Un romanzo meticcio, con caratteristiche

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Un romanzo meticcio, con caratteristiche
Dave Eggers
L’URAGANO KATRINA E LA PARANOIA LIBERTICIDA DEL PRESIDENTE BUSH
“Zeitoun” è un libro a metà strada tra la cronaca giornalistica e il romanzo, che narra
la storia vera di un siro-americano che si reca come volontario a New Orleans,
sommersa dalle acque, per portare soccorso, e finisce arrestato e sospettato persino di
terrorismo, in un clima allucinato e allucinante dove la sola risposta alla catastrofe
della città che sembra capace di dare l’amministrazione repubblicana, è quella di
creare un clima di guerra con migliaia di soldati, poliziotti, ‘contractors’ e mercenari
vari, impegnati a riportare l’ordine ‘ad ogni costo’. È un’America ancora da Far West
e il finale ottimismo di impronta ‘obamiana’ convince poco.
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di Massimo Giannotta
Dalla penna di Dave Eggers, scrittore americano impegnato nella difesa dei diritti umani nel mondo,
questo libro – Zeitoun, Mondadori, Milano, 2010, trad. M. Colombo, pp. 312 , € 17,50 – che, nel
suo stile a metà strada tra la cronaca giornalistica e il romanzo, narra una storia vera, nella cornice
della catastrofe provocata dall’uragano Katrina, che nel 2005 ha messo in ginocchio New Orleans.
È la storia di Abdulrahman Zeitoun, un siro-americano trapiantato e integrato con successo negli
Stati Uniti, che dopo aver mandato al sicuro la sua famiglia, decide di restare nella città minacciata
dalla tempesta. Così, lo troviamo nella spettrale New Orleans devastata da Katrina, per proteggere
le proprie cose e, segretamente e generosamente, per cercare di dare una mano dopo l’aggravarsi
della drammatica emergenza con l’allagamento della città per la rottura degli argini del lago
Pontchartrain, il 30 agosto.
Lo scrittore, senza alcuna enfasi, con la pacatezza e la semplicità di un diario, descrive la figura di
un uomo che con una fragile canoa si aggira per le vie deserte invase dall’acqua della città,
cercando di portare aiuto come può. Zeitoun che viene descritto mentre aiuta persone in difficoltà,
oppure che si preoccupa di portare da mangiare e da bere ai cani abbandonati, diventa una figura
fortemente emblematica a mostrare il lato solidale e umano della gente. Di contro emerge
l’incapacità di un sistema che in una situazione d’emergenza si preoccupa, col montare della
paranoia, mentre i telegiornali ‘parlano solo di anarchia e morte’ di saccheggi, stupri e omicidi, di
sguinzagliare prima di tutto i suoi sceriffi per esorcizzare le eterne paure sociali, tentando di
controllare militarmente un territorio che si teme sia diventato terra di nessuno, prima ancora di
occuparsi di organizzare un capillare sistema di soccorso.
Infatti i numeri di poliziotti, di contractors, di militari della guardia nazionale, rastrellati in tutta
l’Unione che convergono nella zona sono impressionanti, si parla di ventunmila soldati con
‘esperienza di guerra’ incaricati di “riportare l’ordine ad ogni costo”. A questi vanno aggiunti i
mercenari di almeno cinque organizzazioni diverse assoldati da privati, agenti speciale dell’FBI,
agenti della polizia di frontiera, delle Border Patrol Tactical Units, della Maritime Security and
Safety e chi più ne ha più ne metta. Tutti, naturalmente, armati fino ai denti.
Il presidente Bush, emblema vivente di questa paranoia, paragona l’uragano all’11 settembre, e
“alla guerra contro il terrorismo”, quindi inquadra il problema in termini militari, tra quelli che
dunque richiedono risposte militari. Naturalmente, dicendosi sicuro che “l’America supererà anche
questa prova, e si ritroverà ancora più forte”.
Spunta ancora il mito del far west, la semplificazione, la scorciatoia del fucile e della forca contro
un qualunque fantasmatico nemico: in mancanza di indiani, contro presunti stupratori, omicidi,
saccheggiatori, musulmani e terroristi mediorientali.
Un documento prodotto dal dipartimento della Sicurezza Interna, la cosiddetta Red cell, redatto da
Cia, marines, e dalle SNL multinazionali della sicurezza, teorizza su come il terrorismo potrebbe
approfittare perfino di una tempesta tropicale. Che sarebbe come dire che il terrorismo potrebbe
insidiosamente approfittare del cielo sereno, oppure della stagione dei saldi.
Così gli Stati Uniti sono immaginati come una fortezza assediata, alle prese con i nemici esterni e
interni, da uccidere, da distruggere senza tante storie.
Ai massimi livelli si corteggia la paura, l’intolleranza e il pregiudizio: contro un invisibile nemico.
Così, Zeitoun, segnalato da uno dei campioni di tale cosiddetta legalità, come sospetto di
saccheggio, viene arrestato il 6 settembre senza tanti complimenti assieme ad alcuni compagni e
condotto in un campo di concentramento, prontamente allestito a tempo di record: Camp
Greyhound (utilizzando una stazione della famosa rete di autobus). Lì tutto funziona puntualmente
(e brutalmente), mentre nei luoghi di raccolta dei profughi, manca perfino l’essenziale. Zeitoun
viene rinchiuso in una gabbia del campo concepito sul modello di Guantanamo, dove non gli viene
contestato alcun reato, non subisce neppure un interrogatorio né gli viene permesso di comunicare
con l’esterno, né consentita alcuna difesa.
Scopre di essere sospettato addirittura di terrorismo e, mentre corrono alla mente i fantasmi
angosciosi di Abu Ghraib, gli viene gettato tra i piedi perfino un agente provocatore.
Frattanto la moglie che segue con crescente ansia l’emergenza con il relativo stillicidio delle
vittime, dopo il suo silenzio durato molti giorni, finisce per darlo per morto.
Nel frattempo, il nostro viene trasferito in catene in un penitenziario e rinchiuso in un reparto di
massima sicurezza. Sottoposto a umilianti perquisizioni e vessazioni, non riesce a ottenere
assistenza medica né può contattare un avvocato, né soprattutto stabilire un contatto con l’esterno.
Alla fine, riesce fortunosamente a far avvertire la moglie da un cappellano del carcere. Quindi, dopo
altre mille difficoltà, alla fine, spezzato e invecchiato, dimagrito di dieci chili, viene rimesso in
libertà. Non riuscirà a recuperare che poche cose di quelle che gli erano state sequestrate, né di
ottenere alcuna condanna per arresto illegale né per i danni subiti.
Questa storia vuole essere una sommessa icona all’iniziativa umana, a una pietas che cerca le
ragioni, nella filosofia del fare e nella fede. Due istanze iscritte enfaticamente nel dna americano
Così, il musulmano, il nemico, caduta la maschera del mortale avversario, può essere scoperto come
interlocutore e compagno di strada, strizzando inoltre l’occhio al luogo comune di radice puritana,
per il quale la religiosità viene comunque vista con occhio benevolo (almeno dalla cosiddetta
sinistra liberal a cui lo stesso scrittore appartiene). Comunque viene sottolineata la concezione
ideologica della superiorità dell’iniziativa individuale, dell’autorganizzazione privata, rispetto alle
azioni collettive di sistema. Vi è anche una fievole protesta contro un’ideologia di destra che
sarebbe responsabile di certi eccessi.
Gli Stati Uniti vengono comunque, secondo il consueto luogo comune, dipinti come “paese delle
opportunità” in cui scorrono latte e miele, salvo qualche “piccola, insignificante eccezione”, che fa
dire al protagonista “in quel paese c’è qualcosa di guasto”.
Zeitoun, tornato alla vita normale, “immagina la sua città e il suo Paese, non come sono stati ma,
molto, molto migliori”. “Si può fare” (obamanamente dice). “Sì questa terra ha attraversato un
momento buio, ma adesso c’è qualcosa che somiglia a una luce”. Nonostante questo troppo
ottimista finale, il libro si fa leggere e in linea di massima si può concordare con l’opinione di
Saviano, che osserva che questo romanzo no-fiction è “scritto benissimo, in tre anni di ricerche sul
campo”. L’opinione di Saviano non ci stupisce, data la vicinanza (relativa) del metodo di lavoro dei
due scrittori, ma ci è sembrata in fondo un po’ tiepida, forse perché la vicenda mostra troppe
concessioni ai luoghi comuni da telefilm, (è rassicurante per certuni che la realtà imiti la tv) e
perché la critica che non diventa mai indignazione, finisce in un americanissimo e un po’
stiracchiato happy-end. Non manca neanche, come corollario, la notizia che i guadagni del libro
verranno versati alla costituita Zeitoun Foundation, che si occupa di “diritti umani, negli Stati Uniti
e nel mondo”.