Che tesoro di santa! - Città Metropolitana di Catania
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Che tesoro di santa! - Città Metropolitana di Catania
28 RICORRENZE Anche quest’anno il centro storico ha visto scorrere la solenne processione con il busto reliquiario della giovane martire catanese, cui abbiamo reso onore con l’omaggio floreale del presidente Musumeci, e l’atteso “battesimo” della Polizia provinciale in occasione della festa. Agata non è solo patrona etnea, ma anche di San Marino: motivo che ha spinto l’Amministrazione di Palazzo Minoriti a invitarne una delegazione per avviare il progetto di un ricco scambio economico e culturale Che tesoro di santa! l trecentesco busto-reliquiario di sant’Agata adorno delle magnifiche gioie, ci appare come una perfetta silloge della Parola di Dio, secondo il linguaggio medievale delle gemme; gemme incastonate nell’oro il nobile metallo simbolo dell’eternità e del trionfo. Quest’unico sfavillio, che è al contempo capolavoro della natura e dell’uomo, è dato da quasi 400 pezzi: anelli e croci vescovili, ciondoli, collane, spille, medaglie, anelli, onorificenze, fiori. I loro elementi d’estetica e tecnica forniscono un’analisi completa della storia del gioiello siciliano dal XV° al XX° secolo. I gioielli oggi allogati sul busto sono il frutto di una scelta, effettuata nel 1915 dall’allora arcivescovo di Catania il cardinale Giuseppe Francica-Nava, il quale volle mantenere gioie di particolare raffinatezza e valore venale. Tra loro spiccano la celebre corona in oro, posta sul capo, costituita da 13 placche arricchite da altrettanti fiordalisi. La tradizione asserisce che sia stata dono del re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone; gli studiosi pur concordando che il manufatto sia stato confezionato per un regnante, data l’elaborazione, non sono in grado di indicarne il possessore. Ricoprono il busto la sfavillante croce pettorale in smeraldi e brillanti del già citato cardinale Francica Nava, croce donata e fatta confezionare – si narra- con tutti gli smeraldi posseduti dalla madre, da orafi romani; la croce pettorale del Beato Card. G. B. Dusmet, che tante volte, lo stesso, portò al Monte dei Pegni per soccorrere i più bisognosi; ed ancora le croci pet- I Sul prezioso busto reliquiario, la storia del gioiello siciliano dal XV secolo torali dei vescovi catanesi: Deodato, Ferro, Ferrais, Patanè, Ventimiglia. Quest’ultima – secondo le volontà del presule- deve essere venduta in caso di necessità e il ricavato distribuito ai poveri. Tra gli altri magnifici pezzi ci piace ricordare i particolari ciondoli, posti nella parte anteriore bassa del busto, realizzati in oro, smalti, perle o corallo a forma di ranocchio, di cane, d’angelo che lancia una freccia su un drago marino, di lanternino, di suonatore di chitarra, di struzzo e d’aquilotto; altri due, davvero deliziosi, raffigurano uno, una sirena reggente con la destra il sole (un rubino inciso) con la sinistra una corona; il secondo una vittoria alata coronata, reggente con la sinistra una palma e con la destra un mazzo di fiori, oggetti che ci rimandono a quelli esposti al Museo degli Argenti di Firenze. Tra i numerosi anelli, perlopiù in smeraldo e brillanti, vogliamo ricordare l’anello in oro con una grossa ametista girato da 12 brillanti offerto dalla regina Margherita di Savoia nel 1881 allorquando venne in visita nella città dell’elefante con il consorte il re Umberto; ed ancora l’anello con topazio orientale dono del vescovo catanese Bonadies, un anello di oro con il volto di Cristo in corallo di fattura trapanese. Arricchiscono il tesoro della Martire Agata numerose collane e cinture, poste nella parte anteriore e principalmente in quella posteriore, ove si stendono a tutto contatto serrato formando come una gradita tessitura che copre completamente le spalle; tra quelle poste sul davanti merita attenzione la bellissima collana in ametiste dono della Baronessa Zappalà, posta sotto la 29 mano sinistra. Delle cinture ricordiamo quella in oro smaltato con lo stemma di Giulio Tudisco, quella a maglie ovali con la medaglia in oro con un santo e con lo scudo della famiglia Gravina. Altri ex-voto di particolare ricercatezza sono: un fiore smaltato con smeraldi donato da Mario Angelo Tudisco, una crocetta di Malta di 33 brillanti, un anello di brillanti dono del Gran Priore Paternò Raddusa, la croce d’oro che tiene la Vergine Agata nella mano destra adorna da 10 smeraldi dono del vescovo di Catania Mons. Secusio Bonaventura, databile agli anni del suo vescovato 1609-1618. L’argenteo busto-reliquiario è custode della croce della Legion d’Onore con la quale Luigi Filippo D’Orleans, sovrano dei francesi, insignì, nel 1835, Vincenzo Bellini. La Croce fu donata alla concittadina Agata dai familiari del Cigno nel 1876, in occasione delle feste belliniane, svoltesi per il ritorno dei resti mortali del compositore. La devozione alla Patrona di Catania non è prerogativa dei soli catanesi: ciò lo testimonia la croce pettorale, in topazi gialli, del Beato Papa Pio IX nel cui rovescio, entro una corona di spine si Legge: 1877 PIO IX OFFRI’ 6 GIUGNO; Una piccola croce in oro e lapislazzuli, donata dal monaco Dom. Cesare Goto di Messina; Una croce di Malta d’oro con una corniola in mezzo offerta da D. Diego Pappalardo di Pedara. I tempi moderni non hanno cancellato nei catanesi la gioia di offrire alla loro Patrona “preziosi” come testimonianza d’affetto, profonda devozione o per grazia ricevuta. Antonio Torrisi La sfida Catania-Palermo La “quistione” tutta palermitana e catanese nel contendersi la cittadinanza di sant’Agata fu talmente accesa, dai primi del ‘600 alla fine del ‘700, che ad un certo punto si arrivò, fra i dotti fautori delle due fazioni, pungenti insulti, come avvenne da parte dell’erudito Francesco Serio, palermitano, nei confronti del nobile Giacinto Paternò Boinaiuto, sostenitore accanito “e giusto della catanesità della regina delle vergini e martiri siciliane”. Al Serio si aggiunse il Torremazzo, e un prelato, l’abate Scinà, formando così – dice lo storico catanese Castorina – “un campo di battaglia senza utilità e della Chiesa e della buona letteratura nazionale”. La polemica era nata nel 1601 quando un anonimo ricercatore di Palermo diede alle stampe un opuscolo riportante alcune asserzioni del pio Metafraste, scrittore greco del IX secolo, che portava dati e indizi a favore dalla nascita della santa non a Catania, come fino ad allora mai messa in discussione, bensì nella capitale dell’Isola. Tale “scoperta” naturalmente scatenò l’entusiasmo fra i fedeli palermitani e sconcerto fra quelli dell’altra sponda, mentre da parte degli eruditi di Palermo si rafforzarono le ricerche per ben più consolidare “tal loro pretesa”. La diatriba venne addirittura posta all’attenzione del pontefice Benedetto XIV, che apertamente se ne disinteressò poiché “la grande Chiesa celebra nei suoi altari martiri e santi e non i loci ove ebbero i natali”. Fallita che fu anche la “sacra missione”, le parti avverse non mollarono e tentarono allora di accaparrarsi giudizi compiacenti di letterati e storici per così avere, a fianco delle loro tesi, voci di peso a livello nazionale. Ma anche questi tentativi fallirono, nessuno degli eruditi interpellati volendosi impantanare in questa controversia così delicata in cui avrebbero rischiato di grosso. Ben altre contese erano precedentemente avvenute: per esempio quella al tempo di Clemente VIII, tra un gruppo di eruditi palermitani contro il venerando padre Bernardo Colnago, catanese. A tutt’oggi la pratica è soltanto dischiusa, i palermitani dedicandosi con più costrutto, a venerare la loro santa Rosalia, e i catanese a onorare con la passionalità di sempre Agata. Sotto sotto però il fuoco non è ancora spento. Ci pensò a rinfocolarlo, alcuni anni addietro, lo studioso catanese Giarrizzo pubblicando sul quotidiano La Sicilia, e in bella mostra, un suo lavoro (“Ma Agata necque a Palermo”) che inopportunamente uscì proprio il giorno – o nei giorni – in cui si festeggiava la patrona di Catania. Non volendo entrare in merito all’età della santa (le note più accreditate la danno morta a quattordici anni) ci pare nebulosa l’origine della famiglia tant’è che il cardinale Baronio (1538-1607), non sapendo nei suoi sforzi di ricerca, precisarne una, ne enumera ben sette! Fra le più probabili, ci fa sapere, ci sarebbero le famiglie degli Asmari, Anzalone, o Antiflores, oriunda palermitana e dei Colonnesi, di origine romana. Sconoscendo la famiglia viene impossibile identificare la casa ove nacque anche se la tradizione individua la casa paterna nell’attuale Museo Biscari. Comunque sia Agata è storicamente esistita e subì un atroce martirio pur di non abiurare la fede cristiana. E questo è certo. Tutto il resto (la tavoletta di marmo deposta da un angelo, accanto al capo della martire, oggi custodita a Cremona; la lava fermatasi più volte davanti al suo velo; e altri miracoli nel corso dei secoli) non è altro che appassionata coloritura popolare, mano a mano ampliatasi in seguito a immaginazioni, favolette e casualità. E che la Santuzza, se il paradiso esiste realmente, mi perdoni. Aldo Motta