Volantino - Teatro Nuovo Verona

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Volantino - Teatro Nuovo Verona
2017
Lo staff del Cinema Teatro Alcione augura Buon Natale e felice Anno Nuovo a tutti gli spettatori e comunica che
come ogni anno i possessori della tessera Cineforum Alcione nei giorni 27, 28, 29, 30, 31 dicembre 2016
e 2, 3, 4 e 5 gennaio 2017 potranno venire al cinema a 4 €.
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Il carnet è utilizzabile per tutte le proiezioni del Cinema Alcione entro il 20 giugno 2017.
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* ridotto per under 26 e over 60
Lunedì 9 gennaio
Martedì 10 gennaio
Mercoledì 11 gennaio Giovedì 12 gennaio 11
Il Carnet, in vendita dal 1 dicembre 2016 all’8
gennaio 2017, deve essere utilizzato nel rispetto
delle normative in vigore al Cinema Alcione entro
il 20/06/2017 (il Cineforum è riservato ad un
pubblico adulto o agli over 14 anni accompagnati
da un adulto).
Il Carnet intero è al portatore; il carnet ridotto può
essere utilizzato solo dagli aventi diritto. Entrambi
possono essere utilizzati per un massimo di due
ingressi a spettacolo. Non può essere utilizzato per
la rassegna “Il piacere degli occhi”.
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 15.30 - 17.45 - 20.30
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 16.30 - 19.00 - 21.30
SULLY
Regia: Clint Eastwood.
Con: Tom Hanks, Aaron Eckhart, Laura Linney, Anna Gunn, Autumn Reeser.
Durata: 1h35’- USA 2016 – Biografico
All’apparenza semplice storia dei retroscena dietro al miracoloso ammaraggio
sull’Hudson effettuato nell’inverno del 2009 dal Capitano Chesley Sullenberger in seguito all’avaria
di entrambi i motori del suo volo, l’asciutta, esemplare e memorabile nuova gemma della filmografia
eastwoodiana racchiude all’interno di essa, come sempre, molto di più.
Piccolo grande film sull’etica, il senso del dovere e il rispetto per l’umanità, “Sully” è un film sincero, toccante
e patriottico nell’accezione migliore del termine, un’opera che esalta l’uomo e la civiltà sopra ogni cosa e ogni
valore e che vede il successo e la grandezza del proprio Paese nel lavoro di molti, visione condivisa in toto da
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quel Capitano Sullenberger che apparirà in carne ed ossa nei bei titoli di coda, uomo retto che rispetta e ha a
cuore il prossimo suo, e che alla luce di questo opera una scelta precisa: fare bene il proprio lavoro fino alla
fine, riuscendoci grazie anche all’aiuto di una squadra che non si dimenticherà di elogiare e di ringraziare in
pubblico e in privato, fra una lacrima e uno sguardo più eloquente di mille parole.
Breve, rigoroso, senza fronzoli né eccessi, di una purezza e di una lucentezza esemplari come sempre nel
Cinema del grande Clint, autore che ha raggiunto ormai una maturità e una consapevolezza invidiabili e
senza precedenti da cui ognuno di noi dovrebbe prendere esempio.
Se in “American Sniper” non elogiava affatto la guerra ammirando però il sacrificio di chi in nome di questa si
sacrifica ed evidenziando al tempo stesso tutte le ombre che la violenza porta con sé in una rappresentazione
gelida e desolante della realtà e del conflitto, qui s’immedesima con tutta la sensibilità e la morbidezza che
lo contraddistinguono nell’onesto e coraggioso working class hero straordinariamente interpretato da Tom
Hanks, che non si reputa e non è un essere superiore da elogiare acriticamente, ma un uomo comune che nel
momento del bisogno fa la cosa giusta e che farà di tutto per far valere le proprie ragioni dinnanzi all’aridità
degli infondati e inesatti calcoli tecnologici, del tutto estranei a ciò che fa realmente la differenza in momenti
come questi, ovverosia il fattore umano, fattore che appartiene a noi e a noi soltanto. A noi umani che siamo
pronti a prendere la decisione della vita in 208 critici secondi in cui tutto potrebbe andare storto, benignamente
assistiti e guidati da terra e in seguito, sventata la tragedia, riconosciuti e abbracciati da una collettività che
non conosce razze né colori ma che è accomunata solo e soltanto dalla ricerca del Bene comune, prerogativa
che l’occhio profondo e rigoroso di Eastwood coglie con esemplare lindezza e autenticità, ricordandoci anche
però che dobbiamo sempre esser pronti a difenderci, perché le nostre azioni, per quanto nobili, autentiche e
necessarie, potranno esser costantemente messe in discussione da poco assennati individui pronti a schierarsi
(ma fortunatamente anche a ricredersi) a favore di quella tecnologia che pur con gli enormi balzi in avanti che
ha fatto, mancherà sempre di quel qualcosa che solo la nostra specie, pur con tutti i suoi difetti, può garantire.
Film d’Essai
La pelle dell'orso
Venerdì 13 gennaio ore 17.00 - 19.00 - 21.00
Ingresso intero E 7,00 - Tesserati Cineforum e under 26 anni E 4,00
Regia: Marco Segato.
Con: Marco Paolini, Leonardo Mason, Lucia Mascino, Paolo Pierobon,
Maria Paiato.
Durata: 1h32’ - Italia 2016 – Commedia
Anni Cinquanta. Domenico ha 14 anni e vive da solo con il padre Pietro da quando
la madre è morta in circostanze misteriose. Pietro, uscito di galera, è il bersaglio della
piccola comunità montana che lo considera "una bestia". Quando in paese si ripresenta
el Diàol, il diavolo, un orso che ha già mietuto vittime in passato, Pietro intuisce la
possibilità del suo riscatto: dunque scommette con il padrone della cava di pietra locale, Crepaz, che ucciderà
l'orso. Se riuscirà nell'impresa guadagnerà una somma enorme per l'epoca e la zona. Se invece fallirà, regalerà
un anno del suo lavoro di spaccapietre a Crepaz. Anche per Domenico la caccia all'orso è un'occasione: per
riavvicinarsi al padre, mettere alla prova la propria abilità con il fucile, e dimostrare che non è un bocia, ma
un giovane uomo pronto ad affacciarsi alla vita adulta.
Marco Segato, autore di documentari e regista teatrale debutta al lungometraggio con una storia narrata in
purezza, tratta dal romanzo di formazione "La pelle dell'orso" di Matteo Righetti. E fa una serie di scelte di
grande saggezza e umiltà: scrive la sceneggiatura insieme a Marco Paolini, protagonista del film nei panni
di Pietro (e soggetto di alcune regie teatrali di Segato), ed Enzo Monteleone; sceglie come direttrice della
fotografia Daria D'Antonio, eccezionale nel far emergere le figure dal buio e nel dosare il fuoco fra primo
piano e sfondo; affida i ruoli principali a Paolini e al giovanissimo ma efficace Leonardo Mason, e affianca
loro un cast di interpreti di spessore, da Lucia Mascino a Paolo Pierobon a Maria Paiato; abbina al montaggio
il "veterano" Paolo Cottignola (David di Donatello per Il mestiere delle armi) e la pluripremiata Esmeralda
Calabria; infine costruisce un manto sonoro che riequilibra silenzi della montagna e dialoghi limati all'osso
con le musiche di Andrea Felli.
La pelle dell'orso è un lavoro di squadra capitanato con mano salda da un regista tanto abile nel delegare alle
eccellenze quanto nel dare loro la linea da seguire: il risultato è un film solido e coeso che riesce a raccontate
con nitore e parsimonia il passaggio di potere e competenze che deve avvenire fra un padre e un figlio,
costruito attraverso reciproci appostamenti che occasionalmente coinvolgono anche un orso (assai ben filmato),
funzionale alla formazione di un uomo, o forse anche di due.
La durezza dei personaggi e dei paesaggi è ben servita da una regia che rifiuta la spettacolarizzazione senza
per questo rinunciare all'accessibilità narrativa, e i volti intagliati nel legno dei protagonisti contribuiscono
al racconto più delle loro parole scarne e schive. A poco a poco ognuno svelerà i propri segreti, con pudore e
sollievo: perché i macigni sulla coscienza non si spaccano con la vanga, ma con la capacità di ascolto.
Lunedì 16 gennaio
Martedì 17 gennaio
Mercoledì 18 gennaio Giovedì 19 gennaio ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 15.30 - 17.45 - 20.30
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 16.30 - 19.00 - 21.30*
(*proiezione in lingua originale con sottotitoli in italiano
riduzione ingresso universitari ad € 4)
12
LA VERITÀ NEGATA (Denial)
Regia: Mick Jackson.
Con: Rachel Weisz, Tom Wilkinson, Timothy Spall, Andrew Scott, Jack Lowden.
Durata: 1h50’- USA, Gran Bretagna 2016 – Biografico
Deborah Lipstadt è un’eminente figura nell’ambito degli studi ebraici e dell’olocausto, con cattedra alla
Emory University di Atlanta. Svariate le pubblicazioni di successo, ma è un libro in particolar modo a
coinvolgerla in una diatriba che finirà sui banchi di un tribunale, ovvero Denying the Holocaust: The Growing
Assault on Truth and Memory. Qui la Lipstadt usa toni netti ed inequivocabili all’indirizzo di David Irving,
studioso della seconda guerra mondiale che ha deciso di citarla in giudizio per diffamazione: Irving contesta
fermamente che lui sia un negazionista o, peggio ancora, un antisemita, se non altro perché simili etichette
squalificherebbero agli occhi della comunità il suo lavoro.
La verità negata si concentra sul processo, a partire dai suoi presupposti. Deborah che ogni giorno si dà alla
sua consueta corsa mattutina, torna a casa, beve dalla sua tazza, tiene poi le sue lezioni e via discorrendo,
una routine rotta dall’irrompere violento di quest’inquietante figuro. Un giorno, mentre tiene una sorta di
conferenza, David Irving interviene chiedendole ragione sul perché lei si neghi al confronto, come mai non
intenda partecipare ad un dibattito a due: il motivo è che la Lipstadt ritiene che in questo modo finirebbe col
legittimare il lavoro di Irving, verso il quale invece non nutre altro se non disprezzo.
Irving decide perciò di citare la Penguin Books per la pubblicazione del sopracitato libro della Lipstadt; lo fa
in Inghilterra però, dove la legge non contempla la presunzione d’innocenza bensì quella di colpevolezza,
dunque l’onere della prova è totalmente a carico della studiosa. Il film procede spedito attraverso la
ricostruzione di quei giorni, quando si tenne uno dei processi più significativi nella lunga storia dell’olocausto
ebraico. Un processo che avrà delle ripercussioni legislative, dato che contribuirà in maniera rilevante alla
formulazione del cosiddetto reato di negazionismo, punito penalmente.
"La chiave era come provare, non cosa provare”, per usare le parole dell’avvocato Rampton. Proprio lui, in realtà,
è il cuore del film, nel suo dualismo con David Irving, che scelse di difendersi da solo. La verità negata è
un’analisi sul potere delle parole, sulla valutazione delle stesse e sulla ricerca di una verità oggettiva: storica
prima che processuale. In una società già indirizzata verso la dittatura comunicativa dello slogan, risaltano
le parrucche finte, le aule di legno antico e le notti passate ad esaminare documenti, rigorosamente cartacei.
Come reagire con razionalità di fronte a chi nega l’evidenza, a chi scrive e dice che “non ci furono camere a gas
ad Auschwitz?”. Fino a che punto è tollerabile accettare che venga detta qualsiasi palese menzogna, col rischio
di perdere ogni riferimento oggettivo e ogni certezza storica, in nome di una
“perversione della verità” nobilitata dall’etichetta di libertà d’espressione?
Sono tanti e di grande interesse gli interrogativi suscitati dal film, scritto con
la consueta maestria da David Hare, sempre a suo agio nelle ricostruzioni
storiche, quando non nell’analisi del ruolo stesso della storia. Rachel Weisz
è tenace al punto giusto nei panni della Lipstadt, mentre sensazionale è il
David Irving impersonificato da Timothy Spall, dimagrito e scavato. La figura
tragica di un uomo pateticamente in lotta alla ricerca della considerazione
dell'Accademia.
Film d’Essai
Genius
Venerdì 20 gennaio ore 16.30 - 18.45 - 21.00
Ingresso intero E 7,00 - Tesserati Cineforum e under 26 anni E 4,50
Regia: Michael Grandage.
Con: Colin Firth, Jude Law, Nicole Kidman, Laura Linney, Guy Pearce
Durata: 1h44’ - USA 2016 – Drammatico
New York, fine Anni Venti. Max Perkins è l'editor principale della casa editrice Scribner's
Son e ha già dato il proprio contributo alla scoperta di scrittori del calibro di Francis
Scott Fitzgerald ed Ernest Hemingway. Il 2 gennaio 1929 ha il primo incontro con
Thomas Wolfe, che gli ha presentato un manoscritto di un migliaio di pagine intitolato
"O Lost". Perkins lo ha letto tutto d'un fiato e ha la certezza di avere dinanzi a sé un
Autore che merita il successo letterario. Si trova di fronte un uomo che necessita di sostegno e dal carattere
non facile.
Basato sulla biografia "Max Perkins. Editor of Genius", il film di Michael Grandage si discosta in maniera
sensibile dai classici biopic. Perché è vero che lascia ampio spazio alla descrizione di un Wolfe tutto genio
e sregolatezza, incapace di avere legami che non siano con i frutti della propria creatività ma al contempo
bisognoso di trovare un sostituto della figura paterna che tanto aveva contato nel sostenere i suoi studi e
che era prematuramente scomparsa. È però anche vero che il focus maggiore
sta proprio su Perkins, un uomo che non si toglieva il cappello neppure a
tavola e che, una volta attratto da un testo, finiva con il disinteressarsi di
quanto gli accadeva intorno. Grandage ci ricorda che, ora come allora, un
grande romanzo non è mai frutto solo ed esclusivamente della creatività di
'un' genio. Occorre che al suo fianco ce ne sia un altro, nascosto ma altrettanto
necessario: il curatore editoriale. Se si tratta di una persona che ama il proprio
lavoro, che non si limita a correggere i refusi ma sa entrare dentro l'intimità
di un testo, sapendone cogliere le potenzialità ma evidenziandone anche le
fragilità, il libro che ne nasce sarà migliore di quando è stato proposto per
la pubblicazione. Attraverso l'incontro (e talvolta anche lo scontro) tra due
personalità così diverse veniamo invitati a comprendere come la forza della
parola resti ancora oggi, a distanza di quasi un secolo e in un mondo in cui
le forme della comunicazione sembrano avere imboccato strade totalmente
diverse, fondamentale. Gli Hemingway, gli Scott Fitzgerald, i Wolfe ci
propongono ancora parole che conservano un senso grazie al lavoro, oscuro
ma fondamentale, dei Perkins.
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