Conoscenza, libero arbitrio e gioco degli scacchi: un approccio
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Conoscenza, libero arbitrio e gioco degli scacchi: un approccio
Conoscenza, libero arbitrio e gioco degli scacchi: un approccio quantistico In tutte le opere narrative, ogni volta che s'è di fronte a diverse alternative ci si decide per una e si eliminano le altre; in quella del quasi inestricabile Ts'ui Pen, ci si decide - simultaneamente per tutte. Si creano, così, diversi futuri, diversi tempi, che a loro volta proliferano e si biforcano. Di qui le contraddizioni del romanzo. Fang - diciamo - ha un segreto; uno sconosciuto batte alla sua porta; Fang decide di ucciderlo. Naturalmente vi sono vari scioglimenti possibili: Fang può uccidere l'intruso, l'intruso può uccidere Fang, entrambi possono salvarsi, entrambi possono restare uccisi, eccetera. Nell'opera di Ts'ui Pen questi scioglimenti vi sono tutti; e ognuno è il punto di partenza di altre biforcazioni. J.L.Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano Da tempi immemorabili l’invenzione del gioco degli scacchi regala all’uomo uno squisito amalgama di arte, scienza e gioco. Attraverso la metaforica battaglia di due eserciti regolata da movimenti codificati, le emozioni e l’intelligenza si fondono come in poche altre attività umane. Per le sue molteplici caratteristiche il gioco degli scacchi è suscettibile di numerosi interpretazioni. Una delle più affascinanti è senz’altro la rappresentazione che scaturisce dal confronto con una discreta approssimazione del concetto di infinito. La peculiarità del gioco coinvolge grandi numeri. E’ stato calcolato che il numero delle partite in 40 mosse che possono essere formate su una scacchiera è pari a 25x10115, mentre questa quantità si aggira intorno a 1070 per il numero delle diverse configurazioni possibili. Tali grandezze superano di gran lunga i valori al limite attualmente usati in molte indagini scientifiche. Come esempi possiamo considerare la costante di Planck (6,62618x10-34), il numero di Avogadro (6.022x1023) o addirittura il numero stimato di elettroni presenti nell’universo (1079). Il gioco degli scacchi è un’invenzione dell’uomo e pertanto le sue potenzialità numeriche devono essere messe a confronto con le caratteristiche della vita umana. Dal raffronto delle possibilità del gioco con la naturale limitatezza dell’uomo emergono interessanti osservazioni. Considerando la durata di una vita di gioco di settanta anni e dieci partite giornaliere, un breve calcolo è sufficiente per verificare che il numero di partite giocabili nell’arco di una vita arriva a poco più di duecentomila (2x105). Potremmo innalzare tale numero di vari ordini di grandezza – superando cioè il numero di partite fisicamente giocabili nell’arco di una singola esistenza senza nemmeno sfiorare il limite teorico previsto. Se rapportato alla durata della vita dell’uomo il gioco degli scacchi può quindi ragionevolmente definirsi infinito: la probabilità che una persona giochi due partite identiche è prossima allo zero. L’inimmaginabile varietà del gioco risiede, ad ogni mossa di entrambi i giocatori, nella possibilità di una scelta in un ambito pressoché sconfinato. E’ sorprendente che tale abbondanza sia generata da un ridotto numero di componenti iniziali, i pezzi, che nel tempo tendono a diminuire (i pezzi possono eliminarsi a vicenda). Il campo da gioco, la scacchiera, conta 8x8 caselle sulle quali si fronteggiano 32 pezzi bianchi contro altrettanti neri. I movimenti dei pezzi sono differenziati sia in qualità (la Torre ad esempio muove lungo gli assi cartesiani, mentre l’Alfiere sulle diagonali o saltando le caselle nel caso del Cavallo), sia in quantità, spaziando da una a sette caselle. L’insieme di tutte le variabili dinamiche sommato alla possibilità di scegliere separatamente il tipo di movimento di ogni pezzo conferisce al gioco una ricchezza e complessità inimmaginabili in altre attività ricreative concepite dall’uomo. Questo enorme potenziale combinatorio si verifica in maniera immediata già nelle fasi iniziali della partita. Lo schieramento di partenza offre al primo giocatore una scelta tra 20 mosse diverse a cui si contrappongono 20 possibili risposte dell’avversario, per un totale di 400 posizioni realizzabili. Dopo due mosse tale numero sale a poco più di 7.2x104 per arrivare a 9x106 dopo tre mosse e raggiungere un ordine di 1030 dopo dieci mosse. In genere per la parte 1 iniziale del gioco sono fornite delle direttive di tipo strategico, chiamate aperture: tali indicazioni prevedono una sistemazione ottimale dei pezzi nelle prime 10-15 mosse per conseguire un determinato vantaggio posizionale. E’ presumibile che la maggior parte delle partite giocate seguendo tale logica si accomuni nelle prime mosse. Dopo tale fase iniziale tuttavia, la parte centrale della partita, il cosiddetto mediogioco, allarga la rosa delle possibilità seguendo una progressione di carattere esponenziale. L’esplosione combinatoria del numero di mosse possibili esula da ogni previsione circa l’andamento dei rami dell’albero (le varianti). Ad ogni momento della partita un giocatore può scegliere una qualsiasi delle potenziali varianti entrando in una delle possibili partite dell’insieme le cui dimensioni rientrano nei confini del numero 25x10115. Ad ogni mossa la libertà di azione del giocatore è intimamente connessa con un groviglio inestricabile di caratteristiche precipuamente umane, in cui entrano a farne parte valutazioni di carattere strategico, impulsi dettati dall’intuito, dall’esperienza e dalla fantasia. Tale forma di libero arbitrio muove all’interno del vasto modo, finito ma agli effetti pratici sconfinato, del numero delle possibilità esistenti. Ogni mossa comporta d’altronde un ventaglio di conseguenze ineluttabili che talvolta limitano l’orizzonte d’azione – in questo caso la maggiore conoscenza implica maggiore libertà. Citando Burckhardt: “E’ qui che si rivela non solo la relazione tra la volontà e il destino, ma anche quella tra la libertà e conoscenza: salvo una svista dell’avversario, il giocatore mantiene la propria libertà di azione nella misura in cui le sue decisioni coincidono con la natura del gioco, cioè con le possibilità che esso implica”1. Il gioco degli scacchi, causa la sua poliformica varietà, è spesso associato a modelli fisicomatematici in cui intervengono sia elementi deterministici sia tendenze evolutive di tipo caotico. C’è un’interessante analogia del gioco con il concetto utilizzato in meccanica analitica dei sistemi hamiltoniani. Ogni momento della partita è collegabile a uno stato puntiforme di un sistema meccanico all’interno di uno spazio delle fasi n-dimensionale. La variazione dello stato del sistema ovvero l’incanalarsi delle successive varianti è rappresentabile dalla traiettoria del punto corrispondente. Appartenendo la partita ad una varietà delle tante possibili, è lecito immaginare tale stato compreso in una regione che con il tempo si evolverà, distorcendosi ed espandendosi pur mantenendo un volume costante. In tal senso non è più possibile definire un preciso complesso predittivo per il sistema. E’ possibile avanzare un'altra similitudine, sempre nell’ambito delle scienze fisiche. L’avvento e il successivo affermarsi della meccanica quantistica ha insegnato che la descrizione di uno stato fisico all’interno di determinati domini dimensionali non può prescindere dalla presenza di valori di tipo probabilistico. In tal senso l’ineluttabile contenuto di indeterminazione della fisica dell’ultimo secolo ha spazzato via il rigido determinismo causalistico che ha governato la visione del mondo per più di duemila anni. Tuttavia, quella che in apparenza sembra una mancanza di informazione si traduce in una maggiore comprensione delle leggi fisiche che governano l’universo. Il gioco degli scacchi, con la sua “indeterminatezza guidata”, mutua alla perfezione l’ottica moderna di vedere il mondo. Ad ogni potenziale mossa il giocatore può associare una certa dose di probabilità fattuale. Per ogni configurazione che si succede sulla scacchiera il fascio di probabilità muta, variegandosi. Da una data collocazione temporale del gioco non è possibile definire con precisione lo sviluppo successivo della partita. Cade così il determinismo newtoniano per cui, conoscendo lo stato di un sistema nei suoi più minuti particolari, si può prevedere con certezza ogni suo stato futuro. Si entra in tal modo in un ottica moderna in cui probabilità e caos si affiancano a predizione e causalità. Osservando una certa posizione sulla scacchiera un esperto è in grado di effettuare una previsione sull’andamento della partita, a “gioco corretto” di entrambi i giocatori. Tuttavia dopo un paio di mosse, causa una svista o un’errata valutazione, le sorti possono capovolgersi. Da Bartolotta: “La perdita della certezza (nel senso di Kline) è per così dire immanente e coessenziale al gioco degli scacchi, e ne costituisce un elemento educativo e formativo assai importante, ed anche un punto di contatto con le scienze sperimentali”2. Il gioco degli scacchi è antichissimo. Il suo creatore, l’uomo, ha coscientemente trasposto in esso caratteristiche che gli appartengono – lo sfruttamento dell’intelligenza e la partecipazione 2 del cuore per la lotta - e inconsciamente qualità meno visibili, come la tensione verso l’infinito e la capacità quasi divina di scegliere in piena libertà. Il capzioso dono di un altro Creatore, il libero arbitrio, farà sempre in modo che non sia mai possibile affermare a priori dove condurrà la battaglia. La mente umana, seguendo la sua profonda natura quantistica, imprimerà ad ogni mossa la giusta spinta verso un meraviglioso ignoto. I brani citati sono tratti dai seguenti articoli: 1. Burckhardt Titus, Volontà e destino nel gioco degli scacchi – L’illustrazione italiana, dicembre 1981/ La maschera sacra, SE 1988; 2. Bartolotta Salvatore, Un approccio euristico alla strategia, alla storia della strategia ed alla didattica degli scacchi: gli assiomi strategici come concezioni ed ostacoli - relazione tenuta nel novembre 1996 nell’ambito dei seminari del GRIM. 3