1 L`Influenza della Cultura dell`Alimentazione sullo Stato di Salute

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1 L`Influenza della Cultura dell`Alimentazione sullo Stato di Salute
L’Influenza della Cultura dell’Alimentazione
sullo
Stato di Salute
Cinzia Di Novi+
L’entnografo francese Paul Vidal de la Blache (1845 - 1918) sosteneva l’esistenza di una
forte correlazione tra coltura e cultura dell’alimentazione e divideva il mondo in quattro grandi aree
agricole: Europa e Nord America, America Meridionale, Asia Meridionale e Settentrionale, e infine
continente Africano. All’interno di ciascuna macro-regione, si sono sviluppate diverse
combinazioni di diete. Nel Nord Europa, per esempio, dove a causa delle condizioni climatiche è
più difficile consumare in ogni momento dell’anno frutta e verdura, la dieta è basata principalmente
sul consumo di proteine. In Asia, uno dei maggiori componenti della dieta è il riso. Nel nostro
Paese ha prevalso invece la dieta mediterranea ricca di fibre .
Insieme alle realtà climatiche e territoriali di un paese, intervengo molti altri fattori che
determinano diverse abitudini alimentari. Nel nostro Paese si è vista crescere, negli ultimi anni, la
presenza di famiglie immigrate che hanno introdotto, all’interno della cultura alimentare,
atteggiamenti e saperi diversi dai nostri.
Nell’ambito delle conoscenze interculturali l’alimentazione è sicuramente uno dei campi più
ricchi ed interessanti da esplorare ed approfondire. Questo filone di indagine può contare su
numerosi contributi che risalgono già alla fine degli anni ’90. Tali contributi mettono in rilievo
come le abitudini alimentari rappresentino prima di tutto una componente della cultura (Rozin,
1982; Rozin, 1990; Rozin e Schiller, 1980; Zellner, Garriga-Trillo, Rohm, Centino e Parker, 1999):
attraverso una rilettura dei cibi consumati, dei prodotti prevalentemente utilizzati, di quelli che sono
i tabù alimentari, è possibile ricostruire la cultura degli individui (Jerome, 1982; Lowenberg et al.,
1974; Senauer et al., 1991; Kittler and Sucher, 1995). Inoltre, la scelta di determinati prodotti e le
abitudini alimentari sono strettamente legate alle preferenze, allo stile di vita, all’influenza della
piramide alimentare, alla cultura e all’etnia (Asp, 1999).
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Università del Piemonte Orientale, Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive, C.E.Rc.A. Centro di
Economia e RiCerca Applicata, Alessandria. e-mail: [email protected]
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Ma l’alimentazione non rappresenta solo un elemento della cultura di un popolo: essa
costituisce un aspetto particolare dello stato di salute individuale. Lo stato di salute dipende
fortemente dal livello e dalla qualità della nutrizione che condiziona aspetti quali resistenza alle
infezioni e comparsa di malattie metaboliche rappresentando quindi un ruolo determinante
nell’ambito della prevenzione e della difesa della salute. L’educazione ad una dieta equilibrata
dovrebbe iniziare dalla famiglia. Studi epidemiologici dimostrano che molti bambini sono vittime di
errori nutrizionali qualitativi e quantitativi che dipendono da una scorretta educazione alimentare
all’interno della loro famiglia. I comportamenti alimentari del bambino tendono ad essere in larga
misura influenzati dal modello culturale che caratterizza il suo contesto socio-familiare, in modo
particolare dallo stile di vita, dalle abitudini alimentari, dal personale rapporto con il cibo che hanno
i genitori.
La tradizione e la cultura alimentare dei Paesi industrializzati dal secondo dopoguerra ha
subito un repentino e profondo cambiamento: se da una parte lo sviluppo economico ha portato ad
una maggiore disponibilità e varietà di cibo, oggi nei Paesi sviluppati si va incontro con maggiore
facilità a obesità e malattie ad essa associate. La cultura alimentare si sta dissolvendo a favore di
alimenti commerciali: ogni giorno, la tecnologia mette a disposizione una larga varietà di cibi pronti
e di facile consumo ma spesso poveri di fibre ricchi di grassi e di zuccheri che, apportando maggiori
calorie, aumentando il rischio di sovranutrizione e di una conseguente esplosione epidemica
dell’obesità1 e di altre malattie “non trasmissibili” (Non-Communicable Diseases- NDCs) malattie
cardiovascolari, diabete e sindrome metabolica. L’obesità, in particolare costituisce un problema di
notevole rilevanza medica e sociale nei paesi occidentali dove si registrano dati allarmanti
soprattutto tra le nuove generazioni: secondo i dati dell’OMS, attualmente la prevalenza di obesità
giovanile nel mondo occidentale è 10 volte maggiore rispetto agli anni settanta. Un forte allarme
arriva dagli Stati Uniti, dove l’obesità viene considerata un vero e proprio problema di sanità
pubblica e, oltre agli adulti, riguarda già circa 9 milioni di giovani. Negli USA la battaglia contro
l’obesità e ai cibi ricchi di calorie coinvolge anche l’American Beverage Association (che raccoglie
colossi come Coca Cola e Pepsi) e i distributori automatici di bibite: l’associazioni di produttori di
bibite tenterà di limitare la diffusione di prodotti calorici in vendita nei distributori automatici per
ridurre l’introito delle calorie tra i giovani. In particolare, nelle scuole elementari verranno rimossi i
distributori di bibite gassate a favore di distributori di succhi di frutta, bevande dietetiche e acqua.
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Gli individui che presentano un BMI ≥30Kg/m² sono classificati, in base a quanto stabilito dall’OMS, come obesi.
L’obesità costituisce causa o contribuisce all' aggravamento di molte patologie ed è attualmente il più frequente
disordine metabolico nei Paesi industrializzati.
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Anche nei Paesi in via di sviluppo la cultura dell’alimentazione sta cambiando e si tendono
ad adottare abitudini alimentari simili a quelle del mondo occidentale in particolare si risente
dell’influenza della dieta industrializzata americana. Nei Paesi in via di sviluppo, esiste una
relazione fra obesità e povertà piuttosto complessa: l’essere povero in uno dei paesi più poveri
potrebbe associarsi ad un’alimentazione insufficiente, mentre l’essere povero in un Paese in via di
sviluppo a reddito medio potrebbe significare maggiore rischio di obesità poiché l’alimentazione
potrebbe essere caratterizzata da consumo di cibi a basso prezzo ma con eccesso di calorie. Anche
nei Paesi in via di sviluppo il problema dell’obesità colpisce in particolare giovani e bambini.
L’OMS ha emanato direttive riguardo ai pasti scolastici ed alcuni paesi fra cui il Brasile, l’India e la
Cina hanno già cominciato un attento monitoraggio su obesità e alimentazione dei bambini.
Tra alcune popolazioni inoltre è da registrare una maggiore tendenza all’obesità per effetto
del “thrifty genotype” (genotipo risparmiatore): le popolazioni che per molte generazioni hanno
sofferto di una carenza energetica, hanno sviluppato la capacità genetica di risparmiare energia per
sopravvivere. Tuttavia, di fronte a situazioni di sovranutrizione e di abbondanza di risorse caloriche
non si è associata una modificazione genetica del metabolismo; questi genotipi tendono ad
immagazzinare più grasso, determinando una maggior propensione a malattie quali obesità, diabete,
problemi alle coronarie. Gli Americani di etnia Afroamericana, gli Hispanici e gli Asiatici tendono
a soffrire, ad esempio, più frequentemente di obesità e di malattie cardiovascolari e del
metabolismo.
In un mondo dove le coltivazioni fanno sempre più ampio uso di pesticidi chimici e sintetici,
fertilizzanti, causa diretta della perdita di biodiversità, e causa dell’inquinamento delle falde
acquifere, e dove il problema ambientale legato allo smaltimento dei rifiuti è sempre più imminente,
la “sana alimentazione” non è solo minacciata dalla nuova cultura dei prodotti industriali. In
risposta a questo crescente fenomeno, sta emergendo un sempre più vivo interesse dei consumatori
nei confronti degli alimenti che provengono da agricoltura biologica e la loro sensibilità rispetto ai
cibi confezionati con package environmental friendly.
L'OMS nel rapporto di luglio 2007, sottolineava la particolare vulnerabilità dei bambini ai
coloranti, degli additivi artificiali e dei residui di agrofarmaci presenti comunemente negli alimenti.
Gli alimenti biologici possiederebbero il vantaggio di non contenere queste sostanze poiché sono
alimenti che derivano da colture in cui vengono utilizzati tecniche agronomiche rispettose
dell’equilibrio ambientale, che sfruttano metodi naturali per arricchire il suolo e difendere il
raccolto e la scelta. La trasformazione dovrebbe essere caratterizzata dall’ assenza di coloranti e
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conservanti. Tuttavia, il cibo biologico è spesso accessibile a pochi a causa del prezzo più elevato
per tale motivo il “ biologico” rischia di diventare un marchio "di nicchia". Inoltre, una meta-analisi
condotta su 162 pubblicazioni che trattano l’argomento compiuta da ricercatori della London
School of Hygiene & Tropical Medicine sull’American Journal of Clinical Nutririon
commissionato dalla Food Standard Agency mostra come la differenza principale tra cibo
industriale e biologico risieda quasi esclusivamente nel costo: sembrerebbe che la naturalità
dell’alimento non comporti alcun beneficio aggiuntivo per la salute neppure dal punto di vista dell’
apporto nutritivo che sarebbe simile a quello dei cibi preparati tradizionalmente.
Bibliografia
1) E. H. Asp (1999). “Factors affecting food decisions made by individual consumers”, Food
Policy, 24: 287-294.
2) G. Cicia (2007),“Nuove dinamiche nel consumo di prodotti biologici: un’indagine
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3) S. D’Ambrosio, Corriere della Sera, “ I cibi biologici? Costano di più ma nutrono come
quelli industriali”, 30 luglio 2009.
4) L. Grivetti (2004)“Ethical and ethnical requirements in the production of food” Journal
Food Science 69 (2004), 234-256.
5) J. Rode, R.M. Hogarth,M. Le Menestrel (2008). “Ethical Differentiation and Market
Behavior: An Experimental Approach”, Journal of Economic Behavior and Organization,
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6) Rozin, P. (1982). Human food selection: the interaction of biology, culture and individual
experience. In L. M. Barker (Ed.), The Psychobiology of Human Food Selection (pp. 225–
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7) Rozin, P. (1990). The importance of social factors in understanding the acquisition of food
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8) Rozin, P., Fischler, C., Imada, S., Sarubin, A., & Wrzesniewski, A. (1999). “Attitudes to
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9) Rozin, P., & Schiller, D. (1980). “The nature and acquisition of a preference for chili pepper
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10) Zellner, D. A., Garriga-Trillo, A., Rohm, E., Centeno, S., & Parker, S. (1999). “Food liking
and craving: a cross-cultural approach”. Appetite, 33, 61–70.
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