Progetto pedagogico Piccolo Gruppo Educativo

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Progetto pedagogico Piccolo Gruppo Educativo
PICCOLO GRUPPO EDUCATIVO
“IL CASTAGNO”
di Castel del Rio
PROGETTO PEDAGOGICO
Progetto pedagogico Piccolo Gruppo Educativo “Il Castagno” di Castel del Rio.
Pagina 1
INDICE
PREMESSA
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1
L’ORGANIZZAZIONE DELLO SPAZIO
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1.1
1.2
1.3
1.4
Gli spazi educativi per i bambini di oggi
La riflessione pedagogica
L’articolazione dello spazio nel rapporto interno/esterno
La pianificazione degli spazi
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2
L’ORGANIZZAZIONE EDUCATIVA
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2.1
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2.3
2.3.1
2.3.2
2.3.3
2.3.4
2.3.5
2.4
2.5
2.5.1
2.5.2
2.5.3
2.5.4
2.5.6
2.5.7
2.5.8
2.5.9
2.5.10
2.5.11
Le finalità generali
Gli orientamenti pedagogici generali
Gli obiettivi specifici
Area della corporeità
Area dello sviluppo sociale e della comunicazione
L’autonomia del bambino nella relazione con l’adulto
Il piccolo gruppo
La relazione con i bambini della scuola primaria
Area dello sviluppo cognitivo
La metodologia di lavoro
L’osservazione
La documentazione
La verifica delle attività
Il gruppo di lavoro
Il Coordinatore Pedagogico
La formazione permanente
L’organizzazione dei tempi
L’ambientamento dei bambini e delle bambine
La relazione con le famiglie
La continuità
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Progetto pedagogico Piccolo Gruppo Educativo “Il Castagno” di Castel del Rio.
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PREMESSA
I cambiamenti sociali che si sono verificati, soprattutto negli ultimi anni nel territorio dei
Comuni della Vallata del Santerno ed in specifico in quello del Comune di Castel del Rio,
hanno comportato una ridefinizione dei servizi per l’infanzia rivolti ai bambini della fascia
0 - 3 anni sia dal punto di vista della quantità e della dislocazione, sia dal punto di vista dei
modelli organizzativi per dare risposte alle mutate esigenze delle famiglie. La ridefinizione è
avvenuta, in conseguenza, soprattutto, dell’estensione flessibile delle richieste su tutto il
territorio dei quattro comuni: i servizi per la prima infanzia, infatti, per la loro natura di servizi
a domanda individuale, che rispondono ad una richiesta parziale, non estesa alla totalità della
popolazione infantile, avvertono in forma più immediata e diretta l’impatto del cambiamento.
Il sistema dei servizi rivolti ai bambini piccoli ( nidi e scuole dell'’infanzia), si trova in un certo
senso in una fase di riorganizzazione, legata alle differenti tipologie e alle esigenze delle
famiglie.
Senza entrare nel merito di un’analisi certamente troppo complessa perché possa trovare
spazio in questa sede, alcuni fenomeni sono tuttavia piuttosto evidenti. In primo luogo una
nuova e diffusa consapevolezza dei diritti; la richiesta delle famiglie non è più una generica
richiesta per un servizio sicuro ed affidabile, ma si connota sempre di più come una domanda
circostanziata, con spiccate connotazioni comunitarie che richiede prestazioni specifiche anche
a livello di prossimità territoriale. Si tratta di una richiesta molto attenta ai risultati, guidata da
intenzioni e scelte che interessano tutte le aree della vita della collettività, dalle attività di gioco
all’alimentazione, dalla cura degli spazi alla scansione dei tempi.
A richieste sempre più specifiche, si accompagna spesso un bisogno profondo di
rassicurazione: le famiglie chiedono la garanzia che ai propri bambini siano offerte le
opportunità migliori, che nessuna possibilità venga sprecata. Parallelamente il senso della vita
collettiva si è in parte frantumato anche nei piccoli centri: la velocità delle trasformazioni
aumenta la distanza tra generazioni; il forte investimento sulla realizzazione individuale, a
volte, sembra allentare i legami sociali e il senso di appartenenza alla comunità; l’esposizione
permanente ad una enorme massa di informazioni alimenta l’incertezza e, talvolta, sembra
produrre smarrimento.
In questo quadro che esprime comunque una importante consapevolezza educativa delle
famiglie, ma che è anche segnato da instabilità e incertezza, il primo valore che vorremmo
affermare è il valore dell’integrazione. Innanzitutto integrazione tra le parti del sistema: ogni
singolo servizio, a livello dei Comuni della Vallata del Santerno , deve essere pensato
come parte di un insieme, coerente al proprio interno, fondato su un’intenzionalità comune, in
cui le specificità di ciascuno sono il frutto di una scelta condivisa.
Integrazione significa anche apertura: il sistema dei servizi per l’infanzia ha bisogno di
dialogare con i sistemi che gli sono limitrofi, per creare a sua volta integrazione: con il mondo
della scuola, dei servizi sociali, sanitari e culturali; con altre realtà territoriali che
producono cultura per l’infanzia.
A un altro livello, integrazione significa riconoscersi nell’identità di ogni singolo servizio: se
l’insieme dei servizi deve esistere come sistema unitario e coerente, anche ogni sua singola
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parte, ogni singola struttura costituisce a sua volta un sistema complesso e ha bisogno di
costruire la propria unità, che non può essere data per scontata, ma è piuttosto il risultato,
sempre provvisorio, di un percorso fatto insieme, tra gli operatori e le famiglie.
Integrazione significa ancora integrazione tra bambini, ovvero la capacità di realizzare
servizi in cui ciascun bambino trovi il proprio posto tra gli altri, sentendolo e vivendolo
come proprio, sicuro e inalienabile, reso unico e importante dalla presenza degli altri.
In un clima sociale fortemente orientato al successo individuale, vorremmo aiutare i bambini
ed i loro genitori a sperimentare che il bene comune può rappresentare un buon risultato
anche sul piano individuale.
Queste le linee orientative che, seppur succintamente espresse, delineano il quadro del progetto
educativo del Piccolo Gruppo Educativo “Il Castagno” e trovano già riscontro
nell’orientamento operativo del Coordinamento Pedagogico, nei progetti di qualificazione dei
servizi per l’infanzia e nei piani di formazione rivolti al personale di tutti i servizi educativi
della Vallata del Santerno.
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1. L’ORGANIZZAIZONE DELLO SPAZIO
… Questo è un luogo pensato per te, dove puoi trovare, nel posto che
conosci, le cose con cui ami giocare, dove puoi cercare di scoprire se
per caso qualcosa è cambiato e se è arrivato qualcosa di nuovo, dove
puoi intrattenerti con i tuoi amici preferiti nell’angolo che vi piace
frequentare ...
Maurizia Gasparetto
1.1 Gli spazi educativi per i bambini di oggi.
Uno dei campi più interessanti della recente riflessione pedagogica è sicuramente quello che
riguarda la qualità e la funzione degli spazi organizzati dei nidi d’infanzia. Ci sono buone ragioni
per questa rinnovata attenzione sia sul piano architettonico che degli arredi e di una pedagogia che
sta ridefinendo il ruolo dei servizi per l’infanzia in una società in rapida trasformazione come la
nostra e questo sta accadendo non solo in Europa, con la sua tradizione di impegno educativo per i
bambini che travalica il secolo scorso, ma anche nei grandi paesi orientali come la Cina, l’India, il
Giappone. La cura per l’infanzia si caratterizza sempre più come premessa di sviluppo sociale e
culturale di intere comunità Ne consegue che sempre più si investe per realizzare luoghi capaci di
sostenere l’apprendimento e la formazione personale e culturale dei bambini. Gli spazi riacquistano
dunque un valore pedagogico fondamentale per la realizzazione di positive esperienze educative
che sostengono e facilitano la crescita delle giovani generazioni. Da qui una ricerca
multidisciplinare e una attenta pratica per sperimentare nuove modalità di progettare e realizzare i
servizi per l’infanzia e per i nidi in particolare.
Emerge quindi la necessità di dare fondamenti educativi solidi a questo bisogno sociale per evitare
che sorgano strutture senza fondamenta pedagogiche, non rispondenti alle esigenze di crescita dei
bambini del nostro tempo e sganciate eventualmente sia dalle culture di territorio sia dalla ricerca
pedagogica in atto sulle funzioni del nido quale luogo di vita e di apprendimento in cui gli spazi, le
routine, i modi dell’apprendere e dell’essere bambini debbono essere orientati da una nuova etica
per l’uomo e la donna del domani.
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1.2 La riflessione pedagogica
Ogni bambino cresce come persona e apprende vivendo attivamente i suoi contesti di vita. Quanto
più i contesti sono qualitativamente ricchi, flessibili, comprensibili, esplorabili e fonti
d’esperienza, tanto più il bambino apprende e conosce. Ogni bambino apprende in modo
globale, filtrando le informazioni che coglie nel suo contesto d’esperienza, utilizzando
contemporaneamente tutti i filtri sensoriali che possiede biologicamente e tutte le conoscenze e
competenze della sua mente. Pertanto occorre valorizzare la qualità degli spazi e degli arredi. Gli
ambienti comunicano con il bambino attraverso le pratiche e il fare quotidiano proponendosi nel
loro insieme di luci, colori, suoni, odori, forme, oggetti, arredi, e con le loro meta comunicazioni sui
possibili significati di cose da fare. Al bambino si riconosce una mente complessa, in cui
razionalità, pulsioni ed emozioni si intrecciano; una mente multidimensionale che comprende il
proprio vissuto attraverso varie forme di intelligenza e di codici di simbolizzazione; una mente
interattiva che vuole esplorare, manipolare, provare, interagire consapevolmente. Gli spazi e gli
arredi devono permettere al bambino di esercitare tutte queste dimensioni.
1.3 L’articolazione dello spazio nel rapporto interno/esterno
La collocazione servizio all’interno di una struttura scolastica preesistente, permette di considerare
il Piccolo Gruppo Educativo come una unità spazio temporale che non separa interni e esterno, ma
che riconduce ad una sostanziale continuità di vita. Si intende recuperare così la dimensione
terrestre della vita del bambino, permettendogli di cogliere il suo essere parte integrante dei cicli di
vita naturale in cui tutto è in relazione, attraverso la luce, il clima, i fenomeni naturali di cui è
spettatore e curioso sperimentatore.
Lo spazio esterno è quindi pensato per i bisogni dei bambini ai quali “... non piacciono gli spazi
rigidamente definiti, separati, dedicati. Preferiscono gli spazi duttili, utilizzabili in maniere diverse
a seconda delle esigenze di gioco”; come un naturale prolungamento della sezione. Esplorare,
nascondersi, giocare, manipolare, correre, oziare, stupirsi di fronte ad un insetto sono alcune delle
attività che i bambini possono praticare all’esterno. Anche dal punto di vista emotivo e della
socialità l’ambiente esterno è molto stimolante: pensiamo alla differenza tra il manipolare la creta o
la pasta sale in sezione e scavare un buco nel prato con i compagni, bagnare la terra e impastarla. La
prima è un’attività finalizzata alla realizzazione di un oggetto, la seconda è lasciata alla libera
creatività dei bambini; spesso non porta a nulla di concreto, ma è un momento magico di gioco dal
quale gli adulti sono esclusi, vissuto con una vaga sensazione di proibito.
1.4 La pianificazione degli spazi
Il progetto architettonico non determina un’ articolazione in spazi e angoli rigidamente predefiniti,
la predisposizione è essenziale, in modo da offrire ai bambini che lo frequenteranno la possibilità
di vivere intensamente le loro esperienze di apprendimento, accogliendo i loro interessi e le
loro proposte specifiche in un clima di responsabilità e di libertà decisionale. Gli spazi, infatti,
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non sono semplici contenitori delle loro azioni; possono sostenere o ostacolare le loro esplorazioni
curiose, il loro fare e il loro desiderio di esplorare e di conoscere. L’organizzazione degli spazi,
pertanto non è troppo predeterminata dagli adulti in maniera aprioristica.
In altre parole, intendiamo lo spazio ( assieme al tempo), come un efficace strumento per sostenere
e favorire l’autonomia dei bambini, cioè la capacità che hanno i bambini e le bambine di fare le
cose da soli, procurandosi eventualmente gli aiuti di cui hanno bisogno.
L’organizzazione della vita quotidiana dei sette bambini che possono accedere al servizio
prevede che essi sperimentino la possibilità di utilizzare in maniera creativa gli spazi, di
personalizzarli, di praticare il gioco o le attività, di utilizzare angoli in cui apprezzare la relazione
con i compagni o l’intimità.
Attraverso la pianificazione degli spazi, degli arredi e degli oggetti intendiamo trasmettere ai
bambini con semplicità ciò che conosciamo di loro, ciò che pensiamo siano in grado di fare da
soli e la nostra disponibilità a sostenerli nelle loro esplorazioni e nelle loro elaborazioni.
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L’ORGANIZZAZIONE EDUCATIVA
2.1. Le finalità generali
Il Piccolo Gruppo Educativo (P.G.E.) si caratterizza come una delle risposte possibili ai bisogni
dei bambini e delle bambine per favorire il loro benessere e sostenere la loro crescita, nel rispetto
dell’identità individuale di ognuno di essi, fornendo occasioni, interventi ed opportunità di
sviluppo delle loro potenzialità cognitive, affettive, relazionali e sociali.
L’azione educativa è volta anche a sostenere le famiglie nell’esercizio della loro funzione
educativa e di cura, offrendo loro un contesto esterno alla vita familiare, a cui poter affidare i loro
bambini e bambine con sicurezza e tranquillità, fornendo occasioni di scambio e confronto con
operatori qualificati e con altri genitori.
Il Piccolo Gruppo Educativo si configura, inoltre, in una piccola comunità come quella in cui è
collocato, come elemento non secondario per il potenziamento della cultura dell’infanzia. In
questa direzione il Piccolo Gruppo Educativo
può caratterizzarsi, insieme alla Scuola
dell'’Infanzia paritaria Fism “Pie Operaie San Giuseppe”, come una risorsa per prevenire,
rimuovere o alleviare condizioni di svantaggio psicofisico e socio-culturale.
L’idea educativa che sostiene l’attivazione del Piccolo Gruppo Educativo e quella di realizzare
per le bambine e i bambini un sistema di relazioni stabili e significative, in cui le relazioni familiari
entrano a pieno titolo a far parte della vita quotidiana della collettività, sia sul piano simbolico che
sul piano reale.
La Legge regionale 10 gennaio 2000,n.° 1 così come modificata e integrata dalla L.R. 22 giugno
2012, n.°6, definisce il nido d’infanzia e , di conseguenza il Piccolo Gruppo Educativo, come un
servizio educativo e sociale di interesse pubblico con le seguenti finalità:
La formazione e socializzazione dei bambini e delle bambine, nella prospettiva del loro
benessere psicofisico e dello sviluppo delle loro potenzialità cognitive, affettive, relazionali e
sociali; la complessità delle situazioni, delle esperienze e dei materiali che sono proposti al
bambino che frequenta il Piccolo Gruppo Educativo , sono motivate da modalità relazionali e di
apprendimento dominanti nei primi tre anni di vita: il riconoscimento dell’unità mente-corpo,
l’importanza del movimento come strumento di conoscenza e di comunicazione, la scoperta delle
potenzialità percettive, la dipendenza dal concreto contesto di azione, il lento passaggio da
modalità conoscitive esclusivamente individuali a modalità in gran parte socializzate. Le
educatrici elaboreranno, condividendola con il Coordinatore Pedagogico,
una progettazione
educativa che permetterà di realizzare esperienze di apprendimento e di socializzazione
personalizzate, in un contesto denso di comunicazione e di valenze relazionali, affinché si possa
promuovere nei bambini lo sviluppo dell’identità, della competenza e la progressiva esplicitazione
dell’autonomia;
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la cura dei bambini e delle bambine che comporti un affidamento continuo a figure
professionalmente competenti, diverse da quelle parentali, in un contesto esterno a quello
familiare;
il sostegno alle famiglie nella cura dei figli e nelle scelte educative; per la gestione del servizio
intendiamo valorizzare la continuità educativa nido-famiglia, intesa come continuità di
contenuti, come complementarietà finalizzata a creare le condizioni per permettere ad ogni
bambina e ad ogni bambino di elaborare le loro esperienze come continuità della propria
identità, in modo da avvertire coerenza fra le diverse esperienze individuali.
La finalità essenziale del Piccolo Gruppo Educativo può esplicitarsi, in estrema sintesi, nell’
assicurare il benessere dei bambini che lo frequentano. Questo termine può essere declinato in
un’accezione ampia e considerato come punto di partenza per uno sviluppo equilibrato del percorso
di crescita dei bambini stessi.
Offrire ai bambini condizioni di benessere, significa pensare a cose semplici e molto concrete, ai
piccoli gesti della quotidianità che possono chiarire e sostanziare il progetto pedagogico.
L’esperienza e la riflessione educativa portano a pensare che per i bambini e per le bambine,
l’acquisizione dell’identità, l’armonia con gli altri e con se stessi, la fiducia nel mondo e l’autostima,
il rispetto e la sicurezza siano valori e obiettivi da perseguire attraverso le azioni usuali, semplici e
ripetute della vita di tutti i giorni, con gli educatori e il gruppo dei pari.
2.2. Gli orientamenti pedagogici generali
Il progetto pedagogico fa riferimento alla concezione di un “bambino ecologico” per il quale lo
sviluppo affettivo e cognitivo derivano direttamente dalle azioni e nello stesso tempo le azioni sono
governate dalla capacità del bambino di pensare e di “vivere emozioni” ; un bambino artefice del
proprio sapere e del proprio sviluppo, che costruisce i saperi, organizza ed effettua le proprie
esperienze giocando, immerso nella realtà e fortemente partecipe al quotidiano.
La proposta educativa si articolerà attorno alle seguenti condotte di indirizzo generali :
Ogni bambino e ogni bambina deve potersi riconoscere nella relazione con gli adulti e
con gli altri bambini come soggetto unico ed irripetibile: ciascun bambino e
bambina avrà quindi spazi che possa riconoscere come propri (l’armadietto in cui
riporre le proprie cose, il posto a tavola, il posto per dormire …), come indicatore
tangibile e concreto della sua identità. Gli operatori eviteranno nel linguaggio della
vita quotidiana formule generiche ed omologanti, affinché il bambino non si
percepisca come confuso in una massa anonima ed indifferenziata. Elementi
apparentemente banali come l’uso del nome proprio o il rievocare, nei momenti di
interazione individualizzata, persone ed episodi della sua vita di casa hanno per il
bambino il significato fondamentale di trasmettergli il messaggio che l’educatore
pensa proprio a lui e non semplicemente ad uno fra tanti.
Ogni bambino e bambina impara gradualmente a prevedere tempi e contenuti che
organizzano la sua permanenza al Piccolo Gruppo Educativo : la regolarità nella
scansione della giornata, la ripetitività delle sequenze di azione fondamentali, che
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possono anche sembrare monotone o trasmettere un’immagine di rigidità, sono in
realtà per il bambino elementi significativi per potersi orientare nel fare previsioni
(sapere quel che lo aspetta) e sentirsi rassicurato nel vedere confermate le proprie
aspettative.
Ogni bambino e ogni bambina ha gusti ed attitudini che gli sono propri e che lo
definiscono: è legittimo ed entro certi limiti anche opportuno che la vita collettiva
predisponga offerte omogenee (nell’alimentazione, nella scelta dei materiali e nella
predisposizione delle attività di gioco, nell’organizzazione dei tempi della giornata),
ma è compito che attiene alla professionalità degli operatori trovare modi affinché
l’omogeneità dell’offerta non diventi un modello di sviluppo definito a priori.
L’educatore deve saper far sentire al bambino che egli può interpretare quell’offerta
secondo il suo stile e svilupparla secondo i suoi desideri ed i suoi bisogni di gioco, di
esplorazione, di simbolizzazione. Il bambino che mangia di più o più velocemente,
quello che compone la torre più alta o la costruzione più complessa, quello che
racconta la storia più elaborata non è più bravo o più competente, perché non esiste
uno standard prestazionale di riferimento cui adeguarsi; ciascuno può percorre la
propria strada con tempi diversi; arrivare prima non solo non è necessario, ma talvolta
può significare non aver avuto il tempo per riflettere sulla ricchezza delle esperienze.
Le educatrici, attraverso la progettazione e l’organizzazione degli spazi, l’articolazione dei
tempi della giornata e dell’anno, la scelta dei materiali, strutturano la giornata educativa, affinché
i bambini e le bambine possano esprimere il più possibile la loro creatività e sperimentazione
personale curiosa, condotta sia singolarmente che in gruppo.
Saranno punto di riferimento per assicurare a ciascun bambino e bambina il senso di sicurezza
ed il contenimento emotivo di cui ha bisogno per sentirsi libero e fiducioso nelle relazioni con gli
altri.
2.3 Gli obiettivi specifici
All’interno di una situazione di benessere diffuso (in cui ciascun bambino possa sentirsi
riconosciuto nella sua individualità, in cui possa padroneggiare la situazione sapendo orientarsi
facilmente nel tempo e nello spazio grazie alla prevedibilità, in cui possa sentirsi apprezzato per quel
che sa e gli piace fare, senza dover corrispondere a modelli precostituiti), può trovare collocazione
la definizione di obiettivi specifici relativi alle diverse aree di sviluppo dei bambini, con la
consapevolezza che la determinazione di obiettivi di “area” è una distinzione artificiosa, presente
solo nella nostra mente: ogni bambino (ma anche le persone adulte) prende parte ad ogni azione
come persona intera ed ogni evento ha ripercussioni sulla sua vita affettiva, sociale e cognitiva senza
che si possano definire confini che le separino.
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2.3.1 Area della corporeità
Per i bambini molto piccoli, senza enfatizzarne troppo il significato, la dimensione “corporea”
dell’esperienza rappresenta la sfera di intervento privilegiata. Per favorire una elaborazione positiva
dell’esperienza corporea, si valorizzeranno principalmente due ambiti di intervento: le attività di
cura e le attività motorie.
Le attività di cura
I momenti legati alle cure del corpo hanno un notevole peso, sia sul piano qualitativo, che sul
piano del significato che assumono per il bambino. Proprio la centralità della dimensione
corporea dell’esperienza, fa sì che i momenti e le attività connessi alla “manipolazione del
corpo del bambino” rivestano un ruolo importante nella costruzione dell’identità e nel
determinare la qualità della relazione con il mondo esterno. Si propone pertanto uno stile di
comportamento degli educatori che presta attenzione, in questo ambito, a due aspetti
fondamentali, nelle attività di cura:
la “manipolazione corporea” si accompagna sempre alla comunicazione verbale: l’educatore
esplicita e spiega quel che sta facendo, affinché il bambino sappia che cosa aspettarsi, possa
partecipare attivamente, acquisti e consolidi consapevolezza delle proprie sensazioni corporee e
riesca a metterle in connessione con gli eventi esterni;
la “manipolazione corporea” sostiene ed orienta l’iniziativa del bambino, senza mai
sostituirsi a lui, lasciandogli tempo e spazio per fare ciò che il bambino è in grado di fare da sé; la
valorizzazione delle sue capacità, sollecitandolo ad esercitare le proprie competenze, ha la
duplice funzione di rafforzare l’identità del bambino e contemporaneamente renderlo
protagonista e padrone della propria esperienza, valorizzando i livelli di autonomia raggiunti.
Le attività di cura rappresentano il segno di distinzione del percorso pedagogico e la sua
grande risorsa in termini di specificità educativa; costituiscono anche un’occasione di relazione
privilegiata tra adulto e bambino; sul piano affettivo rappresentano forse il momento più ricco e
più intenso per esprimere concretamente calore e tenerezza, attraverso la delicatezza dei gesti,
l’attenzione al benessere corporeo, la disponibilità immediata e continua all’ascolto.
Sul piano cognitivo, danno luogo ad un contesto di apprendimento particolarmente qualificante:
l’intensa relazione comunicativa che si crea in quel momento consente di comunicare messaggi
efficaci perché densi di significato e strettamente connessi al contesto in cui si verificano.
L’apprendimento del linguaggio verbale, ad esempio, avviene quasi sicuramente in maniera più
efficace che in qualunque altra situazione pensata per “insegnarlo”, così come certe abilità manuali
si costruiscono più proficuamente mettendosi e togliendosi scarpe e vestiti che non attraverso attività
allestite per questo scopo, ma svincolate dalla significatività del risultato.
Le attività motorie
I bambini traggono molto piacere dal movimento e quindi le possibilità di movimento rivestono un
grande peso nella promozione del benessere dei bambini al nido. Ci si propone pertanto di orientare
il lavoro per promuovere due principi interconnessi e basilari:quello della sicurezza e quello della
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libertà. Sicurezza significa innanzi tutto predisporre l’ambiente in modo da prevenire, per
quanto è possibile, le occasioni di rischio; quindi significa innanzi tutto una scelta ed una
disposizione attenta dei materiali e degli arredi. Significa ancora una sorveglianza costante,
vigile e scrupolosa, ma sappiamo che questa non è sufficiente e soprattutto non può essere
impostata sulla semplice dimensione del controllo.
D’altra parte sappiamo anche come il movimento, per essere davvero fonte di piacere e di sviluppo,
per realizzarsi come esperienza di interazione positiva con il proprio corpo e con il mondo, ha
bisogno di libertà, di iniziativa personale, di possibilità di esplorazione/sperimentazione
autonoma delle proprie possibilità e dei propri limiti. Da questo punto di vista crediamo che
l’unico strumento di intervento realmente efficace sia quello di lasciare tempo.
L’osservazione attenta delle attività motorie evidenzia che i rischi maggiori i bambini stessi li
corrono quando vengono, direttamente o indirettamente, sollecitati ad accelerare i tempi dello
sviluppo motorio. La cultura odierna attribuisce a volte grande valore alle acquisizioni precoci e in
molti casi tutto l’atteggiamento degli adulti tende a trasmettere questo valore (ne è un esempio
evidente l’enfasi con cui viene di norma lodato ed esaltato il bambino che muove i primi passi da
solo); in questo quadro, il bambino percepisce, seppur inconsapevolmente, che per piacere ai grandi
deve imparare presto, diventa intraprendente per accattivarsi il favore degli adulti ed inevitabilmente
corre più rischi.
Si può prevedere, invece, uno stile di lavoro in cui, all’interno di un ambiente sicuro, sia dato
spazio al gioco e all’esplorazione motoria dei bambini, ma in cui gli adulti non sollecitano mai
nuove acquisizioni e prestano piuttosto attenzione a valorizzare quelle attività a cui i bambini si
applicano per consolidare le abilità acquisite, con grande impegno, con calma e con prudenza,
con sistematicità e con metodo, come in effetti sanno fare se non sono assoggettati a pressioni
anticipatorie.
2.3.2 Area dello sviluppo sociale e della comunicazione
I bambini, fin da piccoli, manifestano un naturale interesse ai rapporti sociali; tutta la ricerca
psicopedagogica degli ultimi anni ha chiaramente messo in evidenza una competenza sociale molto
precoce e sostenuta da una forte motivazione alla relazione: i bambini comunicano molto presto in
modo significativo, e non soltanto con gli adulti che si prendono cura di loro, ma anche con i
coetanei, dai quali si presume non traggano vantaggi, se non quelli intrinsecamente connessi al
piacere di comunicare e di interagire.
Da questo punto di vista il Piccolo Gruppo Educativo, collocato all’interno dell’unico complesso
architettonico in cui si ritrovano tutti i bambini della comunità, rappresenta un contesto
privilegiato, ricco di grandi potenzialità per la sua stessa natura.
Ci sembrano particolarmente rilevanti e rappresenteranno le direttrici lungo le quali si indirizzerà
l’attività educativa: l’attenzione all’autonomia del bambino nella relazione con l’adulto,
le
potenzialità offerte dal piccolo gruppo, l’incontro progettato e programmato con i bambini più
grandi della scuola primaria.
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2.3.3.L’autonomia del bambino nella relazione con l’adulto.
Nelle operazioni di cura, come nei momenti di gioco, lo “stile relazionale” dell’adulto svolge un
ruolo importante: lo sviluppo sociale del bambino non è e non può essere solo oggetto di momenti
specifici e mirati all’apprendimento di competenze particolari. L’orientamento allo sviluppo
comunicativo e sociale permeerà l’intera vita quotidiana. In questo senso, il primo punto di
attenzione è proprio il controllo che l’adulto esercita sulla propria azione, affinché questa sia in ogni
momento un’azione efficace per il bambino.
L’azione dell’adulto è efficace
quando è attento e capace di dare senso, attribuire significato, raccoglie e rende espliciti i segnali
comunicativi del bambino: è importante in altri termini, uno stile di comportamento che aiuti il
bambino a riconoscere se stesso come soggetto sociale, la cui comunicazione è raccolta da un
adulto che le conferisce senso;
quando utilizza a sua volta modalità comunicative dotate di senso e chiaramente interattive.
Si tenderà, in altre parole, ad evitare quelle forme di relazione tese soprattutto a valorizzare ciò
che il bambino sa e sa fare (non gli si chiederà pertanto di ripetere ed esibire le sue capacità, ma di
“usarle quando servono”). Le educatrici coinvolte nell’interazione con uno o più bambini
lasceranno loro il tempo per partecipare in modo attivo.
La relazione adulto-bambino si caratterizzerà come vero scambio, consapevoli che non è una
relazione tra pari e che quindi spetta all’adulto comprendere ed adattarsi ai tempi del bambino, alle
sue possibilità di elaborazione della richiesta e di risposta, senza pretendere il contrario.
2.3.4. Il piccolo gruppo
Le relazioni e le interazioni che si instaurano nel gruppo dei pari consentono di attivare una serie di
esperienze uniche ed essenziali per lo sviluppo dei bambini e delle bambine.
La capacità dei piccoli di stabilire relazioni tra loro, in un contesto di collaborazione e di scambio
non solo conflittuale, trova espressione soprattutto nei rapporti tra pochi; nel grande gruppo,
l’attenzione del bambino è quasi sempre orientata verso l’adulto ed il numero degli interlocutori
possibili non incrementa affatto le possibilità di relazione, ma le fa drasticamente diminuire.
Il lavoro delle educatrici predisporrà, suggerirà e costruirà occasioni di gioco in cui i bambini
potranno aggregarsi a coppie o a gruppetti: è questa la condizione più favorevole per fare in modo
che ciascun bambino possa incontrare realmente l’altro e riconoscerlo come soggetto attivo.
2.3. 5 La relazione con i bambini della scuola primaria
La collocazione del Nido all’interno dell'edificio scolastico che accoglierà anche la scuola primaria
può rappresentare una grande opportunità di crescita sia per i bambini più piccoli che per quelli
grandi.
La riflessione educativa più avanzata consente, infatti, di affermare che i bambini e le bambine
apprendono e costruiscono il loro sapere con maggiore facilità e prontezza nel rapporto con i
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compagni, specialmente di età diverse. L’incontro favorisce il contatto con un mondo di significati,
di riferimenti, di comportamenti diversi dai propri. Questi incontri non si discostano molto da quelli
che si possono sperimentare con fratelli o amici più grandi e preludono alla varietà di esperienze
che i bambini e le bambine faranno crescendo. Inoltre l’incontro dei bambini di età diverse è
profondamente positivo perché è nell’interazione con i “grandi” che i più “piccoli" vengono
stimolati, incuriositi, invogliati ad imparare, a provare. Il confronto con discorsi e attività nuove
sarà mediato dalla relazione tra bambini che ha dinamiche molto più semplici rispetto a quelle che
usualmente avvengono fra bambini ed adulti.
Ciò non significa che i bambini piccoli anticiperanno le tappe di sviluppo, ma verranno sostenuti
nel loro percorso di scoperta e costruzione del sapere, dall’esempio, dal modello, dall’aiuto
esplicito dei compagni.
Per quanto riguarda invece i bambini più grandi, l’incontro con i “più piccoli” può costituire
un’occasione di crescita per acquisire maggiore consapevolezza di sé, avviare un percorso di
responsabilizzazione e di accoglienza dell’altro che non sempre è meno abile o più fragile.
IL confronto, non occasionale, ma programmato ed educativamente pensato, con i piccoli
rappresenta uno “specchio magico” attraverso il quale ognuno, quando entra in relazione con i
compagni, può monitorare le proprie competenze e capacità, ricordare come era e pensare a come
diventerà.
2. 4 Area dello sviluppo cognitivo
Le teorie che orientano il presente progetto, fanno riferimento a un’idea di sviluppo che coniuga
insieme apprendimento e creatività. L’apprendimento infatti, inteso in senso tradizionale, sembra
sottintendere una sorta di adattamento: si apprende assimilando qualcosa che è già parte di una realtà
esterna (concreta o virtuale), accogliendo dentro di sé una conoscenza che esisteva già prima fuori di
sé. La creatività sembra invece richiamare il processo contrario: creare significa far esistere fuori di
sé qualcosa che esisteva prima soltanto “dentro”. Si può operare, invece, per creare occasioni e uno
stile di lavoro che permetta ai bambini di sviluppare un apprendimento creativo, un
apprendimento, cioè,
non determinato a priori dall’adulto, che valorizza, al contrario
l’assimilazione e l’ elaborazione personale delle occasioni di conoscenza che la realtà, e la vita in
comunità offrono. Le occasioni suggerite o proposte dalle educatrici costituiranno pertanto percorsi
aperti alle interpretazioni/elaborazioni, alle intenzioni ed ai desideri di ciascuno.
Ogni momento della giornata rappresenterà un’occasione di apprendimento, perché in ogni
momento si entra in contatto con una realtà che cambia e trasmette informazioni, nella quale
mutano costantemente i rapporti tra gli oggetti, tra le persone, tra le persone e gli oggetti.
Tuttavia l’informazione da sola non è conoscenza; per diventarlo ha bisogno di un soggetto che se
ne appropri, che la ponga in relazione con ciò che lui è in quel momento, con ciò che desidera, con
ciò che già sa. L’impegno delle educatrici nei confronti dei bambini che frequenteranno il nido
andrà nel senso di favorire questo processo.
In questa stringata enunciazione delle linee guida che orientano il progetto educativo, non si accenna
allo sviluppo affettivo perché quando si pone come obiettivo fondamentale quello del benessere,
non si può non pensare che, per star bene, ogni bambino ha bisogno in primo luogo di una relazione
affettiva soddisfacente con gli adulti che si prendono cura di lui e che pertanto è compito primario
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degli educatori costruire e far percepire al bambino questo rapporto solido e caloroso. Inoltre, dal
momento che il termine “affettivo” a volte viene associato ad uno stile di relazione fortemente
orientato alla espressione/manifestazione degli affetti e delle emozioni, vorremmo prendere le
distanze educative da questo stile.
Nel Piccolo Gruppo Educativo, il rapporto adulto-bambino sarà un rapporto caloroso ma
professionale: il calore degli affetti si esprime e si manifesta attraverso il rispetto, l’attenzione,
l’impegno, la conoscenza, del bambino e di se stessi in rapporto al bambino, preferibilmente
evitando dimostrazioni di affetto “genitoriale” che generano confusione ed ambivalenze. È verso
questa dimensione affettiva razionalmente e rigorosamente controllata che si intende indirizzare il
comportamento delle educatrici per favorire uno sviluppo affettivo soddisfacente dei bambini.
2.5 La metodologia di lavoro
L’esperienza porta a considerare che all’interno del nido, soprattutto nei piccoli servizi come questo,
sia necessario costruire e condividere un pensiero progettuale che accompagni ogni momento,
ogni relazione e che consenta di costruire dei significati e di ri-significare a partire dal contesto
e stando nella relazione.
La programmazione può quindi essere intesa in senso evolutivo, cioè come una continua
costruzione che necessita di un costante aggiornamento, di ripetute verifiche e quindi di una
continua ridefinizione.
Gli educatori hanno l’obbligo, pur nella costante e autonoma espressione di se stessi, di interrogarsi,
individualmente e nel gruppo, sugli effetti dei loro comportamenti che sostanziano in parole ed
azioni quotidiane il progetto educativo.
La programmazione come metodo di lavoro rappresenta un mezzo per :
dare risposte organiche ai bisogni di crescita dei bambini e delle bambine;
favorire un reale lavoro di gruppo del gruppo degli educatori;
costruire un progetto educativo flessibile e verificabile.
La progettazione educativa si delinea così come uno strumento di lavoro da costruire con i bambini
e le bambine giorno dopo giorno, non un elenco predeterminato di attività e di obiettivi da
raggiungere, ma una traccia flessibile e modificabile alla quale far riferimento e dalla quale prendere
spunto per offrire varie opportunità di osservazione e di esplorazione della realtà da diversi punti di
vista e per proporre esperienze significative sia sotto l’aspetto emozionale che cognitivo.
2.5.1 L’osservazione
L’osservazione si caratterizza come uno strumento indispensabile per identificare e monitorare le
caratteristiche principali dello sviluppo e dell’interazione educativa del bambino e del contesto e per
programmare efficacemente l’intervento educativo. L’osservazione incoraggia un approccio
maggiormente professionale dell’educatore che può allontanarsi dall’improvvisazione e indirizzarsi
verso una proposta consapevole e coerente che può facilitare e favorire il confronto con gli altri
adulti sulle strategie educative da mettere in campo per sostenere il percorso di crescita dei bambini
e delle bambine.
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2.5.2 La documentazione
La documentazione, parte integrante della progettazione, svolge una funzione di informazione
verso l’esterno, la famiglia e l’ambiente sociale in genere, di “rilettura “ per i bambini, di verifica
delle esperienze educative realizzate per gli educatori.
Imparare a trasferire la propria esperienza ed essere in grado di renderla leggibile dall’esterno
rappresenta un importante obiettivo per raggiungere una piena consapevolezza di sé , della propria
storia di lavoro, del proprio sapere e del proprio saper fare.
La predisposizione della documentazione rappresenta una grande occasione per riflettere
sul proprio operato educativo e favorisce, di conseguenza, il formarsi di una reale
intersoggettività tra gli educatori in quanto facilita la comunicazione fra loro, ma anche con altri
colleghi di altre realtà.
Questo ultimo aspetto riveste particolare importanza nei piccoli servizi in cui opera un numero
limitato di educatori.
La documentazione potrà essere riutilizzata in sede di progettazione, in occasione di confronto,
nell’ambito di iniziative di aggiornamento e di incontri con i genitori; costituirà un ulteriore
strumento per favorire la circolazione delle informazioni e la verifica delle attività.
2.5.3 La verifica delle attività
La verifica delle attività è l’elemento che connette programmazione ed osservazione, è la sintesi
senza la quale i due momenti precedenti resterebbero vuoti di significato; anche in questo caso, si
tratta di una procedura che pone all’attenzione degli adulti il loro stesso comportamento: verificare
non significa tanto valutare il bambino, quanto ripensare ai processi di cambiamento che sono
avvenuti in quel bambino, in quel gruppo di bambini e nelle educatrici. Verificare significa rivedere
e ripensare al progetto e alla sua realizzazione in rapporto agli obiettivi che si era proposti.
2. 5.4 Il gruppo di lavoro
Il fare degli educatori è costantemente intrecciato al gruppo di lavoro in quanto la progettazione
educativa, frutto del confronto, della negoziazione e della condivisione, nasce all’interno del gruppo
e si esprime nel quotidiano agire educativo di ogni singolo educatore.
Il Piccolo Gruppo Educativo si caratterizza come luogo di convivenza di un gruppo di bambini con
un piccolo gruppo di adulti; è evidentemente il gruppo degli adulti ad avere la responsabilità di dare
ordine e coerenza alla vita quotidiana ed ha quindi bisogno di coerenza al proprio interno, una
coerenza che tuttavia non è sinonimo di omogeneità.
La costruzione di un gruppo di lavoro, con compiti progettuali ed operativi, che sono realizzabili
solo in condizioni relazionali positive, non è un processo semplice, non è spontaneo nè immediato.
Ogni gruppo è costantemente in relazione dinamica tra tendenza alla stabilità, in risposta a un
bisogno di sicurezza, quindi di riconoscimento e di appartenenza, e tendenza al cambiamento,
relativa alla capacità di evolvere, crescere e maturare.
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La storia di ciascun gruppo è un processo condizionato da un contesto e in cui ogni membro del
gruppo influenza gli altri e ne è a sua volta influenzato; di conseguenza è del tutto naturale che un
gruppo di lavoro incontri delle difficoltà sia nel suo formarsi e consolidarsi, sia nel suo evolversi.
Nessun gruppo di lavoro può essere efficace se l’obiettivo che deve raggiungere non è chiaro e
ampiamente condiviso dai suoi membri. Ma l’obiettivo non è un dato acquisito all’inizio del lavoro
del gruppo, in primo luogo perché ogni persona porta con sé nel lavoro un insieme più o meno
definito di competenze, stili di pensiero, aspettative personali, bisogni; in secondo luogo perché
ciascun membro del gruppo tenderà a dare un’interpretazione personale all’obiettivo mantenendola,
anche in modo inconsapevole, il più tenacemente possibile.
Pertanto è necessario che il gruppo continui a dedicare una parte del tempo alla chiarificazione e
alla condivisione degli obiettivi educativi e che svolga attività specifiche finalizzate
all'approfondimento e alla precisazione, fino ad ottenere la loro condivisione da parte di tutti i
componenti.
Al collettivo, come luogo di incontro e di scambio sistematico delle esperienze, come sede di
approfondimento e di elaborazione strettamente connessa alle pratiche quotidiane attribuiamo
una valenza fondamentale sul piano della formazione del personale.
Non si intende sottovalutare il valore e il significato che possono assumere momenti di formazione
e aggiornamento dedicati, più strutturati e orientati al confronto allargato ad operatori di servizi
diversi, soprattutto nei piccoli servizi in cui può talvolta affiorare l’isolamento, tuttavia l’esperienza,
proprio nei piccoli servizi, porta a valorizzare il momento della crescita professionale che si colloca
necessariamente all'interno del gruppo di lavoro.
2.5.6 Il Coordinamento Pedagogico
Ogni gruppo ha bisogno di cura, che non può venire solo dall'interno del gruppo stesso: prendersi
cura del gruppo è il compito fondamentale del coordinatore pedagogico. Non essendo implicato
nella dinamica operativa e relazionale del gruppo, egli diventa un riferimento costante, che stimola
l’analisi e la discussione, facilita la comunicazione, aiuta a rendere esplicito, e di conseguenza
oggetto di confronto ciò che troppo spesso, tra persone che lavorano fianco a fianco, finisce per
diventare scontato, smarrendone il senso evolutivo.
Inoltre, il coordinatore pedagogico favorisce e sostiene lo scambio con servizi analoghi del
territorio, predispone e/o partecipa alla redazione dei piani formativi, sia quelli interni alla struttura
organizzativa di appartenenza, che quelli generali rivolti a tutti i servizi per l’infanzia del territorio.
La collegialità è un prerequisito fondamentale nel lavoro educativo, è una grande risorsa, ma è anche
fatica: chi è immerso nella quotidianità del rapporto con i bambini non sempre può avere la giusta
distanza per riconoscere e valutare con equilibrio la priorità, la portata e gli effetti delle scelte. Si ha
bisogno di un punto di vista esterno, di uno sguardo competente, che non sia direttamente coinvolto,
ma nello stesso tempo partecipe e consapevole, familiare e informato. Al coordinamento
pedagogico appartiene un compito che è in qualche modo affine al compito educativo:
accompagnare l’evoluzione del gruppo di lavoro, mettere a disposizione opportunità e
strumenti di crescita, far emergere le potenzialità di tutti, raccogliere, consolidare e rilanciare le
buone pratiche, riconoscere e sviluppare punti di innovazione, sistematizzare e rendere fruibili
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nuove conoscenze, evidenziare e correggere fraintendimenti e oscillazioni. Il lavoro educativo
ha bisogno di essere continuamente ripensato: promuovere questo ripensamento costante è la
funzione fondamentale del coordinatore pedagogico.
2.5.7 La formazione permanente
La formazione del personale rappresenta un indicatore della qualità di un servizio per l’infanzia: è
formazione la riflessione e la verifica sul lavoro; è formazione lo scambio quotidiano tra gli
operatori, è formazione l’incontro con i genitori, è formazione l’impegno nell’osservare i bambini;
è formazione lo scambio e il confronto con il Coordinatore Pedagogico.
È necessario, inoltre, avvicinarsi e lasciarsi prendere dall’elaborazione del pensiero di altri, per
cercare approcci nuovi e diversi, per trovare nella cultura e nella ricerca scientifica suggerimenti e
suggestioni che alimentino la comprensione e il rinnovamento.
La formazione permanente è un processo che intreccia conoscenza teorica e pratica quotidiana:
dalla pratica nasce il bisogno di accrescere la conoscenza, che alimenta nuove pratiche, da cui
scaturiscono nuove conoscenze, che a loro volta vanno a comporre nuove teorie, da tradurre in
nuove pratiche. Le buone teorie, in altre parole, arricchiscono le buone pratiche, così come le
buone pratiche alimentano buone teorie.
2.5.8 L’organizzazione dei tempi.
La quotidianità all’interno del Piccolo Gruppo Educativo è progettata rispettando il più possibile i
tempi individuali di ogni bambino e ogni bambina nella convinzione che la qualità della vita nel
nido consista nel raggiungimento di un equilibrio fra due istanze tra loro contrapposte: da un lato la
necessità della ricorsività che si traduce nella individuazione di punti di riferimento costanti e
ripetitivi perseguiti con coerenza, dall’altro l’opportunità della flessibilità che si propone come
strumento in grado di tenere conto delle diversità, dei bisogni differenziati dei singoli bambini, dei
ritmi individuali di crescita, degli stili personali di ognuno. Ritrovare il proprio posto, vivere in un
contesto nel quale la sequenza delle scadenze della vita quotidiana è marcatamente scandita e
ripetuta in modo sempre uguale, essere soggetti a rituali fortemente riconoscibili (l’entrata, il gioco,
le attività, il pasto, il sonno e l’uscita) sono la garanzia di una situazione stabile e in quanto tale
vissuta come sicura.
Nel Piccolo Gruppo Educativo, dove i bambini crescono insieme ad altri bambini, l’educatore
scandisce il tempo e ne organizza il ritmo cercando di offrire ad ognuno la possibilità di trovare sia
connotazioni individuali che collettive alle esperienze educative; la gestione del tempo comporta
pertanto la capacità dell’adulto di essere flessibile, di saper apportare modifiche alle situazioni per
coniugare bisogni personali e bisogni del gruppo; i tempi personali di ogni bambino chiedono e
necessitano il più delle volte di essere difesi, così come i tempi individuali dell’adulto, impegnato ad
osservare, a riflettere, a confrontarsi; l’organizzazione dei tempi non deve, pertanto, appartenere al
piano della buona volontà, ma piuttosto rappresentare uno dei tasselli che compongono il fare
dell’educatore e che costruiscono la qualità del progetto pedagogico.
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Non possiamo, né vogliamo prefigurare orari e tempi di una giornata, poiché questo è un compito
che deve essere lasciato al personale educativo, nell'interazione con le famiglie.
Il Piccolo Gruppo Educativo di una piccola comunità deve proporsi, infatti, come un servizio
volutamente molto flessibile, che accetta pienamente la sfida di impegnarsi a coniugare e
tenere insieme gli interessi e i bisogni dei bambini con i desideri e le necessità dei genitori.
Non si propone pertanto uno schema a cui le famiglie debbano adattarsi (con la motivazione,
talvolta pretestuosa, che le regole devono essere uguali per tutti, per evitare disparità di trattamento),
né pensiamo di dover rispondere ad ogni richiesta, come se dovesse valere il principio, prettamente
commerciale, che il cliente ha sempre ragione. Il criterio che ci guida, espresso con un termine
troppo spesso abusato, può essere quello della personalizzazione degli orari e dei tempi di
frequenza, nella ricerca del miglior punto di equilibrio possibile tra esigenze personali e vita
collettiva. Poiché pensiamo che i genitori abbiano a cuore il benessere dei loro bambini almeno
quanto gli educatori, il nostro impegno andrà nella direzione di costruire insieme un'articolazione
del tempo personale di ciascuno, facendo ogni sforzo per rendere partecipi i genitori dei significati e
degli effetti che, in positivo e in negativo, possono aver le loro scelte sulla vita del gruppo e
sull'esperienza di quel bambino nel gruppo, con onestà e chiarezza e senza posizioni pregiudiziali.
2.5.9 L’ambientamento dei bambini e delle bambine
Per la maggior parte dei bambini, la frequenza del Piccolo Gruppo Educativo nido coincide con la
prima esperienza di separazione dalle figure familiari, che fino a quel momento si sono prese cura di
lui.
L'eccezionalità di questa condizione (è il primo vero contatto con la vita sociale), induce a pensare
l'organizzazione di questo momento delicato con una cura particolare .
Quello che usualmente viene chiamato inserimento ha assunto nel tempi nomi diversi: accoglienza,
ambientamento, per marcare la posizione attiva dei bambini e delle bambine ed il ruolo di
mediazione delle figure adulte. Con il termine ambientamento si intende quell'insieme di relazioni
tra la famiglia ed il nido che vanno dai primi approcci precedenti all’iscrizione, alle visite, ai
momenti di conoscenza tra educatori e genitori, attraverso incontri di gruppo o colloqui individuali,
al periodo di frequenza iniziale e graduale del bambino, con una modulata presenza della madre o di
un’altra figura familiare di riferimento, fino alla completa presa in carico da parte delle educatrici. A
livello più profondo, intendiamo il processo emotivo e psicologico del progressivo ambientamento,
l’esplorazione, la conoscenza, l’investimento affettivo, le rappresentazione e le ambivalenze, le
soluzioni, i legami che tutti i protagonisti di questa transizione affrontano, tentano, sperimentano e,
in circostanze felici, riescono a tradursi non solo in gesti simbolici, ma anche in osservazioni e
pensieri sul bambino, su di sé, sugli altri adulti, in consapevolezza condivisa, in narrazioni, in
parola.
Si tratta di un’esperienza, emotivamente complessa ed importante, che necessita di una strategia di
intervento particolare, per consentire al bambino, ma anche al genitore, di inserirsi attivamente
all’interno del nido. La serenità del bambino è condizionata , infatti, in gran parte da come il
genitore vive la scelta del nido, da come è rassicurato dalla qualità del servizio e da come supera o
razionalizza "in proprio" la separazione dal figlio.
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L'aspetto cruciale dell'’ambientamento è rappresentato dal ruolo di mediazione che è richiesto al
genitore: la sua presenza accanto all'educatrice, il suo essere a fianco del bambino in questo
ambiente estraneo, testimonia al bambino stesso la fiducia che la madre (o chi per lei) nutre nei
confronti di questa persona e di questo posto sconosciuto e pieno di sorprese, di cui lui stesso “deve
imparare a fidarsi”.
Durante il periodo dell’ambientamento le educatrici lo aiuteranno ad orientarsi, mettendogli a
disposizione la continuità della propria presenza. Costituiranno un punto di riferimento per il
bambino e per la sua famiglia.
2.5.10 La relazione con le famiglie
Le famiglie, come si è cercato di delineare, seppur succintamente in premessa, cambiano in
continuazione nella loro struttura, nei loro comportamenti, nelle loro aspettative educative, nei
confronti dei bambini e pongono richieste diverse alle educatrici che quotidianamente entrano in
contatto con loro, ma anche al Coordinatore Pedagogico e alle Amministrazioni Comunali in
generale. A volte i genitori, accanto a sentimenti di maggior consapevolezza e attenzione, riportano
sensazioni di incertezza rispetto alle strategie e ai comportamenti da mettere in atto, difficoltà
nell’orientarsi, anche in mancanza della trasmissione del sapere tra generazioni che la famiglia
allargata consentiva ed in presenza della contraddittorietà che i mass media propongono/impongono.
Lo sviluppo di una relazione di reciproca fiducia e collaborazione tra i genitori e gli educatori incide
in modo determinante sulla qualità dell’esperienza educativa del bambino al Piccolo Gruppo
Educativo e nel contesto familiare; la famiglia rappresenta, comunque, il contesto educativo primario
e l'esperienza al Piccolo Gruppo Educativo si pone come ampliamento ed integrazione
dell'esperienza vissuta dal bambino in famiglia, ben sapendo che ogni contesto educativo non può
che svolgere funzioni parziali e pertanto dovrebbe sviluppare collaborazione, solidarietà ed
interazione con gli altri contesti per garantire una crescita armonica e completa del bambino. Le
educatrici rappresentano il punto di riferimento per la famiglia e devono essere in grado di porsi
come persone degne di fiducia, ma senza mai configurarsi come le artefici principali dello sviluppo
del bambino. È quindi richiesto loro di prestare una particolare cura nei rapporti quotidiani con i
genitori, attraverso una informazione attenta e costante che dia loro il senso di essere coinvolti
nell’esperienza del loro bambino e faccia loro sentire come il benessere del figlio al nido nasca e si
costruisca soprattutto grazie alla loro collaborazione. L’obiettivo è quello di individuare e
promuovere le condizioni per cui tra educatori e genitori si possa stabilire un clima di dialogo, di
confronto e di aiuto reciproco per poter pensare ed impostare strategie comuni rispetto allo stesso
bambino.
Le attività e le iniziative che possono accompagnare il bambino e la sua famiglia, dal primo
momento in cui i genitori pensano di formulare la domanda di iscrizione, fino alla effettiva
frequenza sono sinteticamente le seguenti:
visita al nido e prima conoscenza del bambino/a da parte degli educatori presso
l’abitazione del bambino
Riteniamo che il Piccolo Gruppo Educativo, anche in una piccola comunità, debba proporsi
come luogo aperto, a cui i genitori possano accedere, per orientarsi e fare una scelta
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consapevole e informata. La conoscenza del bambino, da parte degli educatori, nella propria
abitazione è orientata ad implementare il clima di fiducia fra famiglia ed operatori del
servizio.
L’assemblea del Piccolo Gruppo Educativo: rappresenta un momento di incontro per tutti i
genitori, su temi e problemi di interesse comune. È un momento , non formale
che
facilita la comprensione del servizio nella sua globalità e gi approcci educativi proposti per
la realizzazione del percorso di crescita comune.
I colloqui individuali: la partecipazione è veramente tale solo se ciascuno sente di poter
avere anche uno spazio proprio, che gli appartiene in modo esclusivo, in cui poter esprimere
con libertà dubbi, perplessità o preoccupazioni, in cui chiedere e offrire consigli e
suggerimenti.
Lo scambio di informazioni quotidiane: è naturalmente la prima e fondamentale forma di
partecipazione che possiamo e dobbiamo offrire alle famiglie, quella che trasmette ogni
giorno una informazione puntuale e precisa degli eventi della giornata, per riempire di
contenuti quel tempo della vita del proprio figlio su cui il genitore non ha alcun controllo e
per assicurarlo del fatto che il suo bambino è nei pensieri dell'educatrice, che gli presta
attenzione, che lo conosce nella sua particolarità.
Gli incontri tematici: nel contesto di una piccola comunità, in cui a volte i genitori dei
bambini piccoli avvertono la solitudine e l'isolamento, il Piccolo Gruppo Educativo può e
deve offrire anche occasioni che facilitino la costruzione di legami delle famiglie tra
loro. A partire da un luogo di aggregazione sociale già frequentato abitualmente, ci sembra si
possa puntare sull'ampliamento della rete di relazione propria di ciascuna famiglia, favorendo
anche incontri pensati soprattutto per gli adulti, come quelli connessi, ad esempio, al
sostegno della genitorialità
2.5.11 La continuità
L’esigenza di assicurare la continuità verticale dell’esperienza educativa è da anni oggetto di
discussione in tutti i servizi educativi; ogni istituzione educativa non può rinchiudersi in sé stessa,
ma muoversi in una prospettiva (metodologica e di contenuto) nella quale risulti in modo ben
evidente che il bambino non esaurisce il proprio percorso di formazione nel singolo servizio.
Lavorare per la continuità implica altresì la consapevolezza di doverla coniugare con la dimensione
della discontinuità e con la sua funzione di stimolo; continuità non significa anticipare al nido le
modalità di vita, di relazione, di apprendimento della Scuola dell’infanzia, né perpetuare nella
Scuola dell’infanzia l’identità del nido, i suoi stili educativi, l’organizzazione. Verrebbe allora da
pensare che la prima continuità il Piccolo Gruppo Educativo la troverà con se stesso, con i
bambini che accoglierà, con le loro età, con i loro stili peculiari, con i propri livelli di
organizzazione. Il Piccolo Gruppo Educativo, potremmo forse affermare, opererà lungo una
direttrice verticale e una orizzontale. La direttrice verticale esprime l’esigenza di impostare una
formazione che possa poi continuare lungo l’intero arco della vita;che costruisce il cambiamento
valorizzando quello che i bambini sanno già fare. Quella orizzontale indica l’esigenza di un’attenta
Progetto pedagogico Piccolo Gruppo Educativo “Il Castagno” di Castel del Rio.
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collaborazione fra il Piccolo Gruppo Educativo e la famiglia per sostenere i bambini a capire che “
… in qualche modo occorre allenarsi …. al fatto che il cambiamento c’è sempre”1 anche dentro alla
stessa istituzione. Potremmo forse sintetizzare affermando che la continuità può sostanziarsi anche
nell’osservare le capacità dei bambini,ciò che pensano e quello che sanno fare per capire ciò che
si aspettano dal nido e dagli altri. Le esperienze di ognuno, quindi l’identità, si costruiscono infatti
in una continuità di tempi interni, soggettivi e di luoghi di vita familiari ( nel senso di conosciuti e
riconosciuti) che si intrecciano con i tempi, i ritmi, gli spazi propri del Piccolo Gruppo Educativo.
Castel del Rio, novembre 2014
1
C. Pontecorvo, Le ragioni della continuità, in: Cooperazione Educativa, Anno XLI, n.° 1
Progetto pedagogico Piccolo Gruppo Educativo “Il Castagno” di Castel del Rio.
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