Discriminazione - vco formazione

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Discriminazione - vco formazione
DISCRIMINAZIONE
Per discriminazione si intende un comportamento o un atto che, direttamente o indirettamente, porti
a distinguere, escludere, limitare o preferire una persona sulla base di diversi fattori: identità di genere, orientamento sessuale, età, religione o convinzioni personali, razza o origine etnica, disabilità.
Le nuove norme comunitarie e nazionali distinguono tra discriminazione diretta e indiretta, molestie
e molestie sessuali:
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Discriminazione diretta: accade quando un individuo è trattato in maniera meno favorevole
in base ai fattori di rischio (sesso, età, origine etnica, disabilità, religione, orientamento sessuale) di quanto sia, sia stato o sarebbe trattato un altro soggetto in una situazione analoga.
Un caso di discriminazione diretta è, ad esempio, un annuncio di lavoro che riporti specificamente la dicitura “astenersi inabili”.
Discriminazione indiretta: situazione in cui una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in realtà in una condizione di particolare svantaggio le
persone, a seconda del loro sesso, età, origine etnica, disabilità, religione, orientamento sessuale, a meno che la stessa pratica sia oggettivamente giustificata da una finalità legittima e i
mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
Molestie: si tratta di comportamenti indesiderati nella quale si verifica un comportamento
indesiderato connesso a sesso, età, origine etnica, disabilità, religione, orientamento sessuale
di una persona, con lo scopo o l’effetto di violare la dignità di tale persona – in particolare
un lavoratore o una lavoratrice - e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, di umiliazione e offesa.
Molestie sessuali : sono considerate discriminazioni i comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, avente lo scopo o l'effetto di
violare la dignità di una persona – con particolare riferimento a un lavoratore o una lavoratrice - e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
Infine, la normativa proibisce le ritorsioni, ossia quei comportamenti che discriminano un individuo
solo per sporto denuncia contro le discriminazioni subite o per aver appoggiato un collega che abbia
sporto denuncia.
Spesso, però, una persona o un gruppo sociale è vittima di discriminazione multipla, viene cioè
discriminata in base a diversi fattori concomitanti. Ne sono un esempio i casi di discriminazione di
donne appartententi a una minoranza etnica, o persone omosessuali straniere, oppure disabili anziani, o ancora stranieri di una determinata confessione religiosa. Si tratta di persone e gruppi che vivono situazioni di esclusione e disagio complesse, con un impatto superiore a quello che si avrebbe
sommando i singoli fattori di discriminazione.
La lotta alla discriminazione multipla, in particolare nei confronti delle donne migranti e appartenenti a minoranze etniche, è indicata come obiettivo dell'Unione Europe nel periodo 2006-2010.
La discriminazione sessuale è trattata da norme specifiche. Ciò è dovuto al fatto che le attività relative alla discriminazione sessuale hanno una lunga storia a livello europeo, che risale agli inizi della
stessa Comunità Europea. Esiste una notevole quantità di norme europee relative a questo argomento e contributi finanziari sono messi a disposizione dal Programma Comunitario Sulla Parità Fra i
Sessi. Purtroppo ad oggi il problema della vulnerabilità della condizione femminile è una criticità
emergente nel Paese e il principio di parità di genere assume una rilevanza trasversale a tutti i settori che tenga conto della necessità di un trattamento bilanciato di tutti i fattori della discriminazione.
Permane ancora in modo rilevante il gap delle donne con riguardo alla partecipazione attiva alla vita
sociale, economica e politica del paese in primo luogo con riguardo al mercato del lavoro dove la
popolazione femminile è maggiormente soggetta alla inoccupazione e disoccupazione, a disparità
retributive, ad una minore crescita professionale.
Partecipazione al lavoro. Gli obiettivi di Lisbona richiedono che il tasso di occupazione femminile
raggiunga il 60% entro il 2010. Attualmente il tasso è pari al 55,7%, ma è molto più basso (31,7%)
per le donne più anziane (55-64 anni). Le donne hanno anche un tasso di disoccupazione più elevato
rispetto agli uomini (9,7% contro 7,8%).
Le donne costituiscono in media il 30% degli imprenditori dell’UE ma spesso affrontano maggiori
difficoltà rispetto agli uomini nell’avviare un’impresa e nell’accedere ai finanziamenti. È necessario
attuare più adeguatamente le raccomandazioni del piano d’azione dell’UE sull’imprenditorialità relative all’esigenza di favorire l’avvio di imprese da parte di donne mediante un migliore accesso ai
finanziamenti e lo sviluppo di reti di imprenditori.
Differenziali salariali. Le criticità non riguardano solo i meccanismi di accesso, di permanenza e di
stabilizzazione del lavoro precario ma anche il riconoscimento di professionalità, ruoli e livelli salariali: su quest’ultimo versante, ad esempio, si constatano pesanti forme di differenziali salariali tra
uomini e donne.
Conciliazione vita-lavoro. Ad incidere sulla permanenza delle donne nel mercato del lavoro, sono
anche le problematiche inerenti la conciliazione vita-lavoro. Considerato che i congedi parentali, le
modificazioni dell’orario di lavoro e il sostegno al lavoro di cura attraverso l’offerta di servizi o di
sussidi finanziari per l’acquisto di tali servizi, sono i principali strumenti utilizzati nei paesi europei
per facilitare la partecipazione e continuità occupazionale delle donne con carichi familiari, i dati
che si registrano finora in Italia sono ancora non allineati agli obiettivi di Lisbona.
Per quanto riguarda il problema della conciliazione lavoro-famiglia, l’esistenza di barrriere
all’accesso al lavoro per le donne dovute ai carichi familiari è testimoniata dal variare dei tassi di
occupazione femminile al modificarsi del ruolo in famiglia e del numero dei figli.
Secondo uno studio pubblicato nel 2004, sul target 35-44 anni, le single presentano i tassi di occupazione femminile più alti (86,5%) seguite dalle donne che vivono in coppia senza figli (71,9%) e,
infine, da quelle che vivono in coppia con figli (51,5%); fra queste ultime, i tassi più elevati sono
relativi a donne con un solo figlio (63,8%) e i più bassi sono relativi a donne che ne hanno 3 o più
(35,5%).
Carriera. Sono ancora molto forti anche le barriere nell’accesso delle donne ai ruoli apicali sia nelle imprese private che nel settore pubblico, quanto ancora nelle sedi di rappresentanza politica, con
una presenza femminile nel Parlamento Nazionale e negli organismi di governo di regioni, province, comuni e società pubbliche ben sotto la media europea e comunque tale da giustificare, da parte
dello stesso Ministro per i Diritti e le Pari Opportunità, la possibilità di proporre l’introduzione delle
cosiddette “ quote rosa”, come misura provvisoria funzionale a rafforzare la presenza femminile nei
luoghi di governo.
Rappresentanza .La presenza femminile in Parlamento,infatti, nonostante un aumento verificatosi
nella presente legislatura è, tuttora, al di sotto del 20%. In particolare, su 630 deputati, le donne presenti alla Camera rappresentano il 17,14% del totale. Al Senato, invece, la percentuale è del
13,51%5. Anche le posizioni apicali delle pubbliche amministrazioni registrano un gap uomodonna: nell’amministrazione centrale a fronte di quasi il 48% della presenza femminile nel com-
plesso dei dipendenti pubblici solo il 27% sono le donne dirigenti e solo il 15% le donne dirigenti
generali.
RAZZA ED ETNIA
Il principio di parità di trattamento tra le persone comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta a causa dell'origine razziale o etnica.
Un caso di discriminazione si ha quando, per esempio, nella graduatoria di accesso a una casa di riposo o a un asilo si tenga conto, tra gli altri criteri di valutazione, della conoscenza della lingua e
delle tradizioni del posto da parte dell'anziano o del bambino. Oppure quando negli annunci di lavoro è specificata, ma non motivata rispetto alle competenze utili per lo svolgimento della mansione,
l'esclusione dalla candidatura per persone di differente origine etnica.
Percezione. Supera la media europea la percezione da parte dei cittadini italiani della diffusione
delle discriminazioni basate sulla razza o l'origine etnica: il 77% lo considera il primo fattore di discriminazione, e il 57% ritiene che negli utlimi cinque anni ci sia stato un aumentodei fenomeni discriminatori di questo tipo.
I numeri. Il fenomeno migratorio che ha interessato l'Italia negli ultimi decenni ha trasformato la
società: il Dossier Caritas 2006 registra la presenza di un immigrato ogni 19 residenti, con un'incidenza del 5,2% sulla popolazione italiana. Gli immigrati sono diffusi su tutto il Paese seppur in maniera disomogenea: al Nord il 61%, al Centro il 26,8% e al Meridione e Isole il 12,2%
Gli immigrati che hanno già maturato 5 anni di soggiorno sono, secondo le stime Caritas, 1 milione
e 200 mila. Nell’arco di dieci anni, dagli 8.000 nati da famiglie straniere rilevati nel 1994, si è passati ai 49.000 del 2004, con un saldo naturale (differenze tra nascite e decessi) positivo (+45.994 unità) in grado di compensare quello negativo della popolazione di cittadinanza italiana (-30.053).
L’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) è l'organismo preposto alla funzione di
"controllo e garanzia della parità di trattamento e dell'operatività degli strumenti di tutela", e opera
attraverso azioni di sensibilizzazione, informazione e prevenzione.
Nel rapporto 2005 viene sottolineato che gli ambiti in cui si registra il maggior numero di segnalazioni di comportamenti discriminatori sono il lavoro e l’accesso all’alloggio, seguiti dall’accesso ai
servizi pubblici e al credito.
Inoltre, nella relazione al Parlamento 2006, si evidenzia come una efficace azione preventiva possa
prendere il via dal mondo della scuola e della formazione e da quello del lavoro, ossia gli ambiti
della vita sociale in cui maggiore è la presenza e l'apporto della popolazione migrante.
DISABILITA’
Nel Piano nazionale d'azione per l'Anno europeo 2007 si fa riferimento alla necessità di "rimuovere
tutte le barriere culturali e architettoniche, materiali e immateriali, che impediscono la vita autonoma della persona con disabilità. Facilitare l'accesso a beni e servizi: dall'ambiente alla progettazione, alle risorse economiche alle corrette informazioni e comunicazioni, dalla raccolta di dati statistici a quelli sulla qualità della vita".
A fronte di un grande impegno normativo nazionale e comunitario, l'inclusione sociale delle persone con disabilità appare ancora una meta lontana: i diversamente abili sono ancora oggi vittime di
discriminazione sui luoghi di lavoro, nella scuola, nei trasporti, nell'accesso ai beni e servizi e si ritrovano spesso a vivere in una condizione di emarginazione sociale.
Percezione. Secondo una ricerca realizzata per conto della Commissione europea, la disabilità è
considerata come il terzo fattore di discriminazione, dopo l'origine etnica e l'orientamento sessuale:
lo pensa il 68% della popolazione italiana e il 53% di quella europea.
Esempi di discriminazione sono la presenza di barriere architettoniche e/o tecnologiche che impediscono l'accesso a un mezzo di trasporto o a un edificio a una persona in carrozzella, oppure impedisce a una persona non vedente l'accesso alla lettura di testi fondamentali.
Inclusione sociale e accesso al mondo del lavoro. Ogni persona dovrebbe essere valorizzata in
quanto tale e considerata preziosa e irripetibile nella sua diversità, eppure sono ancora molti i problemi e i pregiudizi che i diversamente abili si trovano ad affrontare, soprattutto quando si è di fronte all’accesso e all’inserimento al mondo del lavoro.
I dati Istat del 2005 indicano che il tasso di disoccupazione delle persone con disabilità è molto più
elevato di quello degli altri lavoratori. Solo il 26,5% risulta occupato e di questi il 32% è affetto da
una disabilità grave. L'82,3% degli occupati ha un contratto a tempo indeterminato e la maggior
parte è impiegata nel settore privato profit (56,1%). Il 14,6% degli occupati riferisce di essere stato
vittima di discriminazioni sul lavoro, mentre il 13,5% delle persone con disabilità fra i 15 e i 67 anni non ha mai lavorato.
Attorno alla questione dell'ingresso nel mercato del lavoro ruotano altre esigenze: senza un adeguato accesso al sistema formativo, ai mezzi di informazione e di trasporto, ogni tentativo di inserimento occupazionale si presenta ancor più arduo.
Va considerata la condizione di molti adulti con disabilità intellettiva e mentale, costretti a trascorrere gran parte della loro vita ancora in istituti residenziali (RSA, RSD).
Discriminazione multipla. Grande attenzione, infine, alle situazioni di discriminazione multipla: le
donne e bambini con disabilità, persone disabili appartenenti a minoranze etniche e linguistiche, disabilità e terza età, tenendo presente che la multidiscriminazione colpisce in particolare le donne
con disabilità (su tre lavoratori con disabilità solo uno è donna).
RELIGIONE
Si ha una discriminazione fondata sulla religione o sulle convinzioni personali qualora sia violata la
sua libertà di professare un determinato (o nessun) credo, così come la libertà - entro alcuni limiti di esercitarne il culto secondo i riti da essa previsti.
E' considerato vittima di discriminazione fondata sul proprio credo religioso o personale un individuo che, per questo motivo, venga fatto oggetto di aggressioni, o che sul luogo di lavoro venga penalizzato al momento dell'assunzione o della promozione. Anche la mancanza di rispetto rispetto nei confronti di costumi e usanze è considerata una condizione di discriminazione.
La situazione italiana è descritta dal Dossier Caritas 2006: accanto alla religione maggioritaria,
quella cattolica, sono presenti molte altre fedi, anche per effetto del fenomeno migratorio. Questi i
numeri: 1 milione 500 mila i cristiani provenienti da altri Paesi (49,1%), con cattolici e ortodossi
che quasi si equivalgono (circa 660 mila); circa un milione i musulmani (33,2%); la presenza delle religioni orientali si attesta intorno al 4,4%.
Il cambiamento, stando agli obiettivi indicati nel Piano nazionale d'azione per l'Anno europeo 2007,
deve partire dall'educazione delle nuove generazioni a una convivenza pacifica, favorendo un mutamento culturale profondo, a cominciare "dal sistema educativo italiano, dal mondo del lavoro e
dalla società civile, per pervenire ad un nuovo sistema di valori capace di rispettare ogni forma di
diversità, indipendentemente dalle differenze".
ETA’
La discriminazione fondata sull'età investe i giovani come gli anziani. Può manifestarsi in modo diretto, ad esempio quando viene fissato un limite di età per l'accesso a un impiego, o in modo indiretto, come nei casi in cui premi assicurativi, indennizzi, prestiti bancari siano sottoposti al vincolo di
età, con notevole svantaggio per gli anziani.
I numeri. L’Italia è il Paese dell’Unione Europea con la maggior percentuale di persone anziane:
gli over 65 rappresentano il 19,8% della popolazione ed è in aumento anche la popolazione dei cosiddetti “grandi vecchi” cioè le persone ultraottantenni (il 5% del totale della popolazione in prevalenza donne). La durata media della vita ha avuto un'accelerazione dovuta ai progressi nel campo
medico-scientifico e al miglioramento della qualità della vita in termini di condizioni ambientali e
sociali più favorevoli.
Anziani. Secondo un'indagine dell'Università Bocconi di Milano, un milione e 600 mila italiani over 45 ritengono di essere stati vittima di discriminazioni sul posto di lavoro, e in 500mila sostengono di essere stati licenziati per questo motivo. Il fenomeno della discriminazione per età si manifesta anche nel campo dell'assistenza sociale e sanitaria: si definisce infatti in termini di decisioni
prese non semplicemente sulla base del bisogno e della potenzialità clinica a beneficiarne, ma in
funzione dell'età del paziente.
Ecco perché le politiche di pari opportunità devono considerare poiché gli anziani costituiscono una
fetta rilevante della società italiana non solo dal punto di vista numerico ma anche dal punto di vista
del grande contributo che essi possono ancora apportare alla crescita economica e sociale del Paese.
Giovani. Dall'altro lato, i giovani lamentano difficoltà nell'accesso al mercato del lavoro e alle professioni, segnalano ostacoli nell'avviamento alla carriera ed esprimono scarsa fiducia nel futuro a
causa dell'incertezza dovuta alle forme di flessibilità del lavoro. Inoltre, i giovani avvertono disagio
nel crearsi una propria vita autonoma, anche dal punto di vista della autosufficienza economica, che
determina di conseguenza la loro scarsa propensione a sposarsi o ad avere dei figli con una logica
influenza sul calo del tasso di nuzialità e di natalità.
ORIENTAMENTO SESSUALE
Stereotipi e pregiudizi nei confronti di omosessuali, transessuali e bisessuali sono ancora radicati
culturalmente, ma l'orientamento sessuale appare ancora oggi un fattore di discriminazione anche
sul piano normativo. Si pensi, ad esempio, al fatto che alle persone omosessuali conviventi non sono riconosciuti gli stessi diritti previsti per le coppie eterosessuali.
Percezione. Le discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale sono diffuse secondo il 73% degli italiani (il 50% a livello europeo): un fattore di discriminazione percepito come rilevante dall'opinione pubblica, secondo solo all’origine etnica (fonte: Discrimination in the European Union,
2007).
I numeri. La discriminazione più evidente avviene sul luogo di lavoro, dove gli omosessuali tendono ancora a rimanere nascosti: solo il 16,5% dei maschi e il 15% delle femmine – dati di Arcigay e
Istituto Superiore di Sanità – si rendono 'visibili'. L'appartenenza territoriale incide su queste difficoltà che aumentano soprattutto al Sud. Inoltre, quasi la metà della coppie omosessuali (percentuale
che è superiore al 50% per le donne) ha un rapporto di coppia stabile paragonabile a una convivenza
more uxorio.
Allarmanti gli episodi di aggressione e violenza ai danni di donne e uomini omosessuali, in preoccupante aumento, come risulta evidente anche da alcuni eclatanti fatti di cronaca.
A questo proposito, il Piano d'azione nazionale per il 2007 si è posto l'obiettivo di superare gli ostacoli socio-culturali e normativi attraverso iniziative specifiche di sensibilizzazione dell'opinione
pubblica, modifiche nella normativa, nelle politiche nazionali e locali e nelle buone pratiche, e azioni di promozione dell'accettazione sociale delle diversità, favorendo un più forte legame tra i
gruppi maggiormente vulnerabili di omosessuali (donne lesbiche migranti, omosessuali stranieri,
giovanissimi o anziani, ecc.).