PANORAMA PER I GIOVANI
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PANORAMA PER I GIOVANI
N. 4 - Anno 2015 COLLEGIO UNIVERSITARIO “LAMARO POZZANI” - FEDERAZIONE NAZIONALE DEI CAVALIERI DEL LAVORO PANORAMA PER I GIOVANI 6 | 2015 15-09-15 PANORAMA PER I GIOVANI EDIZIONE D I G I TA L E Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro Direttore responsabile Mario Sarcinelli Direttore editoriale Stefano Semplici Grafica David D’Hallewin Direzione Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” Via Giuseppe Saredo n. 74 - 00173 Roma, tel. 06 72.971.322 - fax 06 72.971.326 Internet: www.collegiocavalieri.it E-mail: [email protected] Autorizzazione edizione on-line panoramaperigiovani.it Tribunale di Roma n. 361 del 13/10/2008 ECONOMIA CULTURA FORMAZIONE POLIS SCIENZE ECONOMIA N. 4 6 - Anno 2015 Verso il Meccanismo di Risoluzione Unico Il bail-in è solo il primo passo verso un meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie molto più complesso e soprattutto orientato all’assunzione a livello europeo dell’onere dei dissesti. di Viviana Spotorno È di questi ultimi giorni il recepimento in Italia della Direttiva 2014/59/UE riguardante il risanamento e la “risoluzione” delle banche. Essa prevede, in sostanza, l’introduzione dello strumento del bail-in: tramite questa procedura le difficoltà degli istituti bancari dovranno essere affrontate all’interno degli stessi; in altre parole non sarà più lo Stato - e quindi i contribuenti - a dover intervenire, bensì gli investitori. Le banche in crisi dovranno dapprima utilizzare tutto il capitale accantonato a fronte dei rischi assunti. A seguire la Banca d’Italia, nel ruolo di autorità di risoluzione, venderà parte degli attivi di proprietà degli istituti. In ultima istanza e solo dopo questi step saranno coinvolti gli investitori, ossia gli azionisti, gli obbligazionisti e se necessario i correntisti con un patrimonio superiore a 100.000€ (sotto tale soglia vige la garanzia dei depositi). In ogni caso, gli oneri che graveranno sui privati saranno decisi dalle singole banche in base alla situazione economica generale e alle perdite subite. Tuttavia, il recepimento del bail-in esula dalla semplice in- 2 troduzione di un nuovo strumento. Infatti, la direttiva è stata pensata per armonizzare i sistemi nazionali di gestione delle crisi bancarie nel contesto europeo. L’obiettivo di tale politica è rendere effettiva l’attivazione del secondo pilastro dell’Unione bancaria: il Meccanismo di Risoluzione Unico (Single Resolution Mechanism, SRM). L’SRM prevede, appunto, un fondo di risoluzione unico che sarà alimentato da prelievi sulle banche e verrà costruito in modo progressivo attraverso la mutualizzazione dei singoli fondi nazionali di risoluzione per un periodo di circa dieci anni. A regime raggiungerà un ammontare di 55 miliardi di euro, che potranno essere utilizzati per ristrutturare le banche o finanziarne i costi di liquidazione. Se tale disegno sarà pienamente realizzato vedremo un’ importante messa in comune di risorse, nonché la condivisione del rischio in una Europa che ormai da molti anni sembra aver dimenticato i valori della solidarietà e della fratellanza tra Paesi. PANORAMA PER I GIOVANI CULTURA N. 4 6 - Anno 2015 Classico e classicista: la stessa cosa? Il bianco immacolato dei templi greci della nostra immaginazione contaminato dai colori della storia. di Benedetta Muccioli Quando si arriva tramite i propilei alla struttura più bella dell’antichità, il Partenone, non si può che ammirare l’ingegno e forse l’ispirazione davvero divina di chi l’ha costruito: il bianco candido incanta gli occhi dello spettatore che riesce a immaginare la magnificenza passata, prima che le intemperie e gli uomini facessero scempio di tale meraviglia. Ci si ferma e si dice: “Che bel tempio classico! Il marmo bianco delle maestose colonne doriche doveva essere il paradigma delle strutture sacre seguenti”. Ma davvero “classico” è il termine giusto da usare? In realtà l’atteggiamento di noi moderni nei confronti dell’arte antica è filtrato dall’esperienza neoclassica. Winckelmann, in particolare, condizionò il modo di vedere ciò che ci ha preceduto: il concetto che egli esprime non è quello della classicità, ma del “neoclassico”, come se il mondo antico fosse sospeso su una specie di nuvola, fatto di immagini incontaminate e di pura filosofia. Niente di più falso. Propongo due esempi: dal punto di vista cinematografico la Medea di Lars Von Trier, che mostra dietro l’eroina il paesaggio brullo di Corinto e della sua campagna. Anche le vesti della protagonista non sono certo i pepli bianchi delle kòrai: spiccano colori forti quali il rosso e il blu, gli stessi delle colonne e dei fregi del Partenone, che la storia ci restituisce privo della sua struttura cromatica. Dal punto di vista invece letterario già Aristofane, gran- de poeta comico del V secolo a.C., si lamenta per quanto sia difficile ottenere silenzio a teatro, dato che gli spettatori non fanno altro che ciarlare tra di loro. Sono lontani dalla verità quanti immaginano un mutismo quasi devoto mentre gli spettacoli andavano in scena! E che dire poi dei giudici teatrali? Di certo non seguivano il loro gusto personale, ma erano influenzati e temevano non poco il giudizio popolare, al quale sempre si conformavano. Tutto questo per dire che anche nei secoli che sono giustamente il pilastro portante dell’universo moderno c’erano degli uomini esattamente come noi, con gli stessi vizi e le stesse mancanze, non degli “eìdola”, fantasmi astratti e privi di fattezze umane. Ce lo dimostra ancora l’Odissea, il nòstos più famoso: nel grande poema di Odisseo/Ulisse, oltre le epiche imprese dell’eroe, Omero trova spazio per descrivere in modo estremamente accurato la fedele Penelope e le sue ancelle che tessono, usando dei termini del settore tessile che per noi possono sembrare di un’altra epoca, ma che sono ben noti ai nostri nonni. Per questo motivo avvicinarsi al mondo antico non è impossibile: si deve quindi accantonare l’idea classicista alla Canova e adottare il concetto di “classico” proprio dei filologi. In questo modo si scoprono meraviglie nascoste e, di fronte ad esse, si può esclamare a ragione: “Che uomini e che donne!”. PANORAMA PER I GIOVANI 3 FORMAZIONE N. 4 6 - Anno 2015 Almost Heaven, West Virginia... University Storia di uno studente italiano che “vuol fa’ l’americano”, grazie a un semestre di studio all’estero. di Davide Brambilla Da questa parte dell’Atlantico, non c’è esperienza universitaria che non passi attraverso il college; WVU non fa eccezione. Anche di Morgantown, cantava John Denver, in country roads: situata a 280 metri sul livello del mare, almost heaven, è una cittadina di 30 mila abitanti, che ruota intorno alla West Virginia University. Durante l’anno accademico, la città raddoppia con l’arrivo di studenti statunitensi e internazionali. Uscito dall’International house, la lunga gionata richiede un’abbondante colazione, nella mensa più vicina. Da downtown si raggiunge poi il campus di ingegneria, grazie al PRT, personal rapid transportation, una flotta di piccoli veicoli elettrici, senza pilota, che corrono su una sopraelevata. Sbarcato alla stazione engineering, sedere tra questi banchi è come tornare alle superiori: i prof chiamano per nome (“David, my italian friend”) e assegnano compiti e test ogni settimana. Tutto il materiale è fornito tramite la piattaforma online, ecampus. Tra una lezione e l’altra ci si ferma in biblioteca: computer e laptop sono a disposizione degli studenti, delle comode poltrone invitano alla lettura del giornale (il Daily Athenaeum, redatto dagli studenti) e non di rado si ode un russare. Il motto latino mens sana in corpore sano, anche se pronunciato all’americana, è praticato con assiduità al REC (recreation center): palestra, campi da calcio esterni, basket, piscina e persino pareti di roccia. È anche il luogo ideale per togliersi lo sfizio di sempre: sfidare due prof cinesi a ping pong (e perdere con dignità). Il campus è studio, sport, divertimento, ma offre anche lavoro per gli studenti che devono far quadrare i conti. Infatti, nonostante WVU sia una delle università più economiche degli States - trentamila dollari per l’intero anno accademico, compresi vitto e alloggio nelle Halls - chi non ottiene una borsa di studio o non si chiama Jobs o Gates lavora come cameriere, corregge i compiti per i prof, collabora agli eventi universitari o assiste i freshmen (le matricole) nei dormitori (i c.d. resident assistants). Passaggio crucial – e quasi obbligato – per la maggior parte degli studenti americani, il college rappresenta un momento di formazione a 360 gradi. Un’esperienza tanto completa che però rischia di isolare gli studenti, troppo presi da compiti, football, associazionismo, feste, da perdere la “cittadinanza”, dimenticarsi della comunità. Un buon antidoto, per uno studente straniero, è essere invitato a cena da una famiglia con origini italiane (molti compatrioti, nei primi del ‘900, trovarono lavoro nelle miniere di carbone della regione). Sarà difficile dimenticare la West Virginia: All my memories, gather round her soprattutto per il forte spirito di appartenenza. Morgantown vive il suo sabato del villaggio in attesa della partita di football: la WVU gioca nella Big 12 conference. Fuori dallo stadio si consuma il tailgate: ogni famiglia o compagnia di amici griglia, mangia e beve attorno alla propria macchina. Poi sono tre ore di spettacolo, dove tutti 4 partecipano ai cori, la banda dà il ritmo alle cheerleaders. LET’S GO MOUNTAINEERS, perché alla fine, se i touchdown saranno stati sufficienti, tutto il Milan Puskar Stadium canterà, abbracciati gli uni agli altri, Country road! PANORAMA PER I GIOVANI POLIS N. 4 6 - Anno 2015 La politica delle parole Spesso la politica strumentalizza le parole fino alla completa distorsione etimologica. Tra strategie di comunicazione e marketing elettorale, il nostro patrimonio storico-linguistico è a rischio. di Giulio Tanzarella “Le parole sono importanti!” strilla imbufalito Michele Apicella – alias Nanni Moretti – in Palombella Rossa, redarguendo la malcapitata interlocutrice con la sentenza: “chi parla male pensa male”. In questo stravagante e prezioso film del 1989, il regista romano intuisce i pericoli insiti nel processo degenerativo del lessico comune, attribuendo ai media e alla politica un ruolo emblematico nella strumentalizzazione delle parole. Naturalmente è legittimo e ragionevole che la comunicazione politica si evolva assecondando i mutamenti sociali e cercando di orientare l’elettorato con sempre maggiore efficacia e chiarezza; ma troppo spesso questo avviene mediante una esasperazione del linguaggio. In Italia abbiamo a lungo oscillato tra l’oscuro politichese, discendente diretto del latinorum manzoniano, e l’esterofilia di espressioni quali Fiscal Compact, Spending review, Moral suasion fino al recentissimo Jobs Act. Niente di male nell’usare l’inglese, per carità. Ma nel contesto (ahimè) linguisticamente arretrato in cui viviamo, etichettare in tal modo una legge o un programma di governo disorienta gran parte della cittadinanza, scoraggia l’approfondimento e l’interesse dell’uomo comune. Lo stadio più recente a cui è giunta la comunicazione politica italiana è quello della semplificazione estrema del linguaggio. Uno degli esempi più calzanti è rappresentato dalla Buona scuola. Semplice. Immediato. Rassicurante. Lontano anni luce lo stile forbito di Aldo Moro, chiusa la parentesi accademica di Mario Monti, tramontata la fascinazione per l’estetica vendoliana, domina una comunicazione verticale, che scende dai “piani alti” per dare spiegazioni immediatamente comprensibili al cittadino o, peggio, sale dalle viscere intrise di rabbia per parlare alla pancia della gente. Tante, troppe parole si sono trasformate alterando il loro significato originale. Corriamo il rischio che la volgarizzazione di nobili parole conduca alla perdita di un pezzo di memoria collettiva. Allo stesso tempo, dilagano gli “ismi” utilizzati in senso dispregiativo, senza magari interrogarsi più sul significato del termine che li ha generati: populismo, buonismo, moralismo. Di altri termini si è persa la consapevolezza dell’origine: ricordo ancora che rimasi sconcertato quando nella primavera 2013, ultimando il programma di storia al liceo, scoprii la vicenda del Fronte dell’Uomo Qualunque. Altri ancora, infine, si sono affermati in questi ultimi anni: penso allo storytelling, cioè alla “narrazione” di un messaggio immediato e comprensibile in cui è facile immedesimarsi. Insomma: le parole, in politica, sono importanti. Impariamo ad usarle! PANORAMA PER I GIOVANI 5 SCIENZA N. 4 6 - Anno 2015 Finalmente la rivoluzione digitale del settore bancario. Vi siete accorti dei cambiamenti che stanno avvenendo all’interno di agenzie e filiali bancarie? di Viviana Spotorno Le casse hanno lasciato il posto a grandi scrivanie, comode sedie per ospitare i clienti, nuove postazioni ATM per effettuare non solo i prelevamenti ma anche i versamenti di denaro. Ebbene, tutto ciò è frutto della rivoluzione digitale che sta investendo il settore bancario e finanziario. Mentre tra gli anni ‘90 e il 2000 il settore industriale veniva colpito da una rivoluzione senza precedenti, le banche opponevano resistenza alla digitalizzazione. Tuttavia, negli ultimi anni, la categoria delle retail bank ha trovato difficoltà ad accrescere gli utili e i ricavi da interesse dato il basso livello dei tassi fissato dalla BCE e, dall’altro lato, l’innalzamento delle commissioni è risultato insufficiente a compensare i mancati introiti. Sono queste le principali ragioni che hanno portato le banche a rivolgere la loro attenzione alla tecnologia per una possibile crescita futura. Una recente analisi mostra che, lungo i prossimi cinque anni, più di due terzi della clientela sarà pronta ad utilizzare l’online banking per gestire il proprio rapporto con la banca. Le banche stesse hanno preso coscienza dell’evidenza che le vite dei destinatari dei loro servizi si è ormai orientata al mondo 6 digitale. Il problema è che non tutti gli intermediari sono preparati ad accogliere il cambiamento tecnologico e molti stanno ancora cercando il vero valore aggiunto che esso potrà dare al loro business. La digitalizzazione delle banche prospetta importanti risultati. Si ritiene, infatti, che possa aumentare del 30% i ricavi derivanti da prodotti e servizi molto diffusi, come ad esempio pagamenti e prestiti personali. E ancora, il digitale permetterà una riduzione di circa il 20-25% dei costi fissi attraverso la trasformazione dei processi e degli approcci adottati per servire la clientela. Nonostante ciò, il successo richiede molto di più che ripensare in chiave tecnologica lo svolgimento dell’attività bancaria. Per la buona riuscita della digitalizzazione è necessario ripensare l’organizzazione e il modello di business, sono necessarie strutture differenti e nuove competenze. La rivoluzione digitale cambierà il modo di fare business delle banche retail e in molti casi la trasformazione sarà radicale. La buona notizia è che fuori dalle banche europee c’è una folla che attende impaziente il cambiamento. PANORAMA PER I GIOVANI