Quando c`è una “ragione più liquida” Annotazione sentenza del

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Quando c`è una “ragione più liquida” Annotazione sentenza del
Rivista scientifica bimestrale di Diritto Processuale Civile
ISSN 2281-8693
Pubblicazione del 20.6.2013
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Quando c’è una “ragione più liquida”
Annotazione sentenza del Tribunale di Palermo, sezione seconda, del
31.01.2013
di Marielena D’AMATO
Sommario: 1. Premessa 2. Il caso 3. Il principio della “ragione più liquida” 4. Il giusto processo 5.
Riflessi sul giudicato implicito
1. Premessa
Il Tribunale di Palermo, con la sentenza in commento, ha richiamato l’attenzione
su un principio cardine del nostro ordinamento, a mente del quale il Giudice può
rigettare la domanda proposta basandosi sulla “ragione più liquida” - id est sulla
soluzione di una questione assorbente, anche se logicamente subordinata senza aver prima esaminato tutte le altre.
2. Il caso
Il caso di specie verte in materia di diritto condominiale. Segnatamente, il
Tribunale di Palermo ha affrontato la controversa questione inerente la
legittimazione passiva a resistere in giudizio dell’amministratore del Condominio
piuttosto che dei singoli condomini. Dopo aver passato in rassegna i principali
orientamenti della Suprema Corte di Cassazione circa i limiti che
l’amministratore di Condominio incontra nell’esercizio dei propri poteri , nonché
la declinazione degli stessi in base alle autorizzazioni di volta in volta rilasciate
dall’assemblea condominiale, il Giudice ha dichiarato il difetto di legittimazione
passiva dei soggetti convenuti in relazione alla domanda risarcitoria proposta
dall’attrice, la quale lamentava la presenza di infiltrazioni e chiedeva che
venissero effettuati degli interventi sulle parti comuni.
In particolare, il Tribunale di Palermo ha evidenziato come la lettera dell’art.
1131, co. 1 e 2 c.c. sgombri il campo da qualsiasi dubbio circa la
rappresentanza processuale dei condomini di cui è titolare l’amministratore di
condominio, il quale “può essere convenuto in giudizio per qualunque azione
concernente le parti comuni dell’edificio” ed è, quindi, legittimato passivo in
tutte le domande aventi ad oggetto le stesse.
Pertanto, il Giudice ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva dei
convenuti, decisione questa che ha assorbito le altre questioni, rendendo
irrilevante la pronuncia sull’ulteriore eccezione preliminare che è stata sollevata
relativamente alla disintegrità del contraddittorio, atteso che l’attrice era solo
una delle proprietarie dell’immobile.
3. Il principio della “ragione più liquida”
Tale ratio decidendi riposa sul principio – espressamente richiamato in sentenza
- della “ragione più liquida”, non codificato dal legislatore, ma di matrice
dottrinale
e confortato da costante e consolidata giurisprudenza . Come
suggerisce il significato letterale del sintagma, il Giudice può pronunciarsi
immediatamente su una questione che ictu oculi appaia di evidente ed agevole
soluzione, anche se in via di logica la stessa andrebbe affrontata
successivamente all’analisi delle altre domande o eccezioni sollevate dalle parti
o rilevabili d’ufficio. Laddove tale decisione sia assorbente, ovvero dirimente
dell’intera controversia, la stessa rende inutile l’analisi di tutte le questioni
proposte ed è sufficiente a fondare un eventuale rigetto della domanda
principale. Così, in via esemplificativa, qualora si discuta giudizialmente
dell’esistenza di un credito pecuniario, il giudicante, rilevata con tutta evidenza
che sia maturato il termine di prescrizione ai fini della legittima attivazione della
pretesa creditoria, può rigettare la domanda senza analizzare la fondatezza della
questione, sebbene l’applicazione di un criterio logico-giuridico esiga di
verificare dapprima che vi siano le condizioni dell’azione, quindi l’esistenza del
diritto azionato e, solo in ultimo, che lo stesso non sia prescritto .
D’altronde, il legislatore non ha imposto al Giudice un ordine di trattazione delle
questioni. Solo l’art. 276 c.p.c.
suggerisce di affrontare dapprima quelle
pregiudiziali (quali quelle riguardanti la giurisdizione, la competenza, la
legittimazione processuale, la validità e la regolarità della domanda) per poi
entrare nel merito della causa, mentre l’avverbio “gradatamente” lascerebbe
intendere che, qualora vi siano più questioni pregiudiziali o di merito, queste
dovrebbero essere decise secondo un ordine logico-giuridico. Tuttavia, tale
schema non può essere considerato rigido e precettivo, tant’è che non è
prevista alcuna sanzione nel caso di violazione. Il criterio della prevalenza
logico-giuridica, in base ad un bilanciamento di interessi operato dal Giudice con
la massima autonomia in relazione agli elementi che caratterizzano la fattispecie
concreta, ben può cedere il passo al principio della “ragione più liquida”, il quale
risponde chiaramente alle esigenze di celerità e di economia di giudizio che
permeano il nostro ordinamento processuale. D’altronde, il primario compito del
Giudice non è quello di ricostruire i fatti, quanto di emettere una sentenza che
accolga o neghi la domanda proposta, in ottemperanza alle disposizioni vigenti,
così disponendo per il futuro. Pertanto, ad esempio, è possibile rigettare
immediatamente la domanda di risarcimento danni laddove emerga chiaramente
che non sia stato cagionato alcun pregiudizio, senza dover accertare
prioritariamente l’esistenza del diritto in capo all’attore, che ne reclama la
presunta lesione; tale accertamento, infatti, stante l’evidente assenza di danni,
presupporrebbe un’attività istruttoria superflua.
Tuttavia, corre l’obbligo di richiamare l’attenzione sui diversi casi di applicabilità
del principio della “ragione più liquida”. Infatti, tra più questioni pregiudiziali o di
merito, il Giudice ben può pronunciarsi prima sulla quella di più agevole
soluzione, così come può accogliere un’eccezione preliminare di merito senza
aver previamente verificato le questioni di rito, laddove siano entrambe volte al
rigetto della domanda; diversamente, in dottrina si controverte sull’applicabilità
del suddetto principio qualora vi siano una domanda di merito fondata e
un’eccezione in rito: in tal caso si propende per il rispetto del criterio logicogiuridico.
4. Il giusto processo
L’ampia discrezionalità concessa al Giudice nello stabilire l’ordine delle questioni
da trattare e la conseguente possibilità di respingere la domanda sulla base di
una sola ragione assorbente e di pronta soluzione, sono dettate dall’esigenza di
ottenere una sentenza giusta, che risolva secondo diritto e in tempi ragionevoli
la controversia insorta . Spesso, infatti, le lungaggini processuali vanificano
l’utilità di qualsiasi decisione e causano un superfluo ed ingente dispendio di
energie, in termini di attività e costi, con una grave lesione del diritto alla difesa
sancito dall’art. 24 Cost.
Tanto rientra nel rivisitato quadro procedurale imperniato sul giusto processo, il
quale impone di effettuare un’interpretazione costituzionalmente orientata di
tutte le disposizioni del codice di rito. L’art. 111 della Costituzione ,
nell’enucleare i principi cardine del giusto processo, evidenzia il diritto di
ognuno ad una ragionevole durata dello stesso. Così tale principio, sancito
dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali, ha fatto ingresso nel nostro ordinamento quale
disposizione costituzionale ed ha trovato applicazione concreta con la cosiddetta
legge Pinto, L. 24-3-2001, n. 89, la quale ha introdotto la possibilità di ottenere
“un’equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo”
. Il fine è quello di perseguire una giustizia sostanziale, agevolata dagli
strumenti processuali all’uopo previsti, posta al servizio del cittadino, il quale ha
diritto ad ottenere una decisione giusta in tempi celeri, che eventualmente
prescinda dalla ricostruzione e dall’analisi della vicenda in ogni suo elemento,
laddove ciò sia superfluo .
Tanto è stato più volte precisato dalla Suprema Corte di Cassazione , la quale ha
ribadito che il giudice (ai sensi degli articoli 127 e 175 c.p.c.) deve “evitare e
impedire comportamenti che siano di ostacolo a una sollecita definizione dello
stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile
dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate
dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del
principio del contraddittorio, espresso dall'articolo 101 c.p.c., da effettive
garanzie di difesa (articolo 24 della Costituzione) e dal diritto alla partecipazione
al processo in condizioni di parità (articolo 111, secondo comma, della
Costituzione), dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato a
esplicare i suoi effetti".
Alla luce di quanto detto, si evince che l’art. 176 c.p.c. vada letto in combinato
disposto con la nuova formulazione dell’art. 111 Cost e, pertanto, ben può il
Giudice decidere discrezionalmente l’ordine delle questioni da trattare, avendo
riguardo al caso concreto.
Nella fattispecie de qua, la decisione del Tribunale di Palermo si appalesa
assolutamente in linea con le esigenze di celerità ed economia processuale e
rappresenta una corretta applicazione del principio della “ragione più liquida”,
stante la dichiarazione del difetto di legittimazione passiva.
5. Riflessi sul giudicato implicito
In ultimo, si evidenzia come il principio della “ragione più liquida” si rifletta sul
cosiddetto giudicato implicito, di fatto negandolo. Posto quanto stabilito ai sensi
dell’art. 2909 c.c., il quale precisa che “l'accertamento contenuto nella sentenza
passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi
causa”, gran parte della giurisprudenza tende ad estendere i confini del
giudicato fino a ritenere che lo stesso copra qualsiasi questione che possa
qualificarsi quale presupposto logico necessariamente sotteso dalla decisione
finale . Invero, la dottrina tende a prediligere una limitazione del giudicato alle
questioni concernenti il rapporto fondamentale oggetto del giudizio che siano
state oggetto di contraddittorio e la cui soluzione abbia costituito un
antecedente logicamente imprescindibile della decisione finale . Ne deriva che il
giudicato implicito, incentrato su un ordine logico-giuridico di trattazione delle
questioni, non può trovare luogo qualora il giudice applichi il principio della
“ragione più liquida”, atteso che in tal caso la decisione si basa esclusivamente
sulla risoluzione di una questione, che in via di logica andrebbe affrontata a
valle di altre le quali, invece, restano assorbite (e, quindi, non trattate) .