La scena più emozionante di Woody, in questa epoca di computer e I

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La scena più emozionante di Woody, in questa epoca di computer e I
martedì 26 febbraio 2013
Woody
Robert B. Weide, USA 2012, 113’ v.o. sott.
La scena più emozionante di
Woody, in questa epoca di
computer e I-pad, è quella in
cui il caro vecchio Allen permette alla troupe di entrare
nel suo studio, mostra il tavolo
dove lavora con la sua vecchia
macchina per scrivere e spiega
la sua tecnica di scrittura. Il suo
“copia & incolla” (operazione
che tutti noi, ormai, facciamo
con due “cliccate” di mouse) è
letteralmente un “taglia & incolla”. «Tengo sempre a portata
di mano un paio di forbici e
della colla – spiega Woody –
e quando devo spostare una
scena, o una battuta, la ritaglio
dal foglio dove l’ho scritta e la
incollo sul foglio dove deve andare». E la macchina da scrivere è la stessa sulla quale le dita
di Woody batterono, molti anni
fa, la prima freddura che riuscì
a vendere a una rivista: «Il colmo per un ateo è scrivere un
libro e pregare Dio che abbia
successo».
È sempre una bella notizia
quando un documentario esce
in sala. La notizia diventa ancora più bella quando il documentario in questione è di
simile livello. Nel suo genere
– il ritratto d’autore – questo
Woody è un capolavoro.
Andare al cinema per vederlo
significherà, per tutti i delusi
(giustamente!) da To Rome with
Love, riconciliarsi con Woody
Allen. Naturalmente ci sono
altre fonti per abbeverarsi alla
scienza e all’umorismo del nostro eroe: il libro-intervista di
Eric Lax Conversazioni su di me
e tutto il resto, edito da Bompiani, è ad esempio una lettura
densa e godibilissima.
Ma il film di Weide (autore anche di documentari sui fratelli
Marx e su Lenny Bruce: sempre umorismo ebraico!) ha due
marce in più. La prima sono i
materiali di repertorio, che per
noi europei sono inediti: vecchi
filmati tv con le partecipazioni
di Woody a talk-show, prima
ancora che facesse cinema,
quando era “solo” un popolare
comico teatrale (c’è un incontro
al vertice con Gina Lollobrigida
veramente spassoso).
La seconda sono le scene, girate per l’occasione, in cui Woody accompagna la troupe a
visitare i luoghi della sua infanzia, così simili a quelli ricreati
nel prologo di Io e Annie.
L’uscita al cinema di Woody
(passato fuori concorso all’ultimo festival di Cannes) è un
evento. Non mancatelo. E
quando uscirà in dvd, mettetelo
sullo stesso scaffale dei vostri
capolavori alleniani preferiti.
Sarà un ottimo vademecum.
Alberto Crespi
l’Unità, 21 settembre 2012
La premessa importante è che
nel suo bio-documentario il
regista Robert B. Weide si è
piazzato all’altezza di Woody
Allen, rifuggendo dal gossip
e dalla cinefilia e mettendo in
campo strumenti critici di prima scelta. Woody, in questo
modo, diventa davvero un ritratto dell’artista come non era
mai stato raccontato, una fluida
carrellata guidata, in pratica, a
quattro mani. Non è un caso,
in effetti, che il film inizi con
l’icona di Brooklyn che apre
all’occhio indiscreto della macchina da presa le porte della
propria casa e, in particolare,
dello studio dove va ogni volta
in scena il rito del reperimento
dei foglietti d’appunti, delle aggiunte con la spillatrice e dell’epifania dei nuovi testi ancora
affidata a una macchina per
scrivere meccanica. Cercando
di evitare, per quanto possibile, un’apologia indiscriminata,
Woody intende inseguire il
segreto della sua capacità di
rileggere la quotidianità non
solo americana per via diretta,
istintiva e non –come molti sono
portati a credere- ideologica o
intellettuale. Insomma sembra
di potere anticipare che questa versione per le sale (l’integrale dura oltre tre ore), ricca
di molte testimonianze e un
sovrabbondante materiale di
repertorio, può mettere per una
volta d’accordo i consumatori
semplici e quelli specializzati. Il pessimismo cosmicomico
dell’autore di capolavori come
Manhattan, Zelig, Crimini e
misfatti, Pallottole su Broadway
o Match Point (a ciascuno spettatore il suo) scavalca, per di
più, le suddivisioni temporali e,
nonostante qualche inevitabile
omissione e l’accelerazione del
ritmo in sottofinale, si scioglie
in una percezione di genialità
autenticamente universale.
Valerio Caprara
Il Mattino, 21 settembre 2012
Controllate sempre che in un documentario su un grande artista
ci sia la testimonianza di Martin
Scorsese. O che sia diretto da
lui. Se il cineasta c’è, come in
Bad 25, o è dietro la macchina
da presa, come nel docubiopic
su George Harrison, allora sarà
un piccolo gioiello. Scherzi a
parte, qui ci troviamo di fronte
a un documento unico e a un
film che sa bilanciare tempi, immagini e scoperte con bravura
e sensibilità, grazie al lavoro di
Robert B. Weide, regista, sceneggiatore e comontatore che
ha seguito Woody Allen dal set
di Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni alla prima a Cannes 2011
di Midnight in Paris. Weide è
molto generoso nel mostrare
arte e vita di Allan Stewart Ko-
nigsberg - questo il vero nome
del cineasta di Io e Annie - e
rifugge lo stile corrosivo e iconoclasta che gli abbiamo visto
in Tv con Curb Your Enthusiasm,
spinoff politicamente scorretto
di Seinfeld con Larry David, o
in Star System. Se non ci sei
non esisti. Ritrae invece, con
forzature temporali e contenutistiche, la carriera di un uomo
che non si sottrae ad alcuna domanda, neanche a quelle a cui
ribatte con ironia elusiva. «Tutti
sembrano avere un’opinione
sulla mia vita» dice a un certo
punto, e ora abbiamo l’occasione di sentire la sua. Weide,
forse condizionato dalla grande passione per i fratelli Marx
e Lenny Bruce, a cui dedicò in
passato alcuni documentari, si
concentra inizialmente sull’infanzia di Allen, sull’adolescenza che lo vede scrivere per i
giornali, sulla gioventù in cui è
autore al servizio di stand up
comedian. Quello che avevamo potuto intuire nel cofanetto
curato e tradotto da Daniele
Luttazzi per Bompiani (Rivincite,
Senza piume, Effetti collaterali
restituiti all’antico splendore),
che avevamo scoperto in Conversazioni su di me e tutto il
resto di Eric Lax e Allen stesso
(sempre Bompiani), qui lo vediamo e ascoltiamo. Pazienza
se a volte sembrano esserci voragini in un mezzo secolo e più
troppo condensato (non a caso
la versione in dvd dovrebbe essere più lunga di due ore): bastano i suoi collaboratori, attori
e parenti (l’ex moglie, l’ex tata,
la sorella), le sue immagini, le
sue parole, le sue note jazz, le
sue abitudini lavorative. Perché
quando un regista apre la sua
porta, anche solo socchiudendola, è un regalo unico.
Boris Sollazzo
FilmTV