Il discorso dell`odio
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Il discorso dell`odio
Nel fiume de Il discorso 6/02 24 Massimo Ghirelli Non ci sono più barriere, linguistiche o concettuali, alle espressioni anche più estremiste di xenofobia. Un preoccupante fenomeno di comunicazione e di pregiudizio collettivo che interessa tutta l’Europa. S Sdoganamento. Abbiamo tolto il dazio alla comunicazione razzista, quello che in inglese, con efficace sintesi, viene definito “hate speech”, il discorso dell’odio. Nel senso che sia a livello politico – ovvero nelle esternazioni Una delle cause dei protagoche sono a monte di questo rigurgito nisti della virazzista, è la ta politica globalizzazione. nazionale, perfino in ambito governativo – sia a livello scientifico, nelle analisi di studiosi, commentatori, intellettuali e leader d’opinione, non ci ‘ ‘ si vergogna più di esprimere concezioni apertamente xenofobe, discriminatorie, appunto razziste. Concezioni e proposte che un tempo erano esclusiva dei gruppi più estremisti della destra neo-nazista o del localismo più esasperato, vengono fatte proprie (perfino in contesti legislativi) da esponenti dell’esecutivo, o da autorevoli opinionisti della stampa nazionale. E questo non soltanto nel nostro Paese, ma in tutta Europa. Due le cause principali di questo preoccupante fenomeno, (che naturalmente va ben oltre l’ambito mediatico di cui qui ci occupiamo): da una parte quello che viene sinteticamente descritto come il crollo dei muri, ovvero il declino delle ideolo- gie, il venir meno delle appartenenze, dei punti di riferimento costituiti da sindacati, partiti, chiese. In Italia, per esempio, certi tabù, anche linguistici, di “correttezza politica”, che l’egemonia culturale della sinistra e delle forze di ispirazione cattolica avevano imposto e reso (apparentemente) patrimonio comune dell’opinione pubblica, sembrano aver perso la loro capacità di contrasto, e non riescono più ad arginare discorsi e prese di 25 Nel fiume dei media posizione apertamente discriminatorie. Ricordate quando anche la casalinga di Voghera o il piccolo imprenditore leghista cominciavano i loro discorsi con “io non sono razzista, ma…”? Oggi l’autorevole opinionista Giovanni Sartori, sul più autorevole quotidiano nazionale, dal più autorevole pulpito giornalistico, il fondo di prima pagina, può sostenere che “la xenofobia non si può definire razzismo”, e va invece giustificata e Torino. Corteo nazi contro l’immigrazione promossa. Il secondo fattore che può essere individuato come una delle cause che sono a monte di questo rigurgito razzista, è – manco a dirlo, penseranno i nostri avvertiti lettori – la globalizzazione. Insieme con i muri, come ormai sappiamo (ma non è male rifletterci ancora), sono caduti anche i confini che permettevano di tenere lontano certi problemi, di mantenere anche gli squilibri più profondi, di esportare tutte le contraddizioni, anche le più insostenibili. Oggi confini e contraddizioni corrono all’interno delle nostre società, percorrono le nostre strade sotto i panni degli immigrati, passano attraverso la nostra stessa identità rendendola fragile e insicura. Minacce che pensavamo – come Foto: R. Siciliani l’inquinamento o le epidemie – di aver allontanato, tornano come boomerang (l’espressione è di Wolfgang Sachs) lì dove erano state prodotte, nel ricco Occidente. E ci riportano – in un clima di esasperata competizione, prodotto dai modelli del successo e dall’implacabile logica del mercato – la paura della povertà, il rischio dell’emarginazione e dell’esclusione. Il ruolo dei media in questo senso, dobbiamo ripeterlo, è fin troppo chiaro ed evidente: rafforzando i pregiudizi, diffondendo Il “discorso gli stereotipi, dell’odio” è ormai d e f i n e n d o autorizzato, se non sempre nuoaddirittura ve “diversità” incoraggiato… da combattere, ci aiutano ad escludere: cioè a identificare nuove paure, nuovi nemici, nuovi confini per la nostra identità. Il “discorso dell’odio” viene sdoganato e autorizzato, se non addirittura incoraggiato, come lo strumento più efficace per rialzare nuove pareti intorno al nostro miope be! nessere. ‘ ‘ dei media dell’ODIO 6/02