el` egitto rimosse la strage

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el` egitto rimosse la strage
mercol edì , 20 ottobre, 2004
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E L' EGITTO RIMOSSE LA STRAGE
Di si nformazi one
Al l am Magdi
La parola d' ordine è insabbiare. Nell' Egitto dei deserti conquistato alla vita dal
dono del Nilo, è come se fosse calato il sipario sulla strage di Taba del 7 ottobre
scorso. Probabilmente non conosceremo la verità sull' atroce morte di Jessica e
Sabrina Rinaudo, massacrate insieme ad altre 29 persone dall' esplosione di un'
autobomba che ha dilaniato l' hotel Hilton. E' questo l' approdo di una gestione
pilotata della crisi tesa a relativizzare la minaccia del terrorismo internazionale, a
sospendere la valutazione delle indagini sull' attentato, a erigere una cortina
fumogena alludendo a un complotto del Mossad nonostante 13 fra le vittime
siano israeliane. Déjà- vu. Un copione simile a quello messo in atto nella sciagura
del Boeing 737 della compagnia privata egiziana Flash Airlines, precipitato in
mare poco dopo il decollo da Sharm el- Sheikh il 3 gennaio scorso con 148
persone a bordo, di cui 133 francesi. Nessun superstite. Ebbene, a distanza di
nove mesi, il 13 ottobre, il capo della commissione d' indagine, Shaker Kelada,
ha ammesso che sulla tragedia c' è tuttora il buio totale: «E' assai prematuro
dire che si sia trattato di un errore umano, perché le indagini sono ancora in
corso». Siamo di fronte a una campagna di disinformazione che ha solide radici
tra i regimi arabi. Basti pensare che all' indomani dell' attentato, rivendicato da
Al Qaeda, contro cinque tecnici americani e britannici a Yanbu lo scorso primo
maggio, il principe ereditario saudita Abdallah arrivò a sostenere che «dietro alle
azioni terroristiche nel nostro Regno c' è il sionismo...ne sono sicuro al 95 per
cento». E' un dato di fatto che due settimane dopo la strage di Taba è
scomparso qualsiasi riferimento sui quotidiani governativi egiziani. Nemmeno
mezza parola da parte del premier Ahmad Nazif in un' intervista pubblicata ieri
su un' intera pagina del prestigioso Asharq al Awsat di proprietà saudita. Sui
settimanali egiziani si leggono solo tesi ideologiche e complottiste. October
scrive in un' editoriale che «in questo nostro mondo il terrorismo è una merce
americana ed è l' America che ha imposto la globalizzazione del terrorismo». Il
generale Mahmoud Khalaf afferma che «a beneficiare dell' attentato di Taba
sono gli Stati Uniti e Israele». Al Mussawar ritiene che i proprietari delle strutture
turistiche di Eilat, in preda a una crisi economica, avrebbero minacciato il
governo: «O bloccate la partenza degli israeliani nel Sinai, o ci penseremo noi».
In un' inchiesta l' esperto di terrorismo Mohammad Abdel Fattah si dice convinto
che l' attentato sia opera del Mossad: «Le vittime designate erano gli israeliani, i
carnefici sono anch' essi israeliani». Il punto è che stiamo parlando di stampa
governativa, i cui direttori sono designati dal governo e i cui giornalisti sono
stipendiati dallo Stato. Lo stesso presidente Mubarak, in visita a Roma il 12
ottobre, ha contribuito a alimentare il dubbio: «E' stato un attentato molto
diverso dagli altri e non possiamo ancora accusare nessuno, né Israele né gli
altri». L' idea che Israele possa aver promosso la strage è presente ai più alti
vertici del regime egiziano. Per fortuna ci sono persone di buon senso. Tra loro
spicca il direttore della tv Al Arabiya, Abdel Rahman al Rashed, che dice: «Fino a
quando gli intellettuali arabi e musulmani non si convinceranno della necessità di
combattere l' ideologia estremista, con una veste religiosa o nazionalista, non si
arresterà questo spargimento di sangue». E il commentatore Ma' amun Fendi su
Asharq al Awsat critica le tv Al Jazira e Al Arabiya per aver diffuso, senza alcun
filtro, dichiarazioni di spettatori che accusavano esplicitamente Israele: «Dopo
queste assurdità, le reti satellitari sono da considerare una prova del progresso o
dell' arretratezza degli arabi?». E' del tutto evidente che l' obiettivo
fondamentale dell' Egitto è scongiurare la perdita dei vitali proventi dell'
industria turistica. Ma è anche chiaro che il terrorismo non lo si risolve
seppellendo la testa sotto la sabbia, ingannando la propria opinione pubblica a
cui si danno in pasto dei teoremi deliranti, sperando di regolare i conti con i
nemici interni lontano dalle telecamere, scommettendo sulla necessità dell'
Occidente di tenere in vita dei regimi comunque preferibili ad Al Qaeda. La
proposta di Mubarak di convocare una conferenza internazionale sul terrorismo è
più che mai opportuna. Ma a condizione che la lotta al terrorismo avvenga
incondizionatamente, senza paraocchi ideologici e farneticazioni demagogiche.
Magdi Allam www.corriere.it/allam
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