i lavoratori della gig-economy
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i lavoratori della gig-economy
I LAVORATORI DELLA GIG-ECONOMY Quasi tutti lavoratori nell’economia a chiamata (on-demand) sono considerati come lavoratori autonomi dalle piattaforme per le quali operano. Ma quali sono le conseguenze di questa classificazione per i lavoratori? Per rispondere a questa domanda, l’Ufficio internazionale del Lavoro (ILO) ha condotto due studi – uno economico e uno giuridico – al fine di analizzare le conseguenze della crescita di queste forme di lavoro “a chiamata1”. Il primo studio ha censito circa 1.100 lavoratori di due piattaforme di lavoro online (crowdwork) e approfondito l’analisi sulle loro condizioni di lavoro, i percorsi professionali e la situazione economica2. Il 40 per cento degli intervistati ha risposto che il crowdwork rappresenta la fonte principale del proprio reddito. Nel complesso, i lavoratori hanno dichiarato di apprezzare la possibilità di lavorare da casa. Inoltre, un lavoratore su dieci 1 “Gig” è una parola utilizzata, soprattutto negli Stati Uniti, per descrivere un lavoro o un incarico occasionale o temporaneo. 2 Nell’interpello n. 12 del 27 marzo 2013, il Ministero del Lavoro e delle Politiche, secondo cui “con tale locuzione si intende individuare un nuovo modello di business aziendale in ha dichiarato che il lavoro da casa rappresenta l’unica opzione compatibile con le proprie necessità familiari o i propri problemi di salute. Per contro, i lavoratori hanno manifestato insoddisfazione per i bassi compensi, la scarsità di offerte di lavoro e la mancata attenzione delle piattaforme rispetto alle loro necessità. Circa il 90 per cento degli intervistati ha fatto dichiarato di esser disponibile ad aumentare il proprio impegno sulle piattaforme di crowdwork, se solo ci fosse un numero maggiore di attività disponibili e se la paga fosse più consistente. Il guadagno medio orario dei lavoratori statunitensi di una delle più note piattaforme è di un quarto inferiore al salario minimo federale. Il tempo impiegato a ricercare attività lavorative sulla piattaforma stessa, così come il tempo speso a completare test di valutazione per forza del quale un’impresa affida la progettazione, ovvero la realizzazione di un determinato bene immateriale ad un insieme indefinito di persone, tra le quali possono essere annoverati volontari, intenditori del settore e freelance, interessati ad offrire i propri servizi sul mercato globale (cd. Community di utenti iscritti ai siti a titolo gratuito)”. accedere a nuove offerte di lavoro online, contribuiscono a rendere bassi i guadagni orari. Qualificando i “crowdworkers” e gli altri lavoratori della “gig-economy” come autonomi, le piattaforme non sono tenute a versare contributi previdenziali e assistenziali. Tuttavia, le conseguenze per i lavoratori non hanno a che vedere con la sola previdenza sociale. Come dimostrato dal secondo studio, i lavoratori autonomi hanno difficoltà a formare associazioni sindacali e a contrattare collettivamente compensi più alti e condizioni di lavoro migliori. In alcuni Paesi, inoltre, l’attività sindacale dei lavoratori autonomi potrebbe essere equiparata alla formazione di un “cartello” restrittivo della concorrenza, in violazione della normativa antitrust. Anche i sistemi che raccolgono le recensioni dei clienti delle piattaforme e che vengono utilizzati per monitorare la prestazione lavorativa sono una fonte di rischio. La valutazione che i consumatori attribuiscono ai lavoratori, infatti, influenza la possibilità che questi ultimi vengano reclutati in futuro o, ancora, che abbiano accesso a lavori migliori su queste piattaforme. Oltretutto, questi sistemi di valutazione potrebbero esporre i lavoratori a discriminazioni contro le quali non sempre sono protetti, proprio alla luce della loro classificazione come lavoratori autonomi. Alcuni decisori di politica economica e del lavoro ritengono che l’economia “on-demand” non possa essere regolata alla stessa stregua di altre forme di lavoro dipendente e hanno proposto di introdurre una categoria “intermedia” tra lavoro autonomo e subordinato, a cui estendere determinate protezioni. Lo studio dell’ILO sostiene che le attuali norme del diritto del lavoro non sono necessariamente inadatte a regolare le prestazioni nella “gig-economy”. Creare una terza categoria contrattuale, inoltre, comporterebbe diverse complicazioni. Lo studio propone altre soluzioni per il lavoro “on-demand” tra cui l’estensione in chiave universale dei principi e diritti fondamentali del lavoro, indipendentemente dal tipo di contratto lavorativo e un maggior riconoscimento del ruolo delle parti sociali. Sebbene le piattaforme di crowdwork non siano regolate da leggi ad hoc, questo non significa che manchi una qualsiasi forma di regolamentazione del lavoro né che questo sia oggetto di un libero scambio tra le parti. Sono invece le piattaforme stesse a stabilire le regole d’ingresso sul mercato e decidere quali tipi di scambio siano consentiti, arrivando talvolta a fissare i prezzi delle prestazioni e a svolgere un ruolo di mediazione delle controversie. Molto probabilmente questo settore crescerà notevolmente nei prossimi anni, è dunque il momento che i governi e le parti sociali assumano un ruolo più attivo nella progettazione di regole in grado di garantire un lavoro dignitoso sulle piattaforme digitali. Riferimenti e risorse Income security in the on-demand economy: Findings and policy lessons from a survey of crowdworkers The rise of the «just-in-time workforce»: Ondemand work, crowdwork and labour protection in the «gig-economy» Contatti Ufficio ILO per l’Italia e San Marino Via Panisperna 28 - 00184 Roma E-mail: [email protected] Sito web ufficiale: www.ilo.org/rome www.lavorodignitoso.org