I servizi sociali nell`ottica della globalizzazione:
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I servizi sociali nell`ottica della globalizzazione:
I servizi sociali nell’ottica della globalizzazione: dalla cittadinanza attiva alle “logiche di quasi-mercato” (Articolo a cura di Rocco Rosanò) Quando parliamo di servizi sociali ci riferiamo ad un sistema basato su un insieme di leggi e provvedimenti volti a garantire i diritti umani a tutti i cittadini appartenenti ad un determinato Stato: queso è il sistema del Welfare State. Esso funziona come una “macchina a ingranaggi”: si lega alla società e quindi ai cittadini che ne fanno parte.La globalizzazione è un fenomeno di portata mondiale che accomuna popoli, economie, culture e processi politici. Lo sviluppo economico dovrebbe arrecare benefici a tutti i cittadini e iservzi sociali dovrebbero essere orientati, in modo razionale, con l’obiettivo di potenziare le capacità umane. Il fenomeno della globalizzazione tocca ogni ambito della vita pubblica e privata, andando a incidere anche in modo rilevante nel campo socio-assistenziale. A partire dagli anni ’90, tale fenomeno ha modificato totalmente la natura delle relazioni sociali, generando le “logiche di mercato” e/o “quasi-mercato” (liberalizzazione, managerializzazione ed esternalizzazione dei servizi), attraverso il passaggio dal mercato monopolistico a quello di libera concorrenza. Si tratta di un principio di stampo neo-liberale, diffusosi in tutta l’Europa e ha messo fine ad ogni forma di monopolio da parte dello Stato sul mercato dei servizi pubblici. Le multinazionali si sono alleate con i Governi creando opportunità di guadagno e notevoli cambiamenti come: 1. la privatizzazione dei servizi; 2. l’introduzione di nuove forme di governance; 3. la trasformazione del lavoro a livello micro e macro; 4. la liberalizzazione di mercati finanziari; 5. l’affermazione su scala globale dei principi di mercato; 6. l’introduzione di nuove forme di controllo. In altri termini, lo Stato non eroga direttamente tali servizi ma li da in gestione o in appalto ad enti privati. Il campo delle politiche sociali, come molti altri settori, sta attraversando forti venti di cambiamento legati alla globalizzazione: tutto è ormai messo in discussione, anche i diritti fondamentali dell’uomo (libertà, dignità, uguagilanza, solidarietà, ecc.) che rischiano di scomparire. Stanno cambiando i paradigmi, le basi portanti della cultura sociale tradizionale per un motivo abbastanza semplice: il welfare costa e costa pure troppo. In paesi come la Francia e l’Italia il welfare assume un ruolo marginale. Al contrario, nei Paesi britannici e scandinavi il welfare è più avanzato e strettamente legato a pratiche burocratiche. A partire dagli anni ’90, nei Paesi occidentali, si è diffuso il principio della libera concorrenza che riveste un’importanza a livello globale. Esso presuppone l’abolizione di ogni controllo da parte dello Stato o della Pubblica amministrazione verso i servizi erogati ai cittadini. In altri termini, lo Stato non è più totalmente responsabile nella produzione e nella gestione dei servizi di pubblica utilità come la luce, l’acqua, il gas, i servizi di trasporto, ecc. Lo Stato, in altri termini, cede a imprese private del mercato il pieno controllo sulla gestione e sull’erogazione di tali servizi che vanno sotto il nome di utilities. Ecco perché si è passati dal monopolio alla libera concorrenza e, quindi, alla privatizzazione dei servizi: è il caso della Gran Bretagna dove, all’inizio degli ’90, è stata avviata la riforma sanitaria conosciuta come “National Health and Community Care Act” al fine di rivedere profondamente le logiche di mercato assistenziale, basate non più sulla razionalità tecnica e burocratica degli apparati pubblici ma sulla libera iniziativa dei cittadini, come diretti interessati delle cure (carer) e soggetti animati da un certo grado di solidarietà verso gli altri e sia come imprenditori di lucro. Una delle prime preoccupazioni per il Governo conservatore britannico è stata quella di ridurre la spesa pubblica: se da un lato logiche di mercato determinano una notevole riduzione delle responsabilità da parte dello Stato verso i cittadini, dall’altro tentono a “corrodere” l’autonomia decisionale dei cittadini. Dall’altro incoraggiano i poteri decisionali a favore di mercati sempre più deregolati. Il fatto che lo Stato limiti i propri interventi nel campo dei servizi socioassistenziali è un primo passo verso la liberalizzazione dei servizi sociali e socio-sanitari la quale mette fine alla cosiddetta “cura incondizionata”: al cittadino non viene più garantita una cura completa ma fornito n pacchetto di cure o prestazioni assistenziali. Il welfare è arrivato a concedere la piena autonomia al singolo operatore (case manager) ma, secondo le logiche diquasi-mercato, il potere d’acquisto delle prestazioni rimane alla Pubblica amministrazione. Ogni cittadino ha diritto a ricevere le prestazioni di cura. Ma, con la riforma sanitaria, vengono ridotti i costi sulle prestazioni sociosanitarie. Tale manovra ha riflessi benefici sul mercato esterno e quindi si parla di “esternalizzazione delle prestazioni di cura”, nel senso che i cittadini che non sono contenti delle prestazioni erogate dagli enti pubblici, si rivolgono a soggetti esterni per le cure. Fino agli anni ’80, in Gran Bretagna, la maggior parte dei servizi per il cittadino veniva erogata da enti pubblici. Alla fine di quel decennio sono state create aziende semi-indipendenti che davano in appalto specifiche attività ad altre imprese private. Tutto ciò ha determinato la nascita di partneriati (accordi) tra enti pubblici e privati al fine di incoraggiare finanziamenti privati a favore del pubblico. Così gli enti pubblici si sono sempre più allontanati dal ruolo di erogatori. La nostra è una società “cinica” che ci porta a deprimerci o rassegnarci. E’ come dire che: di fronte a un dilagare di problemi non possiamo pretendere troppo. Questa è quella che i francesi definiscono politica del “laissez-faire”, che letteralmente vuol dire “lasciar fare” e che rispecchia quella che viene definita dai sociologi “immobilità sociale”: assume importanza, allora, una nuova tendenza, quella societaria: essa si fonda su un’idea non difensiva ma di protezione sociale. Immaginiamo un sistema istituzionale ben connesso a quella parte di società civile determinata a impegnarsi nella soluzione dei problemi collettivi. È importante che una società moderna possieda un welfare che non deluda le aspettative dei cittadini. I cambiamenti sociali investono le cosiddette “logiche di mercato”, andando a impattare bruscamente sulle politiche socio-assistenziali e sulle professioni sociali. Ma come influiscono i cambiamenti sociali sulle professioni sociali? Cosa implicano nel campo delle politiche sociali? Per rispondere a tali domande è opportuno capire dove si collocano le professioni sociali nel welfare. L’ambito diretto delle professioni sociali è il field-work (lavoro di campo), definito come spazio tra organizzazioni di cura e realtà sociali. Per favorire una giusta concorrenza tra gli enti privati del mercato, lo Stato esercita una funzione di controllo sulle prestazioni erogate: ciò al fine di tutelare i consumatori finali. Questa funzione viene esarcitata dallo Stato insieme ad autorità di controllo o di regolazione del mercato chiamate “authorities”. Con la privatizzazione dei servizi, la Pubblica amministrazione attribuisce la produzione diretta sui servizi pubblici ad enti del mercato privato, garantendone solo il controllo. Le “logiche di mercato” generano tensioni tra le organizzazioni di welfare. Molte di queste, più che guardare il benessere dei cittadini guardano il proprio rendiconto al fine di “sopravvivere” sul mercato. Il Terzo settore (associazioni di volontariato, onlus, cooperative sociali, ecc.) ha l’obiettivo di promuovere il benessere collettivo senza perseguire scopi di lucro. Il legislatore britannico ha voluto controbilanciare tale potere, riconoscendo agli utenti la piena facoltà di contestare le prestazioni definite dall’ente pubblico. In altri termini la legge britannica consente ai consumatori finali insoddisfatti delle pretazioni ricevute di presentare ricorsi e obbligano i funzionari pubblici a rispondere di tali reclami. In effetti, dopo la riforma assistenziale, in Gran Bretagna sonoaumentati notevolmente i ricorsi. La Riforma sanitaria britannica ha posto l’accento sul “consumatore finale”. Un tempo era lo Stato a fornire tutte le prestazioni di cura e assistenza verso i cittadini, mentre oggi esso non è più in grado di fornire un’assistenza completa ai cittadini: nasce così una nuova figura, quella del case-manager, un operatore che ha il compito di erogare, coordinare e pianificare leprestazioni di cura nonché gestire il budget relativo alle stesse. In altri termini ha il compito di garantire l’efficacia e l’efficienza delle prestazioni. Così si è venuto a determinare quello che è il processo di “managerializzazione”. Spetta alla Pubblica amministrazione finanziare massicciamente il sistema socio-assistenziale, mettendo a disposizione risorse sufficienti ed efficaci in favore dei cittadini, evitando vuoti di erogazione: assume importanza la funzione di valutazione (assessment) necessaria a definire lo stato di salute dei cittadini. L’erogazione delle prestazioni spetta ai soggetti privati. Viene a delinarsi quello che è il “welfare mix” (mercato assistenziale misto) caratterizzato da un unico acquirente: l’amministrazione locale o “governance locale”. Essa non gestisce direttamente i servizi, ma li appalta ad enti privati del mercato. Da ciò deriva il cosiddetto “mercato sui generis” o “quasi-mercato”, dove un unico grande acquirente, l’amministrazione locale, compra all’ingrosso le prestazioni per conto dei consumatori finali o “consumers”. Il mercato assistenziale è lo spazio compreso tra enti pubblici territoriali chiamati “local authorities” e imprese erogatrici private dette “providers”. In un mercato concorrenziale ogni consumatore è libero di rivolgersi a qualsiasi azienda per ottenere le prestazioni di cura. Tuttavia oggi si parla di “quasi-mercato” perché non è il cittadino a decidere la prestazione o le prestazioni di cura ma l’ente pubblico: la scelta del consumatore viene per così dire scartata. Fino agli anni ’80, nel nostro Paese, era lo Stato a fornire tutti i servizi di pubblica utilità (utilities) ai cittadini. Secondo il modello liberista tali servizi mancano di efficienza o sono molto costosi, mentre quelli erogati dagli enti privati sono più efficienti e garantiscono un minor sovraccarico dei compiti statali. Secondo il modello istituzionale la politica sociale dipende dalla capacità dello Stato di rispondere ai bisogni collettivi dei cittadini e quindi dare loro delle risposte in relazione alle loro necessità. Il Terzo settore fa da intermediario tra Pubblica amministrazione e cittadini, in base al principio di sussidiarietà, nel senso che va a integrare le prestazioni di pubblica utilità. In definitiva, se la pubblica amministrazione non è in grado di sopperire a tutte le sue funzioni di cura, sono i cittadini che provvedono a questa “mancanza”. Infine vi è il “modello societario” o pluralistico secondo cui lo Stato dovrebbe sostenere i cittadini a ricercare nuove forme di solidarietà e aiuto mettendo a disposizione risorse economiche. A partire dagli anni ’90, il campo dei servizi sociali si è dovuto adeguare a quelle che sono le “logiche di mercato”: si è passati dal diritto di cittadinanza ai cosiddetti “scambi di mercato”, in seguito alfenomeno della privatizzazione o alla nascita dei mercati privati. I continui processi legati alla globalizzazione dei servizi (privatizzazione, esternalizzazione, managerializzazione, ecc.) non permettono ai Paesi occidentali di reggere la concorrenza con i quelli emergenti o in via di sviluppo che hanno la fortuna di non dover gravare i costi sociali sulle imprese. Razionalizzare i servizi sociali vuol dire in primis fissare i limiti sulla spesa socio-sanitaria. In altre parole lo Stato stanzia fondi limitati per i servizi erogati da privati che si dimostrano più efficienti. Così, secondo i liberisti, la spesa pubblica si abbasserebbe e allo stesso tempo le prestazioni sarebbero più efficienti. Nel modello di welfare tradizionale gli assistenti sociali erogano prestazioni senza badare a spese. Tuttavia, oggi il campo dei servizi sociali rispecchia più il “welfare-mix”, ossia un mercato misto in cui i servizi sono indirizzati verso le “logiche di mercato” o di “quasi mercato”. In uno Stato a regime liberale gli assistenti sociali sono “case-manager”, ossia figure tecnico-manageriali preposte a garantire utenti e famiglie prestazioni integrate. Si tratta di esperti che aiutano i “voucher” (coloro che hanno i “soldi in tasca”) ad acquistare le prestazioni sociali di cui necessitano. L’assistente sociale moderno è visto come un “promotore di benessere”. Tale concetto si ricollega a quello di cura. In tal caso è utile introdurre la distinzione tra “curing” e “caring” basata sullo schema “diagnosi-trattamento-cura”. Curing vuol dire favorire la cura dell’individuo dal punto di vista medico e quindi fornire quelle che sono le cure mediche. Caring, invece, vuol dire favorire il suo benessere sociale e relazionale. Il concetto che ci aiuta a comprendere meglio tale distinzione è l’“azione inter-soggettiva”, ossia un’azione condotta da più soggetti che hanno lo scopo comune di favorire il loro benessere o il benessere di un individuo (si pensi ai soggetti colpiti da Alzheimer o a quelli autistici). A partire dagli anni ’70, in Italia, è stato avviato il processo di decentramento delle autonomie locali, attraverso cui lo Stato ha attribuito alle Regioni, alle Province e ai Comuni compiti, funzioni e poteri amministrativi al fine di riorganizzare il sistema dei pubblici servizi, in particolare quelli socio-sanitari. Tuttavia sono emersi due problemi. Alcune regioni hanno previsto l’integrazione socio-sanitaria mentre altre no. Inoltre si è registrata una notevole dispersione delle competenze amministrative che è andata che è andata a svantaggio dei cittadino, sia in termini di qualità che quantità. Durante gli anni ’90, il Parlamento e il Governo italiano hanno emanato dei provvedimenti nel campo socio-sanitario come la Legge 142/1990 sulle autonomie locali, le leggi quadro sul volontariato e i decreti di riforma del Servizio sanitario Nazionale. Con la legge 142/1990 agli Enti Locali viene riconosciuta la piena autonomia sulle funzioni amministrative. Una delle finalità di questa legge è la partecipazione dei cittadini nella definizione dei piani socioassistenziali. La legge 328/2000 introduce il “Sistema integrato di interventi e servizi sociali” e riprende la nozione di servizi sociali contenuta nel D. Lgs. 112/1998. La programmazione degli interventi e delle prestazioni sociosanitarie spetta agli enti pubblici (Comuni, Regioni e Stato), mentre la gestione e l’erogazione spetta a quelli privati o di Terzo settore (onlus, associazioni di volontariato, cooperative sociali, fondazioni, ecc.). Nel primo caso si parla di sussidiarietà verticale, mentre nel secondo di sussidiarietà orizzontale. La Legge 328/2000 introduce i cosiddetti “Livelli essenziali delle prestazioni”. Tra gli articoli principali di questa legge troviamo: l’art.3 (Programmazione degli interventi e delle risorse);v l’art.5 (ruolo del Terzo settore); e gli art.7-8-9 (decentramento delle autonomie locali). I servizi convenzionali sono prestazioni a carattere socio-sanitario promosse da Aziende pubbliche (come le Asl) e private (come le Onlus). Essi vanno a determinare il Welfare-mix (assistenza mista) e il case management. Il case-manager è una figura a metà tra manager e terapeuta. Il suo compito principale è prendersi cura del cittadino-utente e, quindi, è di fatto responsabile del suo stato di salute. Secondariamente ha il compito di pianificare e coordinare le prestazioni di cura. In terzo luogo ha il compito di controllare la spesa relativa alle prestazioni di cura. Infine deve vedere se il paziente è soddisfatto delle prestazioni ricevute e quindi effettuare una valutazione generale sul paziente. Oggi, grazie alla figura del case-manager molti anziani vengono assistiti nel proprio domicilio: si parla, quindi, di assistenza domiciliare integrata. I servizi convenzionali vanno dalla presa in carico all’erogazione delle prestazioni (sussidi economici o assistenza domiciliare integrata) a favore del “welfare mix” (mercato assistenziale misto). Ancora oggi, non possiamo parlare di liberalizzazione ma di “burocratizzazione del mercato”. Il mercato assistenziale dovrebbe assicurare la cura delle persone all’interno del proprio domicilio. Se ciò non fosse possibile bisognerebbe attivare dei ricoveri residenziali attraverso degli interventi di cura temporanei o permanenti (respite care). In genere, l’idea del “care” si riconduce alla pubblica amministrazione, nel senso che dovrebbe essere il Sistema Sanitario Nazionale a dispiegarsi verso i bisogni dei cittadini e non i cittadini a sopperire alle proprie esigenze. Tuttavia, da un lato è difficile per lo Stato erogare tutti i servizi di cura ai cittadini; dall’altro è difficile assicurare un livello minimo di qualità delle prestazioni, mantenendo i costi a livello sostenibile: ecco perchè la legge britannica cerca di accollare tutte le responsabilità alla figura del case-manager. Si tratta di un operatore che affianca l’utente e diviene responsabile del suo stato di salute. Il suo compito principale è quello di acquistare per conto dell’utente o “consumatore finale” le prestazioni di cura di cui ha bisogno. Raramente acquista un’unica prestazione, ma, quasi sempre acquista un pacchetto di prestazioni andando a realizzare un Piano assistenziale individualizzato. Inoltre, per ciascuna prestazione effettuata, ne verifica l’efficacia. Le “cure formali” si presentano più flessibili, in quanto attuate nell’ambito domiciliare o residenziale. Per “community-care” s’intende una forma di assistenza che caratterizza le società occidentali. Essa comprende le cure assistenziali a favore delle categorie più deboli di cittadini (in particolare anziani non autosufficienti) entro le comunità di appartenenza (local communities). Secondo questo modello, lo Stato dovrebbe favorire politiche socioassistenziali di tipo societario o pluralistico. In tal caso è utile fare una distinzione: curing (curare con l’intenzione di guarire); caring (curare per migliorare lo stato di benessere della persona). La community care richiama le nozioni di: de-istituzionalizzazione, territorializzazione e domiciliarità. “L’esternalizzazione delle prestazioni di cura” si lega ai principi di “efficacia-efficienza” (ossia qualità e quantità delle prestazioni) tramite la concorrenza tra imprese erogatrici. Il moltiplicarsi degli attori socio-sanitari determina problemi di integrazione delle prestazioni. Il problema delle équipe aperte è che ogni professionista esercita un ruolo diverso. Il problema viene amplificato quando si inseriscono anche volontari del Terzo settore che non hanno un vero e proprio mandato. Ciascun operatore appartiene ad uno specifico ente e quindi presenta un mandato istituzionale diverso. Oltre a differenti mandati istituzionali nelle équipe aperte ci possono essere anche diversi codici di riferimento: in tal caso emerge la distinzione tra organizzazioni profit e non profit (di Terzo settore). Il principio della sussidiarietà ha origini molto antiche. I primi accenni risalgono al pensiero aristotelico. Aristotele supera il contrasto tra governo e libertà attraverso i principi di sovranità popolare e pluralismo sociale. Affinche il principio di sussidiarietà diventi un principio cardine nell’ambito della governance sono necessarie due condizioni: la prima è che lo Stato promuova il Terzo settore attraverso leggi e regolamentazioni; la seconda è che i soggetti del mercato entrino in contatto con il Terzo settore attraverso rapporti di cooperazione, collaborazione e modelli relazionali o di rete. Negli ultimi anni il principio di sussidiarietà ha assunto un’importanza sia nazionale che globale, tantè che la Comunità Europea lo ha inserito tra i principi cardine del Trattato di Mastricht, mentre l’Italia lo ha ineserito tra i principi costituzionali. Tale principio assume quattro dimensioni: 1) asse difensivo presuppone una società gerarchica, organica e strutturata. 2) asse promozionale si lega al principio di responsabilizzazione che difende lo Stato da un sovraccarico di compiti; 3) asse verticale presuppone relazioni gerarchiche tra Stato, regioni e comuni, in una prospettiva di tipo federalista che supera ogni forma di decentramento territoriale o locale; 4) asse orizzontale non è caratterizzato da relazioni gerarchice ma da rapporti diretti tra Stato e cittadini.