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IL FALLIMENTO DELL'ADOZIONE:UN QUADRO GENERALE
In questo primo articolo sulla tematica del ‘fallimento adottivo’, viene descritto un quadro generale del fenomeno, delle
problematiche relative alla sua definizione e dei fattori di rischio. A novembre pubblicheremo un secondo articolo in
merito al medesimo argomento, che vorrà essere di approfondimento rispetto al fenomeno.
Prima di approcciarsi a questo tema è bene ricordare che si tratta di un fenomeno raro: l’adozione nella maggior parte
dei casi ha esiti molto positivi e rappresenta una grande possibilità di recupero per il bambino e di crescita per tutta la
famiglia.
Accanto a questa considerazione, tuttavia, è bene non ignorare questa problematica che ha un impatto molto grave su
tutti i soggetti coinvolti; per il bambino, in particolare, il fallimento dell’adozione rappresenta un secondo trauma che si
aggiunge a quello dell’abbandono. Questo ripetersi di esperienze traumatiche nell’ambito delle relazioni significative, può
compromettere gravemente il suo sviluppo, la capacità di stabilire legami di attaccamento e la salute psichica. Per
questa ragione è fondamentale approfondire il fenomeno in modo da individuare i fattori che possono determinarlo e,
dunque, predisporre interventi preventivi efficaci.
Il fallimento adottivo rappresenta una tematica poco indagata in letteratura; i dati relativi all’incidenza di questo fenomeno
sono scarsi e di difficile interpretazione, vi sono, inoltre, diverse problematiche di natura concettuale e controversie
relativamente alla sua definizione. Le ricerche sul tema sono ricerche di natura correlazionale finalizzate ad individuare i
fattori di rischio. Per quanto riguarda l’entità del fenomeno le ricerche sul tema rilevano un’incidenza che si colloca in
media intorno al 10%, anche se le stime variano molto nelle singole ricerche a seconda del
campione considerato (cfr Coakley e Berrich 2008 e Palacios (2010). Per quanto riguarda l’Italia un’indagine promossa
dalla Commissione per le adozioni internazionali nel 2002 ha rilevato 331 casi di fallimento tra il 1998 e il 2001 su tutto il
territorio nazionale; un’altra ricerca effettuata nel 2013 da Rosnati, Salvagio, Ragaini ha rilevato 44 casi di
fallimento registrati presso il Tribunale di Milano tra il 2010 e il 2012.
La letteratura nazionale e internazionale sul tema prende in considerazione, come fallimenti adottivi, i casi in cui si ha
una sofferenza relazionale talmente elevata da comportare la separazione definitiva del bambino dalla famiglia
adottiva, sia prima che l’adozione sia stata legalizzata, sia successivamente.
Questa lettura, tuttavia, non prende in considerazione tutte le situazioni che, pur non esitando in una rottura, sono
caratterizzate da una grave sofferenza e dall’impossibilità da parte dei membri della famiglia di costruire quello che Cigoli
e Scabini (2000) definiscono “il patto adottivo”, ossia di riconoscersi reciprocamente come genitori e figli, e “di integrare
somiglianze e differenze in una comune appartenenza” (Scabini, Cigoli 2000). Questa situazione può verificarsi e
permanere anche quando il minore rimane all’interno del nucleo familiare.
La ricerca di Rosnati et al (2013) mostra, infatti, che nei casi di fallimento adottivo il processo di reciproco riconoscimento
e legittimazione tra genitori e figli si arresta: i figli non riescono a riconoscere i propri genitori come tali e i genitori non
riescono ad assumersi appieno la responsabilità genitoriale imputando le problematiche del figlio alla sua origine
adottiva.
Lo stesso studio evidenzia come l’adolescenza del figlio rappresenti una fase cruciale e particolarmente delicata in cui il
processo adottivo può facilmente incontrare crisi. È in questa fase, infatti, che i figli adottivi si trovano di fronte al difficile
compito di rinegoziare la propria “doppia appartenenza familiare” biologica e adottiva e di costruire la propria identità.
E’ importante sottolineare che il fallimento non coincide con la semplice crisi o con le difficoltà anche gravi che le famiglie
adottive possono incontrare; tali problematiche si possono, infatti, considerare fisiologiche in una situazione
familiare complessa come quella adottiva.
I fattori di rischio individuati dalla letteratura nazionale ed internazionale (Palacios et al., 2005; Dance e Rushton,
2005; Coakley e Berrick, 2008; Cavanna, 2003; Rosnati et al., 2013; etc.) fanno capo a tre aree tematiche principali:
caratteristiche del bambino adottato, caratteristiche della famiglia adottiva e problematiche nel lavoro degli operatori.
È importante sottolineare, quando si parla di fattori di rischio, che la presenza di determinate caratteristiche non è
sufficiente a pregiudicare l’esito di un’adozione; è fondamentale, infatti, considerare congiuntamente anche i fattori di
protezione che si combinano con essi e che possono incidere positivamente anche in situazioni in cui sono presenti
problematiche.
Più precisamente emergono tra i fattori di rischio relativi alla famiglia, la presenza di altri figli, la difficoltà ad elaborare la
propria sterilità, l’accumularsi di diversi fattori stressanti, la rigidità nei metodi educativi, l’elevato livello di istruzione
connesso
con forti
aspettative sul
rendimento
scolastico
dei
figli
e
un
elevato
impegno
professionale. Fondamentale è anche il peso di motivazioni potenzialmente a rischio come, ad esempio, l’adottare per
sostituire un figlio deceduto e il disaccordo tra i genitori sull’adozione.
Rispetto al bambino, i fattori di rischio individuati sono: un’età elevata al momento dell’adozione, problemi emotivi e
comportamentali e difficoltà nella creazione del legame di attaccamento, avere storie di abuso e maltrattamento, aver
sperimentato diverse esperienze di fallimento e molteplici collocamenti di affido preadottivo.
Per quanto riguarda il lavoro degli operatori, infine, viene segnalata la mancanza di un’adeguata formazione e
informazione delle coppie nella fase preadottiva, l’assenza di un adeguato sostegno alle famiglie dopo l’arrivo del
bambino e errori nella valutazione dell’idoneità della coppia e nell’abbinamento.
La ricerca conferma che non è un singolo fattore a causare un fallimento adottivo, ma piuttosto la somma e l’interazione
di diversi fattori di rischio relativi alla famiglia adottiva, al bambino e all’intervento professionale che determina l’esito
fallimentare dell’adozione.
Un fattore di rischio fondamentale è rappresentato dall’isolamento delle famiglie, inteso sia come carenza della rete
sociale di supporto, sia come mancanza di riferimento ai servizi ed agli operatori professionali.
Un aspetto importante evidenziato, infatti, da alcune ricerche, è il fatto che le famiglie si rivolgono ai servizi quando i
problemi sono già cronicizzati e i legami gravemente deteriorati. Questo conferma come il ruolo degli operatori e delle
reti sociali nell’accompagnamento della famiglia in tutte le fasi dell’adozione, anche oltre l’anno di affido preadottivo, sia
un aspetto preventivo fondamentale al fine di individuare precocemente i problemi e di intervenire preventivamente non
lasciando sole le famiglie.