Europeismo e dialettica dell`illuminismo: Nietzsche e l`Europa-idee

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Europeismo e dialettica dell`illuminismo: Nietzsche e l`Europa-idee
rivista internazionale di filosofia online
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maggio 2008 anno III n°5
FILOSOFIA E COMUNICAZIONE
EUROPEISMO E DIALETTICA DELL’ILLUMINISMO: NIETZSCHE E L’EUROPA-IDEE
di Marco Mantovani
“Der Stier – unter dem sich, möge der Mythos nur weiter gelten, der Gott verbirgt –
ist auf dem Wege; wohin aber, wohin genauer, trägt er uns gesellschaftlich und kulturell?”1
Il contributo di Nietzsche alla identificazione dell’Europa non consiste nella sua proposta
geopolitica. Tanto Nietzsche fece un uso pretestuoso della Europa-Idee, della sua concezione dell’identità europea, al fine di perseguire il proprio programma culturale, la propria
declinazione dell’europeismo, tanto un uso pretestuoso del programma culturale europeo
di Nietzsche si presta per esibire una caratterizzazione essenziale dell’identità europea.
Si tratta dunque di attraversare l’europeismo di Nietzsche per giungere a ciò che emerge
attraverso Nietzsche dell’Europa. Si delinea da subito dunque una situazione per cui definizione e programma, identità europea ed europeismo, tendono a collimare ed in ciò forniscono una prima caratterizzazione tanto dell’identità europea quanto della concezione
nietzscheana dell’Europa: l’identità Europea è un progetto, o se si vuole, il progetto
dell’Europa è la sua identità.
Non si può parlare dunque di Europa, e Nietzsche certo non lo fa, senza prendere posizione rispetto al passato della sua tradizione, il presente della sua condizione e il futuro
della sua destinazione. L’europeismo di Nietzsche si manifesta in tal senso come essenzialmente radicato nell’identità europea: circolarmente l’identità europea genera il proprio
programma identitario in una ripresa non immune dalla influenze che lo svolgimento di questo programma esercita sull’identità stessa.
Se è possibile dunque definire l’essenza di questa identità essa si disvela in una storia che
diviene parte integrante di questa identità e ne rappresenta l’invito ad essere compiuta.
“Il toro – sotto le cui spoglie, possa il mito valere ancora, il Dio si nasconde – è sulla via; dove tuttavia, dove
più esattamente ci conduce socialmente e culturalmente?” (tr. nostra), WOLf GANG LIPP, Heimat – Nation –
Europa. Wohin trägt uns der Stier?, Würzburg 1999, p. 13.
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Nietzsche è parte di questa storia europea nella misura in cui ne porta a compimento l’identità. Esplicitare il contributo essenziale offerto da Nietzsche al riconoscimento dell’identità
europea, significa al contempo mostrare il tratto essenziale dell’identità dell’Europa che
Nietzsche esibisce ed incarna: egli stesso è infatti l’agente e il prodotto di un processo, di quel
processo che Europa è: “l’«inquieto cuore» della filosofia è quello di Europa”2 e Nietzsche
batte al fondo di quel cuore. L’identità europea perennemente lacerata ed errabonda viene
simboleggiata egregiamente dalla contraddittorietà simbiotica di Nietzsche in quanto «ultimo
Europeo» della «Vecchia Europa» e «primo europeo» della «Nuova Europa».
Europa, buon europeo ed altre oscurità
È terribilmente verosimile, come sostiene Miguel Skirl, che Nietzsche non avesse da proporre a proposito dell’Europa niente di essenzialmente importante e originale, ovvero,
meno generosamente, ne farcisse la definizione di contraddizioni al limite dell’insulsaggine
e che ne utilizzasse pertanto il concetto pressoché esclusivamente in pretestuosa funzione polemicamente antitedesca: Skirl si premura di segnalarci come significativamente nell’edizione critica completa delle opere di Nietzsche si trovino 1078 annotazioni a proposito
dell’identità “tedesca”, e solo 464 a proposito di quella “europea”3.
A questa sproporzione risulta direttamente commisurata la disinvoltura ermeneutico-filologica che Nietzsche mette all’opera nei confronti dei due termini: se in “deutsch”, egli infatti, riesce a scovare una filiazione diretta dal paganesimo4, che apparirebbe attraverso i ter-
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MASSIMO CACCIARI, s. v. Europeismo, in AA.VV.,Enciclopedia filosofica, Milano 2006, pp. 3860-3862.
3 Cfr. MIGUEL Sk IRL, Europas Widersprüche in Nietzsches Widersprüchen. Geopolitik einmal anders, in
GEORGES GOEDERT – USCHI NUSSb AUMER-b ENZ (ed.), Nietzsche und die Kultur – Ein Beitrag zu Europa?,
Hildesheim-Zürich-New York 2002, pp. 35-55.
“,Die Deutschen’: das bedeutet ursprünglich , die Heiden’: so nannten die Gothen nach ihrer b ekehrung die
grosse Masse ihrer ungetauftet Stammverwandten, nach Anleitung ihrer Uebersetzung der Septuaginta, in
der die Hieden mit dem Worte bezeichnet warden, welches in Griechischen ,die Völker’ bedeutet: man sehe
Ulfilas. – Es ware immer noch möglich, dass die Deutschen aus ihrem alten Schrimpfnamen sich nachträglich einen Ehrennamen machten, indem sie das erste unchristliche Volk Europa’s würden.” In Die fröliche
Wissenschaft, n. 146, in Friedrich Nietzsche. Sämtliche Werke. Kritische Studienausgabe (d’ora in poi k SA),
München-b erlin-New York 1980, v. 3, p. 492.
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mini “theodiscus” e “tedesci”, oppure una derivazione etimologico di cui essi, i Tedeschi,
dovrebbero persino divenire eredi, essendo “das ,tiusche’ Volk, das Täusche-Volk…”5 - laddove sibillinamente “täuschen” può significare “ingannare”, “illudere” ma anche “tradire” con “Europa” il lavoro genealogico s’ammanta necessariamente di austerità. Non gli può
davvero essere di aiuto alcuno la ricostruzione del mito a fini identitari, laddove esso ci
narra della figlia del re fenicio Agenore, sedotta e condotta dalla metamorfosi taurina di
Zeus a nuoto sino a Creta, ove partorì Minosse, Sarpedone e Radamante (il primo, famoso committente del famigerato labirinto, andrà post mortem a formare coi fratelli un formidabile trio di giudici nell’Ade). Su Europa null’altro. Inani le ricerche dei suoi fratelli inviati
dal vecchio re in ambasce - Cadmo, f enice e Cilice - quest’ultimo per altro beffardamente
destinato a fondare città in “terra di buoi” (Tebe in b eozia).
Se il mito resta dunque filosoficamente indeducibile, non di molto vale la disamina etimologica, specialmente in confronto con le origine preclare delle altre denominazioni continentali, se, come pare, Europa trarrebbe origine dalla radice semitica <ereb>, “scuro” verosimilmente nello stesso senso per cui questa parte della terra viene denominata
Occidente. Anche il significato d’Europa, oltre a quello del mito era e rimane, fatalmente,
“oscuro”.
Nietzsche non si risparmiò, inoltre, riguardo al tema dell’identità europea in rapporto a quella germanica, indicazioni depistanti e nebulose nella misura in cui fece reagire i concetti di
tedesco ed europeo: esempio illuminante ne sia in una famosa variante - poi esclusa dall’edizione critica da Mazzino Montinari a causa del successivo intervento “redazionale”
della sorella - nella quale egli si definisca contemporaneamente “bifronte”, all’occorrenza
persino “trifronte”, ma pur sempre “polacco pur sang”, e dunque “più tedesco dei tedeschi”
di allora ed, in virtù di ciò, senza alcuno sforzo, un “buon europeo”6. Se poi si considera
5 “Zuletzt: man soll seinem Namen Ehre machen, - man heißt nich umsonst das ,tiusche’ Volk, das TäuscheVolk…”. Jenseits von Gut und Böse, n. 244; k SA v. 5, p. 186.
“ […] ich bin ein Doppelgänger, ich habe auch das ,zweite’ Gesicht noch ausser dem ersten. Und vielleicht
noch das dritte … Schon meiner Abkunft nach ist mir ein b lick erlaubt jenseits aller bloss local, bloss national
bedingten Perspektiven, es kostet mich keine Mühe, ein , guter Europäer’ zu sein. Anderseits bin ich vielleicht
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come allineandosi compattamente sulle posizioni schopenhaueriane Nietzsche confermi
che un “buon tedesco” altro non sarebbe se non un “tedesco stedeschizzato”, lo stallo diairetico prodotto conduce a chiedersi cosa resti di un “tedesco” se egli non debba più essere “tedesco”. Si potrebbe azzardare: un “buon europeo”? Dunque un “buon europeo” somiglierebbe a un “buon tedesco” camuffato; o, di nuovo, un “buon europeo” tenderebbe al
“tedesco”, ma al netto delle qualità negative dei “tedeschi”, nella considerazione di
Nietzsche, ovviamente; da questa svalutazione, derivante, appunto, in larga misura dall’inerzia dei suoi istinti “antitedeschi”, discenderebbe la sua definizione di “buon europeo”,
né, in verità, sempre secondo Skirl, particolarmente “buono”, né particolarmente “europeo”:
le caratterizzazioni di Nietzsche del “buon europeo” ispirano legittima diffidenza e vanno
forse bollate come essenzialmente “non-europee”, lasciandoci più di un sospetto sulla possibilità che Nietzsche non fosse un “buon europeo”, ma soltanto un “cattivo tedesco”.
Ma questa lacerante dissociazione e contraddittorietà rispetto all’identità tedesca si offre
come strumento per introdurre il rinvenimento della condizione dell’identità europea al di là
della inaggirabilmente carente vis definitoria dell’approccio nietzscheano. La medesima
ultimativamente inconciliata giustapposizione di inconciliabili ipostatizzazioni fenomenologiche vale per per l’identità del “Tedesco” quanto per l’identità europea: le contraddizioni
dell’identità tedesca si prestano ad essere intese come un frammento locale di una condizione continentale.
Questo esemplare movimento teoretico appare già evidente nella Fröliche Wissenschaft in
cui viene ribadita questa condizione limbica dell’identità europea sospesa tra l’eredità e la
primogenitura, tra l’amara libertà inaugurata dalla morte di Dio e l’horror vacui del preludio
nihilistico: nella considerazione geofilosofica di Cacciari l’Europa “non si possiede che
mehr deutsch, als jetzige Deutsche, blosse Reichsdeutsche es noch zu sein vermöchten, - ich, der letzte antipolitische Deutsche. Und doch waren meine Vorfahren polnische Edelleute: ich habe von daher viel RassenInstinkte im Leib, wer weiss?, zuletzt gar noch das libero veto.” Nietzsche Werke, sez. II, v. XV, k röner 1911,
Ecce Homo, “Warum ich so weise bin”, n. 3, p. 13. Variante come detto esclusa da Mazzino Montinari a causa
delle cancellature di giudizi compromettenti sulla madre e la sorella (“Aber ich bekenne, dass der tiefste
Einwand gegen die ,ewige Wiederkunft’, mein eigentlich abgrünldicher Gedanke, immer Mutter und Schwester
sind.” Ibi.) legittimando il sospetto di un posteriore intervento “redazionale” della sorella.
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come meta da raggiungere; qualcosa che nel presente è assente-. Un iam et nondum.
L’europa non è sarà. E così continua a rappresentarsi anche in questa epoca, si dice di
piena secolarizzazione o di compiuto nihilismo”7. L’appiattimento (Verflachung), la virilizzazione (Vermännlichung) e il superamento (‹berwindung) dell’Europa che Nietzsche appunto vaticina ed auspica nella Gaia Scienza non rappresentano stadi che si prestino ad essere sequenzializzati, ma esibiscono esemplarmente una giustapposizione che non consegue una organica combinazione, rappresentando, piuttosto, scorci fenomenologici dell’identità europea in cui si fa labile il confine tra diagnosi e terapia, tra condanna e auspicio,
tra critica ed utopia nella sinossi nietzscheana del fenomeno “Europa”.
Pur non trattandosi qui di rinvenire nello specifico una proposta geopoliticamente coerente e
strutturata resta in ogni caso salvaguardata l’assunzione che anche laddove non venga a
tema espressamente il problema dell’identità europea, esso viva e funga nel percorso nietzscheano nella dimensione ecoica del Generalba?, secondo l’espressione di Skirl: già in
Geburt der Tragödie - la cui prima segnalazione apparve significativamente nella Rivista
Europea edita a f irenze da parte di un anonimo recensore - e l’opera ebbe si, questa volta,
come Nietzsche stesso aveva indovinato, una vasta risonanza non solo francese ma europea
- e nella prima Unzeitgemässe Betrachtung ne va dell’identità europea, di una sua eventuale
signoria o persino egemonia culturale, pur dove ad essa non si accenna esplicitamente.
Riemerge anche in questo ambito il tratto polivoco del gianismo nietzscheano, ovvero il riferimento all’identità europea viene dissimulato in absentiam: si fa appello all’egemonia dei
Tedeschi, ma si plaude solo al volgersi alla grecità della Germania, la cui vittoria, buona,
seppur pericolosa, va festeggiata, ma non certo ottimisticamente, semmai culturalmente,
ovvero atteggiandosi pessimisticamente. L’astio successivo per i tedeschi è tutto figlio della
incapacità germanica di grecizzarsi, di inaugurare una cultura di europeizzazione grecizzante: questo incarnava il Bayeurth-Projekt, il programma, fallito, di trasfigurazione culturale della Leitkultur in Leidkultur.
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Massimo Cacciari, Op. cit., p. 3860.
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Nel laboratorio europeo di Nietzsche: nascita del genio e Urbild des Staates.
Come punto di avvio del percorso di individuazione dello specifico contributo nietzscheano
all’identità europea emergente quale precipitato della reazione tra unità-contraddizione, critica-utopia e cultura-politica è possibile prendere spunto dal contributo di Cacciari alla definizione della problematica identità europea nella misura in cui “nessuna generalizzazione
può reggere di fronte alla “terrificante” libertà dei comportamenti, di forme , di linguaggi, alla
precarietà dei rapporti tra le parti e il tutto, tra statuale e nazionale, che ne caratterizzano
la storia”8.
Nel concorrere a delineare la concezione di Nietzsche dell’identità europea pretende, dunque, un ruolo in ogni caso centrale l’idea di unità e conseguentemente quella ad essa connessa del superamento dei limiti e degli interessi e dei particolarismi nazionali a partire
dalla convinzione che “Europa Eins werden will”. Nietzsche suffraga quest’ultima diagnosi
dalla constatazione di una direzione complessiva (Gesamt-Richtung) comune agli spiriti
creativi dell’epoca, che attraverso un lavoro misterioso dell’anima europea, prepari la via a
quella nuova sintesi (zu jener neue S y n t h e s i s ) e in via sperimentale (versuchsweise)
preannunci l’”europeo del futuro” (den Europäer der Zukunft)”9. Tra questi europei del futuro Nietzsche annovera esistenze creatrici come Goethe, Napoleone, b eethoven, Stendhal,
Heine, Schopenhauer e lo stesso Wagner per delineare il carattere processuale, sperimentale della futura grandezza dell’Europa: “Europa ist es, das Eine Europa, dessen Seele
sich durch ihre vielfältige und ungestüme k unst hinaus?, hinauf drängt und sehnt- wohin?
In ein neues Licht? Nach einer neuen Sonne?”10.
Il nuovo sole verso verso il quale l’Europa anelerebbe ne esclude un’identità stabile, statica, esaustivamente definibile, ma la qualifica, al contrario, come un’attesa, un progetto,
un’utopia, un’interrogazione scagliata nel futuro, ultimativamente un postulato. Secondo
Cacciari “l’europa non ha mai definito suoi confini al’esterno perché all’interno la sua figu-
8
Ivi, p. 3861.
9
Jenseits von Gut und Böse, n. 256; k SA v. 5, pp. 201e seg.
10
Ibi, p. 202.
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ra è perenne metamorfosi, non tollera determinazione stabile, radicamento irreversibile.
L’europa è experimentum: processo, via, pericolo” ed è per questo motivo che le filosofie
“universalistiche” tradiscono il senso della ricerca europea di identità11. In contrapposizione, infatti, alla “Europa-Idee” di Novalis, che in Die Christenheit oder Europa (1799) auspicava la restaurazione di identità europea centrata sull’universalismo cristiano nel segno del
papato, l’Europa di Nietzsche è fedelmente segnata dall’apertura culturale degli spiriti liberi, elitari e votati all’esperimento.
A far da contrappunto a questo perentorio anelito utopico-sperimentale Nietzsche correda
il suo approccio nei confronti del dispiegarsi storico caricando la sua considerazione del
presente di presagi radicalmente critici; come già visto per l’identità tedesca, l’Europa deve
innanzitutto spogliarsi dei tratti che la caratterizzano, e che costituiscono in corpore vivo l’identità degli europei. Nell’inattualità della proposta di Nietzsche l’Europa, abdicando alla
propria attualità di conclamata sintomatologia nihilistica, dovrebbe sorgere dal diradarsi dei
giudizi di valore che ne causano l’offuscamento (Verdüsterung): “f reiheit von allem
,Europa’, letzteres als eine Summe von kommandierenden Werthurtheilen verstanden, welche uns in f leisch und b lut übergegangen sind”12.
Il nucleo liberante di questa identità aggregante dell’Europa è rappresentata dalla
“Entnationalisierung”, nella quale si ritrovano in un reciproco fondersi e fecondarsi (SichVerschmelzen und -Befruchten) in modo eminente il valore ed il senso della cultura attuale13. L’Europa di Nietzsche non può essere una Europa delle masse nazionali perché la
meta del processo di “europeizzazione”, di quel processo che l’Europa è, può incarnarsi
solo in un nuovo più elevato, elitario Menschentypus di cui sono condizioni e manifestazioni
ad un tempo “der europäische Mensch und die Vernichtung der Nationen”.
In questo processo di renovatio della cultura Europea si saldano, infatti, le prospettive di
rigetto tanto della Nazione quanto dello Stato. L’antistatalismo Nietzsche si allinea con le
11
MASSIMO CACCIARI, Op. cit., p. 3861.
12
Die fröliche Wissenschaft, l. V, n. 380; k SA 3, p. 633.
13
Nachgelassene f ragmente, 1887/88 11 [235]; k SA 13, p. 93.
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posizioni schopenahaueriane di disprezzo del filisteismo borghese e dell’inanità burocratica: nella considerazione di Nietzsche lo Stato tende fatalmente a sovrapporsi al Reich
bismarckiano e guglielmino non solo patrocinatore di una cultura di massa liberale, ma persino mallevadore di prospettive socialisteggianti. Significativamente, dal punto di vista della
vena antinazionalistica, va tenuto presente che Nietzsche si ridestò dai giovanili entusiasmi patriottici prussiani del 196614 non solo in seguito alla vittoria nella guerra franco-prussiana del 1871 - salutata prima come uno strenuo sforzo di salvaguardia degli avamposti
della Kultur contro l’avanzante mollezza della Zivilisation, e deprecata più tardi come un
grande pericolo per la cultura tedesca, ancora peggiore di una eventuale sconfitta - ma
anche grazie all’influsso attenuante che ebbero significativamente su di lui la conferenza
Historische Größe del 1871 e le lezioni edite con il titolo Weltgeschichtliche Betrachtung nel
1872 sula Griechische Kulturgeschichte di Jacob b urkhardt, che controbilanciarono anche
nella strutturazione del pensiero nietzscheano gli eccessi del nazionalismo wagneriano,
rafforzandone invece la visione sopranazionale.15
“Che una identità l’europa abbia sempre cercato, questo può essere messo in dubbio soltanto dalle “follie nazionalistiche” (ed è Nietzsche a dirlo!). Ma “una” in che senso? Solo di
quell’uno si tratta che vive con i molti”16. Molteplicità che per Nietzsche significa sintesi culturale sovranazionale, abbandono dell’eurocentrismo a favore di una prospettiva globale tanto orientale quanto atlantica -, rifiuto del nazionalismo etno-genetico per aprirsi ad un
superiore e vitale sincretismo. Superando da un lato dunque il “Nationalitäts-Wahnsinn” e
dall’altro le istanze massificanti la preoccupazione di Nietzsche è quella di rinvenire, o
quanto meno di non compromettere, in continuità con la metafora musicale, “la voce per
“Ich bin ein […]”enragirter Preuße”. A f ranziska e Elisabeth Nietzsche, inizio di luglio 1866; in Sämtliche
Briefe. Kritische Studienausgabe in 8 Bänden, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Münchenb erlin/New York 1986, v. 2, p. 135.
14
15 Cfr. ELISAb ETH f ö RSTER-NIETZSCHE, “Jakob b urkhardt und f riedrich Nietzsche. b riefwechsel mit einer
Einleitung, p. 152, in Neue deutsche Rundschau 10, 1899, pp. 151-161.
16
MASSIMO CACCIARI, Op. cit., p. 3861.
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l’anima dell’Europa (die Stimme für die Seele Europa’s17)” evitando di ricadere nel cacofonico semplicismo patriottardo e livellatore.
Ma in Germania non trova Nietzsche degne corrispondenze e si volge dunque fuori dalla
madrepatria alla ricerca di virgineo potenziale creativo rintracciandolo entusiasticamente
nelle abilità di psicologo di Dostojevski. Nell’adozione di una prospettiva multiculturale
Nietzsche riconosce in particolare nella letteratura russa e francese (che nella sua ammirazione per Stendhal si macchia fatalmente di inattualità) congeniali punti di contatto con
un respiro culturale sovranazionale quanto mai lontano dai Tedeschi, che in tutte le cose
giudicano “nach dem Prinzip, Deutschland, Deutschland überalles’”18. Oltre alla tarda adorazione per la cultura francese che in Ecce Homo e in Jenseits von Gut und Böse si manifesta come devozione esclusiva agli autori che provengono dal luogo della più raffinata cultura d’Europa e dell’alta scuola del gusto, Nietzsche mostra, in effetti, anche l’ispessirsi dei
suoi tratti russofili fino a rintracciare nella cultura slava un catalizzatore della rivitalizzazione della cultura, un approvvigionamento di energia biodinamica al punto da celebrare un’ibridazione culturale “slavisch-germanisch-nordisch”19.
In questa rabdomanzia della forza che Nietzsche pratica attraverso l’incursione nello spirito sarmatico avviene anche uno smarcamento, sorprendente per le letture unilateralizzanti ad excludendum, dalle teorie razzistiche di Gobineau, e contro le teorie dell’Essai sur
l‘inegalité des races humaines (1853-1855) del predominio culturale della Elite-Rasse ariana e della condanna del meticciato come degenerazione, Nietzsche plaude al contrario al
rimescolamento delle razze, rinvenendovi l’alta sorgente della cultura: “Nb . Gegen Arisch
und Semitisch./ Wo Rassen gemischt sind, der Quell großer Cultur.”20 Non solo però la
dimensione genetica dell’Europa, sdoganatasi dal razzismo e dall’etnocentrismo, saluta
entusiasticamente questa Mischung del sangue tedesco, al fine della Vergeisterung della
17
Jenseits von Gut und Böse, n. 245; k SA v. 5, p. 188.
18
Lettera a Malwida von Meysenburg del 12 maggio 1887; k SA v. 8, p. 70.
19
Nachgelassene f ragmente, 1881 11 [273]; k SA 9, p. 546.
20
Nachgelassene f ragmente 1885/1886 1 [153]; k SA 12, p. 45.
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Germania21, ma su un piano geo-culturale Nietzsche abbandona persino la prospettiva
eurocentrica per adottare una futuribile categorizzazione globale e sintetica della höhere
Cultur: “was am einfachsten durch eine Vermischung von asiatischem und russisch-bäurischem b lute mit europäischem und amerikanischem gelingen dürfte.”22
Vale indubbiamente la pena di sottolineare come questa mescidanza alchemica di Rasse,
Volk e Cultur, trasfigurandone rispettivamente l’ascendenza biologica, etnica e intellettuale non si proponga di modellare un Welbürgertum filantropico-illuminista, ma di delineare
un Völkersynkretismus bio-culturale.23
Si giunge qui all’emersione del nucleo fondamentale del contributo di Nietzsche all’identità
europea. In primis va rilevato che in riferimento alla presa di posizione nietzscheana nei
confronti dell’illuminismo essa si dimostra prima facie come una ambivalente radicalizzazione di movimenti eccentrici: illuminista nello smascheramento psicologico, nella dissezione della morale cristiana e nella demolizione della metafisica; antiilluminista nella contapposizione alle tendenze democratico-umanitarie e il rifiuto dei diritti di uguaglianza dell’uomo. Illuminante del suo atteggiamento ambivalente si mostra, infatti, il rapporto che
Nietzsche intrattiene con Voltaire: incensato al tempo della dedica della prima edizione di
Menschliches, Allzumenschliches I (1878) come “einem der großten b efreier des Geistes”
e derubricato più tardi in Jenseits von Gut und Böse alla voce “Oh Voltaire! Oh Humanität!
Oh b lödsinn!”24.
Decisivo in questa ambivalenza è il concetto di libertà che presso Nietzsche, nel brano
“Mein b egriff von f reiheit” si condensa, nella prospettiva politica, in “Wille zur
Selbstverantwortlichkeit” - contro il generale diritto fondamentale di matrice liberal-borghese che decade a “gregarizzazione” del cittadino europeo25 - e che si trova - nella dimen-
21
Cfr. Nachgelassene f ragmente1885 43[3]; k SA 11, p. 302.
22
k SA v. 14, p. 141, k ommentar a k sa, vol. II.
23
THEO MEYER, Kritik und Utopie, in Nietzsche und die Kultur, cit., p. 25.
24
Jenseits von Gut und Böse, n. 35, k SA v. 5, p. 54.
25
Götzen Dämmerung, n. 38; k SA v. 6 p. 139.
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sione culturale - espresso dalla contrapposizione già kantiana tra gro?e Genie e mechanische Köpfe: il genio è soprattutto libertà e dunque essenzialmente liberazione dalla attività banausica del lavoro, ed in questo senso la dignità può essere ascritta solo all’individuo che va completamente oltre se stesso, senza abbruttirsi in un’attività che garantisca la
sopravvivenza animale. Queste condizioni furono possibili solo nella cultura greca, alla
quale le espressioni «dignità dell’uomo e dignità del lavoro (Würde des Menschen und der
Arbeit) erano totalmente sconosciute e che invece nella cultura contemporanea rappresentano solo mezzi di consolazione (Trostmittel) per una società che pur abolita la schiavitù si è resa altresì schiava attraverso il lavoro dell’istinto di sopravvivenza.
Al di là dell’arco cronologico decennale in cui si dispiega e pare dissolversi la cosiddetta
fase acuta dell’”illuminismo” di Nietzsche è proprio la costante della disuguaglianza in rapporto alla creazione a rappresentare la linea di continuità dell’elaborazione nietzscheana.
In questa saldatura dunque tra il richiamo ad un rinnovato turgore della produzione artistica, antistatalismo borghese, antiegualitarismo creativo e riferimento fondante alla grecità
prende corpo la nuova fisionomia culturale europea nel segno di Nietzsche, di cui il brutale e problematico contraltare totalitario, come vedremo, non si inserisce e in ultima analisi
non riesce a fondare una visione geopolitica coerente, ma si propone come condizione per
la realizzazione dello scopo stesso tanto della cultura quanto della politica, ovvero della
nascita del genio alla cui preparazione cooperano tanto l’umanità quanto la natura: “Es ist
dies Grundgedanke der k ultur, in sofern diese jedem Einzelnen von uns nur eine Aufgabe
zu stellen weiss: “d i e E r z e u g u n g d e s P h i l o s o p h e n, d e s k ü n s t l e r s
und des Heiligen in uns und ausser uns zu f ördern und da
d u r c h a n d e r V o l l e n d u n g d e r N a t u r z u A r b e i t e n”26.
Il compimento della natura si attuerebbe nel creare le condizioni che le consentano, con un
salto - proprio della natura che invece non salta mai - per giungere dall’animale al “non-piùanimale”, e si tratterebbe appunto di un “salto di gioia”: nella prospettiva nietzscheana una
26
Unzeitgemässe Betrachtung III, “Schopenhauer als Erzieher”, n. 5; k SA v. 1, p. 382.
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volta abolite la disuguaglianza e la schiavitù, e con esse la capacità di generare il genio,
prenderebbe campo una classe di individui che considerano lo Stato esclusivamente un
loro fine privato. L’importanza di questo passaggio viene messa in luce dallo stesso
Nietzsche che non esita a manifestare la sua concezione archetipica dello Stato nel cui
plesso semantico si ritrovano trasfigurati i rapporti tra cultura e natura, individuo e collettività, sopraffazione e creazione.
Nell’Urbild des Staates si ritrova essenzialmente enu-
cleata la relazione fondante tra “bramosia politica e creazione artistica”: solo nel suo rapporto con l’arte lo Stato manifesta la sua dimensione belluinamente creativa nel farsi l’agenzia che produce coesione sociale soggiogando la disuguaglianza. Senza la terribile
“necessità dello Stato” la natura non potrebbe giungere alla propria redenzione “nello specchio del genio”27, antisociale perché riassume in sé l’originalità e l’innovazione che sono
negate alle masse. Si consuma in questo passaggio anche la rottura di quel sentimento
naturale, ancora presente nella lettura di Schopenhauer, che vedeva nello Stato lo strumento che la natura offre all’uomo per essere superata: lo Stato da scopo supremo dell’umanità (das höchste Ziel der Menschheit), come era ancora per il filosofo di Danzica, diviene strumento di legittimazione politica della trasfigurazione estetica nel genio.
In tal senso Lo Stato greco, terza delle Cinque prefazioni per cinque libri non scritti, inviata a Cosima Wagner in occasione del Natale 1872, probabilmente sconosciuto ai futuri terribles semplificateurs nazionalsocialisti, pur nella sua scabrosità ed episodicità all’interno
dell’arco filosofico nietzscheano, rappresenta lo strumento fondamentale per comprendere
la profondità della presa di posizione illuminista che innerva l’antiilluminismo di Nietzsche:
“Ma dalla chiara presa di posizione antiilluministica […] nasce anche lo specifico illuminismo nietzscheano. Poiché la capacità di andare oltre se stesso è riservata soltanto al
genio, dalla necessità di preservare questa disuguaglianza che è la condizione della nascita del genio ha origine, con un atto di violenza lo Stato”28. Nietzsche scrive, infatti, in alcu-
27
CARLO GENTILI, A partire da Nietzsche, Genova 2000, p.64.
28
Ibi , p. 64
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ni frammenti postumi coevi allo scritto: “La violenza fornisce il primo diritto (die Gewalt giebt
das erste Recht), e non esiste un diritto che nel suo fondamento non sia arroganza, usurpazione e violenza”.29 Antiegualitarismo, necessità della schiavitù e della guerra non possono diversamente essere considerate prese di posizione marginali nella traiettoria del
pensiero di Nietzsche, ma alla disamina del contesto in cui si disvela il loro rapporto con la
concezione nietzscheana dell’identità europea diviene ancora più prezioso per il nostro
percorso comprendere il loro nesso con l’illuminismo al fine di realizzare che “Nietzsche ha
compreso, come pochi dopo Hegel, la dialettica dell’illuminismo; e ha enunciato il rapporto
contraddittorio che lo lega al dominio”30.
Nella superficiale ambivalenza illuministica nietzscheana l’antagonismo irriducibile tra
Politik e Kultur trova la sua esplicitazione come mette in luce Gentili: “Qui sta certamente
la radice del Nietzsche critico della massificazione, di quell’illuminismo nietzscheano […] la
cui vera natura sarà chiarita a partire da Horkheimer e Adorno; ma sempre qui si annida la
componente più genuinamente antidemocratica del suo pensiero, che deve essere tuttavia
compresa in quello stesso concetto di illuminismo. […] La critica alla concezione hegeliana dello Stato porta alla luce quel nesso tra governo e dominio che si farà esplicito nella
concezione dello Stato assoluto di Carl Schmitt e che sarà l’oggetto della critica di Hannah
Arendt”31.
L’illuminismo nietzscheano altro non sarebbe dunque che lo smascheramento della cattiva
coscienza dell’illuminismo; le equazioni «diritto=violenza», «Stato=atto di violenza originaria» stanno a fondamento della genealogia come metodo che dissolve in apparenza l’autolegittimazione delle istituzioni su cui si regge l’ordinamento morale, politico e giuridico
delle società occidentali. Solo nel senso di una critica che divora dall’interno l’ideologia del-
Opere di Friedrich Nietzsche, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Milano 1964 e seg., v. III, t. II, pp.
229-230.
29
MAX HORk HEIMER-THEODOR W. ADORNO, Dialektik der Aufklärung. Philosophische Fragmente, Amsterdam
1947; poi f rankfurt am Main 19882, 6 ,p. 50, [Dialettica dell’illuminismo, tr. it. Di L. Vinci, Torino 1966, 8, p. 53].
30
31
CARLO GENTILI, Op. cit., p. 62.
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l’illuminismo, questo stesso illuminismo può ancora valere come l’istanza che ispira
l’Ideologiekritik del novecento, Horkheimer e Adorno e f oucault32.
Nietzsche come Drehscheibe: la piattaforma girevole dell’identità europea
Nonostante il riferimento alla dimensione mitica caratteristico della radiazione di fondo del
pensiero nietzscheano esondi per la sua peculiarità e rilevanza la limitazione e la limitatezza di questo contributo, resta in ogni modo imprescindibilmente da segnalare nell’economia del nostro percorso come Gentili metta magistralmente in trasparenza, come proprio
questa trama, intrico, (Verschlingung) nelle parole di Habermas, tra mito e illuminismo, in
specie nietzscheano, non sia “semplicemente una fase storica dell’evoluzione della ragione umana, ma una sua componente istitutiva che ne determina fin dall’origine il fallimento
ed obbliga ad una riconsiderazione della funzione del mito e del rapporto con la natura”.
L’invocazione del dionisiaco di fronte all’esito perverso del nichilismo, lanciato alla fine della
sofistica ellenica e nuovamente proprio alla fine dell’illuminismo europeo, come sottolinea
Manfred f rank33, non è funzione di un appello all’anti-ragione, ma semmai un tentativo di
salvataggio (Rettung) della ragione stessa: “è proprio in questo assumere in sé la forza
distruttrice della natura che Nietzsche riconosce il compito di una estrema prestazione illuministica della ragione”34. La funzione costruttiva del dionisiaco sembra sola poter garantire un’autenticità di fondazione di un nuovo mondo sulle rovine del vecchio, esplicitando
un’utopia costante della ragione illuministica. Questa riconsiderazione non ha tuttavia il
senso della richiesta positiva, storicamente necessaria, di una rimitizzazione; ma piuttosto
il mito, ricomparendo alla fine di un processo nel quale si pretendeva eclissato, rivela il condizionamento storico e ideologico di ogni forma di razionalità, in modo che ogni ragione
32
Ibi, p. 67.
Cfr. MANf RED f RANk , Der commende Gott. Vorlesungen über die neue Mythologie, f rankfurt am Main
1982, p. 12, [Il Dio a venire. Lezioni sulla Nuova Mitologia, tr. it. di f . Cuniberto con intr. di S. Givone, Torino
1994, p. 6].
33
34
CARLO GENTILI, Op. cit., p. 186.
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successiva, e ogni ulteriore illuminismo, può ancora presentarsi soltanto nella funzione di
una Ideologiekritikî35.
La dialettica dell’illuminismo rivela non solo il proprio fondamento nel mito ma anche il proprio destino: il mito viene riconosciuto da Nietzsche, in particolare nel mito di Edipo, come
la forma del sapere come atto contro natura - in cui è ricoinvolto anche il sapere illuministico, pur nella pretesa di questi di discostarvisi - orientata ad una strategia di dominio nei
confronti della natura e dell’uomo: “smascherando il mito come rappresentazione ideologica del crudo rapporto di natura, la coscienza simbolica celebra l’impossibiltà ormai acquisita di appagarsi di rappresentazioni illusorie, e si riconsegna con ciò a quella stessa crudezza”36.
Nella seconda Unzeitgemässe Betrachtung non ne va, dunque, tanto dell’antistoricismo talvolta riduttivo del main stream esegetico, ma quanto più della necessità di interiorizzare la
tradizione culturale senza distaccarla dalla sua azione. In questa prospettiva contro l’omogeneità dell’infinito pluralismo dissolvente in cui tutti desiderano le stesse cose - che
Nietzsche simbolizzaerà nello Zarathustra nella figura dell’ultimo uomo - la versione nietzscheana dell’identità europea suona perentoriamente come la proposta di una cultura della
Verrisenheit, che il giovane Nietzsche aveva precocemente prefigurato nella figura di
Dioniso-Zagreo, il fanciullo fatto a brani nella figura dell’agnello. L’Europa dovrebbe, dunque, mantenersi tanto lacerata al suo interno, quanto mostrarsi unitariamente efficace
verso l’esterno. Geopoliticamente l’Europa deve affermarsi sia come Kulturraum che come
Kulturbegriff, al di là delle viete dislocazioni geografiche, per proporre, nella lotta contro la
letzter-Mensch-Kultur, la difesa della propria identità quale Mischung di Dioniso e
Katechon, preservando ed inverando la rammemorante potenza del ricordo, un ricordo critico della propria identità che potrebbe agire come il baluardo della cultura europea, di quella cultura che noi siamo.
La lacerazione dell’identità europea deve vivere del riconoscimento venerante, quindi,
35
Ibi, p. 72.
36
Ibi, p. 191.
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tanto delle propria istanza di costituzione quanto di quella di dissolvimento, come da un lato
rappresentano i centri antichi e medievali della “tradizione della tradizione” - come la cristianità, il diritto e l’imperialità romane, l’arte, il calendario giuliano – e dall’altro i centri della
“tradizione della rottura della tradizione” - come la Riforma, la presa di coscienza della
responsabilità e dell’auto-affermazione dell’individuo, la scienza e lo stesso illuminismo.
Secondo Habermas questa valorizzazione della coscienza moderna del tempo, si attuerebbe attraverso l’utilizzo da parte di Nietzsche della ragione storica per giungere al mito e
disgelarne la dimensione autenticamente altra rispetto alla ragione e in questo rapporto esibire la loro inconcussa necessità dialettica. In questa nuova prospettiva il mito si delinea
come la possibilità di traghettare l’illuminismo fuori dalle secche del proprio fallimento storico per proporsi come critica dei propri fondamenti.
In questo senso Nietzsche rappresenta la “piattaforma girevole (Drehscheibe)” che introduce all’ultima fase del moderno come critica della modernità37. Analizzare gli elementi che
configurano la genealogia illuminista di Nietzsche conduce alla possibilità attraverso l’emersione del rapporto che in quel programma intellettuale si offre di cogliere pienamente il
contributo di Nietzsche al costitutivo disvelamento dell’identità stricto sensu dell’Europa,
ovvero a individuarne rifondandola l’ipogea matrice storica: “Ogni tentativo di spezzare la
costruzione naturale spezzando la natura, cade tanto più profondamente nella coazione
naturale. È questo il corso della civiltà europea”.38
37 Cfr. in particolare il capitolo Eintritt in die Postmoderne: Nietzsche als Drehscheibe [L’entrata nel postmoderno: Nietzsche quale piattaforma girevole], in J. HAb ERMAS, Der philosophische Diskurs der Moderne.
Zwölf Vorlesungen, f rankfurt am Main 1985, Il discorso filosofico della modernità. Dodici lezioni, tr. it. di Em.
Agazzi e El. Agazzi, Roma-b ari 1987.
38
M. HORk HEIMER-TH.W. ADORNO, Op. cit., p. 19, tr. it. p. 21.
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