Percorsi Creativi nella «Nuova Europa

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Percorsi Creativi nella «Nuova Europa
Francesco Paradiso
- Percorsi Creativi nella «Nuova Europa» “La Scuola italiana di Composizione da
Luigi Nono a Franco Donatoni
e
La Scuola di Cracovia di Composizione da
Krzysztof Penderecki a Marek Stachowsky:
linguaggi e forme a confronto.”
Milano, Settembre 2000
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- Percorsi creativi nella «Nuova Europa» «La Scuola Italiana di Composizione da
Luigi Nono a Franco Donatoni
e
La Scuola di Cracovia di Composizione da
Krzysztof Penderecki a Marek Stachowski:
linguaggi e forme a confronto»
1. L’Ambiente di ricerca: una breve premessa
Il progetto di lavoro che espongo sinteticamente, si origina dal personale ed ancor vivo incontro
con il Prof. Krzysztof Penderecki nel Settembre del 1980, dalla frequenza al mastercourse di
Composizione presso l’Accademia di Musica di Cracovia nell’agosto di quest’anno, e dal metodico
lavoro di analisi che, dopo aver compiuto gli studi di Organo e Composizione organistica ed
un’intensa attività di ricerca proprio in quell’ambito, ho svolto in questi ultimi anni nella classe di
Composizione del Maestro Franco Balliana presso il Conservatorio “Guido Cantelli” di Novara.
Proprio attraverso un rigoroso percorso storico–analitico che in principio mi ha portato ad
esaminare alcune fra le più importanti figure ed opere tra la fine dell’800 la prima metà del ‘900 da Claude Debussy con il Prelude à l’après-midi d’un faune ad Anton Webern con la Symphonie
op. 21, da Igor Stravinskij con la sua Mass man mano sino a Karlheinz Stockhausen con il suo
Hymnen del 1967 -, questa costante ed attenta valutazione di fondamentali caratteristiche tecniche e
di stile che caratterizzano le “scuole” di composizione anche in questi ultimi decenni, mi ha
condotto ultimamente a soffermarmi ed ad approfondire l’importanza e il ruolo della “Scuola
Italiana” di Composizione a partire dal secondo dopoguerra, intorno al 1950.
La valutazione della “Scuola italiana” dopo il 1945 si è approfondita ed arricchita,
sorprendentemente, con la riscoperta e il successivo confronto prima con alcune pagine del mio
primo incontro con le opere di Krzysztof Penderecki: Psalms of David per coro e percussioni
(1958), Threnody to the victims of Hiroshima (1961), String quartet (1960) St. Luke Passio (19621965), poi con quelle di Artur Malawski Symphonic ètudes for piano and orchestra (1947), di
Witold Lutosławski Livre pour orchestre (1968), di Tadeusz Baird Symphony n° 3 (1969), e di
Grażina Bacewicz Music for strings, trumpets and percussion (1958).
Dalle singolari relazioni fra i percorsi, le esigenze comuni nel campo di una musica «radicale»,
dei rispettivi linguaggi e delle raffinate tecniche di manipolazione del materiale sonoro è sorta la
necessità di un confronto fra i compositori italiani e i compositori e le opere appartenenti a
quell’originale stagione creativa che all’incirca nello stesso spazio di tempo, dopo il secondo
conflitto mondiale, si andava delineando in quella «neo-avanguardia» creativa dell’Europa
orientale, quella “oltre muro” diciamo, a noi storicamente e culturalmente più vicina qual è stata
appunto la “Scuola polacca”, la «nuova musica polacca» com’era ed è usualmente definita, ed in
particolare la Scuola di Cracovia di Composizione.
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Ad esempio, alcuni puntuali raffronti sulla ricerca materica, sull’estetica e il percorso evolutivo
si possono stabilire a partire da i Psalms of David, di Krzysztof Penderecki per coro e percussioni
del 1958 e i Cori di Didone, di Luigi Nono per coro e percussioni dello stesso anno su testi di
Ungaretti, e via via in questo modo - l’uno soffermandosi d’apprima su una ricerca condotta
sopratutto attraverso una particolare tecnica d’impiego degli archi (in Threni ad esempio le fasce
sonore producono effetti simili a quelli della musica elettronica) - passando entrambi per la
elaborazione elettronica su nastro e successivamente l’uno recuperando nel proprio linguaggio
materali provenienti dalla tradizione con un’eclettismo che appare evidente nella vasta Passio
secundum Lucam, nel Dies irae del 1967 e in tutti i lavori a partire dall’opera Paradise lost (19751978), l’altro muovendosi verso esiti sempre più interiorizzati e problematici che da lavori di
«impegno» come Diario polacco ’58 (1959) lo condussero a pagine come ...sofferte onde
serene...(1977) per pianoforte e nastro, sino a quelle di Quando stanno morendo, Diario polacco
n°2 (1982) per quattro voci femminili, flauto e violoncello.
2. “Scuola italiana” e “Scuola polacca”: la «nuova musica» dopo il 1945
E’ ben documentata - seppur a grandissime linee data la ricchezza e la molteplicità delle
esperienze del secondo dopoguerra - la relazione che deriva, se non altro, dalla svolta polemica del
pensiero compositivo nei confronti delle tendenze dominanti nei decenni fra le due guerre, dalla
partecipazione alle esperienze più radicali degli anni ’501, dalla vivace e personale ricerca
compositiva e dal forte dibattuto politico, culturale ed estetico intercorso fra i veneziani Maderna e
Nono, e poi Donatoni, Berio, Manzoni, Castiglioni, ed i francesi Pierre Boulez, e prima Olivier
Messiaen, i belgi Goeyvaerts e Pousser e i tedeschi Eimert e Stockhausen, per citare alcuni fra i più
illustri protagonisti.
Attende d’esser ancor più approfondita, anche da parte della nostra più diffusa ed attenta
manualistica, la relazione che esiste in un modo che per intanto voglio definire “originale” – e non
solo per questioni di carattere puramente tecnico-stilistico - tra i personaggi e la vivace ricerca
linguistica già accennata e che si fa comunemente risalire alle sperimentazioni della scuola di
Darmstadt, e le significative esperienze compositive della Scuola di Cracovia di Composizione che
dai nomi e dalle opere di Zbigniew Bujarski (Contraria, Similis Greco, Concerto per quartetto
d’archi II,) Tadeusz Machl (Organ concertos, Strings Quartets, Requiem), Krystyna MoszumanskaNazar, (Rapsod I, Rapsod II, Fresco I, Fresco II, Dialogues) prosegue con quelli di Boguslaw
Schaeffer (TIS MW2, Audiences I-V, Haraklitiana, Missa elettronica), Adam Walacinski (Lyrics of
a sleeping Man, Diachronia, Drama e burla) e con quelli a noi consueti di Krzysztof Penderecki
Polymorphia, Fuorescence, Utrenia, The Devils of Loudon, Black Mask, King Ubu) e di Marek
Stachowski (Divertimento, Choreia, From the Book of Night, String Quartets, Birds, Madrigali
dell’estate), non tralasciando di ricordare, ancora una volta, le figure e le opere ormai storiche di
Artur Malawski (Hungaria del 1956 ed ispirata alla rivolta di Budapest), di Tadeusz Baird
(Variazioni senza tema del 1962, Musique èpiphanique del 1963, Psycodrama del 1972) di Witold
Lutosławski (Concerto for Orchestra del 1950-54, Funeral Music del 1956-58, Venetian games del
1961 – vicini ai principi d’indeterminazione legati alla figura di John Cage, ma dentro una
aleatorietà controllata – e ancora Cello concerto del 1969-70 ed il surreale Les espaces du sommeil)
o infine i Pensieri notturni del 1961 di Grażina Bacewicz che provenendo, quest’ultima, dal
Neoclassicismo e dalla lezione hindemithiana, in concomitanza e, in un certo senso, in risposta alla
1
Si ricorda l’esperienza storica di Darmstadt
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nuova avanguardia polacca , rivolse intorno agli anni ’60 sempre l’attenzione alla ricerca timbrica e
al valore puro del suono, cercando di riprodurre le atmosfere sonore della musica d’avanguardia
senza adottarne, tuttavia, il linguaggio e le forme, rifiutando l’aleatorietà e mantenendo sempre
l’assoluto rigore costruttivo.
3. I Linguaggi e le forme: radici e sviluppi creativi nella “Nuova Europa”
E’ probabile, come afferma Roman Vlad, che nella retrospettiva storica e al di sopra di tutte
quelle differenze morfologiche che oggi sembrano sostanziali, la musica europea del secolo appena
concluso potrà apparire un giorno nella sua ideale unità di spirito2.
In questo senso, credo sia appropriato riportare le parole che Krzysztof Penderecki pronunciò
durante la conferenza stampa che precedette la prima mondiale del suo Passio:
«I am Roman Catholic. In my opinion, however, one does not have to
belong to a church to compose religious music. The only condition in
that one is willing to confess one’s religious convictions. Therefore,
you can without any objection consider my music as “avowal” music:
in that respect I am a Romanticist»3.
Proseguendo sulla scia di queste particolari affermazioni, la convinta posizione e passione civile
e politica assieme alla viva coscienza dei problemi nuovi della musica di Luigi Nono, la convinta e
quasi religiosa demitizzazione dell’atto compositivo in favore d’un auto-negazione nell’«abbandono
al materiale», ossia la viva adesione ad una “legge” della materia cui deve obbedire il rigoroso
artigianato compositivo fatto di tecniche «interiorizzate» di elaborazione e trasformazione del
materiale di Franco Donatoni; ed ancora, la convinta partecipazione all’esperienza storica di
Darmstadt e l’altrettanto viva e convinta affermazione del debito musicale contratto con il passato
di Krzysztof Penderecki, ed infine la convinta apertura alla ricerca di «qualcosa» al di là della pur
rigorosa, ricercata e calcolata tecnica di scrittura nelle raffinate pagine del Divertimento per
orchestra d’archi, di From the Book of Night, per orchestra sinfonica, di Musica festeggiante per
quartetto d’archi del 1995, del Concerto per viola e orchestra d’archi del 1998 e dei numerosi
String Quartets di Marek Stachowsky, inducono a giudicare l’opera di queste figure, pur nella loro
differenza ed unicità, come opere «di affermazione», opere «di confessione», di contro a quella
indiscussa difficoltà d’approccio, soprattutto da parte del grande pubblico, che è spesso additata
quale segno di puro gioco “intellettualistico” o «di negazione», di “negatività” d’atteggiamento e
d’espressione, ed in cui è possibile, piuttosto, intravedere le ultime ramificazioni di quell’«unità di
spirito» sopra accennata, seppure d’un ultimo «spirito» romantico.
Tuttavia, avvertiva già Stravinsky, dal momento che siamo in grado di riconoscere l’abilità
tecnica quando non siamo in grado di riconoscere altro, questa è la sola manifestazione di
«talento»4 che, sulla scia del compositore russo, tutt’oggi generalmente si conosca.
2
in Roman Vlad, Strawinsky, Einaudi, Torino 1983, p.214
«Io sono Cattolico Romano. Nella mia opinione, tuttavia, non bisogna appartenere alla chiesa per comporre musica
religiosa. L’unica condizione è quella che ciascuno sia disposto a confessare la sua convinzione religiosa. Di
conseguenza, potete senza alcuna obiezione considerare la mia musica come musica “di confessione”: in questo senso
io sono un Romantico.»
4
Igor Stravinsky e Robert Craft, Conversazioni con Stravinsky, Einaudi, Torino 1997, p. 14 -15
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Certamente, senza l’ipotesi interpretativa sopra accennata, la semplice analisi dei linguaggi e
delle forme, l’analisi di quell’ansia di un rinnovamento radicale del linguaggio, l’analisi
dell’evidente matrice, unica per i protagonisti delle due scuole, comunemente definita «postweberniana» o «post-seriale» o ancora della serialità integrale, ossia l’analisi della tecnica in una
parola, non ci consente di comprendere appieno quella «formidabile carica anti-idolatrica»5, quella
inesorabile e definitiva scomparsa della musica come mezzo di rappresentazione – sia dell’oggetto
che dell’io - che è caratteristica dell’arte contemporanea pur nelle diversissime vie storicamente e
concretamente realizzate dalle diverse scuole. E pur tuttavia e fino ad un certo punto tecnica e
«talento» sono la stessa cosa6.
Per tale motivo, e per verificare almeno fra alcune figure storiche della musica europea – fra est
ed ovest - quella «ideale unità di spirito», è necessario approfondire e riequilibrare il nostro
panorama tenendo conto, reciprocamente, della storia di paesi e di scuole che, per diverse ragioni,
hanno stabilito negli ultimi decenni un rapporto, pur singolare, attraverso quella ricerca di un nuovo
linguaggio musicale che è stata caratteristica proprio del secondo dopoguerra.
Tali paesi e tali scuole sono il fondamento e già da qualche tempo, ovunque, di realtà nuove ed
in fase di rapidissima trasformazione.
4. Strumenti e ricerca
Questo dunque, nelle intenzioni, è uno studio ed un confronto fra “scuole”7 condotto, come si
conviene, sul campo, attraverso la parola diretta dei protagonisti, ad est, e delle fonti musicali che in
Italia, sullo specifico, restano per la maggior parte ancor poco puntualmente disponibili.
In una prima fase lo strumento di ricerca sarà il dialogo-intervista, poi il confronto mirato e
campionato fra opere omogenee, quindi la costituzione di un’essenziale banca dati riguardo sia i
personaggi che le opere elencate, ed infine una raccolta di autoanalisi di brevi e significative
partiture da parte dei compositori interpellati.
Un primo periodo di otto mesi credo sia adeguato allo scopo, augurandomi che i frutti di tale
ricerca possano incontrare, nel prosieguo, ulteriori approfondimenti ed opportunità editoriali non
solo per l’ambiente specialistico, ma anche per il grande pubblico attraverso un supporto
multimediale, un CD rom, che con linguaggio netto e sintetico accresca l’interesse e la divulgazione
degli argomenti.
Se tutte le arti, attualmente, ma specialmente la musica, sono impegnate in «esami della
tecnica», con Stravinsky credo, in conclusione, che un tale esame deve essere rivolto alla natura
dell’arte stessa – un esame che sia nuovo ed eterno ogni volta8.
Milano, Settembre 2000
Francesco Paradiso
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Massimo Cacciari, William Congdon, analogia dell’icona,in William Congdon Quattro continenti in cinquant’anni di
pittura, Catalogo della mostra a cura di Giuseppe Barbieri, Milano Palazzo Reale 1993
6
in Conversazioni con Stravinsky op. cit. p. 14 -15
7
“scuole” in quanto caratterizzate dall’insegnamento d’un maestro e dalla trasmissione di determinate caratteristiche
tecniche e di stile
8
in Conversazioni con Stravinsky ibidem