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Crisi economica e sicurezza in Africa | 1
di Maurizio Murru
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La riduzione delle risorse disponibili e l’accentuazione delle già
enormi diseguaglianze fra gruppi sociali, etnici, religiosi, regionali,
potrebbe portare all’esplosione di nuovi conflitti o al riacutizzarsi di
quelli già esistenti.
Il 16 marzo la BBC ha pubblicato, sul suo sito online dedicato
all’Africa, un breve articolo secondo il quale l’attuale crisi
economica globale potrebbe far precipitare (o far tornare) vaste
aree del continente alla guerra[1].
L’articolo prendeva spunto da una affermazione del Rwandese
Donald Kaberuka, Presidente della African Development Bank
(ADB). Durante un incontro tenutosi a Londra in preparazione del
G20 del prossimo aprile, Kaberuka ha definito una “emergenza”
l’attuale crisi economica. Gli hanno fatto eco i dirigenti di vari paesi
Africani, dal Primo Ministro Etiope, Meles Zenawi, al Presidente
della Liberia, Hellen Johnson-Sirleaf, dal Presidente della Tanzania,
Jakaya Kikwete, al Ministro delle Finanze Sudafricano Trevor
Manuel. Tutti hanno lamentato i pesanti effetti della crisi
sull’economia del continente, inizialmente sottovalutati e ne hanno
sottolineato i rischi.
L’impatto della crisi economica mondiale sull’economia africana
Si era pensato che lo scarso coinvolgimento internazionale dell’economia Africana nel suo
complesso la avrebbe in qualche modo protetta dagli effetti della crisi. Si pensava che la
diminuzione dei flussi finanziari privati avrebbe poco influito sulla salute delle banche
africane, prevalentemente finanziate da fonti locali (nazionali o regionali). La realtà è ben
diversa. Se è vero che l’economia africana è lontana dalle cause che hanno direttamente
provocato la crisi finanziaria mondiale, è altrettanto vero che essa è estremamente
vulnerabile agli effetti di tale crisi. La diminuzione dei consumi nei paesi ricchi deprime
l’economia dei paesi africani, esportatori di materie prime, sia agricole che minerarie. La
diminuita domanda porta ad una diminuita esportazione, con inevitabile depressione
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Crisi economica e sicurezza in Africa | 2
dell’economia nel suo complesso.
Secondo un documento recentemente pubblicato dalla Banca Mondiale[2](in
Risorse), la crisi ha portato ad una notevole contrazione della domanda mondiale
per le materie prime con conseguente caduta del loro prezzo (fa eccezione l’oro,
avvantaggiato dalla sua caratteristica di “bene rifugio”).
Nel corso del 2008 il prezzo delle materie prime non legate all’energia ha subito una
diminuzione del 38% (il calo è stato del 6,8% nel solo mese di dicembre); il prezzo del
petrolio è diminuito del 69% fra luglio e dicembre 2008. Più del 50% delle entrate dei
governi di Congo, Guinea Equatoriale, Gabon e Nigeria provengono dalla vendita del
petrolio; dal cacao proviene circa il 25% delle entrate del governo in Costa d’Avorio e
dall’esportazione di vari minerali (specialmente la bauxite) proviene la stessa proporzione
delle entrate del governo della Guinea Conakry; circa il 50% delle entrate del governo
zambiano dipende dall’esportazione del rame, il cui prezzo è diminuito del 60% nell’ultimo
anno (circa 500.000 minatori zambiani hanno perso il lavoro).
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) prevede che il commercio mondiale subirà
una contrazione del 3,1% nel 2009: la più pesante degli ultimi 80 anni. La diminuzione
delle importazioni da parte dei paesi ricchi colpirà significativamente i paesi poveri, visto
che il 70% delle loro attività commerciali ha luogo con i paesi ricchi, mentre il “commercio
sud-sud” è relativamente poco sviluppato. Le importazioni dall’Africa Sub Sahariana da
parte degli Stati Uniti sono diminuite dell’11,5% nel solo bimestre ottobre-novembre del
2008.
Infine, secondo la Banca Mondiale, e secondo il buon senso, anche le rimesse
dall’estero degli emigranti diminuiranno notevolmente nel corso del 2009. Le
rimesse degli emigranti africani, nel 2007, sono state pari a circa 19 miliardi di dollari
(quasi quanto gli aiuti internazionali al continente). La maggior parte di esse viene da paesi
Europei. Inevitabilmente, la crisi occupazionale in questi paesi colpirà gli immigrati Africani
con particolare intensità. Prevedibilmente, anche gli aiuti internazionali, invece di
aumentare, diminuiranno. Già prima della crisi, i paesi ricchi erano ben lontani dal
mantenere le promesse fatte all’incontro di Gleneagles nel 2005 (aumentare gli aiuti in
generale e raddoppiare quelli all’Africa).
Prima della crisi, l’FMI aveva previsto, per il 2009, che l’economia Africana, nel suo
complesso, sarebbe cresciuta del 6,7%. Le attuali previsioni parlano di una crescita del
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3,5%. Dal momento che la popolazione del continente cresce con un tasso medio annuale del
2,4%, le condizioni di vita della maggior parte degli africani non miglioreranno nel prossimo
futuro. Al contrario, visto che i tassi sopra riportati sono tassi “medi”, e che, spesso, le
medie ingannano più di quanto non informino, è ragionevole pensare che le condizioni di
vita della maggior parte degli africani peggioreranno e le già stridenti diseguaglianze fra
ricchi e poveri aumenteranno notevolmente.
La crisi economica è una minaccia alla sicurezza?
Le fosche previsioni secondo le quali, in mancanza di misure rapide e consistenti,
molti paesi africani saranno (o saranno di nuovo) ingolfati in guerre, sono
realistiche? Non occorre essere particolarmente dotati nella scienza della politica per
prevedere che un aumento delle disuguaglianze e della povertà, attraverso un aumento della
disoccupazione e dei prezzi dei beni essenziali, possano far crescere le tensioni sociali e che
questo possa portare all’esplosione di conflitti.
In un paese come la Liberia, dove migliaia di giovani hanno da pochi anni deposto le armi
(senza essere del tutto convinti della bontà di tale scelta) se la disoccupazione aumenterà
invece di diminuire, pare ragionevole temere (se non prevedere) un ritorno alla violenza
come reazione naturale. Episodi di violenza criminale, di individui o di piccole bande, sono
già frequenti in Liberia come altrove. Potrebbe bastare un qualsiasi imbonitore dotato di un
po’ di carisma per organizzare la violenza e farle fare un deleterio “salto di qualità”. In
Liberia come altrove. Una frase attribuita a Laurent Kabila (assassinato nel gennaio del
2001, quando era Presidente della Repubblica Democratica del Congo) recita quanto segue:
“Che cosa è necessario per iniziare una guerra? Diecimila dollari e un telefono satellitare”.
La frase rende l’idea di quanto possa essere facile iniziare una guerra in un contesto di
generalizzata povertà, degrado, ignoranza, disoccupazione, frustrazione.
Già in condizioni “normali”, il 50% dei paesi africani usciti da una guerra ne
iniziano un’altra nel giro di un decennio[3]. Legittimo, dunque, pensare che in tempi di
crisi tali recidive possano essere più frequenti e probabili. Secondo molti analisti, i conflitti
africani degli ultimi decenni sarebbero dovuti a due ordini di fattori riconducibili ad “avidità
e rivendicazioni” (“greed and grievance”), che, spesso, si fondono e, nel tempo, perdono i
connotati iniziali[4].
Una crisi economica che riduca le risorse disponibili ed accentui le già enormi
diseguaglianze fra gruppi sociali, etnici, religiosi, regionali, potrebbe portare all’esplosione
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di nuovi conflitti o al riacutizzarsi di quelli già esistenti. Fragilità ed instabilità politica
caratterizzano almeno 22 dei 53 stati africani[5]. In alcuni di essi sono in corso conflitti
armati conclamati, in altri le tensioni sociali sono elevatissime e, quasi sicuramente, si
accentueranno nei prossimi mesi.
In un momento in cui molti governi si avviluppano in atteggiamenti protezionistici,
pare difficile prevedere uno slancio internazionale di solidarietà per soccorrere i
cosiddetti stati fragili. Tale slancio sarebbe, oltre che moralmente doveroso, anche
politicamente lungimirante. La storia degli ultimi anni dimostra che l’insicurezza in un
paese ha inevitabili ripercussioni internazionali. Ma la maggior parte dei politici non pare
particolarmente dotata nell’esercizio del pensiero a lungo termine, specialmente quando
questo implichi slanci veri o presunti di altruismo internazionale.
La Banca Mondiale ha suggerito la creazione di un Vulnerability Fund, una sorta di
Fondo Mondiale in grado di erogare aiuti finanziari straordinari in questo momento difficile
per tutti. Un Fondo da istituire con una piccola (anche se non specificato quanto “piccola”)
frazione dei vari fondi stanziati, da vari governi, per “stimolare” i consumi e la ripresa
economica. Finora non pare che questa idea, peraltro ancora non ben definita, sia stata
accolta con particolare calore. Infine, ricordiamo che, come è ovvio, la disponibilità di
risorse è una condizione necessaria ma non sufficiente. Occorre che le risorse siano rese
disponibili ed utilizzate in modo adeguato. Ma questa, come scriveva Kipling, è un’altra
storia.
Risorse
World Bank, 2009. Swimming against the tide: how developing countries are coping
with the global crisis. Background paper prepared by the World Bank Staff for the G 20
Finance Ministers and Central Bank Governors Meeting, Horsham, United Kingdom, March
13-14, 2009 [PDF: 328 Kb]
Bibliografia
British Broadcasting Corporation, 2009. Downturn “risks Africa conflict”. BBC News Africa,
16 marzo 2009.
World Bank, 2009. Swimming against the tide: how developing countries are coping
with the global crisis. Background paper prepared by the World Bank Staff for the G 20
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Finance Ministers and Central Bank Governors Meeting, Horsham, United Kingdom, March
13-14, 2009 [PDF: 328 Kb]
Collier P. Development and Conflict. Centre for the Study of African Economies, Department
of Economics, Oxford University, 2004.
Collier P, Hoeffler A. Greed and grievance in civil war. Policy Research Working Paper
2355, The World Bank Development Research Group, 2000.
Engaging with fragile states, an IEG review of World Bank support to Low Income Countries Under Stress.
Washington: World Bank, 2006.
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