italiano in canada pdf
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Angelica M. Scalzi matr. 526692 Informatica Umanistica (Laurea Magistrale) LA LINGUA ITALIANA IN CANADA Fin dalle prime ondate migratorie, il Canada è stato una meta sempre molto gettonata tra le destinazioni degli italiani che lasciavano il vecchio mondo per spostarsi oltreoceano. Ancora oggi la presenza di italiani in Canada risulta consistente al punto che gli italo-canadesi sono il quarto gruppo etnico più numeroso dopo inglesi, francesi e tedeschi (o, secondo alcune fonti, il quinto, dopo gli irlandesi). Dal censimento del 2006 risulta che i canadesi che hanno dichiarato di avere origini italiane sono 1.445.335, ovvero il 4.6% della popolazione totale: metà di queste persone hanno, oltre a quella italiana, anche altre origini, per lo più europee. Gli italiani in Canada sono concentrati soprattutto in Ontario (867.980), mentre un altro consistente numero (299.655) vive nel Quebec1. Panoramica storico-sociale I maggiori studi sulla storia italo-canadese focalizzano l’attenzione soprattutto sugli spostamenti degli anni successivi al secondo dopoguerra, dimenticando che esisteva una realtà italiana in Canada già dall’Ottocento. Allo stesso modo, gli intellettuali italiani del Nord America, che tentano di riabilitare l’immagine del proprio gruppo etnico invocando i tempi antichi e gloriosi in cui gli italiani erano un popolo di artisti, navigatori e missionari, non considerano nella giusta luce la storia di quegli italiani che con l’emigrazione di massa post 1885 “contribuirono a civilizzare le Americhe”2. Il Canada, che nel 1867 divenne la prima unione federale dell’impero britannico, oltre a superare la conflittualità tra i due maggiori gruppi etnici (inglese e 1“Italo-canadesi”. Wikipedia: l’enciclopedia libera. 2 Harney Robert F., Dalla frontiera alle Little Italies. Gli italiani in Canada. 1800-1945, (1984), pag. 43. 1 francese), aveva il compito di ‘costruire una nazione’: in questo senso l’immigrazione ha giocato un ruolo fondamentale, non soltanto perché permise di popolare un vastissimo territorio, ma anche perché rappresentava una grande fonte di manodopera, necessaria per la costruzione di infrastrutture. Gli italiani, più di altri emigranti dall’Europa, partirono in numero sempre maggiore verso il Nord America, il che se da una parte era ben visto perché contribuiva a offrire più forza lavoro, dall’altro non lo era, nella misura in cui i nuovi arrivati erano più inclini ad imparare l’inglese, creando uno squilibrio tra le forze politiche3. Il fattore di attrazione che spingeva tanti italiani a partire era proprio la possibilità di trovare lavoro. Harney lo chiamava “uno spostarsi del talento verso l’opportunità”4: questi lavoratori che in Italia erano in sovrannumero misero le loro capacità al servizio della civiltà occidentale che stava muovendo i suoi primi passi e che otteneva così ciò di cui aveva bisogno, e diffusero sia virtù civilizzatrici che mestieri minori. Purtroppo le classi superiori non percepirono la portata imponente ma silenziosa di tale cambiamento, anzi guardavano agli immigrati come a una mera massa di contadini ignoranti e cafoni. I flussi migratori quasi mai erano pianificati a livello regionale; la provenienza dei nostri emigranti era soprattutto dal Sud Italia, ma anche dal Veneto e dal Friuli5. Si trattava di regioni povere, certo, ma parte di coloro che partivano tornava anche in patria, chi per sempre, chi temporaneamente. Comunque sia, da entrambe le sponde dell’Atlantico non era affatto facile andarsene e, una volta arrivati, ricominciare. Da tutte e due le parti ci si affidava a intermediari: prima gli agenti delle compagnie armatrici incoraggiavano le partenze e speculavano sui rilasci illegali di permessi e passaporti dietro pagamento di 3 Harney Robert F., Dalla frontiera.. (op. cit), 1984, pag. 20-25. 4 Harney Robert F., Dalla frontiera.. (op. cit), 1984, pag. 45. 5 Vedovelli Massimo (a cura di), Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, Carocci Editore, 2011, pag. 418-419. 2 mazzette6; poi, una volta giunti in America, ci si metteva nelle mani dei padroni, una particolare categoria di agenti di collocamento, banchieri, appaltatori o interpreti, che si occupava di gestire il denaro o risolvere i problemi burocratici dei compatrioti7: questi potevano anche essere ladri o criminali, ma per l’immigrato analfabeta in un paese nuovo e sconosciuto affidarsi a un compaesano che sapeva leggere e scrivere era il meno peggio che potesse capitargli. Come si è detto, il Canada era un paese in espansione e necessitava di grandi reti di comunicazione per il suo territorio, e gli emigrati italiani in questa fase iniziale lavoravano per lo più come operai nel settore delle costruzioni; la loro presenza nei cantieri era talmente richiesta che spesso venivano messe a lavorare insieme persone della stessa regione, così che avessero meno difficoltà a capirsi. Svolgendo lavori pubblici, i primi emigranti tendevano a stabilirsi nelle grandi città, come Toronto o Montreal. Solo in un secondo momento quelli che erano riusciti ad accumulare abbastanza denaro diedero il via a nuove attività imprenditoriali: barbieri, fruttivendoli, panettieri, mestieri che divennero caratteristici dei quartieri italiani noti come Little Italies8. Quando le comunità diventarono più stabili, furono le reti familiari e di amicizia a svolgere il ruolo che prima era del padrone, ovvero fornire a parenti e conoscenti appena arrivati l’aiuto e l’assistenza necessari (tale fenomeno è comunemente chiamato ‘catena migratoria’). Un decreto del 1901 imponeva all’emigrante di richiedere il rilascio del passaporto dal sindaco, il quale doveva verificare che la persona in questione fosse maggiorenne, non lasciasse persone a carico, non avesse subito condanne penali e non fosse sottoposto all’obbligo di leva; fatti tali accertamenti, il prefetto avrebbe valutato se concedere o meno il nulla osta. A questo punto entrava in gioco il denaro sottobanco per il sindaco o il notaio, anche in caso fossero persone oneste, per falsificare i documenti e comprarsi le dovute approvazioni. Harney Robert F., Dalla frontiera.. (op. cit), 1984, pag. 75 ss. 6 7 Il personaggio del padrone, e il relativo padrone-system tipico del repertorio nordamericano di inizio XX secolo, è per gli storici quel “ponte naturale che metteva in rapporto il nuovo immigrato con la vorace richiesta di manodopera a buon mercato del capitalismo americano”. Alcuni padroni erano solo ‘cafoni arrivati’, altri membri della classe media, ma tutti erano uomini da ingraziarsi per ottenere un lavoro. Harney Robert F., Dalla frontiera.. (op. cit), 1984, pag. 92-102. 8 Troilo Matteo, Lavoro ed imprenditoria degli italiani tra vecchie e nuove generazioni, in “Diacronie. Studi di Storia Contemporanea”, (29/01/2011), pag. 4-5. 3 Con la prima guerra mondiale molti italiani ritornarono in patria, ma per quelli rimasti il momento fu favorevole, perché il bisogno di produrre fece sì che molti fossero inseriti nelle fabbriche. I flussi ripresero considerevolmente dopo il secondo conflitto mondiale, in un clima però molto diverso, sia perché il Canada non aveva vissuto in prima persona la guerra, sia perché adesso coloro che partivano avevano un bagaglio di competenze professionali maggiore, per cui fu molto più facile trovare un lavoro. Il Canada stesso favorì l’immigrazione attraverso la politica della sponsorizzazione, secondo la quale coloro che si trasferivano avrebbero goduto di agevolazioni se i parenti già residenti avessero provveduto ad occuparsi dell’alloggio e ad assumersi le responsabilità finanziarie. Il Canada cercava ormai non più lavoratori stagionali, ma cittadini definitivi: nella sua dimensione multietnica crebbero comunità molto più compatte che in Europa, alle quali offriva in cambio numerosi benefici e possibilità di maturazione professionale (nel caso degli italiani soprattutto in settori di produzioni “etniche”, ovvero destinate in primo luogo ai migranti stessi e in seconda battuta agli altri9). Al giorno d’oggi il Canada risulta ancora una meta privilegiata degli italiani che decidono di emigrare. Tuttavia hanno perso peso la catena migratoria e il ricongiungimento familiare come genere di spostamento, ed è cambiata anche la politica canadese di accettazione, che, puntando ora sugli ambiti occupazionali e sulle qualifiche professionali, segue per lo più il variare del mercato del lavoro. Ciononostante, gli italiani all’estero tendono lo stesso a fare comunità, oggi più che mai, specie grazie alla diffusione di internet10. Inserimento scolastico e insegnamento dell’italiano Si è già detto che l’emigrazione in Canada non è stato un fenomeno organizzato a livello regionale. Anche se le partenze sono state soprattutto a carattere meridionale, i livelli di istruzione dei migranti erano comunque 9 Troilo Matteo, Lavoro ed imprenditoria.. (op. cit), pag. 7-13. 10 Troilo Matteo, Lavoro ed imprenditoria.. (op. cit), pag. 13-17. 4 variegati, e sarebbe sbagliato parlare genericamente di coloro che si spostarono oltreoceano come di una massa di analfabeti. Piuttosto, bisogna tenere in considerazione le differenze in relazione ai periodi di partenza e alle regioni di provenienza. Nella prima fase, quando l’emigrazione era stagionale e temporanea, coloro che partivano erano soprattutto giovani maschi senza famiglia, una fascia d’età “caratterizzata da minore dialettologia e da orientamento più spiccatamente italianizzante nell’uso del dialetto”11. In balìa di quelle difficoltà iniziali di cui si è parlato, il fatto di mettersi nelle mani dei padroni, che parlavano lo stesso dialetto e impedivano l’ingresso dei compatrioti nel melting pot nordamericano, non contribuiva all’ “americanizzazione” degli immigrati12. Una loro frequenza scolastica sarebbe poi da escludere, un po' per via dei tempi lavorativi, un po' perché essi non avevano una conoscenza sufficiente della lingua locale. Si può parlare di vero e proprio inserimento scolastico solo quando il trasferimento diventa permanente ed è accompagnato dai ricongiungimenti familiari: nel momento in cui le famiglie di stabiliscono definitivamente in Canada, sono soprattutto i loro figli e le successive generazioni a beneficiare di questa condizione di stabilità e a frequentare la scuola in maniera costante, seppur con le dovute difficoltà. Ora, nelle scuole canadesi si usano l’inglese e spesso anche il francese, due lingue che entrano in contatto con il dialetto e l’italiano degli emigranti (appreso in famiglia o grazie alla televisione). Per definire il cambiamento che questo incontro comporta nel repertorio linguistico italo-canadese, sono da tenere in considerazione le politiche scolastiche in favore o meno delle lingue d’origine degli studenti: fino agli anni Settanta tali politiche tendevano alla “canadizzazione” dei ragazzi stranieri, ma oggi sono molto differenziate da luogo a luogo, in quanto l’istruzione pubblica è di competenza provinciale. Ad esempio, già negli anni Venti in Québec, su richiesta dei genitori italiani, si praticava nelle scuole il bilinguismo inglese-italiano: questa regione è sempre 11Vedovelli 12 Massimo (a cura di), Storia linguistica.. (op. cit), 2011, pag. 419. Harney Robert F., Dalla frontiera.. (op. cit), 1984, pag 108. 5 stata molto attenta alle politiche scolastiche nei confronti dei figli di stranieri, con conseguenze anche dal punto di vista religioso, poiché le scuole in cui si insegnava l’inglese erano di impronta protestante13. Negli anni Ottanta, nello stesso Québec e non solo, l’entrata nelle scuole dei figli di immigrati è stata vittima di un dibattito scientifico sui risultati ottenuti da questi ultimi coi programmi delle scuole bilingui: tuttavia, ciò che è stato messo in discussione sono stati i contenuti didattici dei programmi stessi, e non le capacità degli studenti, i quali sono stati anzi incoraggiati dal governo a tutelare la loro lingua e cultura d’origine. C’è solo un ma: la scelta di insegnare a scuola l’italiano o altre lingue non ufficiali dipende dalle risorse delle comunità e degli istituti di volta in volta considerati. Certo è che, rispetto ai primi italiani arrivati in Canada, le condizioni sociali e linguistiche delle seconde e terze generazioni sono di un livello nettamente superiore: ciò è dovuto sia alla componente multiculturale della quale il Paese si è sempre potuto vantare, sia al fatto che sono i genitori stessi che spingono affinché i figli si integrino nella comunità ospitante. Ne risulta che la lingua d’origine (nel nostro caso l’italiano e i dialetti) viene via via abbandonata o dimenticata, se non addirittura mai appresa, e questo non per una imposizione o per scelta, ma secondo un processo lento e naturale. Quello che bisognerebbe capire, come spiega Sabrina Machetti, è se tale processo comporti la perdita di identità o piuttosto l’acquisizione di un’identità nuova. D’altro canto, a livello universitario vengono proposti numerosi corsi agli studenti interessati alla lingua e alla cultura italiana. Il sito dell’ambasciata italiana ad Ottawa elenca gli istituti universitari canadesi che offrono tali corsi, tra i quali ricordiamo • • • • a Montreal: Concordia University, McGill University e l’Université de Montreal; 13 Vedovelli Massimo (a cura di), Storia linguistica.. (op. cit), 2011, pag 424. a Toronto: University of Toronto e York University; ad Ottawa: University of Ottawa e Carleton University; a Vancouver: University of British Columbia. 6 Ovviamente queste facoltà sono diffuse per lo più dove è più massiccia la presenza di italiani, e sono gli studenti stessi, italo-canadesi e non, a incoraggiare le università nel portare avanti tale offerta didattica. Ciò che i relativi siti internet dei diversi atenei si propongono di presentare è un approccio allo studio dell’italiano come si trattasse di una passione da condividere. Ce n’è per tutti i gusti: da una parte il corso in lingua e traduzione, che, attraverso lo stimolo delle abilità in termini di speaking, listening, reading e writing, è suddiviso in diversi livelli, in base alle conoscenze pregresse o nulle di lingua italiana da parte degli studenti; dall’altra il percorso in cultura e letteratura apre una finestra sul passato del Bel Paese, attraverso l’analisi dei grandi classici non soltanto della letteratura, ma anche dell’arte, del teatro, del cinema, dell’opera. Alcuni atenei sono particolarmente attenti al contributo che le comunità italiane hanno portato alla storia e alla società canadesi e offrono programmi anche in questo senso (University of Toronto). Allo stesso tempo, in una prospettiva più ampia, la maggior parte degli istituti universitari canadesi propone una full immersion nella cultura italiana moderna attraverso scambi culturali e corsi estivi presso università italiane. Le prospettive post-laurea, oltre all’insegnamento e ad ambiti più spiccatamente linguistico-letterari, sono specializzazioni in legge, economia e anche medicina: secondo la concezione nordamericana, conoscere bene l’italiano è la base per potersi inserire in futuro non solo presso ditte italiane in Canada o in Italia, ma anche nelle comunità canadesi che hanno gli italiani per utenti. Per rimanere in tema di promozione della lingua italiana, un ruolo molto importante è svolto dagli Istituti Italiani di Cultura (che in Canada hanno sede a Toronto, Montreal e, fino al settembre 2014, a Vancouver) e dalla Società Dante Alighieri (con sedi ad Edmonton, Hamilton, Montreal, Ottawa, Québec, Toronto, Windsor e Winnipeg): essi mettono a disposizione biblioteche, offrono corsi di lingua certificati per bambini, ragazzi e adulti, eventi cinematografici, teatrali e musicali, mostre, gruppi di lettura, oltre che informazioni e supporto a chiunque vi fosse interessato. 7 L’italiese L’incontro tra italiani e canadesi non è stato nei secoli solo socio-culturale o economico-politico, ma anche linguistico. I primi immigrati, coloro che erano partiti nella speranza di trovare lavoro, non avevano una buona conoscenza dell’inglese o del francese, per cui dialettizzavano o italianizzavano parole inglesi che non avevano un corrispettivo nella loro lingua d’origine. Questa lingua ibrida che ne derivò è stata chiamata dagli studiosi italiese (italiano+inglese): Gianremo Clivio, professore di Lingua e Filosofia Italiana all’Università di Toronto, definiva l’italiese “lingua della sopravvivenza”, sia nel senso di lingua dei primi italiani emigrati in Canada che, catapultati in condizioni e contesti nuovi e sconosciuti, dovevano trovare un mezzo per capirsi, sia come lingua delle seconde e terze generazioni di italo-canadesi, che sono spinti a ricorrervi ogni volta che non riescono ad esprimere chiaramente un concetto in italiano14. Essendo una varietà parlata, l’italiese non ha una codificazione formale, e anzi consta di varianti regionali corrispondenti ai diversi dialetti italiani. Secondo Marcel Danesi, dunque, sarebbe più corretto riferirsi all’inglese italianizzato delle Little Italies come a italiese siciliano, italiese calabrese, italiese friulano, ecc15. Comunque sia, i cambiamenti tipici che la parola inglese subisce nell’adattamento in un’altra lingua sono: spostamento di accenti, numero di sillabe, assegnazione di genere o numero diversi, aggiunta di vocali d’appoggio (un esempio per tutte le caratteristiche citate è battirummi, dall’inglese ‘bathroom’, per l’italiano ‘bagno’). Questa nuova lingua è stata molto utile nell’unire gli immigrati all’estero; tuttavia, oggigiorno essi tendono ad assimilarsi più profondamente alle nuove comunità inglesi, con la conseguenza che l’italiese sta subendo un certo crollo. Il neoitaliese delle nuove generazioni è, stando a Clivio, molto diverso da quello 14 Vedovelli Massimo (a cura di), Storia linguistica.. (op. cit), 2011, pag. 427. Clivio ha realizzato anche un Online Dictionary of Italiese, pubblicato dal “Frank Iacobucci Centre for Italian Canadian Studies” dell’Università di Toronto, URL: http://italianstudies.utoronto.ca/iacobucci-centre/italiese-dictionary/ 15 Italiese, non più solo per immigrati, URL: http://italicissima.com/it/2013/10/14/italieseits-not-just-for-immigrants-anymore/ 8 delle prime: sembra che i giovani ricorrano all’italiese solo per farsi capire meglio in mezzo a frasi e modi di dire inglesi; inoltre, nell’era di internet, essi non usano l’italiese su Facebook o nelle mail, preferendo piuttosto l’italiano, l’inglese o, al massimo, il dialetto. Quando Clivio coniò il termine italiese affermò che fosse un fenomeno caratteristico delle comunità italiane all’estero. Paradossalmente, anche se sta perdendo piede fuori d’Italia, ne sta guadagnando dentro16: sono sempre più numerose in Italia parole ed espressioni idiomatiche in inglese, talvolta usate in maniera esagerata e grottesca, con conseguente indignazione dei puristi. I media italo-canadesi17 • LA STAMPA Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento la presenza di carta stampata italo-canadese era quasi pari allo zero. Ciò è da attribuire al fatto che il numero di italiani in Canada non solo era poco significativo, ma caratterizzato da un alto tasso di analfabetismo: lo conferma il caso dell’Italo Canadese, un giornale che tra gli avvisi pubblicava quelli di servizi che scrivevano lettere gratis a tutti. Pian piano però cominciò a diffondersi in Canada una notevole pubblicistica, segno che dovevano esserci lettori competenti in lingua italiana e in numero tale da far investire nei costi di stampa. A partire dagli anni Trenta videro la luce numerosi giornali in italiano, con finalità che andavano dai consigli agli immigrati per inserirsi nel nuovo Paese alla propaganda nazionalfascista. Uno tra i primi giornali attento anche a questioni linguistiche fu Il Lavoratore (fondato a Toronto nel 1936), che condusse una campagna contro le scuole che insegnavano l’italiano ai giovani canadesi, perché ritenuti luoghi in cui si inneggiava al fascismo. 16 Sparano Nicola, In Italia sta spopolando..l’italiese, in “Corriere Canadese”, Toronto, edizione del 21/10/05. 17“Italian Canadians”. Wikipedia: l’enciclopedia libera. 9 Dopo la Seconda Guerra Mondiale sono da menzionare il Corriere Italiano (fondato a Montreal nei primi anni Cinquanta) e soprattutto il Corriere Canadese: quest’ultimo, fondato a Toronto nel 1954 da Daniel Iannuzzi, è l’unico quotidiano in lingua italiana ancora oggi pubblicato. Esso si propone di diffondere notizie riguardo il Canada, le comunità di italiani all’estero e l’Italia (grazie alle nuove tecnologie, stampa anche in tempo reale l’edizione della Repubblica). Nel maggio 2013 la direzione della Multimedia Nova Corporation, il gruppo editoriale di cui faceva parte, ha dovuto sospendere le pubblicazioni per motivi finanziari, ma nel luglio dello stesso anno un gruppo di imprenditori di origine italiana ha rilevato la testata e a novembre il giornale è tornato in edicola sotto la direzione di Francesco Veronesi. Altre riviste italo-canadesi sono L’ora di Ottawa, Il Postino e Insieme, quest’ultimo di impronta cattolica. Alcuni giornali sono stati accusati di supportare gli interessi esclusivamente delle vecchie generazioni, così sono stati fondati giornali e riviste a stampo più giovanile e alla moda: il più popolare tra questi è Panoram Italia Magazine (in lingua inglese), a uscita bimestrale e diffuso specialmente nelle aree di Toronto e Montreal; altri purtroppo hanno avuto vita breve o vengono pubblicati sporadicamente in base alle disponibilità finanziarie. • LA RADIO E LA TELEVISIONE Nel 1962 fu fondata a Montreal la prima stazione radio multiculturale canadese, la CFMB: sebbene il fondatore fu un polacco, Casimir Stanczykowski, molti dei suoi programmi furono in lingua italiana. La CFMB divenne quasi un’istituzione culturale per gli italiani di Montreal, ma la programmazione radio è stata vittima di accuse che la vedevano orientata più verso le generazioni anziane, mancando di trasmettere le canzoni più famose di quegli anni; così fu introdotto il venerdì pomeriggio un programma dal titolo Spazio ai Giovani. Dal 2011 alcune stazioni radio hanno deciso di dare spazio alle partite della serie A e alcune della serie B del calcio italiano, una passione che i nostri connazionali coltivano anche oltreoceano (i programmi sono accessibili anche sotto forma di podcast online). 10 Il fondatore del Corriere Canadese, Dan Iannuzzi, fondò nel 1979, sempre a Toronto, anche la prima stazione televisiva multiculturale, CFMT-TV. Poco dopo, a Montreal, fu fondato un altro canale, Teleitalia, che trasmette anche programmi RAI, oltre a quelli locali. Infine, una terza stazione è Telelatino, di Toronto, che offre programmi per lo più in italiano, ma anche in spagnolo. Conclusioni In circa 150 anni di spostamenti, a volte temporanei, a volte definitivi, prima nella speranza di un lavoro, oggi per la possibilità di migliorare gli studi, gli italiani non si sono limitati a popolare l’enorme territorio canadese, ma hanno contribuito in maniera rilevante alla costruzione e allo sviluppo del Paese nordamericano. Attraverso le catene migratorie hanno saputo intrecciare legami, adattarsi ai nuovi contesti partendo da zero e fare comunità, in una integrazione di successo, che ha portato dal non avere niente al conquistarsi posizioni professionali importanti. Anche se negli ultimi decenni l’emigrazione è diminuita in termini numerici, il fenomeno è ancora costante e notevole, e continua ad agire, in maniera magari silente ma importante, nello spirito della diffusione e della conservazione della lingua e della cultura italiana. 11 Bibliografia • Harney Robert F., Dalla frontiera alle Little Italies. Gli italiani in Canada. 1800-1945, Bonacci Editore Roma, 1984. • “Italian Canadians”. Wikipedia: l’enciclopedia libera. 09/02/2015, 19.53, URL: http://en.wikipedia.org/wiki/Italian_Canadians • Italiese: non più solo per immigrati, URL: http://italicissima.com/it/2013/10/14/ italiese-its-not-just-for-immigrants-anymore/ • “Italo-canadesi”. Wikipedia: l’enciclopedia libera. 09/02/2015, 16.08, URL: http://it.wikipedia.org/wiki/Italo-canadesi • Sparano Nicola, In Italia sta spopolando..l’italiese, in “Corriere Canadese”, Toronto, edizione del 21/10/05, URL: http://www.bibliosofia.net/files/ italiese.htm • Troilo Matteo, Lavoro ed imprenditoria degli italiani tra vecchie e nuove generazioni, in “Diacronie. Studi di Storia Contemporanea”, 29/01/2011, URL:<http://www.studistorici.com/progett/autori/#Troilo> • Vedovelli Massimo (a cura di), Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, Carocci Editore, 2011. • Sito ufficiale dell’Ambasciata d’Italia ad Ottawa, URL: http:// www.ambottawa.esteri.it/Ambasciata_Ottawa/Menu/I_rapporti_bilaterali/ Cooperazione+culturale/Siti+utili+parte+culturale.htm 12