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Franca Bacchiega
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MARISA BULGHERONI:
NEI SOBBORGHI DI UN SEGRETO E
UN SALUTO ATTRAVERSO LE STELLE*
FRANCA BACCHIEGA
Università di Urbino
Abstract:
Il primo, un saggio su Emily Dickinson. Il secondo, un romanzo
autobiografico. Uniti da una identica lettura del mondo e degli
avvenimenti, uno sguardo che livella e raccoglie due mondi che
nell analisi risultano molto simili anche se lontani nel tempo e
nello spazio.
Parole chiave:
Emily Dickinson di Marisa Bulgheroni, Nei sobborghi di un
segreto, Un saluto attraverso le stelle, romanzo di Marisa
Bulgheroni, due libri da Amherst al lago di Como.
ue libri. Il primo, un saggio su Emily Dickinson, che è un
romanzo. Il secondo, un romanzo autobiografico, che è un
saggio. Li lega un basso continuo fatto di un fuoco
perenne che fonde e unifica le differenze, che raccoglie le varie
identità del femminile: essenziale o superflua, onnicomprensiva o
assente.
Misteriosa, magica, strana, peculiare, soprannaturale, weird .
Così sembrò al critico Thomas Higginson
noto e influente ma
non, forse, altrettanto valido la poesia di Emily Dickinson. Lui, da
quell ardore, quella forza, quell incandescenza, quella singolarità,
rimase sconcertato.
Ma strana e originale doveva apparire anche lei, in persona,
Miss Dickinson. Quando Melba Loomis Todd nel 1881 giunse ad
Amherst, la città dei Dickinson, in una lettera la definisce così: È
una signora che la gente chiama il Mito . Da quindici anni non
esce di casa, tranne una volta, per vedere una chiesa appena
eretta, sgusciando di casa la sera, al chiarore della luna. Nessuno,
che va a trovare la madre e la sorella, è mai riuscito a vederla.
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Veste solo di bianco e dicono abbia il cervello come un
diamante . Chiusa in camera non per ritrosia. Per fuggire ai
rituali del mondo che ha semplicemente rifiutati, decisa e forse
caparbia, così come ha rifiutato la fede della sua famiglia. S è
dedicata alla rinuncia, all assenza di tutto questo. Nella sua
stanza, il suo laboratorio, vestita di bianco, ha creato una lingua
nuova in cui s è riversato il suo essere e con quella ha incontrato
il mistero. Lì, ogni categoria riconosciuta è abolita: i contrari
(notte-giorno, maschile-femminile, bene-male) sono misteriose
metamorfosi, cui la sua lingua specialissima dà voce.
Marisa Bulgheroni 1 nel suo splendido lavoro, Nei sobborghi di
un segreto (ed. Mondadori, 2001) ne ricostruisce la vita e
l anima. L indagine è psicologica, biografica, psicoanalitica.
Manca solo un recupero di vite precedenti, tanto è sottile e
articolata la ricerca che parte da molto lontano. Recupera e
analizza il lungo epistolario dei genitori, dal quale affiora un
futuro padre dal cuore puro e terribile , una futura madre senza
pensiero , come li definì la figlia rivelando
dice Marisa
Bulgheroni
in controluce affinità evitate e intuizioni represse,
manie e illusioni culturali contagiose .
I l padre Edward appare come un semidio che in un ineludibile
disegno mitologico, esegue il compito di strappare al suo sonno la
futura madre di Emily, Emily Norcross per portarla con sé. Rimarrà,
Emily Norcross, sempre sospesa fra gentili e, si suppone, sincere
adesioni e distratte dimenticanze.
Solo dall urto di contrastanti potenzialità l embrione della
figlia poeta prenderà forma. Finché si leverà
è sempre
Bulgheroni che parla
come una minuscola Venere uscita dalle
materne acque del sogno, come una Minerva erompente, armata
dal cervello paterno, un Ariel modellato dalla profondità
dell aria. Unica e molteplice già dal concepimento .
Questo e altro scrive Marisa Bulgheroni, dopo avere a lungo
rivisitato quanto è appartenuto alla poetessa: i vestiti e le stanze,
i fogli e i pensieri preziosi che ci sembra di sentire ancora
aggrappati alle pareti della sua casa; dopo aver percorso, avanti e
indietro, i sentieri, le scale, i corridoi; dopo aver sostato sui prati,
dopo, forse, aver parlato con i fantasmi: con Emily, con Lavinia,
con Susan, con Austin.
Ha scavato a lungo, in profondità, con intelligenza e tatto, la
poesia e la vita terrena di Emily Dickinson ben sapendo che la sua
vita è stata una assenza totale dalla vita ordinaria; che ha creato
un discorso nuovo, non allineato con la vita calvinista della città,
Marisa Bulgheroni su Emily Dickinson
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senza, forse, la minima consapevolezza di rappresentare
un antitesi a quella realtà; tutto questo, senza ombra di apparente
ribellione ad un suo farsi donna secondo canoni previsti nel loro
rigore. Ma di essere anticalvinista, di questo, era consapevole;
contraria alla dottrina dei pochi eletti e convinta invece di una
amputazione tragica da Dio e dalla Natura, vicina, in questo, a
Emerson che lei aveva letto e poi personalmente conosciuto quando
era stato ospite nella casa dei Dickinson. Ci penserà la critica
storica a inserirla nel filone di lui, romantico, sublime.
Ma Emily Dickinson non era anti solo nella vita. Si pensi alla sua
lingua che è in un rapporto di insubordinazione, di conflagrazione
con la sintassi. La parola è un nucleo, attorniato da omissioni che
sfibrano il tessuto connettivo del linguaggio. È paratattica. I l
verbo perde la coniugazione, l ausiliare, la concordanza col
soggetto. Ha una vera passione per il congiuntivo. I l lessico è
pieno di neologismi, arcaismi, vernacolare, termini settoriali
(forense), punteggiatura assente sostituita dalle lineette, il dash
che è barra e ponte, ha una forte valenza che è para-scritturale;
insuffla respiro, fa trattenere il fiato sopra il vuoto. Le maiuscole:
che possono rimandare a un senso ironico o intessere un
criptosenso strizzando l occhio a un altra maiuscola senza la quale
sfuggirebbe il gioco allusivo.
La donna che presiede a tutto questo è lineare e barocca,
essenziale e superflua, intrisa di comprensione e, se ne è
completamente priva è perché è assente, è altrove. Poiché la sua
consapevolezza, la sua partecipazione di natura personale,
assolutamente originale, c è sempre: vibra, fibrilla e comprende
non tanto guardando negli occhi il suo prossimo, quanto intuendolo
attraverso lo sguardo che lei rivolge alla natura: il cielo, i prati,
un ape, il vento. Marisa Bulgheroni ha messo in luce il lato più
vero, forse il meno visibile, ma quello essenziale. Emily Dickinson
è solitaria, in apparenza, ma in costante compagnia di qualcosa: di
qualche idea, di qualche emozione, di qualche intuizione. E sempre
con la giubilare serietà con cui annetteva disordine all ordine,
sicurezza ai dubbi, audacia alle titubanze.
Equivoca e chiarissima, illudente e illusa, allusiva e allusa (mi
occorre, forse, un permesso speciale per questo termine). Sempre
sensibile a quella serenità che è agli albori della vita e lei stessa
ricca di quella, quando sente armonia fra gli esseri e le cose, lei,
allora, lì, s inserisce come attraverso una fessura e da lì scruta,
riconosce cose già intuite, già conosciute. Allora, la vetta accanto
all abisso ha lo stesso significato, lo stesso codice. Questa
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preziosità è presente (ben raccolta da Marisa Bulgheroni che la
individua) in molte delle quasi duemila poesie, in quel suo andare e
venire fra il visibile e l invisibile, fra il concreto e l immaginario
lungo quel percorso solitario ma per lei agevole e conosciuto e di
cui era perfettamente padrona.
Amherst è un paese molto bello tutto prati verdi, casette
verniciate di bianco sparse fra le querce, fra l edera, le magnolie,
le rose . Così scrive Natalia Ginzburg in Mai devi domandarmi.
Così scrive anche Marisa Bulgheroni. Ma la Ginzburg aggiunge:
lo spettro della noia dev esserci però stato sempre [...] .
Non so se questo spettro abbia tormentato Emily Dickinson nel suo
soggiorno terreno, sembrerebbe un temperamento immune da
questa affezione. Ma l immobilità del villaggio, le metodiche pulizie, i
contorni inalterabili dello scenario che la finestra le offriva poche strade,
Main Street dove abitava, la cappella puritana frequentata ogni domenica,
mattina e pomeriggio, dalla famiglia, poi querce, abeti, campi, il piccolo
cimitero, a cui non è indifferente ma, dice, non han timore di venire qui le
margherite
deve averle insegnato l attitudine alla contemplazione,
all interiorità. Non al tedio. Anche perché lo spettacolo della finestra è, sì, un
dato concreto ma che nelle sue mani, sfuma o s addensa o si fonde in
immagini per lei più appaganti: Ho per scenario dalla mia finestra / un mare
su uno stelo / se all uccello o al fattore sembra un Pino / lascio che lo
credano (da By My Window ); oppure: La mia ruota è nel buio più
profondo! / Io non vedo raggio alcuno / eppure so che i suoi piedi / girano
gocciolando intorno intorno (da My Wheel is the Dark ).
Marisa Bulgheroni mette il dito, lungo tutto il libro, sulla singolare capacità
visiva della poetessa. È un elemento tipico della sua poesia, legato al suo
modo di prendere coscienza delle forme sensibili dell Assoluto, meta e
miraggio della sua Opera, che l esercizio e gli anni perfezioneranno sempre
di più. Ma fin dalle prime composizioni l uso dello sguardo è particolare: uno
sguardo che sembra sviluppare una seconda vista , pur non trascurando a
volte l osservazione più lucida, più concreta: un uccello discese sulla strada
/ e non s avvide che l avevo scorto / morse un verme e tagliatolo a metà / se
lo mangiò così com era, crudo . Per tornare subito dopo, con leggerezza ad
una vista e ad un udito metafisici.
C è un suo valentine del 1850 in cui il fisico e il metafisico, appunto, sono
combinati magistralmente: C è un altro cielo, / sempre limpido e bello / e
c è un altro rilucere di sole, / anche se è fitta, lì, l oscurità (da There is
Another Sky ). È scritto a vent anni ma sembra già una premonizione di
quell incontestabile dono che costituirà il senso dell Immortalità percepito
quotidianamente ed espresso per tutta la sua vita: è la percezione, inebriante e
agghiacciante dell Assoluto; awful , è un suo aggettivo frequente, per
Marisa Bulgheroni su Emily Dickinson
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indicare l estasi e il terrore del sublime, espresso in un momento in cui la
lirica americana non presenta grandi innovazioni in modelli espressivi
arditi, in una sintassi onirica, stravolta rispetto alla tradizione,
in una lampeggiante intuizione vertiginosamente cosmica con
caratteri di anticipazione stilistica . Attratta, con trepidazione,
dagli abissi delle Essenze, affiderà i suoi versi, che sono
messaggi fluttuanti dentro e fuori l umano, a mani future che lei
non vedrà, a occhi contemporanei che non vedranno. Messaggi
dove le definizioni postume di simbolismo, ermetismo,
surrealismo sono solo punte emerse di quel fenomeno raro che è
la sua poesia. Ma la natura, come per molti simbolisti, è il luogo
degli accadimenti allusivi ad una realtà parallela, metafisica,
quella, si diceva prima, delle Essenze, nascosta ma capace di
rivelarsi a frammenti, a moti insospettati, a epifanie. Nel
ripetersi dei suoi ritorni, nel rinnovarsi dei suoi rituali, in ogni
apparizione percepibile dell occhio umano, è sempre possibile
cogliere un segnale, un messaggio di qualche entità sacra e
segreta.
Per Emily Dickinson c è un alfabeto dello spirito: C è un certo
taglio di luce / nei pomeriggi d inverno / che opprime, come il
peso / dell armonia dentro una cattedrale. / Una celeste ferita
c infligge , ma non troviamo alcuna cicatrice, solo un dissidio
interno dove stanno i significati.
Vive nel tutto e nel nulla, accorta e sintomatica, sofferente di
eccessi e latitanze. Troppa luce per degli occhi umani, troppo
rumore per delle orecchie femminili educate ai suoni dimessi,
alle voci controllate. Le procuravano ferite, le creavano piaghe.
Ma la piaga non sanguinava. Alchemicamente trasformava
sublimando il dolore dell impatto violento con l esterno,
anticipando il desiderio di vivere la divina ebbrezza del
trasumanare.
E c è anche il permanere di un dubbio sulla capacità
dell anima umana di abbandonare gli alfabeti, le forme terrene e,
più ancora, un senso di oppressione di questa vicina dignità
fatale della cui realtà è sicura e di cui si può cogliere la
presenza : chi non trova il Paradiso quaggiù / non lo troverà
in cielo, gli angeli sono nella casa accanto / alla nostra ovunque
noi siamo .
Questa qualità fantasmatica della natura è fissata dalla stessa
poetessa in uno dei suoi più incisivi aforismi: La Natura è una
casa popolata di spettri, l Arte una casa che cerca di esserlo , per
questo già qui nella vita terrena si può cogliere l Assoluto. Dunque, ha
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le visitazioni celesti . In alcune poesie usa la tecnica della finzione
retrospettiva dove è frequente e, molto disinvolto, il verbo morire: In
quest ora morii si compì l anno oppure quando morii udii ronzare una
mosca dove, oltre a immaginare, dichiara d aver varcato la fatale
soglia sempre però in una commistione di empirico e di astratto.
È questo che Marisa Bulgheroni ha tirato fuori, maieuticamente: la
qualità inconfondibile, segreta della sua poesia fra Morte e Luce
d Immortalità.
Fedele fino in fondo scrive Silvio Raffo nella prefazione al suo testo
di traduzioni
a se stessa e al Mistero nella radicale certezza che
tutto il resto è menzogna .
***
Dopo qualche anno Marisa Bulgheroni ritorna alle stampe con il romanzo,
più sopra segnalato, il cui contenuto riguarda gli anni della sua prima, acerba
giovinezza, in una Italia difficile, ferita, attraversata dalla guerra. Ma anche
questa sua nuova opera è una indagine sottile, ramificata, penetrata a fondo
dentro la psiche dei personaggi ma anche dentro l anima dilaniata di un
popolo. L autrice illumina a giorno ogni cosa ma con il tatto e la delicatezza
che abbiamo ben conosciuto nel suo precedente studio su Emily Dickinson.
***
Si entra con discrezione dentro questo libro, si entra, non dicendo soltanto
permesso . Un saluto attraverso le stelle (ed. Rizzoli, 2007) è
qualcosa di più di un saluto. È un viaggio o qualcosa che ne rende l effetto.
Forse per merito dello scivolare agile tra episodio ed episodio, dello scorrere
dei microtesti con una dinamica veloce, dell uso degli strumenti di lavoro che
consentono di trasvolare di registro in registro. Ma nel loro fluire lasciano
tracce, danno corpo a quella che si chiama vita concreta. I termini netti, decisi
denunciano sicurezza di sé e accettazione della sicurezza degli altri.
E, come un basso continuo pulsante, c è la presenza di un fuoco unitario
forse anteriore alla scrittura comunque presente anche se nascosto dentro i
contenuti che al contrario rivelano all esterno una natura di docile e paziente
acquiescenza al quotidiano. Ne esce un narrare fluido, transitivo che
amalgama i distinti, avvìa i presupposti, neutralizza le opposizioni.
Così, pagina dopo pagina, ci si trova nel cuore di una storia intrisa di quella
pazienza e fatalità che accompagna l umanità, senza distinzioni, quando
incombono accadimenti tremendi e ineluttabili come le guerre.
Qui ci sono tre giovani donne, tre sorelle, più la madre, più qualche zia, più
la domestica dentro una casa, nel cuore di una regione relativamente lontana
Marisa Bulgheroni su Emily Dickinson
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dai pericoli ma dove è presente e tangibile l apprensione per gli uomini di
casa che invece sono in mezzo al fuoco, schierati su fronti diversi e contrari.
La giovinezza delle ragazze con il suo carico di ottimismo è dominante nel
gruppo, assieme a quella forza naturale, la forza di resistenza che, alla fine ha
sempre la meglio sulla morte e sugli errori e che è una caratteristica del
femminile, quando a questo è permesso sviluppare le sue qualità.
Nell insieme è un gruppo di donne, sane nello spirito e nel corpo, vivide e
vivaci anche se obbedienti ai dettami borghesi, già allenate all arte di saper
aspettare che è dice Marisa Bulgheroni il sigillo più profondo della
pazienza delle donne. Ma è una pazienza impaziente , è l arte di Penelope
che non è fare ma disfare
quando le cose non vanno
interferire,
scardinare . È quell attesa, certa del buono della vita, che deriva dall averlo
intravisto, osservato dopo aver vissuto a lungo il suo opposto. Non per nulla,
quattro versi di Emily Dickinson
oggetto di lunghi e profondi studi
dell autrice in alto a destra della prima pagina, come epigrafe, aprono il
libro:
L acqua, la insegna la sete./ La terra, gli oceani
attraversati./ La gioia, il dolore./ La pace, i racconti di
battaglie./
La qualità del racconto è data dalla lievità degli episodi che trasformano in
amore e gioco e, non di rado, gioia una situazione d angoscia e di dolore. Il
collante è racchiuso in una frase della madre di Isabella, la protagonista
principale: la storia non è la somma degli eventi soltanto ma un insieme di
sogni, di illusioni, di progetti mancati . Un pensiero straordinario. Chi ne
parla mai! Dei sogni, delle paure, delle angosce di uomini e donne in tempi
diversi e lontani! La storia ci consegna notizie, forse precise, ma secche
come ossa : Attila: un villaggio (o tanti) a ferro e a fuoco, donne violentate.
L anno dopo, forse, tanti bimbi giallini, con occhi a mandorla o gli zigomi
importanti. Ma chi ha raccontato mai cosa abbia provato dopo lo stupro o la
gola tagliata, il ribaldo nel suo profondo dopo essersi seduto a riprendere
fiato; e chi ha spiegato l umiliazione, il senso di morte senza rimedio della
donna violentata, alla visione della sua casa bruciata, unica misera ricchezza,
unico bene contro il gelo, i lupi e le future violenze.
C è stato Proust e Du Jardin e Virginia Woolf e Joyce. Ma nell insieme
il nostro profondo è stato ignorato o esplorato solo in superficie.
Questo libro, finalmente, illumina a giorno quella parte di noi di cui nessuno
parla ma senza rinunciare al rigore e alla precisione di un cronista e nemmeno
ad una pervasiva, sottile, gradevolissima ironia.
Diritto e rovescio, diritto e rovescio ticchettavano i ferri di madri, zie,
cugine riunite nei lunghi pomeriggi di quell estate del 1943 [...] diritto e
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rovescio, diritto e rovescio ticchettavano i ferri mentre Isabella, le dita
appiccicose, spingeva l ago nel suo canovaccio d apprendista, sentendosi
condannata lei come le altre donne della famiglia a vedere il mondo negli
interstizi tra un punto e l altro [...] il balzello femminile da versare in sudore
e noia tra aghi, ferri e fili .
La protagonista di questo romanzo è una donna: corpo e simbolo, materia e
storia, figura di carne e ombra o ricordo. Il narrare di sé, delle sorelle, degli
amici, degli amori, del femminile e della guerra, in certe pagine, è bruciante.
C è l urgenza di dominare l ansia con domande che spesso non hanno
risposta; c è la tenerezza della memoria, che ci salva tutti dal Nulla, c è la
dolcezza che viene dalla gratitudine, forse inconscia, per la vita.
Una teoria di figure ed episodi dove c è sempre il vento e l acqua, la terra e
la luce, la neve e la casa sul lago dove le donne preparano ricami e corredi.
Gli uomini? Soldati. A cominciare dal Capitano (il padre) fino ai ragazzi
amici su vari fronti, lontani e sognati e attesi con quella infinita, silenziosa
pazienza che l autrice chiama la pazienza impaziente .
È una storia che, pagina dopo pagina, risuona dentro di noi come la
conoscessimo già, come ci appartenesse da sempre. Profonda dentro il nostro
tempo e vastissima nello spazio. Così interna da riconoscerla.
Anni fa, quello straordinario scultore (e altro) che è stato Venturino
Venturi, forse il più puro, assoluto degli artisti italiani, osservando ad Urbino,
quello splendido ritratto, di profilo, di Battista Sforza moglie del duca di
Montefeltro, disse una frase che mi è rimasta impressa: Noi capiamo quello
che abbiamo già conosciuto . Anche questo un pensiero straordinario, un
pensiero omeopatico. Una goccia di conoscenza deve già esserci dentro di
noi, perché possiamo riconoscere . E Marisa Bulgheroni, come una tecnica
esperta davanti alla sua consolle innesta le sue spine, cariche della sua
particolare energia e crea il contatto. Migliaia di luci si accendono, ricordano
e rispondono che quella è anche la loro storia.
Innumerevoli sono i libri che hanno narrato la guerra: Fenoglio, Pavese,
Morante, bravissima anche con le sue durezze. Qui, dentro l emozione,
l intensità, l intuito, c è l analisi della mente e dello spirito, delle percezioni
più delicate, di paure che affiorano e si dileguano, di attese sature di vita
immaginata sperata o temuta. Nell attesa infinita. Nella pazienza infinita.
Dopo la fine della guerra, in Africa per un reportage giornalistico,
Bulgheroni scrive:
Nella primavera 1953, dieci anni dopo la battaglia di El Alamein, camminavo
lungo i bordi della Depressione di El Qattàra. Simile a una mareggiata la guerra
aveva lasciato nel deserto i suoi relitti: neri scheletri di fucili, brandelli di tende,
un picchetto, un casco, la carcassa arrugginita di un cingolato. Su quel campo di
battaglia ancora non cancellato, il silenzio sembrava annullare la forza di gravità.
Marisa Bulgheroni su Emily Dickinson
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Mi aggrappavo al vento che a tratti soffiava radente, con un sibilo che udito una
volta aveva raccontato Gabriele si deposita nell orecchio per sempre, ogni
granello di sabbia un pianeta roteante sul punto di esplodere.
E più sotto:
Poco dopo la jeep correva lungo la Pista Rossa che congiunge El Qattàra alla
costa. Le mine semisepolte tra la sabbia sembravano nere come stelle marine.
Evitata una, un altra ammiccava micidiale, poco più oltre, sotto le ruote della jeep
[...] no, non ancora [...]. Scrivere di quella corsa tra terra e cielo, di quel volo a
zigzag, valeva una vita? No. Ma era vita iscriversi nello spazio così: come energia
di vento.
Non ne scrisse mai. Lasciò lo scoop a un amico e tenne per sé il segreto.
Si diceva prima che il precedente lavoro di Marisa Bulgheroni è un
prezioso coraggiosissimo studio su Emily Dickinson che è anche un azzardo
di immaginazione o, semplicemente una immersione quasi medianica nei
luoghi vissuti dalla poetessa. Perché, dove una vita intera è trascorsa, tutta
intera, tutta lì, qualcosa deve aver lasciato nella casa, nei muri, anche se di
questo non si sa nulla a parte i preziosissimi epistolari. Qualcosa nella casa
di Amherst doveva essersi fissato della sua immagine biancovestita, della sua
assenza dal quotidiano, della sua reclusione volontaria dentro la sua stanza.
Ma una lettera della poetessa porta le parole profetiche: L abisso non ha
biografi . Un ammonimento? Ma Marisa Bulgheroni non la si ferma
facilmente. Lei è diventata il biografo di quell abisso (o di quell altezza). Sul
filo dell impalpabile, sull ombra, sul non detto. Come se avesse decifrato
l invisibile storia di quella vita leggendo il bianco della pagina fra le righe;
come fosse quello l alfabeto. Ne è nato un libro fatto di aure ma così
concreto, così pieno. Anche Un saluto attraverso le stelle possiede la stessa
impronta: sì, ci sono i fatti, e come! Ma ciò che lo sanziona è l alone, l aura
che li avvolge, li preannuncia prima che si manifestino, che rimane ad
aleggiare quando tutto è finito. E i fatti si concretizzano per merito di un uso
particolare della parola che scriverei con la P maiuscola perché le
parole, qui, hanno una lunga radice aggrappata al profondo e da questo
sono nutrite, come i fiori di loto che affiorano calmi ma perentori dal
loro silenzio, dalla loro completezza per confrontarsi con l esperienza
del coraggio e del dolore in cui devono, per forza, immergersi. Il
profondo, il limo nutriente sono le splendide preziose pagine in
corsivo che affiorano lungo tutto il libro da acquoree o ventose
gallerie carsiche. Se ne ricava un recupero dei contrari dove gioia e
sgomento, vitalità e stanchezza, speranza e delusione si annullano in
una formula che si ravvolge come una pellicola attorno a un perno
dentro un seme ricco del miracolo delle sue origini e della grazia del
suo rinnovamento.
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Scrive l autrice:
L e donne si lasciano dietro nebulose di parole. Io, Isabella, sento un suono di
tromba quando, ogni sera, il cielo sopra Bagdad, rosso di un innaturale tramonto,
straripa dalla cornice del televisore e m inchioda fino a notte tarda all unica
poltrona a ascoltare e riascoltare le notizie che l inviata in Iraq, come un angelo
scarmigliato da troppe apocalissi, comunica, interrotta a tratti dallo spettacolo
delle macerie case muri moschee palazzi sbriciolati sempre uguale, sempre
diverso, se non fosse per l apparizione di un bambino dagli occhi neri e vivi come
acini d uva. Macerie visibili a tutte le ore del giorno e della notte, ma mute
inodori intoccabili: un battito di ciglia e scompaiono.
Compaiono allora le figure che, ancora nebulose, occupano la mia tela, sotto i
cieli rossi, nei paesaggi sbalestrati di un altra guerra. Si fanno avanti,
ingovernabili come in un sogno.
Il tempo, in questo libro, grazie anche al prezioso espediente degli
inserti in corsivo, è ospite sovrano; e spesso è un tempo doppio, quello
reale dove la scrittrice si colloca, ma ci sta un po stretta, e quello
della memoria dove il sogno regna. Ma è anche un imbattersi fra il
doppio e la scelta, l obbligo e il caso, l ordine e la trasgressione. Al
lettore si offre il tentativo di scoprire una logica dentro gli
accadimenti, un disegno geometrico nel disordine apparente della vita
e di avviare i movimenti su una strada che si dirama in due sentieri
che distinguono l oggi e l ieri ma dove, forse, si intravede un poi.
L intensità vibra lungo fili che le permettono escursioni ansiose e
intuizioni folgoranti. Da questo cuore interiore si snoda la scrittura di
questa scrittrice, attenta al gioco delle perdite e dei recuperi; attenta
anche a dare voce a quello che di solito è taciuto, impegnata in una
sorta di giustizia a che nulla rimanga lettera morta con un grande
rispetto per tutto quello che vive e non può stare fuori dalla storia. E il
grande ruolo misterioso della memoria, che qui trionfa e che dà forma,
volto, parole, senso allo stare al mondo.
__________
NOTA
1
Docente di letteratura americana, studiosa e traduttrice di Emily Dickinson oltre che
autrice di saggi sul femminile, di romanzi di racconti.