A coloriMoCa Press
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MoCa Press compie sei anni. Auguri da tutti noi! s s e r P a MoC Aprile 2015 Visita il nostro sito internet www.mocapress.org Discorsi di ordinaria italianità No, non sono razzista! È solo che non capisco perché tutti questi debbano venire in Italia. Cosa vengono a fare? Non c’è lavoro per gli italiani, figuriamoci per loro. Non è che sono razzista, sono loro che non si comportano bene. Insomma, noi li accogliamo, li manteniamo, gli diamo un tetto dove dormire e loro si ubriacano, ci maledicono, violentano le nostre donne, addirittura ci uccidono senza motivo. No, non sono razzista! Però se vengono qui devono rispettare le nostre leggi, la nostra cultura, non possono mica pensare di fare quello che vogliono. Anche perché se noi ci comportassimo così nei loro paesi, di certo saremmo perseguitati o uccisi. Lo ripeto: no, non sono razzista! Però non capisco perché questi, quando arrivano qui, pensano di essere i padroni, pensano che tutto gli sia dovuto, addirittura pretendono una moschea per pregare! Lo ribadisco: non sono razzista! Però preferirei che questi, se proprio devono stare qui, almeno scegliessero un altro palazzo o un altro quartiere, non perché io abbia qualcosa contro di loro, solo perché la loro cucina è molto speziata, mangiano cose strane, e poi l’odore della loro pelle è molto forte. E a me gli odori forti non piacciono e poi vedere tutte queste con i veli in testa mi rattrista, perché sono infelici. E io sono solidale con le donne infelici. E poi urlano quando parlano tra di loro e non si esprimono in italiano, blaterano parole incomprensibili, magari ci offendono senza che ce ne accorgiamo. Non sono razzista! Sono solo indignata perché lo stato si preoccupa di questi clande- stini mentre gli italiani sono sul lastrico. Prima dobbiamo stare bene noi, poi possiamo preoccuparci anche di questi. E invece noi dobbiamo spendere i nostri soldi per recuperarli più morti che vivi in mare. Ma perché si imbarcano? Non lo sanno a cosa vanno incontro? Chi glielo fa fare? Addirittura donne in stato di gravidanza! Sconsiderate proprio! Ma poi se già sono poveri perché continuano a fare figli? Ecco io lo ridico: non sono razzista! Però Sommario: ho chiesto alla maestra se può cambiare mio figlio di posto, non perché sia seduto vicino al figlio di uno di questi, solo perché è troppo distante dalla lavagna e non riesce a vedere bene. Decisamente non sono razzista! Ma quando li vedo in giro coi macchinoni non posso fare a meno di pensare che siano il frutto di affari poco puliti. Devo sottolinearlo di nuovo: non sono razzista! Però come faccio a mantenermi calma se questi osano addirittura scendere in piazza a manifestare! Hanno da ridire perché non li trattiamo da essere umani: certo i centri di accoglienza sono saturi, insufficienti in quanto a servizi, va bene non ci sono le coperte, non c’è l’acqua calda e nemmeno la doccia perciò sono costretti a lavarsi con il gettito di una pompa gelata, ma non si può mica avere tutto dalla vita? Anche noi siamo stati migranti, ma quando mai ci siamo lamentati? Abbiamo accettato senza alcuna obiezione le regole dei paesi ospitanti. Oh ma questi cosa vogliono? Si accontentassero o se ne tornassero a casa loro! Come si dice: il troppo stroppia. E questi hanno già avuto troppo. E lo dico senza alcun sentimento di razzismo, ovviamente. La Redazione [email protected] Nessuno si salva... 2 Ca a Maronna... 2 Spopolamento Irpino 3 Pedagogia del ricordo 3 Il volo– Parte prima 4 Classifica libri 4 Le ovaie di Angelina.. 5 Doppiopesismo 5 Leggi direttamente dal tuo smartphone le ultime notizie del nostro sito, attraverso questo codice QR Pagina 2 Moca Press Aprile 2015 Nessuno si salva dalla monotonia! Il 5 marzo è uscito nelle sale italiane il nuovo film di Sergio Castellitto, "Nessuno si salva da solo", ancora una volta tratto da un libro di Margaret Mazzantini (che, per i pochi che ancora non lo sanno, è moglie e musa ispiratrice del regista, nonché sceneggiatrice). Il binomio ha sempre funzionato con una invidiabile potenza emotiva e, anche se non siamo proprio al livello di "Non ti muovere" o di "Venuto al mondo", questo ultimo film ci racconta altrettanto intensamente una storia di cuori spezzati, anime complesse ed istinto, questa volta tutti racchiusi in una ordinaria vita di coppia. Sì, perché tutto sommato la storia di Delia (Jasmine Trinca) e Gaetano (Riccardo Scamarcio) è una storia di routinario amore coniugale, seppur di quel tipo deleterio a lungo andare, anche perché basato sulla passione e sulla sfida al tempo che passa. Perché se è vero che nessuno si salva solo, è altrettanto vero che a volte ci si complica non poco la vita ostinandosi ad amare "finché morte non ci separi" una moglie o un marito! In effetti, la colonna sonora perfetta di questo film sarebbe stata "L'amore non esiste", del trio Fabi Silvestri Gazzé, perché quella che ci scorre davanti è proprio una "ribellione alla statistica" di due che si abbracciano, illudendosi di "competere col tempo"! La coppia Trinca-Scamarcio mi ha convinta. Bellissima e fragile lei, burino ma vero lui. Non saranno Juliette Lewis e Philip Seymour Hoffman, ma sono assolutamente credibili (e commerciali quanto basta a Castellitto per andare bene al botteghino!). La storia è ambientata tra Ostia e Roma e gli ingredienti del dramma esistenziale ci sono tutti: aspirazioni non coltivate, disoccupazione, routine, un piccolo appartamento ed il sogno della casa in campagna, sesso "bestiale" (come Castellitto ha voluto, addirittura suggerendo agli attori come muoversi attraverso una radiolina sotto il letto!) e poi la separazione, ferita profonda che, tuttavia, in questo caso sembra potersi rimarginare. Insomma, ancora un altro bel film italiano (in una stagione veramente ricca, almeno quantitativamente) per il quale il contributo statale non sembra sprecato! Giuseppina Volpe [email protected] Ca a Maronna c'accumpagna! È un sabato come tanti altri di quasi primavera e, a casa mia, la tv è sintonizzata su una diretta da Napoli. La colazione mi tocca farla guardando in tv Papa Francesco che visita la mia amata città partenopea. In questi anni di Pontificato anche una scettica come me si ferma a sentire le parole del pontefice, non fosse altro perché sono le uniche più “umane e vere” che si sentono in giro. Il tempo della colazione e “abbandono” Francesco. Durante la giornata guardo qualche telegiornale, ovviamente la notizia di punta era la visita partenopea del Papa. Ma verso sera incappo in un video, pubblicato da repubblica.it, della visita al Duomo del Pontefice. La scena è paradossale: il Cardinale di Napoli Crescenzio Sepe annuncia che ha dato un permesso speciale alle suore di clausura di uscire e quindi incontrare il Papa. Le suore, galvanizzate dall’incontro imminente accerchiano il pontefice dando un assist allucinante al prelato che si lascia andare a commenti non proprio consoni alla sua persona. Si parte con un “Uè, aro jati?” (dove andate?), per proseguire poi con “dopo! Uarda accà uà, mannag. (sibilato) ma cumm’è ‘o fatto?” (dopo! Ma guarda qua, mannag., ma com’è questo fatto?) e poi si prepara per la stoccata finale dicendo “e che cheste so’ ‘e clausura, figuriamoci quelle ‘e non clausura! E chill se ‘o mangiano n’ato poco, teetè! Sorelle tinimmo che fa. Mannaggia a chella, è semp essa!” (e queste sono quelle di clausura, figuriamoci le altre! Tra poco se lo mangiano, il Papa! Sorelle abbiamo da fare! Mannaggia quella, è sempre lei!). Tutti i giornali titolano “simpatico siparietto del Cardiale”, io onestamente di simpatico non ho trovato nulla. Un cardinale che si lascia andare a commenti sessisti e cafoni non mi fa ridere. Inutile poi, richiamare alla proverbiale simpatia dei partenopei, la conosco abbastanza per poter dire che la loro verve è ben lontana da queste cacciate, sono quelle battute da osteria che più che far ridere indignano perché fuori luogo. Va bene la leggerezza, va bene ironizzare su ogni aspetto della vita, va bene non prendersi mai troppo sul serio. ma c'è modo e modo e soprattutto vanno rispettati luoghi e tempi. Non ci resta che augurarci “ca a Maronna c'accumpagna”. Ma veramente! Laura Bonavitacola [email protected] Pagina 3 Moca Press Aprile 2015 Spopolamento Irpino: i numeri lasciamoli ai ragionieri Lo spopolamento delle nostre aree, soprattutto di quelle interne, è un dato di fatto, tant’è vero che, in molti casi, gli abitanti che popolavano i borghi Irpini a metà del ‘900, erano il doppio rispetto agli attuali (in alcuni casi il numero di abitanti dei nostri paesi è addirittura più basso di quello registrato alla fine dell’800!). Il calo drammatico della popolazione ha diverse spiegazioni: la riduzione del numero dei figli per nucleo familiare; una nuova ondata migratoria connessa alla mancanza di prospettive lavorative; un numero di anziani maggiore rispetto al numero dei giovani. Proviamo però a ragionare anche con parametri diversi. La cultura dell’arricchimento facile, della megalopoli, degli agglomerati, del cemento a tutto andare è miseramente fallita. I grandi numeri non hanno portato grandi gioie, ma solo grandi solitudini, tanto è vero che il male più diffuso oggi è proprio la depressione. Il senso della vita sicuramente è racchiuso più nella masseria di campagna che nel palazzo di città, più in un maiale allevato che in un hamburger surgelato, più nelle patate scavate nei nostri orti che in quelle di origine ignota degli ipermercati. Non è forse meglio una tavolata di 10 paesani che si vogliono bene e mangiano prodotti tipici, frutto del loro lavoro, col sottofondo di tarantella, piuttosto che un aperitivo o un McBurger di plastica con altre 100 persone sconosciute e distaccate a Milano? E non potrebbe essere proprio questa l’occasione giusta per ripensare alla nostra esistenza? Smetterla di pensare solo a se stessi, agli interessi, al proprio orticello, ai falsi miti, e spendersi anche per gli altri. Smetterla di stimare ed emulare chi ha il potere o il denaro, conquistato con qualsiasi mezzo, anche illecito, ed avere la riconoscenza delle persone semplici ed oneste, che si prodigano per gli altri. Vivere le comunità onorando chi le compone, dando il meglio per renderle accoglienti e solidali. Usare cortesia ed affetto verso chi ha le nostre stesse radici, anche per il semplice fatto di condividere una parte importante del nostro passato. Naturalmente questo ragionamento non deve essere visto come un'assoluzione verso le colpe politiche gravissime che hanno generato questo spopolamento, sia chiaro. Colpevoli che, tra l'altro, hanno nomi e cognomi ben noti. Vuole però essere motivo di riflessione per dire che bisogna fare i conti con ciò che oggi si ha a disposizione e da quello si deve ripartire, con passione e spirito di collaborazione. Restare con coraggio, impegnarsi per il proprio sorprendente territorio. Forse è questa la felicità. Non serve essere in molti per provarla. Francesco Celli (Presidente di Info Irpinia) Pedagogia del ricordo Ore 21:00 ritrovo a casa di Fiorenzo. Come da accordi precedenti io e Salvatore puntuali bussiamo al portone di casa Gambone. Ligi a una vecchia, cara e solita occasione, una cena tra amici, riscopriamo il piacere rinnovato di sederci ad un tavolo per ripercorrere le tappe della nostra amicizia. Questa volta vi è una piacevole novità che sembra raddoppiare il piacere dell’incontro. A tavola con noi siede il papà di Fiorenzo. Salvatore, questo è il suo nome, sembra un ragazzino mentre sorseggia, dopo aver accennato un sorriso di cortesia, un bicchiere di birra. Osservo i volti dei miei amici inebriandomi di profumi al pane cotto e soppressata. Rallegrato ascolto Salvatore parlarmi di una Montella di altri tempi e penso che in quel suo sorriso ha incantato i suoi quasi novant’anni. L’atmosfera, impreziosita dal nostro silenzio, è quella tipica dei “ c’era una volta” delle favole che ascoltavo da bambino. Quanto è bella Montella in quei ricordi. Le parole sembrano modellarsi nello stampo dei ricordi. Gli asini in strada. Le nevicate da record e le osterie con il vino sempre un po’ annacquato. La guerra, i bombardamenti degli alleati e la ritirata dei tedeschi con l’infame sacrificio dei Fratelli Pascale. E poi la “saponificatrice” e i suoi omicidi. Le segherie che davano lavoro a tanti compaesani. L’eruzione del Vesuvio e il terremoto del’62 e tanti altri fatti ed esperienze che attraverso il ricordo ridisegnano l’albero genealogico della nostra comunità. Salutando gli amici a fine serata stringo la mano a Salvatore con gratitudine pensando che bisognerebbe riscoprire sin da piccoli, nelle scuole, il valore del ricordo per sentirsi veramente parte di una comunità. I miei studi grafologici mi hanno insegnato il valore innovativo delle nuove frontiere della Pedagogia rispetto gli insegnamenti classici. Penso ai corsi di Arno Stern e l’esperimento riuscito dell’Educazione Creatrice praticato nelle sue scuole oppure alla cattedra universitaria contro le mafie della “Pedagogia della Resistenza” attivata presso l’Università di Cosenza. Che bello sarebbe sperimentare una sorta di “Pedagogia del Ricordo”. Non è un caso, infatti, che un proverbio africano affermi che “quando muore un anziano è come se bruciasse una biblioteca”. Sono grato a chi mi ha insegnato il vero significato di questa affermazione. Gianluca Capra [email protected] “La presente pubblicazione non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene pubblicata senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n°62 del 7-3-2001” Pagina 4 Moca Press Aprile 2015 La Narrativa… a cura di Luigi Capone Il volo– Parte prima Prendemmo il volo della Korea Airlines con molta leggerezza seguendo i consigli di Arianna, una ragazza che aveva la passione della cultura orientale e sotto la sua guida ci avventurammo. Il vecchio autobus di un’azienda prossima al fallimento, che dall’Irpinia ci portava all’aeroporto di Fiumicino, passava per tutti i paesi e la distanza tra l’Irpinia e Roma pareva confrontabile a quella tra Roma e Seul. Poco avvezzi a salire sui Boeing dovemmo farci coraggio con qualche battuta per esorcizzare le paranoie e per una strana ironia l’aereo davvero si mise in moto in maniera brusca, fece pochi metri e decollò di colpo, mentre di solito percorrono prima qualche chilometro. Il cuore mi balzò in gola e poco dopo mi vergognai anche di essere stato così sciocco da aver avuto paura; ufficialmente noi eravamo dei ragazzi di provincia e non riuscivamo a comprendere che l’aereo in realtà era un mezzo molto più sicuro di un autobus o di un’automobile. Le hostess ci fecero attaccare le cinture, ci spiegarono cosa avremmo dovuto fare in caso di pericolo e arrivammo presto a quota di crociera, quando l’aereo finalmente viaggia in modo abbastanza stabile. Atterrammo comodamente e rapidamente andammo a posare i bagagli nella casa che avevamo preso in affitto, tanta era la smania di vedere com’era fatta quella città. Giungemmo finalmente in piazza, ci mettemmo in fila come una banda di scolaretti in gita. In testa, a fare da Cicerone c’era Arianna, io avanzai nel corteo fino ad arrivare accanto a lei per farmi dare altre interessanti informazioni circa quel posto. Le chiesi se fosse Seul, mi disse di no. Disse che si trattava di Namyangju, una città più piccola e che la Korea era uno stato enorme. In ogni caso ci condusse verso la piazza centrale della città a cui si accedeva scendendo per delle scale mobili. Non mettemmo nemmeno piede nella piazza che mi sentii chiamare per soprannome, una voce disse “cretese”. Era Nino Pellicani, un uomo sui cinquant’anni, irsuto, con l’aria da professore/pescatore, con cui avevo parlato una sola volta sulla spiaggia di Salerno; ci eravamo intratte- nuti in una conversazione proprio sulla Korea camminando a piedi dal quartiere Pastena fino al porto. La mia meraviglia era enorme e tuttavia minore di quella del resto della compagnia. Nino era seduto su una panchina accanto a una bella donna dai tratti koreani. Mi disse con quel suo modo di fare pacato e indifferente “se non era davvero tutta un’altra cosa la Korea” così come mi aveva predetto a Salerno. La donna che stava con lui sorrise aggiungendo che tutto ciò che si poteva trovare lì era soltanto una pallida imitazione, una copia sbiadita di quello che si poteva ammirare nella Grande Cina. Arianna, che aveva già vissuto a Seul in passato, confermò che Seul era una città decisamente migliore di quella in cui eravamo adesso. Si fece quasi sera ed eravamo ancora lì. Tutta la comitiva si guardava intorno spaesata avvertendo una vaga paura del buio che stava per sopraggiungere. Guardai in alto e oltre delle case basse e piuttosto normali, vidi in lontananza dei monumenti maestosi, imponenti e altissimi, estremamente luminosi, poi grattacieli, chiese e mausolei illuminati di una luce abbagliante: era la visione del progresso. La studiosa dell’Oriente Arianna mi apostrofò con una battuta e mi informò che si trattava soltanto di ologrammi. Non le chiesi niente, chiesi solo a me stesso cosa ci fosse allora dietro a quelle abitazioni così normali. Forse l’oblio, pensai avvertendo un brivido. Dormimmo in quella piazzetta utilizzando le panchine come letti e i bagagli come cuscini. “Dobbiamo ripartire per Seul” disse la nostra condottiera-studiosa all’alba, svegliando tutto il gruppo. (Continua…) [email protected] Classifica libri 1. La sposa giovane di Alessandro Baricco € 17.00 2. La banda degli amanti di Massimo Carlotto € 15.00 3. Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli € 10.00 4. Momenti di trascurabile infelicità di Francesco Piccolo e 13.00 5. Revival di Stephen King € 19.90 6. Nessuno si salva da solo di Margaret Mazzantini € 13.00 7. Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli € 16.00 8. Il regno di Emmanuel Carrere € 22.00 9. Il magico potere del riordino di Marie Kondo € 13.90 10. L'amica geniale di Elena Ferrante € 18.00 Fonte: http://www.lafeltrinelli.it/fcom/it/home/pages/catalogo/libri/classificalibri.html Pagina 5 Moca Press Aprile 2015 Le ovaie di Angelina Jolie sui giornali Angelina Jolie fa di nuovo parlare di sé. Dopo l’asportazione del seno, ora anche le ovaie. Nulla a che vedere con il mancato senso di maternità, il tutto è frutto della paura del tumore, essendo un male che ha colpito già nella sua famiglia. Non sono mancate le polemiche, visto che l’attrice ha solo 39 anni e l’asportazione delle ovaie, come del seno del resto, avviene per molte donne dopo una grave malattia. La Jolie, invece, è sanissima. Lo ha fatto a solo scopo precauzionale. Sarà una scelta avventata? Personalmente sono combattuta. L’asportazione delle ovaie con la conseguente menopausa forzata a neppure 40 anni è una scelta fortemente drastica che, a mio avviso, risulta quasi “maniacale”. Dall’altra parte, però, capisco le sue motivazioni. Reduce dall’aver visto soffrire per il tumore sia sua madre sia sua nonna e sua zia, la Jolie avrà sentito per questioni genetiche il cancro alitarle sul collo e, conoscendo cosa le sarebbe potuto succedere, si è preoccupata di fare una scelta tanto importante pensando solo di proteggere i suoi figli da quel dolore. Allo stesso tempo (aggiungo), avrà lei modo di evitare certe sofferenze e poter godere della propria salute e della vita dei suoi cari. Quello che molti si sono chiesti è, però, quali siano i motivi che l’hanno spinta a comunicarlo alla stampa. Su tutte le più note testate giornalistiche del mondo la notizia è stata diffusa, mettendo l’opinione pubblica nella condizione di non poter fare a meno di commentare. Era davvero necessario farlo sapere? È facile supporre che la scelta di divulgare la notizia sia dipesa dal desiderio di avere un riscontro mediatico ma questa volta voglio essere ottimista. Voglio credere che la Jolie, “nel suo piccolo”, abbia voluto sfruttare la propria popolarità per aprire le menti del pubblico ad una nuova realtà, ad una nuova possibilità di salvaguardare la propria salute mettendo una bella X sul giudizio altrui. Della serie: “lo ha fatto la Jolie, posso farlo anche io”. Voglio crederci, se così fosse mi sarebbe più facile motivarne il gesto. Rita Mola [email protected] Doppiopesismo sessista A chiacchiere e pubblicamente, son tutti liberali, tolleranti e misericordiosi. Basta però il vago (e infondato) senso di anonimato garantito dal web o anche da consessi più informali, che la pancia, vero organo senziente di una opinione pubblica alimentata per anni a pane e sensazionalismo, spunta fuori. E sputa veleno. Che viene spacciato per ponderata reazione al “politically correct”, diventando tendenza ed elevandosi al rango di “opinione diffusa”. La pancia degli italiani, non è meno rozza, gretta e cinica di altri. Ma sulla scala del maschilismo, si piazza decisamente in pole position. L'astronauta Samantha Cristoforetti, in pochi clic, diventa una sciamannata che fluttua in orbita grazie a ruffianerie o favori sessuali, buttando soldi “nostri” (fingendo che tutti paghino le tasse dovute...) per stare sempre in TV o sui social. La presidente della Camera, per fare un altro esempio, fin dal giorno del suo insediamento è stata oggetto (tanto per cambiare) delle attenzioni di orde di villici digitali che, lontani dalla sempre lecita critica politica o ideologica, preferiscono sfogare i bassi istinti sessisti di cui sono dotati su una donna al vertice che pensa e parla liberamente senza dover fare da cornice a qualche figura maschile. L'apoteosi, però, la si raggiunge coi casi di cronaca “grossi”. Tipo quello delle cooperanti rapite in Siria. I meccanismi primordiali che vengono abilmente solleticati da loschi personaggi in cerca di consenso e visibilità, includono il paral- lelo, in buona parte forzato, coi “marò” detenuti in India. Una volta impostato il sillogismo “ggentista”: “Vanessa e Greta liberate e i “marò” ancora detenuti. Vergognaaa!”, il gioco è fatto. E hai voglia di spiegare che la vicenda delle due av- ventate cooperanti rapite in Siria e poi liberate non ha nulla a che fare con due militari assoldati da privati che hanno ammazzato due pescatori e stanno nelle maglie della giustizia indiana. La macchina infernale è oramai partita. Non si contano i sostenitori del “lasciatele lì, se la sono cercata” o del “avete pagato il riscatto coi nostri soldi per quelle due”. La trovata del “sesso consenziente coi guerriglieri a spese nostre”, poi, completa l'atroce escalation delle reazioni aggiungendo quel tocco pruriginoso che ancora mancava. Ma il “caso” vuole che, la stessa massa di cinici menefreghisti diventino magicamente patriottici difensori dell'onore italico quando tocca ai “marò”. Interminabili tirate su come questi “eroi” difendano la Patria e gli italiani, e giaculatorie infinite su quanto sia pavida l'Italia nei confronti dell'India cattiva. Roba che ai tempi della “buonanima” non si sarebbe vista. Tutte boiate, ovviamente. Ma sufficienti a far presa sulle viscere ipersensibili dell'opinione pubblica: due “soldati valorosi” contro due “donne che vanno a fare beneficenza coi soldi nostri”. Il dubbio, infatti, che modelli di donna e di idealismo differenti possano insinuare lo status quo della perfetta “madre di famiglia” fa rabbrividire i più. Che dalle tastiere, inorriditi, reagiscono per difendere il fortino della “tradizione”. Che però è fatta, per le donne italiane, anche e soprattutto, di carriere azzoppate, gravidanze trattate alla stregua di malattie, stipendi più magri e occupazione femminile a livelli da terzo mondo. Certo, cause e concause sono diverse e variegate, ma finché il mix micidiale di paternalismo e sessismo la farà da padrona, la subalternità sostanziale della condizione femminile non si muoverà di un millimetro. Luigino Capone [email protected] di Dario Di Benedetto Soluzioni Informatiche Hardware & Software Via Verteglia 24– 83048 Montella (AV) Tel/Fax 0827/61199 Cell. 3473514366