Il ladro di sogni - Maddalena Lintas [file]

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Il ladro di sogni - Maddalena Lintas [file]
IL LADRO DI SOGNI
DI MADDALENA LINTAS
“No! Ma allora è vero!” pensai. Insomma, da qualche tempo non si parlava che delle
sparizioni di materiale dai laboratori di Sardegna Ricerche. Ma che ora fosse sparito anche un
ricercatore! La voce aveva iniziato a serpeggiare dal giorno prima, ed ora il messaggio in
mailing list era chiaro. Quell’ “urge la collaborazione di tutti” era un invito a nozze… ok mi
mancavano 5 esami e la tesi per laurearmi in Ingegneria Elettronica, per non parlare di quello
stage al CRS4 che mi aveva condotto a Polaris 2 mesi fa, ma questa mission impossible non
mi avrebbe portato via tanto tempo e poi… capita una volta nella vita! Era un’occasione da
prendere al volo.
Mi concessi un attimo di riflessione. Solo o in compagnia? Se in compagnia… di chi? La chat
sempre aperta su Skype con il mio migliore amico Nicola mi diede l’ovvio suggerimento: era
fortissimo, un po’ imbranato ma, in queste situazioni, l’esperienza insegna che sono i
migliori. Digitai senza pensare:
– Nico, pausa? –
– Di nuovo? –
– Dai ti devo parlare, muoviti! –
In 2 minuti eravamo al piano terra davanti ai distributori automatici a prendere il secondo
caffè in un’ora. Gliene parlai. Mi guardò come se davanti a lui fosse apparso un extraterrestre.
«Sandro, ma sei scemo? Non credi che ci siano persone più esperte per un simile lavoro? E
poi scusa,…»
«Va bene, faccio da solo» lo interruppi, ma mentre lo dicevo osservai le sue braccia crollare
lungo i fianchi, segno inequivocabile di sconfitta e rassegnazione.
«Ok! Ok! Meno male che mi dovevi aiutare per l’esame…»
Non risposi, anche perché era una frase che ormai ripeteva spesso… quasi che il suo destino
fosse ineluttabilmente collegato al mio tramite quell’esame.
Lo rassicurai: «Non dobbiamo andare con la pistola in pugno e, meno che meno, la notte con
la Maglite! Si tratta di indagare durante il giorno sul comportamento dei frequentatori di
Polaris…»
«Ma va’? Senti, a Natale quest’anno Nicholas Sparks! A te leggere Patricia Cornwell non ti fa
bene!»
La mattina dopo, alle 8.30, trovai Nicola al distributore vicino alla facoltà, nella sua Fiesta
amaranto con più di tre lustri: la “vecchia fedele”, come diceva lui. Al ponte della Scaffa, da
cui imboccavamo la strada per Pula, l’aria fresca finì di svegliarci, più di quanto avesse fatto
il caffè. Il percorso era lungo e, peggio, a 50Km/h, anche se non so se la “vecchia fedele”
avrebbe potuto fare di meglio... La musica dell’autoradio era peggiore dell’odore delle
ciminiere di Sarroch ma non dissi nulla. Svoltammo al bivio di Is Molas: ogni volta mi
sorprendeva la pace di quella chiesa moderna ma la tempo stesso lontana dalla freddezza del
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cemento armato di alcune parrocchie cittadine. La stradina tortuosa sembrava farsi strada fra
gli oleandri in fiore di vari colori e, dopo l’enorme struttura alberghiera, la natura sembrava
prendere il sopravvento. Superato un piccolo ponticello, un edificio grigio a V formava un
bivio davanti al visitatore. Prendemmo a sinistra. Piscinamanna era una vallata di pini
meravigliosa: la strada non era asfaltata ma composta da una graniglia di pietrine con
muriccioli bassi e si snodava nel cuore della natura brulla. Gli edifici enormi erano tutti
lontani uno dall’altro e sembravano emergere dal fianco della collina. Un enorme numero
marrone alto circa 3 metri indicava in quale edificio ci si trovava. Quelle tapparelle esterne in
legno chiaro davano un aspetto “vivo” alla struttura.
Parcheggiammo davanti all’edificio 2 perché come stagisti non ci era permesso di entrarvi.
Per noi era comunque bello mettere l’auto fra gli alberi.
«Sandro, sei sveglio?»
«Sì, Nicola, scusa. Stavo pensando a questa brutta storia… insomma un conto è che sparisca
del materiale, un conto è che sparisca un ricercatore! Credi che possa essere stato ucciso? … e
perché poi? E se…»
«Se mi fai parlare… non ci credo.» e dopo un attimo «Secondo me non è morto.»
«Sono d’accordo, anche a me non quadra. E se fosse una specie di rapimento da parte di un
gruppetto di bulli a potenziale cerebrale zero? Che l’abbiano preso e messo da qualche
parte?»
«E dove?»
«E chi? Ci vorrebbe un profilo psicologico di queste persone…»
«Esci dal libro, siamo a Polaris non in Virginia! Piuttosto, fammi rivedere la foto.»
Andrea L.: giovane, media statura, robusto, capelli castano scuro, occhi intensi, carnagione
olivastra. Segni particolari nessuno.
Passeggiammo nel bosco, dove si snodava anche un percorso vita che a dire il vero non ci era
mai parso molto frequentato e alla luce di questa storia faceva anche un po’ paura.
«Nico, ricordi quando sono andato alla Conferenza a Lisbona?»
«Una ne hai fatto… non è che si può sbagliare!»
«Insomma, nella tratta Lisbona-Milano nel sedile accanto al mio c’era un ragazzo che
dormicchiava con la testa appoggiata al finestrino. Dopo mezz’oretta di sonno si è svegliato
all’improvviso e ha cominciato a rovistare tra le sue cose, ha sfilato un block notes dalla borsa
e ha preso a disegnare. I tratti perfetti parevano uscire come per incanto dalla sua matita e si
materializzavano rapidamente. Io seguivo con la coda dell’occhio, ammirato per tanta bravura
quando… Un brivido mi ha attraversato la schiena. Disegnava delle sedie con la spalliera alta
e sottile e sulle sedie, legate punto vita e caviglie, delle giovani, bellissime donne. Nel giro di
pochi minuti ne aveva disegnate tre, tutte diverse, tutte giovani, belle, perfette nella forma e
nei lineamenti ma… era inquietante! Gli ho detto: “Disegni molto bene. Studi grafica?”, e lui:
“Sono iscritto all’ultimo anno di Architettura e amo molto disegnare in chiaro-scuro e…
l’horror è la mia passione”.
Non capisci?»
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Guardai Nicola: non capiva.
«Una persona come questa potrebbe voler provare emozioni forti… ma non uccidere. Non
credo che questo Andrea L. sia morto, penso piuttosto che possa essere vittima di qualche
gioco pesante.»
Mi accorsi che entrambi avevamo preso a guardarci le spalle mentre ci incamminavamo verso
il laboratorio.
Decidemmo di perlustrare tutti gli ambienti e scattare delle foto. La fotocamera da 5MP del
nuovo cellulare di Nicola ci permetteva di non dare troppo nell’occhio. Non sapevamo
minimamente cosa cercare e quindi ci muovevamo a caso, concentrando gli sforzi nelle ore di
minor attività, a cavallo della pausa pranzo e in chiusura. Ricercatori, stagisti, consulenti e chi
più ne ha più ne metta. Erano tanti, troppi, e quelli che cercavamo potevano anche non essere
ricercatori, sempre ammesso che la nostra idea non fosse completamente sbagliata. Dovevamo
trovare qualcuno che ci colpisse per qualche atteggiamento, diciamo, anomalo. Ci rendemmo
conto che in realtà forse eravamo noi a dare nell’occhio con quel nostro fare sospetto, io
davanti e Nicola dietro per le foto. Non si avvertiva un gran movimento nei laboratori ma,
nonostante ciò, ogni più piccolo scricchiolio di porta ci faceva tremare. Era un’emozione
senza pari.
Era trascorsa una settimana e nulla appariva all’orizzonte. Ogni giorno scaricavamo le foto
nel mio PC per stampare le più significative. Restava da decidere dove sistemarle per poterle
studiare bene. Il pensiero di una scatola di puntine da disegno e di un armadio fece inorridire
Nicola e il suo “no, per carità, mi cacciano di casa!” aveva un non so che di convincente.
«Scotch? » Il risultato fu molto soddisfacente e, bisogna dire, d’effetto. Quel pannello così
colorato e variegato dava alla nostra ricerca l’aspetto di un vero lavoro di intelligence.
Per l’ennesima volta analizzammo tutte le foto delle persone che avevamo visto, basandoci
sul comportamento e sugli atteggiamenti che i soggetti assumevano nelle varie situazioni.
Tutti ci erano parsi “puliti”, tutti tranne uno. Un giovane di aspetto fragile ma con una
vivacità nello sguardo che denotava un’intelligenza superiore. I capelli ricci e folti lo
facevano apparire un giovanissimo Einstein e così lo soprannominammo. Le mani poi…
quelle dita lunghe e affusolate le avresti viste sulla tastiera di un pianoforte piuttosto che su
quella di un computer. Si muoveva nei laboratori come se fossero il suo regno, smanettava
sugli strumenti come un grande esperto e con un’attenzione da vero amatore. I laboratori
diventavano importanti e si riempivano della sua presenza. Avevamo una serie di scatti che lo
riproducevano nelle varie fasi del suo lavoro e sempre ci sentivamo attratti da questa forte
personalità che pareva uscire dalle foto. Avemmo modo di studiare i tempi che lui trascorreva
nei laboratori e notammo che la sua frequentazione era assidua ma circoscritta ad orari di
scarsa affluenza sia del personale che degli ospiti. Poteva essere lui il ladro e avere a che fare
anche con la sparizione di Andrea L..
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Un giorno che ci trattenemmo più del solito fummo colpiti da qualche movimento strano. Due
ragazzi che parlavano fitto fitto di “posto sicuro”. Li avevamo visti nelle nostre foto e la loro
presenza in concomitanza con il nostro Einstein ci fece pensare ad un collegamento.
Decidemmo di seguirli. Il mistero si infittiva.
Sparirono alla nostra vista in men che non si dica. Dov’erano andati? C’era qualche locale
segreto che ancora non avevamo trovato? Il pensiero della sedia e delle ragazze legate non
riusciva più ad abbandonarmi. Era chiaro che dovevamo fare di più e meglio. Avevamo
perlustrato qualche zona off limits, sempre scattando un bel po’ di foto, ma senza risultato
alcuno. Io restavo sempre della convinzione che tutto fosse un gioco di pessimo gusto mentre
Nicola sembrava accettare passivamente questa mia idea.
L’indomani i lampeggianti dei carabinieri ci sbarrarono l’accesso all’edificio 1. Avevano
trovato il cadavere di un ricercatore spagnolo in un ufficio: aveva battuto la testa contro lo
spigolo della scrivania ma si parlava della possibilità che fosse stato spinto, vista la violenza
del colpo. Pareva che fosse morto intorno alle 20. A quell’ora solo pochi si trattenevano
ancora un po’ a lavorare. Se questo avesse avuto a che fare con Andrea L.?
Rientrammo a casa di Nicola sfiniti; ci lasciammo sprofondare nelle poltrone con lo sguardo
rivolto alle foto appese al muro quando… un urlo di Nicola mi raggelò.
A onor del vero, da un po’ di tempo a questa parte, ogni minima variazione di tono ci
raggelava.
«Dio che spavento! Mi farai venire l’infarto. Lo sai che le malattie cardiologiche uccidono più
del cancro?»
«Ok! Non rifilarmi anche le percentuali o altro perché, se il tuo cervello sta fumando, il mio è
già fuso.»
«E allora?»
«E allora, chi è quello lì?»
Spostai lo sguardo da Nicola alle foto: avevamo una foto che riproduceva Andrea L. in
laboratorio.
Eravamo gasatissimi. Un rapido controllo ci disse che la foto era di due giorni prima dunque
non era morto, né poteva essere stato rapito, considerato che veniva ancora dato per
scomparso. A che gioco stava giocando? In che relazione era con il nostro Einstein e i due tizi
che seguivamo?
Il giorno dopo eravamo di nuovo lì. Decidemmo di separarci e perlustrammo angolo per
angolo tutta Polaris. L’avremmo trovato. Cosa ci faceva un soggetto così in una struttura
come Polaris, ricca di sapere, di ricercatori pieni di entusiasmo, aperta a tutto il mondo
scientifico?
«Nico, stavo pensando: invece di girare nei locali e fotografare, facciamo in modo di inserirci
nel gruppo fingendo interesse per il loro lavoro. Le competenze, seppure generiche, le
abbiamo. Non perdiamo di vista Einstein, il cui comportamento non mi ha mai convinto. E’
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sempre ovunque a frugare e smanettare e non mi pare di Sardegna Ricerche: ha un fare troppo
circospetto. Secondo me è coinvolto. Che te ne pare?»
Silenzio.
«Dai, iniziamo. Ho visto che i due lasciano spesso il cellulare incustodito e hanno sempre in
mano il lettore mp3. Potresti cercare qualche informazione nei telefonini. Magari io faccio il
palo.»
«Ma Sandro, sei fuori di testa?»
«Se ti vedono usa la tua migliore espressione di cretino, e meravigliati. Quando vuoi, lo sai
fare bene… il cretino, dico! »
«Grazie, troppo gentile!»
«Se senti dei passi, ti tuffi dietro una scrivania, io ti faccio uno squillo e tu, candido come una
colomba: “ho trovato un cellulare, di chi è?”»
«E’ l’ultima cosa, poi basta. Giuro!»
La tattica risultò vincente. I due tipi che seguivamo, dei quali poco ancora sapevamo,
giravano troppo negli uffici vuoti ed entravano nei PC dei ricercatori. Il lettore mp3 veniva
evidentemente usato per salvare file, non per sentire musica. Spesso scrivevano proprio a
questo Andrea L. ma i messaggi non erano chiari. Nicola però ne notò uno: “Questo non ci
riesco proprio.” Era strano: “questo” cosa? Non sapevano entrare in un PC per sabotarlo?
Prendere dati?
Una cosa almeno era chiara: altro che povero Andrea L. con visioni di donne legate e
rapimenti di bulli in cerca di emozioni forti! C’era dentro fino al collo. Non mi era chiaro il
ruolo di Einstein ma il tipo mi incuteva meno terrore. Decisi di seguirlo. Era molto più
sospettoso degli altri e decisamente più intelligente. Non lasciava mai la roba incustodita se
non per pochi secondi: l’avrei trattenuto mentre Nicola si dava da fare a frugare un po’.
Quando ci capitò l’occasione, la cosa fu meno facile del previsto.
Era tardi e il posto quasi deserto. Vedemmo Einstein che sia allontanava con il suo blocco
sotto il braccio e la borsa a tracolla. Era furbo e capì che lo stavamo seguendo. Affrettò il
passo: si stava addentrando in una zona dove non andava spesso, lo si capiva da come
guardava in giro un po’ disorientato. Io dietro, Nicola al seguito.
Entrò in una stanza e senza pensare mi precipitai dietro. C’era un rumore che richiamava le
ventole delle workstation e un po’ di caldo… o forse ero io che sudavo freddo. Girai dietro un
paravento: uno scheletro sanguinolento galleggiava a mezz’aria, surrealmente sospeso nel
nulla e decisamente grande. Non riuscii a reprimere un gemito e, prima di rendermi conto che
eravamo nel laboratorio di visualizzazione 3D con lo schermo olografico, Einstein mi sfilò
davanti di corsa. Ebbi una reazione istintiva, animale: con un piede tirai il filo di una lampada
che attraversava la stanza nel momento in cui Einstein ci passava sopra e quella fragile
resistenza fu sufficiente a fargli perdere l’equilibrio. Per non farsi male lasciò andare il blocco
che aveva sotto braccio e questo scivolò lontano, troppo lontano da lui. Era terrorizzato e
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fuggendo via andò a sbattere contro Nicola che stava entrando di corsa nella sala, poi si
dileguò.
«Lascialo Nico!»
«Non preoccuparti!... Senti, basta così! Io…»
«Abbiamo il suo quaderno!»
L’espressione di Nicola era un misto di stupore e disappunto.
«Nico, guarda qua.»
Einstein si chiamava in realtà Giorgio C., ed era un imbucato che utilizzava il materiale che
gli serviva per i suoi esperimenti e lo faceva con una cura estrema. Einstein era uno che
sognava di vivere in mezzo all’elettronica e la fisica e di offrire al mondo intero la sua ricerca.
«Una macchina per chiudere il buco dell’ozono?»
«Sì, vedi? Una specie di ionizzatore.»
«Ma dai Sandro è fantascienza!»
Cavoli, o era un invasato o era un genio o forse entrambi. Era già in grado di dimostrare
parzialmente i frutti della sua ricerca, lontana, ancora molto lontana dalla realizzazione
pratica, forse addirittura impossibile ma talmente carica di ingegno e inventiva da lasciare
senza fiato.
«Sandro, guarda! Una lista di componenti. Alcuni spuntati e altri no. Scommetto che c’è una
relazione uno a uno con i furti di materiale.»
«Bene, abbiamo trovato il ladro. Ma secondo me non ha niente a che vedere con questa
storia.»
«Sono d’accordo e penso che i nostri due “amici” volessero addossare a Giorgio le colpe di
quello che stavano facendo loro.»
«Sttt. Hai sentito?»
«No»
«Ma io sì»
«Sandro, sono in tachicardia… tra un po’ svengo!»
«Zitto, c’è qualcuno di là. Io vado a vedere, tu chiama i Carabinieri ma non farti sentire.»
«E che dico? “Sapete, siamo a Polaris, da soli, non c’è nessuno se non il mio amico che sta
cercando un assassino”?»
«Sttt!»
Saltai dall’altra parte del tavolo e camminai cercando di non far scricchiolare le mie scarpe
nuove sul linoleum. Mi avvicinai ad una stanza dalla quale usciva una lama di luce. Dalle voci
riconobbi i due “amici” che parlavano al telefono. “Sì Andrea, nella stanza del prototipatore.
Non ci siamo riusciti.” “No, quell’idiota di Giorgio è andato via di corsa proprio in questo
momento, l’abbiamo visto uscire. Siamo soli, a parte la guardia” e, dopo una pausa: “Ti
raggiungiamo all’edificio 2 o andiamo via?”, “Ok”.
Cavoli, che voleva dire ok? Sì o no?
«Nico, vado al prototipatore. Raggiungimi!»
«Scordatelo!»
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La notte la stradina era spettrale, mi sembrava di essere sul set di Jurassic Park. Non avevo
pensato a quanto sarebbe stato distante l’edificio 2 e non potevo correre nella stradina o mi
avrebbero visto. Accidenti, non avevo più fiato. Salii di corsa le scale esterne. Una rampa e
poi un’altra: dalla terrazza non si vedeva nulla. Infilai una porta laterale. Caspita, non
ricordavo dov’era il prototipatore e a quell’ora era sicuramente spento ma ricordavo un odore
strano prodotto dal materiale che squagliava quando entrava in funzione: stavo andando “a
naso”, in tutti i sensi. Sentivo il battito del cuore accelerare. Un velo di sudore mi copriva la
fronte. Un corridoio, una porta tagliafuoco, poi un’altra. Il sudore mi scendeva in tutto il
corpo. Il triste della situazione era che non sapevo cosa avrei fatto una volta lì. Non ebbi
bisogno di pensarci perché mi ritrovai di fronte alla stanza che cercavo. Sentivo battere
velocemente sulla tastiera e girare l’unità CD.
«Ciao Andrea L., felice di vederti vivo.»
Mi squadrò velocemente. Non se l’aspettava.
«Accidenti a quei due cretini. E tu chi sei?»
«Che ci fai qui?»
«Stai attento perché fare troppe domande è pericoloso in questo periodo. Potresti cadere e farti
male.»
Il cuore mi stava uscendo dalla gola. Era lui che aveva organizzato tutto e ucciso lo spagnolo
che sicuramente l’aveva scoperto.
«Che ci fai qui?», ripetei.
«Per entrare in questa macchina devo spianare la password di root. Non è un problema ma se
ne accorgeranno per cui domani non potrò più essere qui. Nessuno saprà mai nulla perché tu
non potrai raccontarlo. Nel PC non mancherà nulla e io del resto, sono già sparito da un pezzo
per tutti!»
«Rubi i dati per rivenderli?»
«No, per me. Domani parto negli States. Giro largo, ovviamente, niente tracce in aeroporto.
Qui non si campa, e il mio curriculum è mediocre. Ma fra tutta Sardegna Ricerche un po’ di
roba si mette su… basterà. Questo però mi serviva proprio.»
«Stai rubando la ricerca altrui? Che razza di ricercatore sei?»
«Senti, c’è chi ricerca per la gloria e chi per il successo, e non sono la stessa cosa. Qui sono
un mediocre, fuori mi presenterò bene, ho già un contatto e tanto basta. E adesso ho finito. Mi
dispiace per te, ma dovresti sapere che a quest’ora i bravi ragazzi vanno a nanna o si mettono
nei guai.»
Mi voltai e corsi giù per le scale, cercando di non perdere il mio Sony-Ericsson con il
registratore vocale acceso. Mi era venuto in mente mentre arrivavo di corsa. Andrea era
dietro, lo sentivo pesante nelle sue scarpe in pelle mentre le mie running cigolavano veloci.
Infilai una porta e mi trovai in garage. Spettrale di giorno, figuriamoci di notte. Corsi giù a
rotta di collo, Andrea sempre dietro.
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Sì! Un maniglione antipanico e riconquistai l’aria aperta. I fari accesi erano della “vecchia
fedele”!
«Nicooo!»
«Sali!»
Ingranò la prima e partì proprio mentre un rumore di sirene ci veniva incontro rassicurante.
Era fatta!
Andrea L. e i suoi amici, che per quattro soldi si erano prestati a questo gioco, avevano
seminato dolore, solo tanto dolore. Giorgio C. no, lui sì che valeva e non doveva entrare in
questa storia. Ci scambiammo un’occhiata con Nicola: non avremo fatto il suo nome. Quanto
a quei tre avrebbero avuto quel che meritavano. Le cose effimere durano poco, un battito d’ali
e via tutto. Tristemente lasciavano sul loro cammino solo brandelli di cuore e tante macerie.
FINE
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