I MUTAMENTI DELLA COMPETENZA

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I MUTAMENTI DELLA COMPETENZA
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I MUTAMENTI
DELLA COMPETENZA
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La litispendenza
In alcuni casi la competenza del giudice può essere influenzata da
determinate situazioni, in presenza delle quali si assiste a un’attribuzione
della competenza secondo criteri diversi da quelli fin qui esaminati.
La litispendenza è la situazione che si determina quando la stessa causa è
proposta (pende) davanti a giudici diversi. In tal caso si pone il problema di
stabilire quale dei due giudici debba deciderla, ossia quale dei due giudici
sia competente.
In proposito, l’art. 39, 1° comma, c.p.c., indica, come criterio risolutore, il
principio della prevenzione, in base al quale è competente il giudice adito per
primo; il giudice adito successivamente, in qualunque stato e grado del
processo, anche d’ufficio, dichiara con sentenza la litispendenza e dispone
con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo. L’omissione
dell’ordinanza di cancellazione della causa successivamente proposta rende
nulla la sentenza eventualmente pronunciata (Mandrioli).
Contro il provvedimento che dispone (o nega) la litispendenza è ammesso il
regolamento di competenza.
Nozione
Criterio della prevenzione
La prevenzione è determinata dalla notificazione dell’atto di citazione.
Invece, nei giudizi introdotti con ricorso la causa pende dal momento della notificazione
del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza (Franchi), regola espressamente
enunciata dall’art. 643, 3° comma, c.p.c., con riguardo al procedimento ingiuntivo.
Peraltro, nel processo del lavoro e nel giudizio di separazione personale dei coniugi la
domanda si intende proposta con il deposito del ricorso.
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La continenza
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Mentre, come visto al paragrafo precedente, il 1° comma dell’art. 39 c.p.c.
disciplina gli effetti della litispendenza sulla competenza applicando il
criterio della prevenzione, il 2° comma del medesimo articolo disciplina gli
NOZIONI INTRODUTTIVE E DISPOSIZIONI GENERALI
Presupposti
Conseguenze
effetti sulla competenza di quel particolare aspetto della litispendenza che è la
continenza di cause.
In generale, ricorre la continenza quando una causa contiene in sé un’altra
causa per la maggior ampiezza del petitum (cioè, del provvedimento
richiesto al giudice), ferma la coincidenza di tutti gli altri elementi (Liebman,
Franchi).
Più precisamente, si parla di continenza quando due cause:
- pendono contemporaneamente davanti a giudici diversi nel medesimo
grado (il principio della continenza non si applica fra cause pendenti in gradi
diversi: Cass. n. 5007/1998);
- hanno identici soggetti e causa petendi (la pretesa fatta valere);
- differiscono solo quantitativamente nel petitum, nel senso che la
richiesta formulata in una delle due cause ricomprende quella formulata
nell’altra.
Nel caso di continenza di cause, se il giudice preventivamente adito è
competente anche per la causa proposta successivamente, il giudice di
questa dichiara con sentenza la continenza e fissa un termine perentorio
entro il quale le parti debbono riassumere la causa davanti al primo
giudice.
Se questi non è competente anche per la causa successivamente proposta, la
dichiarazione della continenza e la fissazione del termine sono da lui
pronunciate.
Affinché la continenza operi quale di spostamento della causa da un giudice all’altro,
dunque, occorre che almeno uno dei due giudici sia competente a conoscere entrambe
le liti (se sono competenti entrambi, si concede preferenza a quello preventivamente
adito). La continenza, infatti, non modifica gli ordinari criteri di competenza, ma è un
criterio ulteriore di identificazione del giudice davanti al quale è opportuno che sia
concentrata la trattazione e la decisione dell’intera controversia, per ragioni di economia
processuale e di prevenzione di contrasto tra giudicati. Tale meccanismo comporta che il
giudice che si spoglia della causa (il giudice successivamente adito o il giudice
preventivamente adito, ove non sia competente anche per la causa proposta
successivamente), per stabilire se e davanti a quale foro debba avvenire l’assorbimento
della causa minore in quella maggiore, deve verificare l’ambito della propria e dell’altrui
competenza, non essendo sufficiente il solo riscontro della prevenzione, come avviene
invece in caso di litispendenza.
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La continenza è rilevabile d’ufficio e può essere eccepita dalle parti in ogni
stato e grado del processo.
La sentenza con la quale viene dichiarata la continenza (o la litispendenza) è
una pronuncia sulla competenza anche agli effetti della sua impugnabilità
col regolamento di competenza (art. 42 c.p.c.).
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La connessione
Nozione e
presupposti
Cause connesse proposte davanti a giudici diversi
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La connessione ricorre quando due azioni o cause hanno in comune i
soggetti (cd. connessione soggettiva) oppure il petitum o la causa petendi (cd.
connessione oggettiva).
In presenza di una ipotesi di connessione, le diverse azioni possono essere
proposte congiuntamente in un solo processo (in particolare, gli artt. 31-36
c.p.c., dei quali ci occuperemo infra, attribuiscono alla parte attrice la facoltà
di cumulare le domande connesse nello stesso processo) oppure essere
riunite successivamente.
A tale ultimo proposito, l’art. 40 c.p.c. stabilisce che se sono proposte
davanti a giudici diversi più cause le quali, per i motivi di connessione
indicati dagli artt. 31 e ss., possono essere decise in un solo processo, il
giudice fissa con sentenza alle parti un termine perentorio per la
riassunzione della causa accessoria davanti al giudice della causa principale,
e negli altri casi davanti a quello preventivamente adito.
La connessione, però, non può essere eccepita dalle parti o rilevata d’ufficio
dal giudice dopo la prima udienza di comparizione-trattazione (art. 183
c.p.c.) e la rimessione non può essere ordinata quando lo stato della causa
principale o preventivamente proposta non consente l’esauriente trattazione
e decisione delle cause connesse. Sono fatte salve, dunque, le ipotesi in cui la
trattazione congiunta non sia funzionale a una più rapida ed esauriente
definizione di queste ultime.
Se devono essere riunite più cause assoggettate a riti diversi, tutte le cause
vengono trattate col rito ordinario, a meno che una di essere risulti
regolata dal rito del lavoro, nel qual caso saranno tutte trattate con questo
rito.
Se poi si verifica concorso tra più riti speciali, le cause connesse devono
essere trattate e decise con il rito previsto per la causa in ragione della quale
viene determinata la competenza o, in subordine, col rito previsto per la
causa di maggior valore.
In caso di connessione tra cause di competenza del tribunale in
composizione monocratica e cause di competenza del collegio, il giudice
istruttore dispone la riunione e rimette le cause al collegio che pronuncia su
tutte le domande (art. 281novies c.p.c.).
Infine, i commi 6 e 7 dell’art. 40 c.p.c. disciplinano le ipotesi di
connessione con cause di competenza del giudice di pace, disponendo
l’automatica rimessione della causa trattata da quest’ultimo dinanzi al
tribunale.
NOZIONI INTRODUTTIVE E DISPOSIZIONI GENERALI
L’art. 40 c.p.c., come detto, disciplina l’ipotesi in cui le cause connesse pendano dinanzi a
giudici diversi. Qualora esse siano incardinate dinanzi allo stesso giudice, si applica l’art.
274 c.p.c. in base al quale “se più procedimenti relativi a cause connesse pendono davanti
allo stesso giudice, questi, anche d’ufficio, può disporne la riunione”.
Vediamo, ora, le ipotesi di connessione previste dagli artt. 31-36 c.p.c.
a) Connessione per accessorietà
Art. 31 c.p.c.
L’accessorietà è il rapporto tra due cause connesse, nel senso che la decisione
su una di esse (quella accessoria) dipende dalla decisione sull’altra (quella
principale), con la conseguenza che se viene respinta la domanda principale
cade anche quella accessoria.
Un esempio di accessorietà riguarda la domanda di condanna al pagamento di una somma
di denaro e la domanda di pagamento degli interessi: l’accoglimento di quest’ultima
domanda dipende da quello della domanda di condanna del debitore al pagamento della
somma dovuta.
Affinché si abbia accessorietà, tra causa principale e causa accessoria deve
sussistere identità di soggetti.
In presenza di cause accessorie, l’art. 31 c.p.c. afferma che la domanda
accessoria può essere proposta al giudice territorialmente competente per la
domanda principale, con conseguente spostamento della competenza
territoriale della causa accessoria; tuttavia, se per effetto della somma si
eccede il valore della causa principale, diventa competente il giudice
superiore per entrambe le cause (art. 10 c.p.c.).
b) Connessione per garanzia
Art. 32 c.p.c.
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La domanda di garanzia è la domanda (accessoria) con la quale una parte
chiede di essere garantita (in sostanza, esonerata dal pagamento) da un terzo
qualora, all’esito del processo e in accoglimento della domanda dell’attore o del
ricorrente (domanda principale), fosse condannata a pagare una determinata
somma o ad effettuare una determinata prestazione.
L’opportunità che la causa introdotta dalla cd. chiamata in garanzia sia
trattata insieme con la causa principale risiede nell’evidente interesse del
garantito ad ottenere una pronuncia contro il garante, contemporaneamente
all’eventuale (poiché altrimenti la garanzia non opererebbe) pronuncia
contro di lui (Mandrioli).
Prima del D.lgs. n. 51/1998, istitutivo del giudice unico di primo grado,
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l’art. 32 c.p.c. stabiliva che la connessione per garanzia produceva uno
spostamento della competenza sia territoriale sia per valore, in quanto la
domanda di garanzia poteva essere proposta al giudice competente per la
causa principale anche se eccedeva la sua competenza per valore.
Attualmente, invece, la norma citata prevede che la domanda di garanzia
può essere proposta al giudice competente per la causa principale
affinché sia decisa nello stesso processo; se, però, essa eccede la
competenza per valore del giudice adito, quest’ultimo rimette entrambe
le cause (principale e di garanzia) al giudice superiore assegnando alle
parti un termine perentorio per la riassunzione del processo. In mancanza
della riassunzione entro il termine stabilito, il processo si estingue (art.
306 c.p.c.).
Dottrina (Andrioli) e giurisprudenza (Cass. n. 11711/2002; Cass. n. 6678/1988) sono ferme
nel ritenere che la norma in esame si applichi soltanto alla garanzia propria, che ricorre
quando un terzo (garante) è tenuto a rispondere delle obbligazioni di una parte (garantito)
verso l’altra, in virtù di un rapporto sostanziale nascente da contratto (ad esempio,
fideiussione) o dalla legge (ad esempio, garanzia per evizione ex art. 1476, n. 3, c.c.). La
garanzia propria può essere ulteriormente suddivisa in garanzia propria reale (o formale) e
semplice (o personale), a seconda che il garante sia convenuto in giudizio,
rispettivamente, come detentore di un bene o come soggetto personalmente obbligato
verso l’attore.
La norma, invece, non opera in caso di garanzia impropria, nella quale il convenuto tende
a riversare le conseguenze del proprio inadempimento, o comunque le conseguenze
della lite nella quale si trova impegnato, sopra un terzo, in base ad un titolo diverso da
quello dedotto mediante la domanda principale. In sostanza, nella garanzia impropria
siamo in presenza di una pluralità di rapporti autonomi ma economicamente
interdipendenti (Satta-Punzi): si pensi, ad esempio, al vettore convenuto per la distruzione
delle cose trasportate che attribuisce la responsabilità al proprietario di altra merce
trasportata.
c) Connessione per l’oggetto o per il titolo
Art. 33 c.p.c.
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Tale ipotesi sussiste quando cause proposte contro più soggetti sono
connesse per l’oggetto (lo stesso bene viene richiesto nei confronti di più
persone: ad esempio, la consegna di un bene mobile) o per il titolo (il fatto
costitutivo delle diverse domande contro le diverse persone è unico: ad
esempio, l’obbligazione solidale ex art. 1314 c.c.). In tal caso, ai sensi
dell’art. 33 c.p.c., le cause contro più persone che, a norma degli artt. 18 e
19 c.p.c., dovrebbero essere proposte davanti a giudici diversi, possono
essere proposte davanti al giudice del luogo di residenza o domicilio di una
di esse, per essere decise nello stesso processo.
NOZIONI INTRODUTTIVE E DISPOSIZIONI GENERALI
d) Connessione per pregiudizialità
Art. 34 c.p.c.
La pregiudizialità è quel rapporto tra questioni, una delle quali (questione
pregiudiziale) rappresenta un passaggio obbligato nell’iter logico-giuridico che
conduce alla decisione della questione principale del processo, ossia della
domanda principale.
Quando si parla di questione pregiudiziale, quindi, si fa riferimento a una
questione processuale la cui soluzione costituisce una tappa necessaria per
decidere la lite.
Vi rientrano, da un lato, le questioni di rito, cioè le questioni di giurisdizione
e di competenza, quelle attinenti alla capacità e legittimazione processuale
(art. 75 c.p.c.) e quelle relative alla validità e alla regolarità della domanda
(art. 164 c.p.c.); dall’altro, le questioni di merito, introdotte da contestazioni
(art. 112 c.p.c.) il cui accoglimento rende inutile la prosecuzione del
processo (art. 187 c.p.c.).
Ai sensi dell’art. 34 c.p.c., quando, per legge o per esplicita domanda di una
delle parti, è necessario decidere con efficacia di giudicato una questione
pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un
giudice superiore, il giudice rimette entrambe le cause a quest’ultimo,
assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa
davanti a lui. Se, invece, il giudice della prima causa è competente anche per
la seconda, le trattiene entrambe.
e) Connessione per compensazione
Art. 35 c.p.c.
La compensazione è un modo di estinzione dell’obbligazione diverso
dall’adempimento, e si verifica (art. 1241 c.c.) quando i debiti di due soggetti,
obbligati l’uno verso l’altro, si estinguono per la quantità corrispondente.
È bene ricordare che, secondo il codice civile, affinché sia applicabile la compensazione, i
crediti devono essere omogenei, liquidi ed esigibili, anche se l’art. 1243, 2° comma, c.c.,
ammette la compensazione tra un credito liquido e un credito di facile e pronta
liquidazione (compensazione giudiziale).
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La compensazione deve essere opposta dalla parte, poiché il giudice non
può rilevarla d’ufficio. Nel rito del lavoro la compensazione va proposta, a
pena di decadenza, nella memoria difensiva di primo grado, a norma
dell’art. 416, 2° comma, c.p.c. (Cass. n. 3908/1983).
Ciò precisato, le ipotesi prospettabili sono le seguenti:
- se il convenuto oppone in compensazione un credito che è contestato ed
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eccedente la competenza per valore del giudice adito, quest’ultimo, se la
domanda è fondata su titolo non controverso o facilmente accertabile, può
decidere su di essa e rimettere le parti al giudice competente per la decisione
relativa all’eccezione di compensazione, subordinando eventualmente
l’esecuzione della sentenza alla prestazione di una cauzione;
- se, invece, il credito opposto in compensazione è contestato e non eccede
la competenza per valore del giudice adìto, questi può conoscere del credito
e dichiarare, in tutto o in parte, la compensazione;
- se, infine, il credito opposto in compensazione è riconosciuto in giudizio,
si procede alla compensazione fino alla concorrenza con il credito oggetto
della domanda.
f) Connessione per riconvenzione
Ricorre l’ipotesi della domanda riconvenzionale quando il convenuto,
traendo occasione dalla domanda proposta dall’attore, propone una
controdomanda con la quale non si limita a chiedere il rigetto della domanda
dallo stesso attore proposta ma chiede un provvedimento positivo sfavorevole
all’attore che va oltre il rigetto della domanda principale, ovvero un
accertamento della sua pretesa con effetti di giudicato.
Resta, invece, nell’ambito dell’eccezione riconvenzionale l’istanza del
convenuto diretta a far valere un suo diritto al solo scopo di escludere
l’efficacia giuridica dei fatti o titoli dedotti dall’attore, ossia al fine di ottenere
il rigetto della domanda.
Pertanto, l’elemento che distingue l’eccezione riconvenzionale dalla
domanda riconvenzionale non risiede nella natura del diritto fatto valere dal
convenuto ma nel fine che egli si propone, cioè nel contenuto della sua
istanza processuale:
- se il convenuto chiede il rigetto della domanda avversaria, si è in presenza
di un’eccezione;
- se tende a un risultato concreto diverso e ulteriore, consistente nella
richiesta, con effetto di giudicato, di un provvedimento giudiziale a sé
favorevole e sfavorevole alla controparte, si configura una domanda
riconvenzionale.
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Ad esempio, la compensazione (vedi lett. precedente), comportando un
ampliamento della controversia, può assumere il carattere di un’eccezione
riconvenzionale, se la deduzione del controcredito ha lo scopo di paralizzare la
pretesa avversaria, oppure di una domanda riconvenzionale, se tende a un fine più
ampio di quello della semplice difesa, mirando ad ottenere una pronuncia di
condanna nei confronti dell’altra parte.
Art. 36 c.p.c.
NOZIONI INTRODUTTIVE E DISPOSIZIONI GENERALI
Ai sensi dell’art. 36 c.p.c., la domanda riconvenzionale è ammissibile
qualora dipenda “dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che
già appartiene alla causa come mezzo di eccezione”. Tale relazione di
dipendenza, che comporta la trattazione simultanea delle cause deve essere
intesa come comunanza della situazione o del rapporto giuridico dal quale
traggono fondamento le contrapposte pretese delle parti. Pertanto, la
domanda riconvenzionale (a meno che non comporti uno spostamento di
competenza) è ammissibile, nell’ambito dello stesso processo, anche nel caso
in cui dipenda da un titolo diverso da quello posto a fondamento della
domanda dell’attore, purché sussista l’unicità della situazione giuridica.
L’art. 36 c.p.c., inoltre, dispone che il giudice della causa principale è
competente a conoscere la causa riconvenzionale purché non ecceda la sua
competenza per valore o per materia, per cui la domanda riconvenzionale
subisce uno spostamento di competenza territoriale. Se, invece, la domanda
riconvenzionale supera la competenza del giudice della causa principale,
quest’ultimo può scegliere tra la separazione delle cause (con rimessione al
giudice superiore della sola riconvenzionale) e la remissione di entrambe al
giudice superiore, secondo un apprezzamento discrezionale.
Mentre nel processo civile ordinario per proporre una domanda riconvenzionale è
sufficiente inserirla nella comparsa di risposta e costituirsi nei termini, nel processo del
lavoro, ai sensi degli artt. 416 e ss. c.p.c.:
- la domanda riconvenzionale dev’essere proposta, a pena di decadenza, nella memoria
difensiva del convenuto e dev’essere accompagnata dalla richiesta di una nuova data per
l’udienza di discussione. L’inosservanza dell’onere, posto dall’art. 418 c.p.c., di chiedere la
fissazione di una nuova udienza, comporta la decadenza dalla riconvenzionale e
l’inammissibilità di questa;
- la comparsa di risposta contenente la domanda riconvenzionale dev’essere, oltre che
depositata in cancelleria, notificata all’attore costituito, a cura della cancelleria, entro dieci
giorni dall’emissione del nuovo provvedimento. In caso di inosservanza del termine, il
giudice dispone la rinnovazione della notifica della memoria e del decreto di fissazione
della nuova udienza
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sai rispondere?
1. Cosa si intende per litispendenza?
2. Quali sono le conseguenze della continenza di cause?
3. Quando sussiste connessione di cause?
4. Cosa prevede l’art. 40 c.p.c. per l’ipotesi in cui siano proposte davanti a
giudici diversi più cause le quali, per motivi di connessione, possono essere
decise in un solo processo?
5. Cosa prevede l’art. 40 c.p.c. per l’ipotesi in cui debbano essere riunite per
connessione più cause assoggettate a riti diversi?
6. In quali casi sussiste una connessione per accessorietà?
7. In che modo il D.lgs. n. 51/1998, istitutivo del giudice unico di primo
grado, è intervenuto sull’art. 32 c.p.c. in materia di connessione per
garanzia?
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