avendo la mia Azienda erroneamente corrisposto l`indennità di

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avendo la mia Azienda erroneamente corrisposto l`indennità di
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OGGETTO
INDENNITÀ DI GUARDIA INDEBITAMENTE CORRISPOSTA
QUESITO
(posto in data 3 novembre 2010)
Avendo la mia Azienda indebitamente corrisposto negli ultimi dieci
anni, l'indennità di guardia notturna per i turni effettuati ricorrendo
all’istituto delle prestazioni aggiuntive, può richiedere la restituzione
in busta paga dell'ammontare, e con quali modalità (unica soluzione,
anche con cifre elevate) ?
L'Azienda è tenuta a riportare al dipendente i tabulati delle verifiche
eseguite mese per mese, se richiesto?
Non esiste una prescrizione (si può tornare indietro di tanti anni)?
Concordati con l’Azienda sia l’importo che deve essere restituito, sia
le modalità della restituzione e sottoscritto un verbale di conciliazione ci
è stato chiesto di recarci personalmente alla Commissione Provinciale
del Lavoro per la ratifica anche in quella sede di quanto già sottoscritto
in Azienda.
Quale è il significato di questa richiesta? Perché si rende necessario
recarsi personalmente presso la Commissione Provinciale del lavoro per
ribadire quanto già firmato e controfirmato in Azienda?
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RISPOSTA
(inviata in data 6 novembre 2010)
Il recupero di somme indebitamente corrisposte non è solo un diritto
dell’azienda, ma addirittura un dovere, configurandosi diversamente
un danno erariale del quale la direzione aziendale potrebbe essere
chiamata a rispondere dalla Corte dei Conti. Ciò che l’azienda non
può assolutamente fare è pretendere dal dipendente una restituzione
che non sia compatibile con le possibilità del dipendente stesso.
Sulla questione del recupero di somme indebitamente corrisposte
può essere interessante la trattazione di seguito riprodotta, che se pur
riferita ad una amministrazione pubblica, richiama principi e criteri
che hanno carattere generale.
La questione del recupero delle somme indebitamente corrisposte
ai dipendenti è stata in molte occasioni affrontata dalla giurisprudenza
amministrativa, in particolare sotto i profili della natura dell’atto
di recupero, delle modalità di recupero e della rilevanza della buona
fede del percipiente.
L’indirizzo consolidato del Consiglio di Stato sostiene che il recupero
di somme indebitamente erogate ai propri dipendenti è un atto doveroso
per le amministrazioni pubbliche, considerato l’interesse pubblico a non
gravare l’erario di spese indebite. Tuttavia la pubblica amministrazione
nell’espletamento dell’attività doverosa di recuperare le somme
indebitamente corrisposte ai propri dipendenti deve tener conto
del diritto del dipendente e della propria famiglia ad un’ esistenza
libera e dignitosa, secondo il dettato dell’articolo 36 della Costituzione
Repubblicana. Pertanto il recupero delle somme deve avvenire
con modalità tali da non pregiudicare il soddisfacimento dei normali
bisogni di vita del dipendente (ad esempio con modeste rate mensili).
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione n. 11
del 30 settembre 1993 ha indicato i requisiti del provvedimento
di recupero di somme illegittimamente corrisposte al dipendente:
1) congrua motivazione ai sensi dell’articolo 3 della legge 241/1990,
affinché vengano chiarite le ragioni per le quali il percipiente non
aveva diritto alla somma che gli è stata corrisposta.
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2) comunicazione al dipendente, ai sensi dell’articolo 7 della legge
241/1990, dell’avvio del procedimento, poiché l’atto di recupero non
è completamente vincolato, contenendo margini di discrezionalità
sul modo e sul quando della sua adozione. La partecipazione
al procedimento, cui è finalizzata la comunicazione dell’avvio,
consente all’interessato di rappresentare in modo efficace la propria
situazione economica, gli eventuali disagi derivanti da decurtazioni
troppo gravose e di ottenere, per quanto possibile, una congrua
rateizzazione.
3) analitico conteggio di quanto erogato in più, con indicazione
puntuale: a) degli atti che hanno costituto concessione di credito
da parte della pubblica amministrazione., b) dell’epoca in cui si
effettuerà il recupero, c) della eventuale rateizzazione, d) del numero
e dell’importo delle rate.
La giurisprudenza ha inoltre precisato che la buona fede del dipendente percipiente non costituisce ostacolo al recupero delle somme
indebitamente riscosse, poiché è sempre prevalente, attuale e concreto
l’interesse pubblico alla reintegrazione dell’erario.
Nell’attuazione del procedimento di recupero l’azienda deve rispettare
specifiche norme che rendono obbligatorio per l’azienda fornire al
dipendente tutte le informazioni che lo riguardano, in particolare
quelle che si riferiscono al procedimento in questione.
L’accesso ai dati personali costituisce un preciso diritto sancito
dall’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003,
numero 196 (codice per il trattamento dei dati personali).
Nel caso in esame, considerato che una ASL è un’azienda pubblica
questo diritto (che vale a prescindere dall’ambito di riferimento)
risulta per certi versi rafforzato dal principio di trasparenza che è uno
dei principi ispiratori del processo di riordino della amministrazioni
pubbliche. La legge 7 agosto 1990, n. 241, che disciplina il procedimento amministrativo,all’articolo 22, che definisce i principi generali
in materia di accesso ai documenti amministrativi, dispone che:
L'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità
di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne
l'imparzialità e la trasparenza
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Per quanto concerne l’istituto della prescrizione non pare che esso
possa applicarsi alla situazione descritta. Al riguardo possono essere
richiamati gli articoli 2934 e 2946 del codice civile, che testualmente
dispongono:
Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo
esercita per il tempo determinato dalla legge.
(Articolo 2934 – Estinzione dei diritti).
Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono
per prescrizione trascorsi dieci anni
(Articolo 2946 – Prescrizione ordinaria)
La richiesta dell’Azienda di sottoscrive l’intesa presso la Direzione
Provinciale del Lavoro è motivata dal fatto che la sottoscrizione
dell’accordo davanti alla Commissione Provinciale del Lavoro
conferisce all’accordo stesso il carattere di inoppugnabilità, rende cioè
privi di conseguenze per l’Azienda eventuali ripensamenti che
dovessero intervenire da parte di qualche dipendente inducendolo ad
avvalersi della facoltà di impugnare l’accordo sottoscritto che viene
sancita dall’articolo 2113 del codice civile. Lo stesso articolo 2113
precisa peraltro che non possono essere impugnate le conciliazioni
che sono sottoscritte presso la Commissione Provinciale del Lavoro.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
Le norme sono qui riportate nel testo vigente alla data della risposta
tenendo conto in particolare delle integrazioni e modifiche introdotte
dalla legge 4 novembre 2010, n. 183 (legge che delega il Governo
ad emanare decreti legislativi che aggiornano la normativa in materia
di diritto del lavoro, e reca specifiche disposizioni in materia di lavoro
pubblico e di controversie di lavoro)
CODICE CIVILE
Articolo 2113
Rinunzie e transazioni
Le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti
del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della
legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di lavoro
di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile non sono valide.
L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei
mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia
o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione
medesima.
Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere
impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà.
Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410 e 411 del codice
di procedura civile.
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CODICE DI PROCEDURA CIVILE
Articolo 185.
Tentativo di conciliazione
Il giudice istruttore, in caso di richiesta congiunta delle parti, fissa
la comparizione delle medesime al fine di interrogarle liberamente
e di provocarne la conciliazione. Il giudice istruttore ha altresì facoltà
di fissare la predetta udienza di comparizione personale a norma
dell'articolo 117. Quando è disposta la comparizione personale,
le parti hanno facoltà di farsi rappresentare da un procuratore
generale o speciale il quale deve essere a conoscenza dei fatti della
causa.
La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata
autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o
transigere la controversia. Se la procura è conferita con scrittura
privata, questa può essere autenticata anche dal difensore della parte.
La mancata conoscenza, senza giustificato motivo, dei fatti della
causa da parte del procuratore è valutata ai sensi del secondo comma
dell'articolo 116. (Il giudice può desumere argomenti di prova
dalle risposte che le parti gli danno a norma dell'articolo seguente,
dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha
ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo).
Il tentativo di conciliazione può essere rinnovato in qualunque
momento dell'istruzione. Quando le parti si sono conciliate, si forma
processo verbale della convenzione conclusa. Il processo verbale
costituisce titolo esecutivo.
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CODICE DI PROCEDURA CIVILE
Capo I: DELLE CONTROVERSIE INDIVIDUALI DI LAVORO
Sezione I: DISPOSIZIONI GENERALI
ARTICOLO 409
Controversie individuali di lavoro
Si osservano le disposizioni del presente capo nelle controversie
relative a:
1) rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti
all'esercizio di una impresa;
2) rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione
agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonché rapporti derivanti
da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie;
3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti
di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera
continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se
non a carattere subordinato;
4) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono
esclusivamente o prevalentemente attività economica;
5) rapporti di lavori dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti
di lavoro pubblico, sempreché non siano devoluti dalla legge
ad altro giudice.
Articolo 410
Tentativo di conciliazione
Chi intende propone in giudizio una domanda relativa ai rapporti
previsti dall'articolo 409 può promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo
tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione
individuata secondo i criteri di cui all'articolo 413.
La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo
di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata
del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua
conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.
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Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la Direzione
provinciale del lavoro. La commissione è composta dal direttore
dell'ufficio stesso o da un suo delegato o da un magistrato collocato
a riposo, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e
da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti
effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale.
Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo
di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore
della Direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato, che
rispecchino la composizione prevista dal terzo comma. In ogni caso
per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e
di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e almeno un
rappresentante dei lavoratori.
La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall'istante, è
consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere
consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno a cura
della stessa parte istante alla controparte.
La richiesta deve precisare:
1) nome, cognome e residenza dell'istante e del convenuto; se l'istante
o il convenuto sono una persona giuridica, un'associazione non
riconosciuta o un comitato, l'istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;
2) il luogo dove èsorto il rapporto ovvero dove si trova l'azienda o sua
dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli
prestava la sua opera al momento della fine del rapporto;
3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni
inerenti alla procedura;
4) l'esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.
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Se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione,
deposita presso la commissione di conciliazione, entro venti giorni
dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente
le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale. Ove ciò non avvenga, ciascuna delle parti è
libera di adire l'autorità giudiziaria. Entro i dieci giorni successivi
al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per
il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi
trenta giorni. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi
assistere anche da un'organizzazione cui aderisce o conferisce
mandato.
Articolo 411
Processo verbale di conciliazione
Se la conciliazione esperita ai sensi dell'articolo 410 riesce, anche
limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato
processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il giudice, su istanza della parte interessata,
lo dichiara esecutivo con decreto.
Se non si raggiunge l'accordo tra le parti, la commissione
di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini
di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni
espresse dalle parti. Delle risultanze della proposta formulata
dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione
il giudice tiene conto in sede di giudizio.
Ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti,
al ricorso depositato ai sensi dell'articolo 415 devono essere allegati
i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non
riuscito. Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale,
ad esso non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 410.
Il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso
la Direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti o per
il tramite di un'associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato,
accertatane l'autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria
del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, su
istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale
del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.
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INDICAZIONI OPERATIVE
Il consiglio che personalmente ritengo di dare sempre è quello di fare
in modo che la questione sia risolta senza compromettere la qualità
del rapporto con l’azienda. A tal fine occorre operare interagendo con
chi ha la responsabilità del procedimento (il titolare del procedimento
deve essere per legge indicato nella comunicazione con la quale si
informa il dipendente che lo stesso è stato avviato), tenendo conto che
si tratta comunque di un collega col quale è possibile e opportuno
prima di tutto parlare.
Concordate verbalmente le modalità di restituzione delle somme
indebitamente percepite, tali modalità devono essere formalizzate,
in un accordo sottoscritto dalle parti, al fine di evitare qualsiasi
successiva diversa pretesa da parte dell’Azienda e dare al dipendente
certezza delle obbligazioni che con tale accordo assume nei confronti
dell’Azienda stessa.
La richiesta dell’Azienda oltre che legittima è ragionevole, e appare
quindi opportuno compiere questo ultimo atto per chiudere davvero
definitivamente una questione che nella sostanza si è comunque
conclusa senza pregiudizio per i dirigenti interessati.
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