per lo più a carattere di autosufficienza. L’opera di bonifica
portò, attraverso il tempo, ad una graduale trasformazione delle
caratteristiche naturali dell’area interessata rendendo possibile
l’aumento dei livelli di produttività dei terreni attraverso l’apporto di
elementi di fertilità naturale o rimuovendo le cause che si opponevano
al progresso tecnico in campo agricolo20.
L’aumento della produzione non era limitato però solo al
ferrarese.
La sezione provinciale di Bologna dell’ISTAT, ad esempio, ci
riporta come le quantità prodotte in provincia siano passate dai
20.050 quintali del 1929 a 21.809 del 1930 ai 72.680 del 1931.21
Nel territorio del Persicetano, comune del bolognese dove
storica e di pregevole qualità è sempre stata la produzione di melone,
sappiamo che nella prima metà del 1900 “la coltura [del melone] era
riservata a pochi specialisti ortolani denominati ‘mlunaru’ i quali
destinavano la loro produzione ai consumi locali della campagna e
dei centri urbani vicini”22
Viceversa, sempre negli anni Trenta, nel Bosco della Saliceta,
località in provincia di Modena, era presente una melonaia di grande
19
Dal punto di vista economico la zona del delta padano era, fino a quel tempo, tra le più arretrate dell’Italia
settentrionale perché basata su di un’agricoltura estensiva. In seguito, grazie al prosciugamento delle valli e l’avvio di
un’agricoltura più specializzata, si assistette allo crescita del reddito medio pro capite e ad un più generale processo di
sviluppo sul piano sociale e civile (basti pensare che prima di allora il tasso di analfabetismo toccava l’80%).
20
M. Agrande, “Problematiche ed effetti degli interventi di bonifica”, in “La grande bonficazione ferrarese”, Consorzio
della Grande Bonificazione ferrarese, Ferrara 1987.
21
ISTATI, “La provincia di Bologna nell’anno decimo”, 1931.
22
“ Fra i primi coltivatori di Decima va ricordato il casato dei Bussolari ai cui membri nel corso delle generazioni
furono dati vari nomignoli quali: mlunaru, brandeln, sgaravlen; essi condussero un orto in Decima, presso il palazzo
“Poggeschi” ove coltivarono meloni […] a partire dalla metà del ‘700 fino all’inizio di questo secolo”.
L. Poluzzi, pag. 2.
Idem, pag. 20.
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importanza per l’economia locale: “la coltura a melonaia, praticata
intensivamente fino agli anni trenta da veri e propri maestri melonai,
poi per un certo periodo [fu] abbandonata. Il prodotto, che cresceva
bene in terreni argillosi, era molto apprezzato sui mercati locali e
non, e riapparve in modo massiccio subito dopo il disboscamento
[avviato in epoca fascista, n.d.r.], continuando in questo modo una
tradizione locale secolare”.23
Dal 1950 in poi i dati relativi alle superfici e alle quantità di
melone prodotto cominciano ad essere sempre più precisi e puntuali,
facilmente consultabili grazie ai censimenti dell’Istat.
C’è da dire, inoltre, che prima dell’opera di bonifica e del
conseguente miglioramento tecnologico in campo agricolo, il melone
veniva coltivato in consociazione con il cocomero o abbinato ad altre
colture tradizionali. Solo dal 1958 il melone verrà censito per la prima
volta singolarmente e differenziato quindi dal cocomero24.
A diffondere la cultura del melone quale prodotto di qualità e
dalle pregevoli caratteristiche nutrizionali hanno contribuito svariate
iniziative e pubblicazioni sull’argomento promosse dalle province,
dall’Assessorato all’agricoltura e dalle Camere di Commercio.
Grazie al “Compendio statistico della provincia di Bologna”
pubblicato dalla Camera di Commercio, veniamo a conoscenza del
prezzo medio all’ingrosso della produzione locale. I meloni
Cantalupo, nella pubblicazione denominati “poponi nostrani”, sono
venduti rispettivamente a: 182 lire nel 1968, 241 nel 1969, 220 nel
1970, 192 nel 1971 e 197 lire nel 1972.25
23
Idem.
V.V. Bianco, “La produzione del melone nel bacino del Mediterraneo”, in “Agricoltura e ricerca”, anno X, maggio
1988, pag. 8.
25
CCIAA di Bologna, “Compendio statistico della provincia di Bologna”, 1974.
24
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Negli anni ‘70 la particolare vocazionalità alla coltura del
melone del territorio ferrarese, spingeva la Regione Emilia Romagna, in collaborazione con Università ed Enti di Ricerca ad un
crescente numero di attività sperimentali ed alla creazione di apposite
liste varietali articolate secondo i tipi di coltivazione: lo scopo era
quello di aiutare i produttori nella scelta delle varietà di melone,
tenendo presente oltre alla produttività, altri elementi come la qualità
e la resistenza alle malattie26. E’ questo il periodo in cui il melone in
provincia di Ferrara comincia ad acquistare notorietà e rinomanza per
il gradevole sapore della sua polpa - conferito grazie alla salinità dei
terreni - avviandosi a rappresentare una notevole fonte economica
locale, e di prestigio e valore per i produttori ferraresi.
Dagli atti del Convegno su “La coltura del Melone in Italia”
(Verona 7 febbraio 1979) acquisiamo importanti informazioni in
merito all’area di produzione che si conferma, allora, la stessa di oggi:
“in provincia di Modena le zone maggiormente interessate sono
quelle a nord del territorio provinciale, facenti capo ai comuni di
Mirandola, S. Martino in Spino e Gavello, che si collegano con il
limitrofo territorio della provincia di
Ferrara”; “per quanto
riguarda Ferrara, oltre che nelle zone tradizionali facenti capo ad
una larga fascia di terreni in gronda al fiume Po che va dal comune
di Berra sino al Comune di Biondino, la coltura si è allargata alla
zona sublitoranea comprendente i comuni di Codigoro, Lagosanto e
parte di Iolanda di Savoia”; “infine per la provincia di Bologna la
massima intensità colturale si riscontra nel circondario della città di
Bologna […]e nelle zone di S. Giovanni in Persicelo e di Decima”.27
26
27
“Agricoltura e Ricerca”, anno X, numero 86, giungo 1988, pag. 5.
Atti del Convengo, “La coltura del melone in Italia”, Verona 7 febbraio 1979.
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Tabella I – alcuni dati relativi alla coltivazione di melone nel 198628
Annata
Provincia
Modena
Bologna
Ferrara
Emilia - Romagna
Superficie
1986
Produzione
Produzione
Esportazione (in
(Ha)
raccolta (Q.li)
media per Ha
Q.li)
400
290
640
1.830
99.000
92.800
122.348
450.948
(Q.li)
275
320
258
276,8
4.071
5.700
35.000
190.000
(valore nazionale)
Nel pieno degli anni Ottanta, come riportato in tabella I, le tre
province registrano una superficie complessiva destinata alla coltura di
melone pari ad oltre il 72% del totale complessivo regionale; anche per
quanto riguarda la produzione raccolta le tre province coprono il 70% del
valore complessivo regionale, mentre, per quanto riguarda la produzione
media per ettaro, il valore medio del territorio in questione supera la media
regionale (284 q.li contro 276 dell’Emilia-Romagna).
In questo periodo la qualità del prodotto comincia ad essere
apprezzata anche fuori dei mercati nazionali e, come dimostrato in tabella I,
nel 1986 l’esportazione di melone delle province di Bologna, Ferrara e
Modene è pari al 23% del quantitativo nazionale. I maggiori mercati di
destinazione sono i paesi europei e, in particolare, Germania, Belgio e Gran
Bretagna.29
Infine, nel 1987, viene organizzato a Ferrara il primo “Incontro
Nazionale sul melone”, promosso dall’allora Ministero dell’Agricoltura e
Foreste in collaborazione con l’Assessorato all’Agricoltura della regione
Emilia-Romagna: nei due giorni di convegno i relatori forniscono un quadro
aggiornato della situazione agronomica, produttiva e commerciale del
melone. Non a caso viene scelta, come luogo di svolgimento dell’evento, la
28
Fonte: dati ISTAT tratti da U. Lunati “La situazione produttiva del melone in Emilia-Romagna” anno X, numero 86,
giugno 1988, pag. 90.
29
Idem.
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città di Ferrara, a rendere il giusto onore alla provincia che da sempre ha
registrato le punte produttive più elevate di tutta la regione e dell’Italia
settentrionale30.
Per brevità non riportiamo i dati dagli anni ’90 in poi relativi alla
presenza del melone nelle province di Bologna, Ferrara e Modena, avendo
voluto appositamente porre una maggiore attenzione all’aspetto storico della
sua presenza sul territorio.
Il rapido esame delle annate produttive fin qui proposto, seppure
incompleto in quanto basato unicamente su censimenti ufficiali che
tralasciano la consuetudine produttiva diffusa negli orti familiari, fin dal
1300, ha cercato di mettere in evidenza il valore della produzione del
melone tipico nelle tre province, facendo emergere il senso di continuità che
la produzione ha avuto nel corso di oltre 700 anni.
Il valore economico della produzione del melone tipico nelle province
in questione non è dato unicamente dalla vendita del prodotto allo stato
fresco, ma anche dalle attività di trasformazione alimentare che nel corso
tempo si sono diffuse nel territorio favorendo l’affermarsi del prodotto
locale come “prodotto tipico”, con tutti i conseguenti vantaggi sul piano
economico e commerciale.31
La presenza del prodotto sul territorio è confermata, infine, anche dalle
numerose sagre e manifestazioni che si organizzano da più tempo sul
30
“Agricoltura e ricerca”, anno X, maggio 1988, pag. 63.
Tra le attività di trasformazione segnaliamo alcune esperienze innovative nate sul territorio: nel 1920 Giulio
Colombani fondò una piccola rivendita di marmellate e frutta mista, localizzata nel comune di Portomaggiore, cuore
dell’area produttiva del melone tipico ferrarese. L’attività si espanse rapidamente allargando la gamma dei prodotti
lavorati alle macedonie miste fino al succo di frutta “Jolly” del 1952 che rese celebre l’Azienda. Sebbene recenti
sviluppi della ditta Colombani abbiano visto l’acquisizione (nel 1996) delle unità produttive da parte del Consorzio
Conserve Italia e il trasferimento degli stabilimenti a Bologna, è stata mantenuta inalterata la zona di
approvvigionamento della materia prima, che come sempre e localizzata in gran parte dalle campagne ferraresi.
Ultimamente anche altre aziende agricole hanno avviato con successo attività di trasformazione del melone, ed in recenti
iniziative, quali l’edizione 2002 del “Sana” di Bologna, è stata lanciata la prima produzione di confettura di melone da
parte di un’azienda agricola modenese che, su esplicita precisazione, impiega unicamente meloni ferraresi per realizzare
un prodotto di qualità
31
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territorio. Fin dal 1989 si celebra a San Matteo di Decima la sagra del
Melone e del Cocomero (“La cucòmbra”) strutturata in tre giornate durante
le quali le degustazioni del prodotto si alternano alle rivisitazioni di antichi
giochi della tradizione rurale locale; nel modenese, rinomata è la “Sagra del
Melone” che si celebra a Mirandola nel mese di luglio, luogo storico di
produzione; infine, dal 1994, si segnala la “Fiera del Melone e del
Cocomero” (Luglio) nel comune ferrarese di Pomposa di Codigoro.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Testi utilizzati per la parte generale:
1) “Alimentazione e cultura nel Medioevo”, Massimo Montanari, edizioni
Laterza.
2) L. Poluzzi, Coltivazione del melone e del cocomero, Frammenti di
storia, Marefosca, 2 settembre 1989, p. 19.
3) V. Tanara, “L’economia del cittadino in villa”, Consorzio nazionale per
il credito agrario di miglioramento, Bologna 1983.
4)
“Il villano dirozzato”, Cultura società e potere nelle campagne
romagnole della Controriforma, E. Casali, La nuova Italia, 1982.
5) “Italian fruit and vegetables directory”; Istituto Nazionale per il
Commercio Estero, Verona 1999.
6) “L’economia del cittadino in villa”, riedizione promossa dal Consorzio
Nazionale per il credito agrario di miglioramento, Bologna 1983.
7) “Le campagne emiliane nel Rinascimento e nell’Età barocca”, A.
Bignardi, Arnaldo Forni editore, Bologna 1978.
8) “La grande bonifica ferrarese”, Consorzio della Grande Bonifica
Ferrarese, Ferrara 1987.
9) Atti del convegno su La coltura del melone in Italia, Verona 7 febbraio
1979;
10) Istituto geografico De Agostini, Enciclopedia della Geografia, Novara
1996;
11) V.V. Bianco, “La produzione del melone nel bacino del Mediterraneo”,
in “Agricoltura e ricerca”, anno X, maggio 1988;
12) “Speciale melone”, in “Agricoltura e ricerca”, anno X, maggio 1988,
pag. 63.
13) L. Trentini, “Orientamenti varietali per la coltura del melone con
particolare riferimento all’Emilia Romagna”, Agricoltura e Ricerca,
anno X, numero 86, giugno 1988, pag. 61
14) U. Lunati, “La situazione produttiva del melone in Emilia-Romagna” in
“Agricoltura e ricerca”, anno X, giugno 1988;
15) “Agricoltura e ricerca”, anno X, maggio 1988, pag. 63;
16) “Agenda 1999”, Amministrazione Provinciale di Ferrara in
collaborazione con Associazione Cuochi Estense di Ferrara, Ferrara
1998.
Testi di riferimento per la Provincia di Ferrara:
Relazione st Melone Emilia rev4.doc
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M. Agrande, “La grande bonifica ferrarese”, “Problematiche ed effetti degli
interventi di bonifica”, in “La grande bonficazione ferrarese”, Consorzio della
Grande Bonificazione ferrarese, Ferrara 1987. Consorzio della Grande
Bonifica Ferrarese, Ferrara 1987.
2. “La Pianura”, Rivista economica della Camera di Commercio Industria ed
Artigianato di Ferrara; articoli trattati:
Ferrara, via della frutta; n. 12, dicembre 1965:
“Consuntivo dell’annata agraria”; n. 4, 1977;
La geografia del cocomero e del melone; n. 3, 1982.
“Marco Bussato e l’agricoltura ravennate del tardo rinascimento”,
Accademia Nazionale di Agricoltura, a cura di A. Bignardi, Estratto
dagli annali III serie, vol. LXXVII, Bologna 1965.
“Speciale melone” parte 1-2, in “Agricoltura e Ricerca”, anno X, numeri
85-86, maggio-giugno 1988.
“Viaggio intorno ai prodotti agricoli e alimentari di qualità italiani”,
AGER- Coldiretti, Tellus, Roma 2001.
“Ville e delizie del ferrarese”, Ugo Malù, Ed. Industrie grafiche Ferrara,
1972;
“Agenda gastronomica estense”, anno 1996.
U. Malù, “Ville e delizie del ferrarese”, Industrie Grafiche Ferrara,
Ferrara 1972;
Accademia Nazionale di Agricoltura, “Marco Bussato e l’agricoltura
ravennate del tardo rinascimento”, a cura di A. Bignardi, Estratto dagli
Annali, III serie, Vol. LXXVII, anno accademico 1965, Bologna.
Pier De Crescenzi, Ruralium Commodorum – Libro XII, capitolo C.
LXXI, Firenze, 15 luglio 1478.
1.
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3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Testi di riferimento per la Provincia di Bologna:
1. Dr. Stefano Cantori, La produzione e commercializzazione del cocomero
e del melone nella provincia di Bologna, A.A 1985-86;
2. Pier De Crescenzi, Ruralium Commodorum – Libro XII, capitolo C.
LXXI, Firenze, 15 luglio 1478.
3. “La Provincia di Bologna nell’anno decimo” (1931). Fonte: Istituto
Centrale di Statistica, 1931.
4. L. Poluzzi, Coltivazione del melone e del cocomero. Frammenti di
storia, Marefosca, 2 settembre 1989.
Testi di riferimento per la Provincia di Modena:
Relazione st Melone Emilia rev4.doc
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1. Zibaldone di un gastronomo modenese, a cura di Orlando Zocca,
2.
3.
4.
5.
Modena, Fiera del libro 1973;
G. Morselli, Mirandola, 30 secoli di cronaca, Centro
Programmazione editoriale, Modena, dicembre 1976;
R. Torelli – A. Turco, Il bosco della Saliceta. Cronaca e
immagini, a cura delle biblioteche comunali di Camposanto,
Cavezzo, Midolla, S. Prospero, 1980, cap. VI;
“Relazione del Comizio Agrario di Modena per l’anno 1904, tratta
da “L’agricoltura modenese” (anno XXXIV) n. 1-2-3 -15-31
gennaio
15
febbraio
1905,
p.
3-6
(http://www.agrimodena.provincia.modena.it/statprezzi.html).
Provincia di Modena, Servizio Provinciale Agricoltura e
Alimentazione, annata agraria 2000, p. 12.
(http://www.agrimodena.provincia.modena.it/statistica/annataagrar
ia2000.pdf).
Relazione st Melone Emilia rev4.doc
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