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Franca Bacchiega 339 MARISA BULGHERONI: NEI SOBBORGHI DI UN SEGRETO E UN SALUTO ATTRAVERSO LE STELLE* FRANCA BACCHIEGA Università di Urbino Abstract: Il primo, un saggio su Emily Dickinson. Il secondo, un romanzo autobiografico. Uniti da una identica lettura del mondo e degli avvenimenti, uno sguardo che livella e raccoglie due mondi che nell analisi risultano molto simili anche se lontani nel tempo e nello spazio. Parole chiave: Emily Dickinson di Marisa Bulgheroni, Nei sobborghi di un segreto, Un saluto attraverso le stelle, romanzo di Marisa Bulgheroni, due libri da Amherst al lago di Como. ue libri. Il primo, un saggio su Emily Dickinson, che è un romanzo. Il secondo, un romanzo autobiografico, che è un saggio. Li lega un basso continuo fatto di un fuoco perenne che fonde e unifica le differenze, che raccoglie le varie identità del femminile: essenziale o superflua, onnicomprensiva o assente. Misteriosa, magica, strana, peculiare, soprannaturale, weird . Così sembrò al critico Thomas Higginson noto e influente ma non, forse, altrettanto valido la poesia di Emily Dickinson. Lui, da quell ardore, quella forza, quell incandescenza, quella singolarità, rimase sconcertato. Ma strana e originale doveva apparire anche lei, in persona, Miss Dickinson. Quando Melba Loomis Todd nel 1881 giunse ad Amherst, la città dei Dickinson, in una lettera la definisce così: È una signora che la gente chiama il Mito . Da quindici anni non esce di casa, tranne una volta, per vedere una chiesa appena eretta, sgusciando di casa la sera, al chiarore della luna. Nessuno, che va a trovare la madre e la sorella, è mai riuscito a vederla. Franca Bacchiega 340 Veste solo di bianco e dicono abbia il cervello come un diamante . Chiusa in camera non per ritrosia. Per fuggire ai rituali del mondo che ha semplicemente rifiutati, decisa e forse caparbia, così come ha rifiutato la fede della sua famiglia. S è dedicata alla rinuncia, all assenza di tutto questo. Nella sua stanza, il suo laboratorio, vestita di bianco, ha creato una lingua nuova in cui s è riversato il suo essere e con quella ha incontrato il mistero. Lì, ogni categoria riconosciuta è abolita: i contrari (notte-giorno, maschile-femminile, bene-male) sono misteriose metamorfosi, cui la sua lingua specialissima dà voce. Marisa Bulgheroni 1 nel suo splendido lavoro, Nei sobborghi di un segreto (ed. Mondadori, 2001) ne ricostruisce la vita e l anima. L indagine è psicologica, biografica, psicoanalitica. Manca solo un recupero di vite precedenti, tanto è sottile e articolata la ricerca che parte da molto lontano. Recupera e analizza il lungo epistolario dei genitori, dal quale affiora un futuro padre dal cuore puro e terribile , una futura madre senza pensiero , come li definì la figlia rivelando dice Marisa Bulgheroni in controluce affinità evitate e intuizioni represse, manie e illusioni culturali contagiose . I l padre Edward appare come un semidio che in un ineludibile disegno mitologico, esegue il compito di strappare al suo sonno la futura madre di Emily, Emily Norcross per portarla con sé. Rimarrà, Emily Norcross, sempre sospesa fra gentili e, si suppone, sincere adesioni e distratte dimenticanze. Solo dall urto di contrastanti potenzialità l embrione della figlia poeta prenderà forma. Finché si leverà è sempre Bulgheroni che parla come una minuscola Venere uscita dalle materne acque del sogno, come una Minerva erompente, armata dal cervello paterno, un Ariel modellato dalla profondità dell aria. Unica e molteplice già dal concepimento . Questo e altro scrive Marisa Bulgheroni, dopo avere a lungo rivisitato quanto è appartenuto alla poetessa: i vestiti e le stanze, i fogli e i pensieri preziosi che ci sembra di sentire ancora aggrappati alle pareti della sua casa; dopo aver percorso, avanti e indietro, i sentieri, le scale, i corridoi; dopo aver sostato sui prati, dopo, forse, aver parlato con i fantasmi: con Emily, con Lavinia, con Susan, con Austin. Ha scavato a lungo, in profondità, con intelligenza e tatto, la poesia e la vita terrena di Emily Dickinson ben sapendo che la sua vita è stata una assenza totale dalla vita ordinaria; che ha creato un discorso nuovo, non allineato con la vita calvinista della città, Marisa Bulgheroni su Emily Dickinson 341 senza, forse, la minima consapevolezza di rappresentare un antitesi a quella realtà; tutto questo, senza ombra di apparente ribellione ad un suo farsi donna secondo canoni previsti nel loro rigore. Ma di essere anticalvinista, di questo, era consapevole; contraria alla dottrina dei pochi eletti e convinta invece di una amputazione tragica da Dio e dalla Natura, vicina, in questo, a Emerson che lei aveva letto e poi personalmente conosciuto quando era stato ospite nella casa dei Dickinson. Ci penserà la critica storica a inserirla nel filone di lui, romantico, sublime. Ma Emily Dickinson non era anti solo nella vita. Si pensi alla sua lingua che è in un rapporto di insubordinazione, di conflagrazione con la sintassi. La parola è un nucleo, attorniato da omissioni che sfibrano il tessuto connettivo del linguaggio. È paratattica. I l verbo perde la coniugazione, l ausiliare, la concordanza col soggetto. Ha una vera passione per il congiuntivo. I l lessico è pieno di neologismi, arcaismi, vernacolare, termini settoriali (forense), punteggiatura assente sostituita dalle lineette, il dash che è barra e ponte, ha una forte valenza che è para-scritturale; insuffla respiro, fa trattenere il fiato sopra il vuoto. Le maiuscole: che possono rimandare a un senso ironico o intessere un criptosenso strizzando l occhio a un altra maiuscola senza la quale sfuggirebbe il gioco allusivo. La donna che presiede a tutto questo è lineare e barocca, essenziale e superflua, intrisa di comprensione e, se ne è completamente priva è perché è assente, è altrove. Poiché la sua consapevolezza, la sua partecipazione di natura personale, assolutamente originale, c è sempre: vibra, fibrilla e comprende non tanto guardando negli occhi il suo prossimo, quanto intuendolo attraverso lo sguardo che lei rivolge alla natura: il cielo, i prati, un ape, il vento. Marisa Bulgheroni ha messo in luce il lato più vero, forse il meno visibile, ma quello essenziale. Emily Dickinson è solitaria, in apparenza, ma in costante compagnia di qualcosa: di qualche idea, di qualche emozione, di qualche intuizione. E sempre con la giubilare serietà con cui annetteva disordine all ordine, sicurezza ai dubbi, audacia alle titubanze. Equivoca e chiarissima, illudente e illusa, allusiva e allusa (mi occorre, forse, un permesso speciale per questo termine). Sempre sensibile a quella serenità che è agli albori della vita e lei stessa ricca di quella, quando sente armonia fra gli esseri e le cose, lei, allora, lì, s inserisce come attraverso una fessura e da lì scruta, riconosce cose già intuite, già conosciute. Allora, la vetta accanto all abisso ha lo stesso significato, lo stesso codice. Questa Franca Bacchiega 342 preziosità è presente (ben raccolta da Marisa Bulgheroni che la individua) in molte delle quasi duemila poesie, in quel suo andare e venire fra il visibile e l invisibile, fra il concreto e l immaginario lungo quel percorso solitario ma per lei agevole e conosciuto e di cui era perfettamente padrona. Amherst è un paese molto bello tutto prati verdi, casette verniciate di bianco sparse fra le querce, fra l edera, le magnolie, le rose . Così scrive Natalia Ginzburg in Mai devi domandarmi. Così scrive anche Marisa Bulgheroni. Ma la Ginzburg aggiunge: lo spettro della noia dev esserci però stato sempre [...] . Non so se questo spettro abbia tormentato Emily Dickinson nel suo soggiorno terreno, sembrerebbe un temperamento immune da questa affezione. Ma l immobilità del villaggio, le metodiche pulizie, i contorni inalterabili dello scenario che la finestra le offriva poche strade, Main Street dove abitava, la cappella puritana frequentata ogni domenica, mattina e pomeriggio, dalla famiglia, poi querce, abeti, campi, il piccolo cimitero, a cui non è indifferente ma, dice, non han timore di venire qui le margherite deve averle insegnato l attitudine alla contemplazione, all interiorità. Non al tedio. Anche perché lo spettacolo della finestra è, sì, un dato concreto ma che nelle sue mani, sfuma o s addensa o si fonde in immagini per lei più appaganti: Ho per scenario dalla mia finestra / un mare su uno stelo / se all uccello o al fattore sembra un Pino / lascio che lo credano (da By My Window ); oppure: La mia ruota è nel buio più profondo! / Io non vedo raggio alcuno / eppure so che i suoi piedi / girano gocciolando intorno intorno (da My Wheel is the Dark ). Marisa Bulgheroni mette il dito, lungo tutto il libro, sulla singolare capacità visiva della poetessa. È un elemento tipico della sua poesia, legato al suo modo di prendere coscienza delle forme sensibili dell Assoluto, meta e miraggio della sua Opera, che l esercizio e gli anni perfezioneranno sempre di più. Ma fin dalle prime composizioni l uso dello sguardo è particolare: uno sguardo che sembra sviluppare una seconda vista , pur non trascurando a volte l osservazione più lucida, più concreta: un uccello discese sulla strada / e non s avvide che l avevo scorto / morse un verme e tagliatolo a metà / se lo mangiò così com era, crudo . Per tornare subito dopo, con leggerezza ad una vista e ad un udito metafisici. C è un suo valentine del 1850 in cui il fisico e il metafisico, appunto, sono combinati magistralmente: C è un altro cielo, / sempre limpido e bello / e c è un altro rilucere di sole, / anche se è fitta, lì, l oscurità (da There is Another Sky ). È scritto a vent anni ma sembra già una premonizione di quell incontestabile dono che costituirà il senso dell Immortalità percepito quotidianamente ed espresso per tutta la sua vita: è la percezione, inebriante e agghiacciante dell Assoluto; awful , è un suo aggettivo frequente, per Marisa Bulgheroni su Emily Dickinson 343 indicare l estasi e il terrore del sublime, espresso in un momento in cui la lirica americana non presenta grandi innovazioni in modelli espressivi arditi, in una sintassi onirica, stravolta rispetto alla tradizione, in una lampeggiante intuizione vertiginosamente cosmica con caratteri di anticipazione stilistica . Attratta, con trepidazione, dagli abissi delle Essenze, affiderà i suoi versi, che sono messaggi fluttuanti dentro e fuori l umano, a mani future che lei non vedrà, a occhi contemporanei che non vedranno. Messaggi dove le definizioni postume di simbolismo, ermetismo, surrealismo sono solo punte emerse di quel fenomeno raro che è la sua poesia. Ma la natura, come per molti simbolisti, è il luogo degli accadimenti allusivi ad una realtà parallela, metafisica, quella, si diceva prima, delle Essenze, nascosta ma capace di rivelarsi a frammenti, a moti insospettati, a epifanie. Nel ripetersi dei suoi ritorni, nel rinnovarsi dei suoi rituali, in ogni apparizione percepibile dell occhio umano, è sempre possibile cogliere un segnale, un messaggio di qualche entità sacra e segreta. Per Emily Dickinson c è un alfabeto dello spirito: C è un certo taglio di luce / nei pomeriggi d inverno / che opprime, come il peso / dell armonia dentro una cattedrale. / Una celeste ferita c infligge , ma non troviamo alcuna cicatrice, solo un dissidio interno dove stanno i significati. Vive nel tutto e nel nulla, accorta e sintomatica, sofferente di eccessi e latitanze. Troppa luce per degli occhi umani, troppo rumore per delle orecchie femminili educate ai suoni dimessi, alle voci controllate. Le procuravano ferite, le creavano piaghe. Ma la piaga non sanguinava. Alchemicamente trasformava sublimando il dolore dell impatto violento con l esterno, anticipando il desiderio di vivere la divina ebbrezza del trasumanare. E c è anche il permanere di un dubbio sulla capacità dell anima umana di abbandonare gli alfabeti, le forme terrene e, più ancora, un senso di oppressione di questa vicina dignità fatale della cui realtà è sicura e di cui si può cogliere la presenza : chi non trova il Paradiso quaggiù / non lo troverà in cielo, gli angeli sono nella casa accanto / alla nostra ovunque noi siamo . Questa qualità fantasmatica della natura è fissata dalla stessa poetessa in uno dei suoi più incisivi aforismi: La Natura è una casa popolata di spettri, l Arte una casa che cerca di esserlo , per questo già qui nella vita terrena si può cogliere l Assoluto. Dunque, ha Franca Bacchiega 344 le visitazioni celesti . In alcune poesie usa la tecnica della finzione retrospettiva dove è frequente e, molto disinvolto, il verbo morire: In quest ora morii si compì l anno oppure quando morii udii ronzare una mosca dove, oltre a immaginare, dichiara d aver varcato la fatale soglia sempre però in una commistione di empirico e di astratto. È questo che Marisa Bulgheroni ha tirato fuori, maieuticamente: la qualità inconfondibile, segreta della sua poesia fra Morte e Luce d Immortalità. Fedele fino in fondo scrive Silvio Raffo nella prefazione al suo testo di traduzioni a se stessa e al Mistero nella radicale certezza che tutto il resto è menzogna . *** Dopo qualche anno Marisa Bulgheroni ritorna alle stampe con il romanzo, più sopra segnalato, il cui contenuto riguarda gli anni della sua prima, acerba giovinezza, in una Italia difficile, ferita, attraversata dalla guerra. Ma anche questa sua nuova opera è una indagine sottile, ramificata, penetrata a fondo dentro la psiche dei personaggi ma anche dentro l anima dilaniata di un popolo. L autrice illumina a giorno ogni cosa ma con il tatto e la delicatezza che abbiamo ben conosciuto nel suo precedente studio su Emily Dickinson. *** Si entra con discrezione dentro questo libro, si entra, non dicendo soltanto permesso . Un saluto attraverso le stelle (ed. Rizzoli, 2007) è qualcosa di più di un saluto. È un viaggio o qualcosa che ne rende l effetto. Forse per merito dello scivolare agile tra episodio ed episodio, dello scorrere dei microtesti con una dinamica veloce, dell uso degli strumenti di lavoro che consentono di trasvolare di registro in registro. Ma nel loro fluire lasciano tracce, danno corpo a quella che si chiama vita concreta. I termini netti, decisi denunciano sicurezza di sé e accettazione della sicurezza degli altri. E, come un basso continuo pulsante, c è la presenza di un fuoco unitario forse anteriore alla scrittura comunque presente anche se nascosto dentro i contenuti che al contrario rivelano all esterno una natura di docile e paziente acquiescenza al quotidiano. Ne esce un narrare fluido, transitivo che amalgama i distinti, avvìa i presupposti, neutralizza le opposizioni. Così, pagina dopo pagina, ci si trova nel cuore di una storia intrisa di quella pazienza e fatalità che accompagna l umanità, senza distinzioni, quando incombono accadimenti tremendi e ineluttabili come le guerre. Qui ci sono tre giovani donne, tre sorelle, più la madre, più qualche zia, più la domestica dentro una casa, nel cuore di una regione relativamente lontana Marisa Bulgheroni su Emily Dickinson 345 dai pericoli ma dove è presente e tangibile l apprensione per gli uomini di casa che invece sono in mezzo al fuoco, schierati su fronti diversi e contrari. La giovinezza delle ragazze con il suo carico di ottimismo è dominante nel gruppo, assieme a quella forza naturale, la forza di resistenza che, alla fine ha sempre la meglio sulla morte e sugli errori e che è una caratteristica del femminile, quando a questo è permesso sviluppare le sue qualità. Nell insieme è un gruppo di donne, sane nello spirito e nel corpo, vivide e vivaci anche se obbedienti ai dettami borghesi, già allenate all arte di saper aspettare che è dice Marisa Bulgheroni il sigillo più profondo della pazienza delle donne. Ma è una pazienza impaziente , è l arte di Penelope che non è fare ma disfare quando le cose non vanno interferire, scardinare . È quell attesa, certa del buono della vita, che deriva dall averlo intravisto, osservato dopo aver vissuto a lungo il suo opposto. Non per nulla, quattro versi di Emily Dickinson oggetto di lunghi e profondi studi dell autrice in alto a destra della prima pagina, come epigrafe, aprono il libro: L acqua, la insegna la sete./ La terra, gli oceani attraversati./ La gioia, il dolore./ La pace, i racconti di battaglie./ La qualità del racconto è data dalla lievità degli episodi che trasformano in amore e gioco e, non di rado, gioia una situazione d angoscia e di dolore. Il collante è racchiuso in una frase della madre di Isabella, la protagonista principale: la storia non è la somma degli eventi soltanto ma un insieme di sogni, di illusioni, di progetti mancati . Un pensiero straordinario. Chi ne parla mai! Dei sogni, delle paure, delle angosce di uomini e donne in tempi diversi e lontani! La storia ci consegna notizie, forse precise, ma secche come ossa : Attila: un villaggio (o tanti) a ferro e a fuoco, donne violentate. L anno dopo, forse, tanti bimbi giallini, con occhi a mandorla o gli zigomi importanti. Ma chi ha raccontato mai cosa abbia provato dopo lo stupro o la gola tagliata, il ribaldo nel suo profondo dopo essersi seduto a riprendere fiato; e chi ha spiegato l umiliazione, il senso di morte senza rimedio della donna violentata, alla visione della sua casa bruciata, unica misera ricchezza, unico bene contro il gelo, i lupi e le future violenze. C è stato Proust e Du Jardin e Virginia Woolf e Joyce. Ma nell insieme il nostro profondo è stato ignorato o esplorato solo in superficie. Questo libro, finalmente, illumina a giorno quella parte di noi di cui nessuno parla ma senza rinunciare al rigore e alla precisione di un cronista e nemmeno ad una pervasiva, sottile, gradevolissima ironia. Diritto e rovescio, diritto e rovescio ticchettavano i ferri di madri, zie, cugine riunite nei lunghi pomeriggi di quell estate del 1943 [...] diritto e Franca Bacchiega 346 rovescio, diritto e rovescio ticchettavano i ferri mentre Isabella, le dita appiccicose, spingeva l ago nel suo canovaccio d apprendista, sentendosi condannata lei come le altre donne della famiglia a vedere il mondo negli interstizi tra un punto e l altro [...] il balzello femminile da versare in sudore e noia tra aghi, ferri e fili . La protagonista di questo romanzo è una donna: corpo e simbolo, materia e storia, figura di carne e ombra o ricordo. Il narrare di sé, delle sorelle, degli amici, degli amori, del femminile e della guerra, in certe pagine, è bruciante. C è l urgenza di dominare l ansia con domande che spesso non hanno risposta; c è la tenerezza della memoria, che ci salva tutti dal Nulla, c è la dolcezza che viene dalla gratitudine, forse inconscia, per la vita. Una teoria di figure ed episodi dove c è sempre il vento e l acqua, la terra e la luce, la neve e la casa sul lago dove le donne preparano ricami e corredi. Gli uomini? Soldati. A cominciare dal Capitano (il padre) fino ai ragazzi amici su vari fronti, lontani e sognati e attesi con quella infinita, silenziosa pazienza che l autrice chiama la pazienza impaziente . È una storia che, pagina dopo pagina, risuona dentro di noi come la conoscessimo già, come ci appartenesse da sempre. Profonda dentro il nostro tempo e vastissima nello spazio. Così interna da riconoscerla. Anni fa, quello straordinario scultore (e altro) che è stato Venturino Venturi, forse il più puro, assoluto degli artisti italiani, osservando ad Urbino, quello splendido ritratto, di profilo, di Battista Sforza moglie del duca di Montefeltro, disse una frase che mi è rimasta impressa: Noi capiamo quello che abbiamo già conosciuto . Anche questo un pensiero straordinario, un pensiero omeopatico. Una goccia di conoscenza deve già esserci dentro di noi, perché possiamo riconoscere . E Marisa Bulgheroni, come una tecnica esperta davanti alla sua consolle innesta le sue spine, cariche della sua particolare energia e crea il contatto. Migliaia di luci si accendono, ricordano e rispondono che quella è anche la loro storia. Innumerevoli sono i libri che hanno narrato la guerra: Fenoglio, Pavese, Morante, bravissima anche con le sue durezze. Qui, dentro l emozione, l intensità, l intuito, c è l analisi della mente e dello spirito, delle percezioni più delicate, di paure che affiorano e si dileguano, di attese sature di vita immaginata sperata o temuta. Nell attesa infinita. Nella pazienza infinita. Dopo la fine della guerra, in Africa per un reportage giornalistico, Bulgheroni scrive: Nella primavera 1953, dieci anni dopo la battaglia di El Alamein, camminavo lungo i bordi della Depressione di El Qattàra. Simile a una mareggiata la guerra aveva lasciato nel deserto i suoi relitti: neri scheletri di fucili, brandelli di tende, un picchetto, un casco, la carcassa arrugginita di un cingolato. Su quel campo di battaglia ancora non cancellato, il silenzio sembrava annullare la forza di gravità. Marisa Bulgheroni su Emily Dickinson 347 Mi aggrappavo al vento che a tratti soffiava radente, con un sibilo che udito una volta aveva raccontato Gabriele si deposita nell orecchio per sempre, ogni granello di sabbia un pianeta roteante sul punto di esplodere. E più sotto: Poco dopo la jeep correva lungo la Pista Rossa che congiunge El Qattàra alla costa. Le mine semisepolte tra la sabbia sembravano nere come stelle marine. Evitata una, un altra ammiccava micidiale, poco più oltre, sotto le ruote della jeep [...] no, non ancora [...]. Scrivere di quella corsa tra terra e cielo, di quel volo a zigzag, valeva una vita? No. Ma era vita iscriversi nello spazio così: come energia di vento. Non ne scrisse mai. Lasciò lo scoop a un amico e tenne per sé il segreto. Si diceva prima che il precedente lavoro di Marisa Bulgheroni è un prezioso coraggiosissimo studio su Emily Dickinson che è anche un azzardo di immaginazione o, semplicemente una immersione quasi medianica nei luoghi vissuti dalla poetessa. Perché, dove una vita intera è trascorsa, tutta intera, tutta lì, qualcosa deve aver lasciato nella casa, nei muri, anche se di questo non si sa nulla a parte i preziosissimi epistolari. Qualcosa nella casa di Amherst doveva essersi fissato della sua immagine biancovestita, della sua assenza dal quotidiano, della sua reclusione volontaria dentro la sua stanza. Ma una lettera della poetessa porta le parole profetiche: L abisso non ha biografi . Un ammonimento? Ma Marisa Bulgheroni non la si ferma facilmente. Lei è diventata il biografo di quell abisso (o di quell altezza). Sul filo dell impalpabile, sull ombra, sul non detto. Come se avesse decifrato l invisibile storia di quella vita leggendo il bianco della pagina fra le righe; come fosse quello l alfabeto. Ne è nato un libro fatto di aure ma così concreto, così pieno. Anche Un saluto attraverso le stelle possiede la stessa impronta: sì, ci sono i fatti, e come! Ma ciò che lo sanziona è l alone, l aura che li avvolge, li preannuncia prima che si manifestino, che rimane ad aleggiare quando tutto è finito. E i fatti si concretizzano per merito di un uso particolare della parola che scriverei con la P maiuscola perché le parole, qui, hanno una lunga radice aggrappata al profondo e da questo sono nutrite, come i fiori di loto che affiorano calmi ma perentori dal loro silenzio, dalla loro completezza per confrontarsi con l esperienza del coraggio e del dolore in cui devono, per forza, immergersi. Il profondo, il limo nutriente sono le splendide preziose pagine in corsivo che affiorano lungo tutto il libro da acquoree o ventose gallerie carsiche. Se ne ricava un recupero dei contrari dove gioia e sgomento, vitalità e stanchezza, speranza e delusione si annullano in una formula che si ravvolge come una pellicola attorno a un perno dentro un seme ricco del miracolo delle sue origini e della grazia del suo rinnovamento. Franca Bacchiega 348 Scrive l autrice: L e donne si lasciano dietro nebulose di parole. Io, Isabella, sento un suono di tromba quando, ogni sera, il cielo sopra Bagdad, rosso di un innaturale tramonto, straripa dalla cornice del televisore e m inchioda fino a notte tarda all unica poltrona a ascoltare e riascoltare le notizie che l inviata in Iraq, come un angelo scarmigliato da troppe apocalissi, comunica, interrotta a tratti dallo spettacolo delle macerie case muri moschee palazzi sbriciolati sempre uguale, sempre diverso, se non fosse per l apparizione di un bambino dagli occhi neri e vivi come acini d uva. Macerie visibili a tutte le ore del giorno e della notte, ma mute inodori intoccabili: un battito di ciglia e scompaiono. Compaiono allora le figure che, ancora nebulose, occupano la mia tela, sotto i cieli rossi, nei paesaggi sbalestrati di un altra guerra. Si fanno avanti, ingovernabili come in un sogno. Il tempo, in questo libro, grazie anche al prezioso espediente degli inserti in corsivo, è ospite sovrano; e spesso è un tempo doppio, quello reale dove la scrittrice si colloca, ma ci sta un po stretta, e quello della memoria dove il sogno regna. Ma è anche un imbattersi fra il doppio e la scelta, l obbligo e il caso, l ordine e la trasgressione. Al lettore si offre il tentativo di scoprire una logica dentro gli accadimenti, un disegno geometrico nel disordine apparente della vita e di avviare i movimenti su una strada che si dirama in due sentieri che distinguono l oggi e l ieri ma dove, forse, si intravede un poi. L intensità vibra lungo fili che le permettono escursioni ansiose e intuizioni folgoranti. Da questo cuore interiore si snoda la scrittura di questa scrittrice, attenta al gioco delle perdite e dei recuperi; attenta anche a dare voce a quello che di solito è taciuto, impegnata in una sorta di giustizia a che nulla rimanga lettera morta con un grande rispetto per tutto quello che vive e non può stare fuori dalla storia. E il grande ruolo misterioso della memoria, che qui trionfa e che dà forma, volto, parole, senso allo stare al mondo. __________ NOTA 1 Docente di letteratura americana, studiosa e traduttrice di Emily Dickinson oltre che autrice di saggi sul femminile, di romanzi di racconti.