Friedrich Nietzsche (1844-1900) Giorgio Agamben ammette che un

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Friedrich Nietzsche (1844-1900) Giorgio Agamben ammette che un
Friedrich Nietzsche (1844-1900)
Giorgio Agamben ammette che un problema
dell’arte non esiste, come tale, all’interno del
pensiero di Nietzsche, perché tutto il suo pensiero è
pensiero dell’arte. È proprio perché nel pensiero di
Nietzsche si è cercato fino al suo fondo il destino
nichilista dell’arte occidentale, l’estetica moderna è,
nel suo complesso, ancora lontana dal prendere
coscienza del suo oggetto secondo l’alto statuto in
cui Nietzsche penso l’arte nel circolo dell’eterno
ritorno e sul modo della volontà di potenza.
Questo statuto si enuncia per tempo nello
svolgimento del suo pensiero, nella prefazione alla
Nascita della tragedia dallo spirito della musica,
1872, che è la più autorevole riflessione teorica sul
dramma in Germania del tardo ottocento. Il libro ha
molti difetti e nessuno li ha rilevati in modo più
impietoso di quanto non abbia fatto lo stesso
Nietzsche in una prefazione del 1886, come un libro
intollerabile, vale a dire scritto male, pesante
tormentoso…
Malgrado, tutti i suoi difetti, questo testo suggestivo
ha ispirato molti critici moderni. Come Aristotele è
diviso in 25 capitoli, e i primi 7 esaminano le
condizioni nelle quali nasce la tragedia nell’antica
Grecia, i 9 successivi trattano del suo declino e
della sua morte, e gli ultimi 9 di una sua possibile
rinascita nei tempi moderni.
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Il libro si apre con la dualità su cui si basa la teoria
della tragedia, e di fatto, l’intero sistema metafisico
Nietzscheiano. L’apollineo e il dionisiaco sono i due
impulsi che regolano ‘i separati mondi artistici del
sogno e dell’ebbrezza.’ Apollo è il dio dei sogni,
delle illusioni meravigliose, mentre Dioniso è il dio
d’ebbrezza e della distruzione continua. Questo
dualismo ricorda Hegel, è in generale, la
propensione romantica a vedere il mondo in termini
di opposizioni: classico/romantico, antico/moderno,
ingenuo/sentimentale, e cosi via.
Mentre per Schopenhauer, la tragedia porta l’uomo
alla negazione della volonta, col rivelare la
mancanza di scopo dell’universo, a tale visione
Nietzsche si contrappone proponendo la tragedia
come affermazione di vita. Questa fu la grande
invenzione della Grecia classica: avendo guardato
l’orrore del mondo dionisiaco, creo l’apollineo
mondo di sogno dell’olimpo.
Ogni nuova emersione del primo rafforzava e
arricchiva il secondo. In questo processo di scontri
tra sogno ed ebbrezza, i Greci partecipavano nel
‘nucleo eterno del mondò, che Nietzsche vide come
un essere travagliato e auto-contraditorio che cerca
conforto, redenzione, persino divertimento,
attraverso continue creazioni e distruzioni.
Nietzsche ammeteva che l’esistenza umana
rappresenta per il vero creatore, solo immagini e
proiezioni artistiche, dunque per Nietzsche noi
siamo fenomeni estetici. La riduzione dell’uomo e
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del mondo a fenomeni estetici ricorda l’apparenza
effimera di Schopenhauer, è sembra individuare
nella stessa visione apollinea una specie
d’evasione dalla realtà. Ma Nietzsche non vede
nello spirito apollineo un mezzo per evitare o
negare il dionisiaco, ma piuttosto un suo necessario
complemento. Il rifiuto di uno dei due comporta il
rifiuto di entrambi, e fu proprio abbandonando
Dionisio, dice Nietzsche, che Euripide si ritrovo
abbandonato da Apollo.
Al suo più alto grado, la tragedia può velare il
dionisiaco, ma alla fine lo stesso dramma apollineo
è spinto ‘in una sfera dove comincia a parlare con
sapienza dionisiaca, e dove nega se stesso e la
sua evidenza apollinea. In questo modo, si realizza
un’unione: ‘Dioniso parla il linguaggio di Apollo, ma
Apollo finisce col parlare il linguaggio di Dioniso: col
che viene conseguito il fine supremo della tragedia.’
La parte centrale dell’opera di Nietzsche racconta
come questa fine suprema ando smarrita a
cominciare da Euripide, che sotto l’influenza di
pensiero socratico, rinuncio a Dioniso in favore di
un’arte presumibilmente basata sulla morale e sul
razionalismo. Questa concentrazione illusoria, che
pure è prevalsa fino alla nostra epoca, contiene,
tuttavia in germi della propria distruzione. La
scienza, propagandosi verso l’infinito in tutte le
direzioni, scoprirà inevitabilmente che la ragione
umana non può penetrare i misteri più profondi
dell’universo, o correggere tutte le contraddizioni.
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Raggiunta questa consapevolezza, sarà
nuovamente necessaria una visione tragica, e potrà
allora apparire un nuovo Socrate, capace di
comprendere lo spirito della musica. Nietzsche
conclude dichiarandosi convinto che il mondo si
trovi alle soglie di questo momento.
L’arte – come attività metafisica – costituisce il più
alto compito dell’uomo. Questa frase non vuol dire,
per Nietzsche, che produzione della opera dell’arte
sia, da un punto di vista culturale ed etico, l’attività
più nobile e importante dell’uomo. L’appello che in
questa frase, viene al linguaggio, non può essere
inteso nella sua dimensione propria se non lo si
situa nell’orizzonte dell’avvento di quel ‘più
scomodo di tutti gli ospiti,’ a proposito del quale
Nietzsche scrive: ‘io descrivo cioè che viene, cioè
che non può venire in altro modo: l’ascesa del
nichilismo.’
Il ‘valore dell’arte non può, cioè, essere apprezzato
se non a partire dalla ‘devalorizazzione di tutti i
valori.’ Questa de-valorizazzione di tutti i valori, che
costituisce l’essenza del nichilismo, ha per
Nietzsche, due significati opposti.
Vi è un nichilismo che corrisponde a un’accresciuta
potenza dello spirito e a un arricchimento vitale
(Nietzsche lo chiama: nichilismo attivo), è un
nichilismo come segno di decadenza e di
impoverimento della vita (nichilismo passivo). A
questa duplicità di significati corrisponde una
analoga opposizione fra un’arte che nasce da una
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sovrabbondanza di vita e un’arte che nasce dalla
volontà di vendicarsi della vita.
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