L`appropriatezza nell`assistenza alle persone fragili

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L`appropriatezza nell`assistenza alle persone fragili
L’assistenza ospedaliera all’anziano: alla ricerca dell’appropriatezza.
Renzo Rozzini°§, Angelo Bianchetti*§
°Dipartimento di Medicina e Geriatria Fodazione Poliambulanza, Brescia
*U.O. di Medicina Interna Istituto Clinico S.Anna Gruppo S.Donato, Brescia
§Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia
In: (a cura di) Gian Franco Gensini, Paolo Rizzini, Marco Trabucchi, Francesca
Vanara: “RAPPORTO SANITÀ 2005 Invecchiamento della popolazione e servizi
sanitari”. Il Mulino 2005
L’assistenza ospedaliera all’anziano: lo scenario attuale
La trasformazione dell’organizzazione dei sistemi sanitari avvenuta in questi ultimi anni
ha drasticamente modificato anche il ruolo degli ospedali, che da luogo di ricovero
aspecifico per una serie di problematiche di disagio si vanno sempre più posizionando
come ambiti dove in un periodo breve vengono compiuti atti di cura mirati a specifici
obiettivi.
La definizione delle prospettive di sviluppo degli ospedali per acuti non è facile; molti
sono concordi nell’affermare che l’aspetto che caratterizza il futuro degli ospedali è
appunto l’incertezza. Ad esempio, le proiezioni demografiche indicano un incremento
degli ultra-85enni di circa il 20% nei prossimi venti anni, ma l’incremento potrebbe
essere anche del 50%; bisogna tener conto, d’altra parte, che l’aspetto demografico è il
più certo degli indicatori che possono guidare e condizionare la futura organizzazione
dei servizi: la pianificazione quindi può avvenire solamente in un terreno di incertezza.
La trasformazione che si è realizzata in modo non omogeneo nelle varie aree
geografiche, anche all’interno del nostro paese, non è solo conseguenza di
provvedimenti amministrativi (principalmente l’introduzione dei DRG), ma di una
evoluzione della cultura medica, del progresso della tecnologia e dello sviluppo di
sistemi di assistenza extraospedalieri.
Nel mondo occidentale il numero dei posti letto ospedalieri ha raggiunto il picco negli
anni 70, per poi ridursi successivamente; dal 2000 la tendenza alla riduzione ha subito
un significativo rallentamento. Contemporaneamente nel ultimi anni si è osservato un
incremento del numero dei ricoveri ospedalieri: il principale contributo è dovuto al
rapido incremento di quelli in regime di day hospital, mentre l’aumento dei ricoveri
ordinari è avvenuta molto più lentamente. La principale causa dell’incremento dei
ricoveri ordinari è legata all’aumento di quelli in emergenza (che avvengono mediante
pronto soccorso), che sono circa il 60% del totale. Viceversa negli ultimi anni il numero
di quelli in elezione si è progressivamente ridotto; circa il 60% dei casi elettivi viene
trattato in day hospital (Hall e DeFrances, 2003; DeFrances et Hall, 2004).
Un’altro importante fenomeno occorso negli ultimi 30 anni è stato la riduzione della
durata delle degenza media, particolarmente evidente nei pazienti anziani.
Un aspetto tipico della modificazione epidemiologica dell’utenza ospedaliera riguarda il
fenomeno della dotazione di letti dedicati ai servizi di emergenza e alla terapia
intensiva, che oggi è di circa il 2% dei letti dell’ospedale (DOH, 2000). L’area
ospedaliera della criticità è tuttora in grande trasformazione; per esempio, nelle corsie
ospedaliere è identificabile una popolazione di pazienti che non necessita di essere
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ricoverata in una unità di terapia intensiva, ma che abbisogna di cure mediche e
infermieristiche superiori rispetto a quelle fornite in un reparto medico tradizionale. Gli
ammalati richiedono infatti un monitoraggio dei parametri vitali o interventi
infermieristici ravvicinati. In questa ottica e per questa tipologia di pazienti, il livello di
cura seminintensivo (Unità di Cura Coronarica; Unità di Cura Respiratorie; Stroke Unit,
Unità di Cura Sub-Intensiva) inizia ad essere proposto quale modalità più appropriata di
utilizzo delle risorse (11-15); l’impatto di questa area sull’ “ecologia” dell’ospedale non
è a tutt’oggi prevedibile (Rozzini et al, 2003).
Il 40% circa dei ricoveri ospedalieri totali, e il 55% nella popolazione ultraottantenne,
avviene attraverso il pronto soccorso. Cinque delle 10 condizioni principali per le quali
il paziente viene ricoverato in ospedale per questa via sono correlate a malattie
cardiache; due sono rispettivamente polmonite e sepsi. Un terzo dei pazienti ha almeno
due o più comorbilità (cioè le condizioni coesistenti che non rappresentano la principale
ragione del ricovero ospedaliero) (tabella 1). Le comorbilità (ipertensione, patologia
polmonate, diabete ecc.) generalmente complicano il ricovero ospedaliero e lo rendono
più oneroso, sia in termini assistenziali che economici e la non autosufficienza, che è un
affidabile proxy di comorbilità, si associa ad un incremento significativo di giornate di
degenza (tabella 2) (Elixhauser et al, 1997; Rozzini et al, 2004).
In sintesi, di anno in anno si rileva una continua crescita della percentuale di pazienti
anziani che richiedono un’ospedalizzazione ordinaria a causa delle loro condizioni di
salute. Questo trend permette di spiegare perché gli ultra 65 enni, che rappresentano
circa il 18% della popolazione, occupino più di un terzo dei letti ospedalieri per acuti e
siano responsabili di circa il 50% dei ricoveri dal PS.
La letteratura scientifica indica che il 20% dell’occupazione dei posti letto da parte dei
pazienti anziani sarebbe clinicamente inappropriata o evitabile se disponibili strutture
alternative. L’opinione di chi scrive è che la stima dei ricoveri inappropriati degli
anziani sia sovradimensionata, perché nella maggior parte dei casi fa riferimento al
periodo precedente all’implementazione del sistema DRG e dei sistemi di
appropriatezza del ricovero ospedaliero, che ne è più o meno direttamente conseguito.
La quota dei ricoveri clinicamente inappropriati è probabilmente molto inferiore e
comunque non così rilevante da incidere sul fenomeno complessivo
dell’ospedalizzazione dell’anziano. Ci si chiede ovviamente se non esistano modalità
assistenziali alternative, più idonee e meno dispendiose delle attuali, in grado di far
fronte alla crescente domanda di cure che l’invecchiamento della popolazione pone. Le
risposte che vengono date sono diverse, ma solo in rarissimi casi esiste la dimostrazione
della maggior efficacia di un modello di cura rispetto ad un altro. Non è certo che
l’utilizzo dei letti ospedalieri da parte delle persone anziane sia condizionato dalla
disponibilità di servizi extraospedalieri (centri di riabilitazione, istituti di cure
continuative, residenze sanitarie assistenziali, ADI, ecc.); ad esempio, negli ultimi anni
in Italia a fronte di un oggettivo aumento del volume di servizi extraospedalieri, non si è
osservata una riduzione dei tassi di ospedalizzazione (7-10).
Le modificazioni epidemiologiche relative a ricoveri, durata del degenza e critical care
pongono alcuni quesiti cruciali: la riduzione del numero dei posti letto ospedalieri per
acuti ha avuto influenza negativa sulla salute dei cittadini anziani? I trend attuali relativi
ai ricoveri di emergenza e alla riduzione delle giornate di degenza media, sono destinati
a continuare? In caso affermativo, esistono rischi per la qualità delle cure? Come può
essere contenuta la percentuale di ricoveri d’emergenza, particolarmente per le fasce di
età più anziane?
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Il trend verso la riduzione dei letti riflette principalmente la riduzione della durata della
degenza e la crescente importanza dei trattamenti in day hospital. Meno importante è
stato l’aumento del tasso di occupazione dei posti letto, che pure si è registrato. D’altra
parte durante i periodi invernali si osserva una marcata difficoltà delle strutture
ospedaliere a trovare l’allocazione per i molti pazienti anziani che giungono in pronto
soccorso; si consideri a questo proposito che un’occupazione dei letti che supera l’85%
rende difficile e qualitativamente insufficiente la gestione dei ricoveri d’emergenza.
Per quanto concerne i rischi connessi con la riduzione della durata della degenza, i dati a
disposizione non indicano alcun significativo impatto negativo sulla salute del cittadino
né dell’anziano in particolare. La maggior mole degli studi è stata effettuata negli Stati
Uniti dopo l’implementazione del sistema DRG. Il nuovo sistema (DRG), che ha
drammaticamente ridotto la durata della degenza media relativamente a scompenso di
cuore, infarto del miocardio, polmonite, malattia cerebrovascolare e frattura di femore
(che sono tipiche condizioni dell’età avanzata) non ha avuto alcun impatto negativo
sulla mortalità a breve e medio termine, né sui tassi di reospedalizzazione (Kahn et al.,
1990). L’espansione dell’area dell’acuzie è la conseguenza di due condizioni, cioè la
tipologia del paziente che giunge in PS, per il quale il ricovero e clinicamente
appropriato a causa della sempre maggior severità, e il fatto che le indicazioni agli
interventi medico chirurgici si sono ampliate negli ultimi anni, come conseguenza di
una maggior (e giustificata?) aggressività terapeutica. In questo contesto non è
prevedibile, alle condizioni attuali, una riduzione degli accessi ospedalieri per questa
tipologia di pazienti che difficilmente potrebbe essere assistita in altro setting.
Oltre all’invecchiamento della popolazione che rappresenta la condizione più certa, un
fattore importante dell’evoluzione dell’organizzazione dell’ospedale è lo sviluppo
tecnologico e la conseguente capacità di incidere sulla pratica clinica. Tuttavia, se si
esclude l’incremento del day surgery, nel breve-medio termine non è previsto in ambito
medico un avanzamento tecnologico tale da modificare la richiesta di ricoveri ordinari,
specie per gli anziani. In questo ambito si colloca anche la telemedicina, che può
permettere un centralizzazione dell’expertise e una maggior vicinanza della
specializzazione al paziente. È bene tuttavia sottolineare che a tutt’oggi l’impatto della
telemedicina e delle altre innovazioni tecnologiche nel futuro dell’attività ospedaliera
non è prevedibile.
Un altro aspetto in grado di condizionare la tipologia dei ricoveri ospedalieri può essere
lo sviluppo di modelli alternativi di cura (sebbene sino ad oggi non esista un “volume”
di studi tale da permettere conclusioni definitive rispetto la loro efficacia e quindi la loro
diffusibilità). Per specifici gruppi di pazienti, generalmente con prevalente
monopatologia di gravità media, alcuni interventi alternativi all’ospedalizzazione
potrebbero produrre outcome altrettanto efficaci a costi uguali o inferiori, e potrebbero
inoltre essere preferiti dai pazienti e dai loro caregiver. Si tratta tuttavia di
considerazioni deduttive, non dimostrate.
L’impatto complessivo dei fattori descritti sull’organizzazione ospedaliera futura è
quindi molto incerto, sebbene da molti si ritenga e si operi affinché una sempre maggior
quota di servizi continui ad essere trasferita fuori dalle tradizionali corsie.
Qualcuno vede l’ospedale del futuro come un centro di alta tecnologia, di alto costo e di
interventi ad altro rischio. Una struttura che lavora come un “hub”, dal quale l’expertise
e la consulenza specialistica è disponibile per una rete di servizi più ampia, che include
un range di servizi territoriali che trattano condizioni cliniche meno gravi o di minor
rischio.
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L’anziano e l’ospedale: alla ricerca dell’appropriatezza
La trasformazione degli ospedali dovrà affrontare in modo prioritario la gestione del
paziente anziano fragile ponendosi tra i quesiti primari quello dell’appropriatezza del
ricovero ospedaliero.
Le indicazioni sino ad oggi fornite stanno nel range che va dal ricovero ad ogni costo
(l’ospedale è il luogo della diagnosi e della cura per eccellenza a tutte le età), all’esatto
opposto (per l’anziano il ricorso all’ospedale è spesso inutile, ovvero un dannoso
accanimento). La scelta razionale non è ovviamente facile e richiede di commisurare il
modello ideale (guidato da scelte di politica sanitaria) con la disponibilità reale (legato
alla possibilità concreta di attuazione dei modelli).
Da anni si discute dell’”ospedale tecnologico per acuti” come luogo dedito alla
chirurgia e alla diagnostica strumentale, nel quale i letti medici sono di numero limitato.
In questa struttura l’anziano ricoverato transita attraverso il pronto soccorso e richiede
interventi di alta intensità, sostanzialmente uguali per ogni età (ovviamente con le
dovute attenzioni geriatriche e alle altre fragilità).
L’ospedale “tecnologico per acuti” non è tuttavia una realtà diffusa e, sebbene la
maggior parte dell’organizzazione ospedaliera tenda ad esso, è pur vero che in molti
luoghi la modificazione dell’ospedale negli ultimi anni è stata molto lenta o addirittura
nulla.
È chiaro che in questa prospettiva la definizione di appropriatezza clinica diviene
centrale. Diventa pure centrale la domanda se, a fianco di questo ospedale, ad alta
intensità possa trovare spazio un'altra struttura a minor intensità, adatta alla cura di
pazienti con minori esigenze tecnologiche, ma che non possono essere adeguatamente
trattate a domicilio. Vi sono ampie discussioni sulla definizione del criterio di
impossibilità di eseguire un trattamento a casa, perché confinano con problematiche
socio-assistenziali (Rozzini et al, 2001). Via via si sale nella complessità degli interventi
domiciliari la possibilità di permanenza a domicilio si riduce ed il ricovero ospedaliero
diviene spesso la condizione indispensabile per una cura adeguata. D’altra parte, in
queste condizioni, i ricoveri possono essere lo strumento per evitare (o procrastinare)
l’istituzionalizzazione (Kozak et al, 2001, Kumholz et al, 1997; Pappas et al., 1997).
È cruciale in questo contesto il processo decisionale rispetto ai percorsi assistenziali: è
necessario definire chi deve assumere la responsabilità in una prospettiva dove giocano
determinanti cliniche, psicologiche, sociali, economiche. Alcuni pazienti richiedono una
bassa intensità tecnologica (che non vuol dire una bassa intensità di cura) e sarebbe
quindi inappropriato l’uso di letti ospedalieri del primo tipo. Nell’attesa di realizzare
modelli di ospedale differenziati in modo da rispondere a queste esigenze è necessario
mediare tra bisogni diversi, senza penalizzare l’anziano e le sue esigenze (Rosenthal et
al, 1993).
In quest’ottica va letto anche il dibattito sui DRG ad alto rischio di inappropriatezza,
che hanno registrato una riduzione significativa nel 2000-02 (Monitor, 2003), con un
trend positivo che si svilupperà ulteriormente nei prossimi anni. L’analisi dei DRG
potenzialmente inappropriati indica che per la maggior parte si tratta di condizioni che
non coinvolgono specificamente le persone anziane, mentre la soppressione di almeno
un milione di ricoveri impropri all’anno può permettere il risparmio di oltre un miliardo
di euro. Pur essendo consci che questa valutazione dei costi è quasi sempre
approssimata, perché estrapolata dal mondo reale, che in economia, e non solo in
medicina, ha le sue regole precise, anche un risparmio solo parziale potrebbe permettere
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una riadattamento dell’attività ospedaliera in senso favorevole ai bisogni della persone
anziani fragili. Ciò dovrebbe convincere i più scettici che la strada verso
l’appropriatezza è percorribile da tutti, ed anzi potrebbe portare a vantaggi per chi ha
realmente bisogno di trattamenti ospedalieri.
L’anziano con patologia acuta è facilmente appropriato per quanto riguarda la maggior
parte degli accessi e dei ricoveri ospedalieri. Un organismo vulnerabile, quale quello
dell’anziano affetto da patologia cronica, a seguito di una patologia acuta, anche di
modesta entità (ad esempio una virosi, un’infezione delle vie urinarie) va con elevata
probabilità incontro ad un disequilibrio biomedico che, secondo i criteri comunemente
adottati, ne rende appropriato l’accesso in ospedale. La frequenza respiratoria > 30/min,
la temperatura corporea> 38°C per 5 giorni, lo squilibrio idroelettrolitico, acido-base e
metabolico, i problemi neurologici acuti e/o rapidamente progressivi, le turbe
respiratorie o circolatorie acute invalidanti, la perdita acuta della capacità di muovere
una parte del corpo, che fanno parte dei criteri di ammissione appropriata, rendono
indispensabile una stretta osservazione medica e infermieristica, e l’attivazione di
procedure (ad es. il monitoraggio dei parametri vitali, il controllo dell’efficacia e/o degli
effetti collaterali delle terapie, nonché la somministrazione e.v. da ripetersi), che
rappresentano altri criteri di ammissione appropriata. Allo stesso modo è agevole
individuare nell’anziano tra le prestazioni mediche (ad es.: il controllo dietetico,
l’osservazione medica ripetuta, il controllo di terapie e/o effetti collaterali), tra le
prestazioni infermieristiche (ad es.: somministrazione e.v. ripetuta, monitoraggio dei
parametri vitali, valutazione del bilancio idrico/elettrolitico) o tra le condizioni del
paziente che hanno indotto il ricovero, i motivi che giustificano l’appropriatezza della
degenza (Shekelle et al, 1998).
La ricerca dell’appropriatezza è il punto di partenza per una formazione continua,
perché impone all’operatore un adeguamento della prassi al bisogno che si modifica e
spesso corre di più della capacità di dare risposte (Brook et al, 1986; Strumwasser et al,
1990; Wassertheil-Smoller et al., 1998), valorizza il lavoro di equipe (il fondamento per
interventi non parcellari e quindi a maggiore probabilità di appropriatezza), l’approccio
valutativo e la continuità terapeutica, cioè l’adozione di moduli assistenziali in sequenza
e di lunga durata, in grado di fornire il più adeguato livello di cura per ogni diverso
momento della malattia.
La formazione all’appropriatezza si fonda anche sulla capacità di leggere i data base
delle attività svolte, al fine di comprendere da un lato eventuali cambiamenti non
controllati della prassi e dall’altra come cambiamenti della prassi siano stati o meno
seguiti da una modificazione dei risultati. Su questo piano hanno spazio anche le
discussioni mirate dei casi clinici, per sottrarre le condizioni di cronicità alla mancanza
di punti fermi, attorno ai quali iniziare a costruire una mappa degli interventi possibili;
nulla deve sottrarsi ad adeguati controlli, anche a livello del caso singolo, che rilevino in
profondità le dinamiche biologiche e cliniche e quindi la corrispondenza degli
interventi.
L’appropriatezza nel suo insieme non può prescindere anche da considerazioni generali
circa il significato di un atto di cura; in molte situazioni vi sono aspetti non misurabili
che pure rendono ancora più appropriata la cura, cioè maggiormente in grado di
rispondere al bisogno, pur nel rispetto dei condizionamenti economici ed organizzativi.
Vi sono cioè parametri di appropriatezza “umana” che, sebbene non appartengano a
quelli classicamente descritti nei manuali, sono di grande significato soprattutto nel
corso di malattie croniche, quando il ricorso ai servizi è di lunga durata e deve
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continuamente adattarsi a condizioni cliniche che mutano (Naylor, 1995). Questa
appropriatezza, che non è in contrasto con quella formale, appartiene ad una medicina
che va alla ricerca di nuove regole e che prevede oltre alle basi scientifiche fondate sulle
prove di evidenza anche la medicina cosiddetta narrativa, fondata su una comprensione
del bisogno da parte del terapeuta così come si presenta nel mondo reale e quindi
diversa dalle formalizzazioni delle condizioni sperimentali. In questa logica prevale il
criterio che risponde allo slogan “No finding in isolation”; nella prassi si devono creare
ponti tra situazioni diverse, per quanto imprevedibili ed immisurabili, al fine di trarne le
condizioni di comprensione ed operative migliori per l’atto di cura (Naylor, 1998).
Ogni considerazione sull’appropriatezza rispetto al paziente anziano fragile risente
dell’incertezza definitoria e quindi diagnostica del concetto stesso di fragilità.
Nell’ambito di categorie come le persone molto vecchie, che sono candidate alla
fragilità, si registra un’alta variabilità, la cui clusterizzazione all’interno di gruppi non
sempre è facile (Oye et la, 1990). Di fronte a questa variabilità, l’appropriatezza dipende
dalla capacità dei servizi di offrire una rete in grado di rispondere al bisogno nelle sue
varie fasi. Se mancano i nodi della rete, di fatto si autorizzano situazioni vicarianti, ogni
compromesso è giustificato, anche se difficile da accettare sul piano teorico (Gillum et
al, 1996; DOH, 2000, Lubitz et al, 2001).
Il discorso sull’appropriatezza richiede anche la definizione nel merito delle possibili
alternative procedurali, cioè dell’utilizzazione di servizi tra loro diversi, in ragione della
diversità dei quadri clinici, della loro prognosi e dei conseguenti diversi obiettivi di cura
(Rozzini et al. 2001).
Negli anni più recenti è stato affrontato in modo sistematico il problema della
definizione dello stato di salute del paziente quale premessa imprescindibile per
l’attivazione di percorsi diagnostici e terapeutici. Nello specifico si è cercato di tradurre
sul piano operativo le conoscenze relative alla definizione della salute premobosa del
paziente che giunge in ospedale per un problema acuto e di valutare quale peso questa
condizione abbia del determinare la prognosi. I principali fattori clinici in gioco sono la
disabilità, la comorbilità, e lo stato mentale (Oye et al, 1990). L’interazione tra questi
definisce quadri clinici specifici sui quali le malattie acute assumono traiettorie diverse.
Ad esempio: una polmonite in un paziente ottantenne autosufficiente, con bassa
comorbilità e cognitivamente integro ha una prognosi legata alla morbilità della stessa
polmonite e presumibilmente sarà favorevole. Viceversa, una polmonite con le
medesime caratteristiche etiologiche in un paziente non autosufficiente, con elevata
comorbilità e affetto da demenza avrà una prognosi più probabilmente sfavorevole
(Rozzini et al, 2003). L’integrazione tra dati raccolti in tempi diversi sta alla base della
definizione prognostica; questa, pur non avendo ancora raggiunto una definizione
esaustivamente strutturata, pone fondamenti più chiaramente delineati ai complessi
percorsi clinici dei pazienti fragili.
Nel paziente anziano l’obiettivo delle cure, quando non sono chirurgiche, è il
prolungamento della vita (l’approccio classico della medicina), il mantenimento della
funzione (quando si è persa la possibilità di modificare la storia naturale delle malattie
croniche, mentre resta quella di rallentare o bloccare la conseguente perdita
dell’autonomia funzionale), o il confort del paziente (quando la condizione clinica
permette solo interventi palliativi, mirati a ridurre la sofferenza somatica e psicologica e
a migliorare la qualità della vita). Questi tre obiettivi devono essere definiti con
chiarezza, in base ai dati della clinica ed a uno stretto rapporto del medico con il suo
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paziente; solo così si possono operare delle scelte, e quindi determinare in un senso o
nell’altro comportamenti diagnostici e terapeutici (Rozzini et al., 2003; Solomon et al,
2003).
In una logica di divisione delle competenze spetta al medico la scelta del percorso da
adottare, tra quelli sopra indicati, mentre spetta ad altri il controllo della congruenza tra
le scelte e gli strumenti adottati. Si tratta di due momenti in sequenza, nettamente
separati in modo da rendere la decisione del medico esclusivamente clinica (in sintonia
con il volere del paziente e con le sue condizioni psicosociali) e non inquinabile da
esigenze economico-organizzative. Non si tratta di una considerazione ovvia, perché
nulla di più negativo si è verificato negli ultimi anni della trasformazione di una certa
percentuale di medici in pseudomanager della salute, i quali hanno venduto le loro
competenze alle logiche economiche, che peraltro non sono messi in grado di
controllare appieno. Un bilancio catastroficamente negativo, del quale sono state vittime
soprattutto le persone più fragili, perché è ovvio il loro maggior costo in ambito
sanitario e spesso anche la minore visibilità dei risultati ottenibili. Appropriatezza vuol
dire anche affidare i segmenti dei processi decisionali a chi detiene la specifica capacità
e responsabilità.
L’esempio di un data base ospedaliero
Un’analisi dell’appropriatezza clinica e formale su basi realistiche può essere condotta
partendo dai dati sul ricovero in un unità di geriatria per acuti ottenuti in
un’osservazione di due anni.
Nella tabella 3 vengono riportate le caratteristiche demografiche, cliniche e
amministrative di 3014 pazienti ricoverati presso l’U.O. di Geriatria dell’Ospedale
Poliambulanza di Brescia. L’U.O. ricovera pazienti che provengono per la maggior
parte (83%) dal PS, generalmente per le patologie più tipiche dell’età avanzata:
problemi respiratori (20%), problemi cardiaci (20%), problemi gastrenterologici (20%),
problemi neurologici (10%).
A partire dal mese di gennaio 2003 nel suo interno è stata realizzata un’unità di cura sub
intensiva per la gestione dei pazienti più gravi. Si tratta di 4 letti attrezzati secondo il
modello dei letti di Unità di Cura Coronarica per la gestione dei pazienti troppo gravi
per essere trattati in una corsia ordinaria, ma troppo poco gravi per poter occupare un
letto di terapia intensiva.
I ricoveri sono stati empiricamente suddivisi in tre categorie generali, progressive per
gravità di compromissione dello stato di salute, che potremmo definire di pazienti
“robusti”, di due gruppi di fragilità ingravescente (disabili e disabili-dementi), e di un
gruppo di pazienti ricoverati in unità geriatrica di cura subintensiva (UCSI). Dalla
tabella 4, che descrive cumulativamente le caratteristiche delle diverse categorie di
pazienti, si evince che quelli ricoverati in UCSI troverebbero posto nell’ipotetico
ospedale ad elevata intensità tecnologica, mentre alcuni pazienti appartenenti alle due
categorie di fragilità (disabili e disabili-dementi) potrebbero ricevere risposta alle loro
esigenze in una struttura di medio-bassa tecnologizzazione (ma, si ripete per chiarezza,
non di bassa intensità di cura), mentre nella categoria dei “robusti” una parte dei
pazienti potrebbe trovare accoglienza nei servizi territoriali, purché esistano davvero,
abbiano standard quali-quantitativi elevati e siano in grado di rispondere anche agli
eventuali deficit del sistema naturale di supporto. Ad esempio, la conclamata
utilizzazione estensiva del day hospital potrebbe scontrarsi anche nei pazienti cosiddetti
robusti (che però hanno 77 anni, 3 o 4 patologie concomitanti, due funzioni strumentali
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perse ed un livello di prestazioni cognitive che nella metà di loro è moderatamente
compromesso) con problematiche semplici, quali la programmazione delle visite, i
trasporti, l’aspetto psicologico dell’accesso all’ospedale, che possono limitarne la
fruizione se non esistono sistemi di supporto territoriale (Rozzini et al., 2003).
Il dibattito attorno a questo modello coinvolge, tra i molti, due importanti aspetti. Il
primo riguarda la durata della degenza. Infatti da alcune parti si denuncia una durata
eccessivamente breve, che avverrebbe a scapito della salute dei pazienti.
In un nostro studio recente, adottando il criterio della intensività nella gestione dei
pazienti, è stato valutato l’impatto della durata della degenza sugli outcome “mortalità”
e reospedalizzazione. La breve durata della degenza non è risultata essere rilevante nel
determinismo degli outcome indagati (tabella 5); questo significherebbe che, pur in
presenza di quadri clinici severi, l’intensività permette di raggiungere obiettivi a breve
termine. Questo approccio però richiede l’integrazione con altri momenti della cura e
altri luoghi in grado di intervenire sulle malattie croniche, che possono essere alla base
dello “scompenso biologico” rilevato.
Il secondo è relativo al ruolo delle strutture di “complemento” all’ospedale
ipertecnologico, dedicate al paziente anziano con malattia persistente. Queste strutture a
medio-bassa tecnologizzazione non corrono forse il rischio di diventare strutture di serie
B? non toglierebbero il paziente anziano dal main stream della “cultura medica”. Se si
ritiene che la modernità della gestione del paziente passa attraverso la telematica, è
ipotizzabile che questa nasca, cresca e si sviluppi in una struttura di secondo livello? chi
investe nelle strutture di serie B?
L’analisi dei data base solleva anche il problema dell’inapropriatezza nei reparti di
medicina interna, soprattutto per i pazienti più giovani. La quota di anziani ricoverati
nei reparti di medicina interna è in crescente aumento; le stime oggi disponibili indicano
che dai 2/3 ai ¾ dei letti medici sono occupati da ultra settantenni. In una nostra recente
indagine è stato osservato che la quota di pazienti giovani che afferisce al dipartimento
Medicina rappresenta circa il 20% (tabella 6). Se, come osservato, per la maggior parte
dei pazienti ricoverati, cioè gli anziani, è facile individuare criteri di appropriatezza
formale, invece per la quota dei pazienti giovani, con intrinseche capacità di risposta
omeostatica e con una rete assistenziale generalmente buona (se si escludono i pazienti
“marginali”, vale a dire i tossicodipendenti, i senza fissa dimora, gli immigrati, per i
quali le caratteristiche clinico-sociali sono in qualche modo avvicinabili alla categoria
fragile degli anziani), il rischio di inappropriatezza è molto elevato.
La lettura dei data base solleva infine il problema della quota di pazienti ricoverati in
ospedale per le cure terminali; circa il 2-2.5% dei ricoveri ospedalieri esita infatti nel
decesso. La cura della terminalità in ospedale in molti casi non è formalmente nè
organizzativamente appropriata, ma anche in presenza di una rete assistenziale ben
funzionante (leggi Hospice), rappresenta un passaggio spesso non eliminabile.
Scenari di possibile sviluppo per l’assistenza ospedaliera all’anziano
A conclusione del capitolo vengono delineati alcuni scenari evolutivi riguardanti
l’assistenza ospedaliera dell’anziano. Prima di comprendere quale direzione gli scenari
possano/debbano prendere è chiara la necessità di esplorare la fattibilità delle loro
implementazioni (ed es. i costi, l’efficacia) e la loro capacità di adattarsi (flessibilità) nei
confronti dei rapidi cambiamenti demografici e tecnologici. Inoltre è necessario
prevedere quale impatto possono avere sulla forza lavoro e sulla sua capacità di
adattamento ad un progresso non sempre lineare.
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1. Nel primo scenario le condizioni attuali si mantengono sostanzialmente invariate: non
vengono effettuati ulteriori trasferimenti di servizi dall’ospedale al territorio, la capacità
dei letti ospedalieri per acuti aumenta leggermente (in contrasto con il trend storico che
ha visto una riduzione dei letti). L’unico aspetto rilevante può essere legato alla risposta
alla pressione demografica, che rende necessario un maggior investimento per far fronte
alla crescita della chirurgia elettiva e ad un altrettanto moderato incremento dei servizi
territoriali di base.
2. Il secondo scenario è “ospedalocentrico”. Questo orientamento si fonda
sull’assunzione che il miglior coordinamento dei servizi si ottiene quando questi si
trovano concentrati nello stesso luogo. Poichè le risorse non sono espansibili,
l’ospedalocentricità non può che produrre un rallentamento dell’espansione dei servizi
primari e territoriali. Aumenta quindi il numero dei letti ospedalieri, con particolare
riguardo a quelli per l’emergenza e specialistici; ne consegue un rallentamento delle
dimissioni precoci. La maggior parte dei servizi per l’anziano (ad esempio l’assessment,
la diagnosi, la riabilitazione) viene effettuata in ospedale.
3. Il terzo scenario vede il territorio come luogo privilegiato per l’erogazione delle cure
e una politica attiva verso la realizzazione di servizi intermedi. Si prevede la riduzione
dei letti ospedalieri e l’espansione dell’assistenza territoriale socio-assistenziale. In
questo contesto l’ospedale effettua una rapida valutazione clinica, una rapida
stabilizzazione ed un rapido trattamento. Il processo di cura è finalizzato a mantenere le
persone nella loro abitazione, prevenire in ricoveri inutili, facilitare le dimissioni
precoci, facilitare la riabilitazione altrettanto precocemente.
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Bibliografia
ASSR. Monitor, Rivista bimestrale dell’Agenzia dei Servizi Sanitari Regionali, 2004
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Tabella 1. Cause più frequenti di spedalizzazione attraverso il pronto soccorso (A) e
più frequenti comorbilità (B)
(A)
(B)
Polmonite
Scompenso cardiaco
Aterosclerosi coronaria
IMA
Stroke
Dolore toracico
COPD
Aritmia cardiaca
Asma
Sepsi
Ipertensione arteriosa
Diselettrolitemia
COPD
Diabete mellito
Aritmia cardiaca
Anemia
Neoplasi solida non metastatica
Scompenso cardiaco
Ipotiroidismo
AOCP
11
Tabella 2. Caratteristiche di 2850 pazienti anziani ricoverati in un’ U.O. di Geriatria
stratificati per grado di autosufficienza (Barthel Index) al momento del ricovero
ospedaliero.
Barthel Index all’ingresso
100
40-95
0-35
(n=921) (n=1496) (n=434)
M+DS(% M+DS(% M+DS(%
)
)
)
P*
72.4+9.7 80.3+8.0 82.4+7.0
(58.4)
(72.2)
(70.3)
27.2+5.1 23.3+7.8 14.6+10.1
3.9+3.3
5.5+3.6
5.6+3.6
0.8+1.6
3.6+2.6
5.5+2.8
100
76.9+16.5 11.6+12.1
5.6+2.2
7.1+2.5
8.4+2.7
4.0+1.9
4.3+1.8
4.5+2.0
6.5+3.1
8.2+4.1 11.4+5.9
(14.2)
(21.8)
(58.1)
<0.001
<0.001
<0.001
<0.001
<0.001
<0.001
<0.001
0.005
<0.001
<0.001
Età
Sesso femminile
Punteggio MMSE (0-30)
Punteggio GDS score (0-15)
IADL** (numero funzioni perse)
Punteggio Barthel Index (all’ingresso)
Charlson Index (0-33)
Numero farmaci
APACHE II score (0-71)
Albumina sierica <3.5 (g/dl)
Motivo principale del ricovero
Dispnea acuta/altro problema
respiratorio
Sanguinamento digestivo/altro problema
GE
Scompenso/altro problema cardiaco
Durata della degenza
(16.7)
(19.5)
(34.6)
<0.001
(15.7)
(12.2)
(14.4)
ns
(24.8)
(16.2)
(8.1)
<0.001
5.9+2.8
6.6+3.2
7.1+4.6
<0.001
*ANOVA;
** Determinato due settimane prima del ricovero.
Da Rozzini R, et al., J Am Geriar Soc., 2005
12
Tabella 3. Caratteristiche della popolazione anziana ricoverata in un’U.O. di
Geriatria
M(%)
Caratteristiche anagrafiche
Età (anni)
Sesso femminile
Condizioni di convivenza al momento del ricovero
Vive solo
Vive col coniuge
Vive con altri
Vive in casa di riposo
Autosufficienza
Barthel Index (2 settimane prima del ricovero)
Barthel Index al momento del ricovero
Barthel Index alla dimissione
IADL (numero funzioni perse) (2 sett. prima del ricovero)
Condizioni cliniche
APACHE II score (0-71)
Numero di malattie somatiche
Charlson comorbidity score (0-33)
Numero di farmaci assunti
Stato mentale
Cognitività (MMSE: 0-30)
Depressione (GDS: 0-15)
Indicatori di processo-outcome
Numero procedure “avanzate”
Ecografia dell’addome
Indagini endoscopiche
Ecocardiogramma
Imaging (TC, RMN)
78.8+9.3
(66)
(38)
(32)
(19)
(11)
84.9+24.6
75.0+28.2
78.8+26.2
3.3+2.7
6.7+2.8
5.5+2.1
7.1+2.5
4.2+3.2
22.6+7.2
5.2+3.8
3.2+3.1
(56.2)
(32.8)
(29.1)
(14.0)
Provenienza dal PS
Tasso di occupazione
(68)
(85)
Durata della degenza
<7 giorni
>7 giorni
Eventi negativi intercorrenti
Riammissione in ospedale a sei mesi
Eventi negativi intercorrenti
Trasferimenti in Unità di Terapia Intensiva
Mortalità intraospedaliera
Mortalità a sei mesi
6.7+4.1
5.5+1.3(60.4)
10.3+2.8(39.6)
(10.8)
(35.6)
(10.8)
(0.5)
(2.0)
(12.0)
Peso DRG
1.19+0.7
Da Rozzini R, et al., J Gerontol, MS., 2003
13
Tabella 4. Caratteristiche della popolazione di un reparto di geriatria per acuti
(Ospedale Poliambulanza, Brescia) stratificata per diverse classi cliniche e di
un’Unità di Cura Subintensiva (UCSI).
Età (anni)
Femmine (%)
Autosufficienza
Barthel Index (2 sett. prima)
Barthel Index al ricovero
Barthel Index alla dimissione
IADL (funzioni perse) (2 sett.
prima)
Condizioni cliniche
APACHE II score
Charlson Index
Stato mentale
MMSE
GDS
UCSI
(32%)
Disabile
&
demente
(15%)
M+DS
M+DS
M+DS
M+DS
77.1+7.2
(66)
81.2+6.9
(78)
83.8+7.2
(71)
78.3+9.0
(50)
98.3+2.3 76.5+16.9 49.3+30.7
93.9+12.6 66.8+23.6 35.7+30.1
95.8+9.4 70.2+21.9 39.0+29.6
1.7+2.2
4.3+2.4
6.7+1.9
72.1+33.4
28.6+35.6
48.4+39.1
3.5+2.9
Robusto
Disabile
(53%)
6.9+3.3
5.9+1.6
8.4+4.5
6.8+1.7
10.1+5.4
8.6+1.9
14.7+6.1
6.6+2.0
26.4+3.3
4.7+3.6
22.3+4.6
n.v.
9.1+6.4
n.v.
18.1+11.1
3.3+3.3
-L’indice di Barthel (0-100) valuta il grado di autosufficienza del paziente (0
corrisponde al massimo grado di disabilità, 100 all’autosufficienza).
-Le IADL (Instrumental Activities of Daily Living) valutano le attività strumentali della
vita quotidiana.
-L’APACHE II score valuta la gravità clinica del paziente (maggiore il punteggio,
maggiore la gravità)
-Il Charlson Index valuta il carico di comorbilità (maggiore il punteggio, maggiore la
comorbilità)
-Il MMSE (Mini Mental Status Examination) (0-30) valuta la cognitività (0 corrisponde
al massimo grado di compromsiione, 30 all’integrità cognitiva).
-La GDS (Geriatric Depression Scale) (0-15) valuta i sintomi depressivi (maggiore il
punteggio, maggiore la gravità)
Da Rozzini et al. In “Rapporto Sanità 2004”, Il Mulino 2004
14
Tabella 5. Fattori correlati alla reospedalizzazione nei primi 6 mesi dalla
dimissione
Farmaci (5+)
Scompenso cardiaco (NYHA III-IV)
Cuore polmonare cronico
Vasculopatia periferica
Cancro in fase di metastasi
Insufficienza renale (creatinina>3.0mg/dl)
Giorni di degenza (7+)
RR
95% CI
1.6
1.6
3.4
2.5
2.9
3.1
1.4
1.2-2.3
1.0-2.7
1.4-8.1
1.3-4.9
1.7-5.8
1.4-7.1
0.9-1.9
Analisi (Cox regression analysis) aggiustata per età e sesso.
Le variabili che non sono entrate nell’equazione sono: vivere da solo, BADL (Barthel
Index< 80), albumina sierica <3.5g/dl, APACHE score<10, coronaropatia, diabete
mellito, BPCO, malattie gastrointestinali ed epatobiliari
Da Rozzini R, et al., Age and Ageing., 2003
15
Tabella 6. Caratteristiche dei pazienti medici ricoverati in una U.O. di geriatria o
in una U.O. di Medicina Interna in un periodo di 6 mesi (dal 1 gennaio al 30 giugno
2004) .
U.O. Geriatria
U.O. Medicina Interna
UCSI*
Ordinaria
Età>65 anni
Età<65 anni
N=455 (77%) N=139 (23%) N=580 (64%) N=330 (36%)
Età (anni)
Charlson Index
Gioni di degenza
Peso DRG
78.0+9.9
6.9+2.7
6.4+4.8
1.25+0.8
79.1+5.3
6.6+2.2
7.1+5.3
1.84+1.9
*UCSI: Unità di Cura Sub Intensiva
Da Rozzini R, et al., J Gerontol., 2005
16
78.1+8.2
6.8+2.7
6.5+4.3
1.15+0.7
47.7+11.7
2.8+1.4
6.7+6.8
1.18+0.8