L`educatore a difesa della ragione
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L`educatore a difesa della ragione
VENERDÌ 9 GENNAIO 2015 LA SICILIA 16. ggi Cultura Psiche T & Società ra i tanti che patiscono le festività ci sono i bambini di genitori separati che a Natale, Pasqua, in estate e nei lunghi “ponti” devono spostarsi con la valigia in mano o con la carta d’imbarco sul collo, accompagnati a bordo di un aereo da una hostess discreta. Per costoro i “rossi” sul calendario sono giorni che trafiggono il cuore, specie quando, svanito in fretta il tempo delle fiabe, si affaccia l’incubo delle diatribe tra mamma e papà, delle incursioni di nonni e parenti a spalleggiare l’uno o l’altro dei contendenti. Sino, talvolta, all’intervento dei carabinieri. L’affidamento congiunto è un istituto bello a dirsi, ma con molte e talora irrisolvibili discrasie nella sua concreta applicazione. Quando di mezzo vi è il rancore di un coniuge verso l’altro, l’immaturità e la voglia di colpirlo sottraendogli il figlio nel periodo di affidamento stabilito, allora i bambini diventano clave innocenti con cui scagliarsi con- AFFIDAMENTO CONGIUNTO, TRA LA TEORIA E LA PRATICA C’È IL DOLORE Per i figli di separati le feste puntualmente trafiggono il cuore ROBERTO CAFISO tro l’ex coniuge, col risultato di annichilire chi vorrebbe avvertire un po’ di quiete dopo la tempesta rappresentata comunque da una separazione. I pretesti sono molti, deleteri e tutti forzati. Dalla presunta malattia del figlio, al dichiarato desiderio di questi (spesso indotto) a permanere con l’affidatario abituale anche nel periodo alternato, sino alla partenza inopinata col figlio senza alcun preavviso. Da qui l’attivazione dei meccanismi legali ed il ricorso alle forze dell’ordine per il prelievo coatto del bambino e la restituzione all’avente temporalmente diritto. Un iter giudiziario inappuntabile, dove tuttavia la dimensione psicologica del minore viene cal- pestata a piè pari. Altre volte accade l’esatto contrario. Chi deve “tenere il figlio” (già questa espressione aberrante) si è organizzato diversamente nel periodo previsto e chi doveva privarsene ha fatto altrettanto, col risultato di accese dispute telefoniche, con ingiurie, rinfocolamento di conflitti e minacce. Scene terribili per quel piccolo pacco umano in lacrime, rintanato nella propria stanza con le orecchie tappate per non capire quanto non si tenga a lui. I nuovi partner dei genitori, spesso intransigenti e gelosi, pretendono propri spazi a scapito dei figli del precedente matrimonio, che si ritrovano ad essere degli apolidi affettivi. Chi si avverte sen- za patria familiare cresce con deficit di identità e di autostima, fonte successivamente di disturbi psichici significativi. Lo sanno tutti ormai, ma i protagonisti di questi sfasci evolutivi continuano a non capirlo, pensando che i guai debbano capitare solo agli altri e mettendosi così al riparo da ogni responsabilità. È un fatto che simili comportamenti integrano veri e propri abusi e violenze all’infanzia, reati che andrebbero puniti, come avviene altrove, persino con la detenzione. Ma da noi per lo più si ama astrarre, discettare e redigere fumose comparse per il tribunale, avallando posizioni di genitori indifendibili. Come dire che il sistema garantisce dei Il villaggio del Web Raccolti in volume i dialoghi di don Giussani coi giovani universitari nel periodo 1992-1998. «Il nemico del rapporto tra l’uomo e Dio è l’assenza di ragione» GIUSEPPE DI FAZIO crive Daniel Pennac che «è sufficiente un professore – uno solo! – per salvarci da noi stessi e farci dimenticare tutti gli altri». Parafrasando l’autore di “Diario di scuola” si potrebbe anche dire che basta un vero educatore – uno solo! – per costruire, e salvare, un popolo. La lettura delle pagine di “In cammino (1992-1998) ” di Luigi Giussani (edizioni Bur) curate da Julian Carron ci offre un’esperienza singolare: ci mette in contatto, quasi in presa diretta, con uno dei più grandi geni educativi del XX secolo. Un’esperienza da non perdere proprio in giorni in cui il mondo in cui viviamo presenta una grave emergenza educativa, si mostra “stanco di libertà” (come ben descrive l’ultimo romanzo del francese Michel Houellebecq) ed è vittima degli attacchi del terrorismo islamista. Il volume di Giussani raccoglie la trascrizione letterale delle assemblee e degli incontri periodici del fondatore di Cl con un gruppo di universitari italiani e stranieri. Non troviamo nelle pagine di “In cammino” né prediche né lezioni, ma dialoghi serrati, in cui l’educatore svolge il fondamentale ruolo di valorizzare ogni parola e ogni traccia di bene presente negli interventi dei giovani e, al tempo stesso, difende la ragione. Sì, avete letto bene: la ragione, perché secondo Giussani «il nemico del rapporto tra l’uomo e Dio, il nemico di Dio nell’uomo è l’assenza di ragione». Perciò nessuna parola può essere detta «senza la tensione quasi spasmodica dell’anima a farne risaltare la ragione, cioè la sua corrispondenza con la realtà». Proprio durante uno dei dialoghi coi giovani, il fondatore di Cl ricorderà l’intuizione avuta fin dalla prima ora di lezione al liceo classico statale “Berchet” di Milano nel 1954: «appena salito in cattedra (…) dalla prima obiezione ho capito: il mio primo compito è la difesa della ragione». E nel pieno degli slanci moralisti e sentimentali nell’opinione pubblica italiana agli inizi degli anni Novanta, Giussani ricorda ai suoi giovani: «Noi siamo i difensori, gli ultimi difensori della ragione, in questa società malvagia, fraudolenta, tanto cinica quanto S Scritti T di ieri C’è chi distingue tra Islam buono e Islam cattivo, e chi fa di tutta l’erba un fascio: il modo peggiore per mantenere l’odio mostri che hanno generato biologicamente un figlio, ma che sconoscono le più elementari esigenze dei bambini, oltre i giocattoli, le vuote vacanze col genitore di turno distratto a chattare, i pranzi a casa dei nonni ove i bambini spesso vengono collocati. Manca il desiderio del figlio, l’interesse all’accudimento, mentre è spiccata la voglia mai paga di far male all’ex coniuge, non rendendosi conto che ogni vittoria legale dell’uno sull’altro è sempre una sconfitta per un minore. Festività e weekend alternati: vorrebbero altro questi bambini. Quanto meno l’assenza di un padre o di una madre compensato dal clima di serenità che il genitore di turno ha saputo allestire per loro, mettendoli al riparo da ogni livido rancore. Nell’interesse di piccoli esseri, messi a mondo con un gesto fisico, che hanno imparato a soffrire in silenzio, senza disturbare (il loro incubo), trattenendo dentro un’angoscia senza fine. I neogenitori oggi scelgono il nome del bebè cercando su Google A fianco, la copertina del volume In cammino di Luigi Giussani. A destra, il fondatore di Cl nel 1956 con alcuni studenti ANNA RITA RAPETTA U L’educatore a difesa della ragione piena di menzogna». Erano quelli gli anni – è bene ricordarlo – in cui in Italia veniva scoperchiato il malaffare di Tangentopoli e in cui, di fronte all’esperienza evidente del marcio che corrodeva sia la società sia le organizzazioni politiche, si rischiava di cercare facili scorciatoie ricorrendo al partito dei giudici come unico strumento di moralizzazione del sistema politico. Il fenomeno di Mani Pulite, nella sua deriva ideologica, si tradusse ben presto nel mito della creazione di una società delle regole guidata dai magistrati restauratori della legalità, di una società così perfetta da non dover esigere più dagli uomini una scelta libera per il bene. Una esaltazione, dunque, del sistema a discapito dell’individuo. Si trattava di una ipotesi ideologica che avrebbe ben presto mostrato tutti i suoi limiti. Le pagine di “In cammino” espri- utti i giornali hanno aperto con la strage di Parigi. Su «Repubblica» Adriano Sofri mette l’accento sul fatto che quel poliziotto ferito e colpito poi a morte sul marciapiede si chiamava Ahmed, era cioè un arabo, un islamico e questo dimostra la cecità del fanatismo. Sofri ne sa qualcosa perché fu condannato come mandante dell’uccisione del commissario Calabresi quando guidava Lotta Continua. Ormai ha pagato il suo debito. Sul «Corriere della sera» Pierluigi Battista scrive: «Tutti dicono: non cederemo. Purtroppo abbia già ceduto quando impauriti, e indossando buoni sentimenti ecumenici, lasciammo solo “Charlie Hebdo” che pubblicava le vignette danesi che satireggiavano sull’Islam. Al settimanale non condividevano quelle mono, invece, una valorizzazione del ruolo della persona. «L’evoluzione di una società - leggiamo - è tanto più definibile come ‘civile’ quanto più porta a galla e chiarisce il valore del singolo io, della persona, non essendovi umanità se non nell’io conreto, nella persona singola». Ma il singolo “io” cresce e si esprime in un lungo cammino educativo fatto di conquiste personali e di sbagli, e matura attraverso il paragone continuo fra le domande del cuore e la realtà, nella pratica costante di una ragionevolezza legata al reale. Per Giussani la ragione non è una dialettica astratta, ma una “corrispondenza alla realtà”. Da qui il ruolo dell’educatore, che non è quello di imporre una propria verità, ma quello di sfidare l’allievo a verificare dentro la realtà cosa veramente corrisponda alle attese del suo cuore. Nel nostro mondo contemporaneo abbiamo avuto e abbiamo tanti intel- “Da una crepa” il confine tra concreto e sfuggente lettuali e filosofi coerenti con le premesse logiche del loro pensiero. Il punto è vedere se queste premesse sono a loro volta coerenti con la realtà. Vivere la ragione, secondo Giussani, non è vivere in una gabbia, ma è stare spalancati al reale, è un atto che “dispone, apre, spalanca all’ignoto supremo, al punto imprevisto, come diceva Montale, a quell’imprevisto di cui tutti dicono che è meglio non parlare”. Questa concezione di ragione “allargata” porta a valorizzare il singolo “io”, non per una riduzione della vicenda storica e sociale del cambiamento, ma perché ogni vera e duratura liberazione può essere frutto soltanto della libera iniziativa della persona. Giussani ha dedicato tutta la sua vita perché potessero crescere persone capaci reggere le sfide della vita. Per questo egli rimane un esempio di grande educatore e per questo attorno a lui è cresciuto un popolo. I GIORNALI SUL MASSACRO DI PARIGI Voltaire e Oriana Fallaci nei commenti TONY ZERMO vignette e ne detestavano il cattivo gusto. Ma, libertari e anticonformisti, irriverenti e lontanissimi dall’ideologismo militaresco della satira nostrana, le pubblicavano lo stesso. Non ci siamo accorti che lasciando soli quei vignettisti li esponevamo alla vendetta del fanatismo islamista». Roberto Napoletano, direttore del «Sole24 Ore»apre il suo commento con la celebre frase di Voltaire: «Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, possa LA POESIA DI BIAGINI esprimerla liberamente». Anche Maurizio Belpietro, direttore di «Libero» apre con una citazione: «”E’ un nemico che trattiamo da amico. Che tuttavia ci odia e ci disprezza con intensità”. Sono passati dieci anni da quando Oriana Fallaci ha scritto queste frasi, ma ancora non abbiamo imparato niente». E Alessandro Sallusti sul «Giornale» rincara la dose: «Questa è una guerra: altro che islam buono e islam cattivo, altro che multiculturalismo come risorsa e porte aperte all’immigrazione. Dico che l’immigrazione selvaggia è il grimaldello per “Da una crepa” (Einaudi) è il settimo recentissimo libro di poesia di Elisa Biagini. I testi sono rapidi e intensi mottetti, e al contempo suggestioni e variazioni di versi di poeti cari e attigui. Celan e la Dickinson sono interlocutori necessari ma anche occasione per avviare percorsi imprevedibili, perché l’energia di un frammento di questi autori d’elezione è un bagliore capace di indurre risonanze nella coscienza. La centralità della scrittura della poetessa fiorentina è nel corpo, nel respiro che si addensa nella carta e che si trasforma in un filo di inchiostro (E la carta crepita / vicino all’osso, / segna di bianco / il dito). La poesia è quindi la prodigiosa materia che rimedia alle assenze, lega gli uomini pur nelle distanze delle epoche diverse, e nella varietà dei gesti e delle abitudini (Finché c’è pietra / ci sarà materia / per un’altra di mano, / che trattenga la pagina / in questo vento di / lame annebbiate). È il corpo, esattamente come la poesia è linea di confine e mezzo di incontro tra concreto e sfuggente, tra il quotidiano e l’immaginazione (Il viso che decidi / d’ignorare, midollo / e neve insieme). RENATO PENNISI entrare nella nostra storia, nelle nostre città». Nessuno però dice che in molte chiese nostre, anche siciliane come a Scicli e Altavilla Milicia, ci sono quadri che raffigurano la «Madonna delle milizie» che infilza i mori e che in Spagna c’è la Madonna dei matamoros. Anche noi avremmo qualcosa da farci perdonare. Abbiamo già scritto, ma lo ripetiamo, che tutto nasce dalla Palestina. Il grande giornalista catanese Igor Man, che per anni fu inviato de «La Stampa» in Medio Oriente, diceva che finché non sarà risolta la questione palestinese il mondo non avrà pace». E gli estremisti islamici, non riuscendo a mettere Israele con le spalle al muro, attaccano gli altri Paesi come per un lento accerchiamento. Ma la fonte primaria dell’odio inesauribile resta la Palestina. n tempo gli ispiratori erano nonni e Santi, poi è stata la volta dei personaggi delle soap opera, quindi dei calciatori (e dei figli dei calciatori) e dei cantanti. Per la scelta del nome del bebè in arrivo, ora è arrivato il momento di fare ricorso al Web. I neogenitori contemporanei sono ormai passati dalle pagine del calendario a quelle di Google. Un sondaggio del sito per genitori LilSugar, pubblicato sul New York Times, rivela che il 64% delle mamme e dei papà hanno consultato il motore di ricerca di Mountain View prima di scegliere il nome definitivo. Ci sono poi casi di genitori che si sono rivolti direttamente agli internauti per raccogliere suggerimenti e di alcuni hanno messo ai voti i più gettonati per togliersi dall’impaccio della scelta. Le mamme e i papà più tecnologici possono fare ricorso all’app “Kick to Pick” che consente al feto di approvare o meno il suono del proprio nome attraverso dei piccoli calcetti alla pancia della mamma: basta avvicinare il telefono alla pancia della mamma e il primo calcio indicherà il nome scelto. Chi è alla ricerca di un nome singolare, o quantomeno non troppo diffuso, può affidarsi a nuovo strumento interattivo messo a disposizione dall’Istat sul suo sito: il calcolatore E c’è persino l’app che consente al feto di approvare o meno il suono del proprio nome attraverso calcetti alla pancia della mamma di nomi per anno di nascita (http: //www. istat. it/it/prodotti/contenuti-interattivi/calcolatori/nomi). È sufficiente inserire un nome e selezionare il sesso per conoscere la serie storica del numero di nati iscritti in anagrafe con quel nome, dal 1999 ad oggi. Sono inoltre predisposte le graduatorie dei nomi più diffusi ogni anno. Nonostante ci siano circa 30.000 nomi diversi per i maschi e altrettanti per le femmine (tra nomi semplici e composti), la distribuzione del numero di bambini secondo il nome rivela un’elevata concentrazione intorno ai primi 30 nomi in ordine di frequenza, che complessivamente coprono il 48% di tutti i nomi attribuiti ai bambini e il 41% di quelli delle bambine. Le regioni Campania e Sicilia sono quelle che mantengono una sorta di peculiarità territoriale rispetto alle preferenze espresse a livello nazionale: qui i nomi più comuni sono rispettivamente Antonio e Giuseppe che, pur essendo piuttosto frequenti a livello Italia, si trovano soltanto a metà della graduatoria e sono in costante calo. Spulciando il calcolatore, saltano fuori alcune curiosità. Il nome Agata, poco diffuso in Italia all’infuori della provincia di Catania, sta tornando in auge: nel 2003 questo nome è stato scelto per 133 bambine, lo 0,05% di tutte le nate in quell’anno; nel 2013 le bimbe di nome Agata sono 503 e rappresentano lo 0,21% delle femmine nate nello stesso anno. Sorte inversa per il nome Carmela che perde appeal. Nel 2003 il nome è stato scelto per 340 bambine (0,22%) mentre nel 2013 per 147 (0,6%).