Il Paradiso degli Orchi

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Il Paradiso degli Orchi
2013-2014
Lo staff del Cinema Teatro Alcione ringrazia tutti gli spettatori che con la loro fedeltà
hanno contribuito all’assegnazione del biglietto d’Oro 2013 ed augura buone feste.
Nei giorni 23-24-27-28-30 dicembre 2013 e 2-3-4 gennaio 2014 i possessori della tessera Cineforum potranno venire al Cinema a € 3
Lunedì 16 dicembre
Martedì 17 dicembre
Mercoledì 18 dicembre
Giovedì 19 dicembre
11
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 15.30 - 17.45 - 20.30
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 16.30 - 19.00 - 21.30
Il Paradiso degli Orchi
(Au bonheur des ogres)
Regia: Nicolas Bary.
Con: Bérénice Bejo, Emir Kusturica, Raphaël Personnaz, Ludovic Berthillot,
Dean Constantin Gaigani.
Durata: 1h’- Francia 2013 - Drammatico
Daniel Pennac, si sa, è uno degli scrittori di libri per ragazzi più amati, e trarre un
film da una delle sue opere di maggior successo può rappresentare un enorme rischio,
soprattutto se si tratta di una grande produzione. “Il paradiso degli orchi” è stato il
capostipite della serie di libri dedicati a Benjamin Malaussène, che di mestiere fa il capro
espiatorio dei grandi magazzini “Au Bonheur Parisien”, col compito di impietosire i clienti che hanno comprato
prodotti difettosi per evitare che sporgano denuncia. Benjamin deve anche occuparsi dei suoi quattro fratelli
minori, ognuno nato da un padre diverso. Le cose si complicheranno quando si ritroverà a essere il principale
indagato per l’esplosione di alcune bombe all’interno del negozio per cui lavora. Grazie all’aiuto di una
giornalista di cui si innamora, Benjamin inizia la sua maldestra indagine per scagionarsi da ogni sospetto. Il
film dimostra subito di saper riproporre l’ironia e le atmosfere fiabesche del romanzo di Pennac, presentando
un personaggio costretto a vivere in un mondo di adulti ma in fondo ancora bambino come i suoi fratellini,
sprizzante ottimismo e vitalità, attraverso uno stile dinamicissimo, con un’abilità straordinaria nel saper
gestire accelerazioni e pause che rende impossibile la noia. Nicolas Bary, al suo secondo lungometraggio,
palesa il proprio talento con una regia solidissima che non cala mai di tono, dipingendo un coro di personaggi
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attraverso brevi ma efficacissime pennellate, mantenendosi sempre nei pressi di quelle atmosfere surreali
che da lontano fanno pensare a Tim Burton o a Jean-Pierre Jeunet (anche se privo di tutta la poeticità di
quest’ultimo), specialmente nei bellissimi resoconti romanzati delle proprie giornate che Benjamin fa ai
fratelli prima di dormire. Lo stesso ha anche firmato la sceneggiatura, di una precisione e di una scorrevolezza
esemplari. La fotografia solare, il montaggio dal ritmo spesso serrato, tutto contribuisce a creare un film
davvero per tutti, che può essere amato dai bambini ma anche, e forse di più, dagli adulti. Un’ora e mezza di
grande intrattenimento a cui ha contribuito la bravura di interpreti come Raphaël Personnaz (“La princesse de
Montpensier”), Bérénice Bejo (“The Artist”, “Il passato”), Guiilaume de Tonquedec (“Cena tra amici”) ed Emir
Kusturica, con un divertente cameo della grandissima Isabelle Huppert.
Film d’Essai
Il Passato (Le passé)
Martedì 7 gennaio ore 15.30 - 18.00 - 20.30
Mercoledì 8 gennaio ore 16.00 - 18.30 - 21.00
Ingresso intero E 6,50 - Mercoledì E 4
Tesserati Cineforum E 3,00
Regia: Asghar Farhadi .
Con: Bérénice Bejo, Tahar Rahim, Ali Mosaffa,
Pauline Burlet, Elyes Aguis.
Durata: 2h10’ - Francia, Italia 2013 - Drammatico
Ahmad arriva a Parigi da Teheran. Marie, la moglie che ha lasciato quattro anni prima,
ha bisogno della sua presenza per formalizzare la procedura del divorzio. Marie ha
due figlie nate da altre relazioni e ha un difficile rapporto con la più grande, Lucie.
Ahmad viene invitato a non risiedere in hotel ma a casa e ha così modo di scoprire che
Marie ha una relazione con Samir la cui moglie si trova in coma.
Asghar Farhadi si è fatto conoscere sugli schermi occidentali grazie all’Orso d’argento
vinto al Festival di Berlino con About Elly e ha confermato le sue qualità con il successivo
Una separazione (vincitore, tra gli altri premi, di un Oscar di cui la stampa ufficiale
iraniana non ha dato notizia all’epoca). Ora con Il Passato offre un’ulteriore conferma delle proprie doti di
scrittura oltre che di regia. Lo spazio architettonico e sociologico è mutato. La casa di vacanza e la dimensione
urbana della capitale iraniana vengono ora sostituiti da una Parigi periferica così come periferiche sono
apparentemente le une per le altre le vite dei protagonisti.
Ahmad, Marie, Samir e Lucie si vorrebbero sentire ‘fuori’ dalla complessità e dalle problematiche degli
altri ma ciò è impossibile. Se Ahmad ha pensato che il ritorno in patria lo separasse definitivamente da
Marie si trova costretto a scoprire che non è così. Se Marie ha creduto che bastasse una firma per chiudere
definitivamente con lui è costretta ad accorgersi di avere sbagliato. Se lei e Samir si illudono di poter staccare
i legami che li collegano a quella donna che sta su un letto di ospedale ci penseranno gli eventi a dissuaderli.
Se Lucie ritiene che ridurre la propria presenza in casa al solo dormire possa cancellare la sua ostilità per
il ruolo assunto da Samir nella vita della madre dovrà accettare una realtà ben diversa. Perché Farhadi ci
ricorda che per guardare avanti nelle nostre esistenze è indispensabile prendere atto del passato (remoto
o prossimo che sia) evitando di rappresentarlo a noi stessi grazie a rimozioni che rendano più accettabile
il peso. Il vetro che separa (e forse protegge) Ahmad e Marie all’aeroporto è presto destinato ad andare in
pezzi. Saranno lo sguardo ribelle del piccolo Fouad (figlio di Samir) e quello solo apparentemente rassegnato
della coetanea Léa a provocare le prime crepe. Perché i bambini, come al cinema ci ha insegnato Vittorio De
Sica, ci guardano e ci giudicano. Anche quando sembrano pensare alla catena saltata di una bicicletta o a un
elicottero telecomandato finito su un albero in giardino.
Lunedì 13 gennaio
Martedì 14 gennaio Mercoledì 15 gennaio Giovedì 16 gennaio 12
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 15.30 - 17.45 - 20.30
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 16.30 - 19.00 - 21.30
La Mafia Uccide
Solo D’estate
Regia: Pif.
Con: Cristiana Capotondi, Pif, Ginevra Antona, Alex Bisconti, Claudio Gioé.
Durata: 1h30’ - Italia 2013 - Commedia.
E’ fisiologico: anche nelle città in guerra e sotto assedio, attaccate dal terrorismo o
dalla criminalità, si continua a vivere, a innamorarsi, ad andare a scuola. In qualsiasi,
drammatica situazione, l’istinto di sopravvivenza induce gli uomini a distogliere lo
sguardo, camuffare la realtà sotto le spoglie di una normalità fortemente voluta.
Palermo negli anni Settanta e Ottanta era una città dove, nonostante il bollettino
quotidiano delle vittime, la gente continuava a vivere una sua quotidianità.
E’ da questa realtà che prende il titolo il film d’esordio di Pierfrancesco Diliberto, in
arte Pif, La mafia uccide solo d’estate.
Nel film è il padre a dire questa frase al figlio per tranquillizzarlo, ma è anche
l’illusoria certezza in cui molti si sono cullati per troppo tempo: quella che la mafia
fosse una specie di fenomeno atmosferico, per difendersi dal quale bastava ignorarlo.
Pif apre con una dedica ai caduti giusti di questa guerra, e nella storia del piccolo
Arturo ripercorre questi tragici eventi filtrandoli attraverso l’occhio ingenuo di un
bambino e quello spesso volutamente tale degli adulti: dalla strage di Viale Lazio
del 1969, data in cui viene concepito, alle bombe di Capaci e via D’Amelio nel 1992,
passando per l’omicidio del generale Dalla Chiesa e quelli di Boris Giuliano, Pio La
Torre e Rocco Chinnici, Pif fa nomi e cognomi dei mandanti e degli esecutori, scrive
una storia che non si studia sui libri e che in troppi tendono a dimenticare. Lo fa
col candore e con l’umorismo propri di un’intelligenza atipica come la sua, che sa
di poter accostare toni e argomenti in apparenza agli antipodi, senza mancare di
rispetto a nessuno. E’ così che il suo film diventa il mezzo perfetto per raccontare alle
giovani e spesso ignare generazioni la storia di un paese in cui un politico come il
Divo, l’”Amico degli amici”, poteva diventare l’idolo di un bambino, per dir loro che
la mafia in realtà non ha mai guardato in faccia a nessuno, nemici o ex amici, e che per essere eroe “basta”
essere determinati a fare bene il proprio lavoro.
Un paese e una città in cui la pigrizia e l’ignavia hanno pian piano ceduto il passo all’impegno e alla
consapevolezza civile ma dove c’è ancora moltissimo da fare. E’ bello che a ricordarci chi erano queste
persone sia una commedia, che a pronunciarne i nomi non sia per una volta la piazza ma un mezzo
trasversale capace di parlare anche a quelli che non leggono e non si interessano al mondo in cui vivono.
Per questo ci è piaciuta la presentazione nei loro piccoli e umani rituali di personaggi come Boris Giuliano
e il giudice Chinnici, ma anche la voglia di scherzare sui Padrini, che non per questo cessano di essere
feroci e spietati.
C’è molto colore (e calore) in questo mondo, in cui Pif si aggira con la grazia stralunata di un Pinocchio che
scopre la brutta realtà del Paese dei Balocchi, e molto affetto per un periodo in cui si è stati comunque felici.
Niente male davvero per un esordio originale, che invece della solita rassicurante commedia sentimentale
ha scelto di raccontare una generazione capace di impegnarsi nelle battaglie giuste, ma sempre col sorriso
sulle labbra.
Lunedì 20 gennaio
Martedì 21 gennaio Mercoledì 22 gennaio Giovedì 23 gennaio 13
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 15.30 - 17.45 - 20.30
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 16.30 - 19.00 - 21.30
Lunchbox
(Dabba)
Regia: Ritesh Batra.
Con: Irrfan Khan, Nimrat Kaur, Nawazuddin Siddiqui,
Denzil Smith, Bharati Achrekar.
Durata: 1h45’ - India, Francia, Germania, USA 2013 - Drammatico.
Dolce come il latte di cocco, piccante come il curry e pungente come il cardamomo,
sono questi tutti i sapori di “Lunchbox”, opera prima del regista indiano Ritesh Batra.
Protagonista assoluta del film è una gavetta per il pranzo, che essendo un giorno
consegnata all’indirizzo sbagliato diventerà il mezzo tramite il quale, due persone che
mai avrebbero avuto occasione di incontrarsi, iniziano una fitta corrispondenza. Lei
Ila, è una casalinga insoddisfatta che cerca inutilmente di riaccendere il rapporto con
il marito, e lui Sajaan è invece un contabile di mezz’età ormai giunto alla soglia della
pensione tormentato dai demoni del passato. Allontanandosi dai canoni stilistici tipici del cinema ‘made in
Bollywood’, Ritesh Batra porta sul grande schermo una pellicola dolce e amara in cui si interroga sull’amore,
sulla solitudine ma soprattutto sul ruolo giocato dal caso nella vita di ognuno di noi. A fare da sfondo
all’azione dei due protagonisti sono le strade rumorose, i treni affollati e i vicoli di Mumbai, che proiettano
il pubblico in questa città pulsante di vita e scalpitante nella sua rincorsa alla modernità. Ad un certo punto
però, al rumore della città se ne sostituisce un altro ancora più assordante, quello della solitudine dei suoi
protagonisti. Il regista insegue con la sua macchina da presa Ila e Sajaan nelle loro case silenziose, li spia
mentre cucinano, fanno il bucato e fumano sigarette con lo sguardo perso nel vuoto, ed è proprio in queste
scene che, grazie all’alternanza tra primi piani e piani all’americana, il pathos cresce permettendo al pubblico
in sala quasi di percepire i pensieri e le angosce di chi vive una vita monotona e grigia, che rappresenta ormai
solo una sorta di gabbia della quale si è persa la chiave. Ad emergere non sono però solamente il senso di
straniamento provocato dai ritmi della vita moderna ed una sorta di malinconia nei confronti di un passato
in cui, nonostante non esistessero chat, social network di ogni tipo e programmi di messaggistica istantanea,
comunicare era molto più semplice ma è anche, e forse soprattutto, la forza dell’amore. Dalla pellicola di
Ritesh Batra è veicolato infatti forte e chiaro il messaggio che, proprio come cantavano i Beatles nei mitici anni
’60, tutto ciò di cui c’è bisogno nella vita è proprio l’amore. E’ proprio questo sentimento, secondo il regista,
l’unico in grado di infondere nuova linfa in una vita che sembra ormai avvizzita e stanca, di essere il motore
per ogni cambiamento nell’esistenza di ognuno di noi. Grazie alla sua abilità narrativa e alle interpretazioni
magnetiche e sfaccettate dei protagonisti Irfan Khan e Nimrat Khan, Radesh porta nelle sale una riuscitissima
opera d’esordio sul destino e sul potere salvifico dell’amore.
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riservato a un pubblico adulto o over 14 accompagnati da un adulto). Il carnet intero è al portatore; il carnet ridotto può essere utilizzato solo dagli aventi diritto. Entrambi possono
essere utilizzati per un massimo di due ingressi a spettacolo.