solo per farti sapere che sono viva

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solo per farti sapere che sono viva
SOLO PER FARTI SAPERE
CHE SONO VIVA
PRESSBOOK
Un film di SIMONA GHIZZONI e EMANUELA ZUCCALÀ
regia SIMONA GHIZZONI e EMANUELA ZUCCALÀ sceneggiatura e riprese EMANUELA ZUCCALÀ fotografia SIMONA GHIZZONI montaggio ALINE HERVÉ
sound design SIMONLUCA LAITEMPERGHER assistenza al montaggio PAOLO TURLA musiche originali AZIZA BRAHIM . SIMONLUCA LAITEMPERGHER . BAYETORA MOLAYE AHMED
produttore esecutivo RAFFAELLA MILAZZO prodotto da SIMONA GHIZZONI . EMANUELA ZUCCALÀ . GIULIA TORNARI per ZONA in associazione con SOS FEMMES EN DÉTRESSE
con il patrocinio di RASD (REPUBBLICA ARABA SAHARAWI DEMOCRATICA) RAPPRESENTANZA ITALIANA DEL FRONTE POLISARIO . AMNESTY INTERNATIONAL SEZIONE ITALIANA
con il supporto di OTTO PER MILLE CHIESA VALDESE . THE AFTERMATH PROJECT
zona.org
Un documentario sulla violenza
subita dalle donne saharawi e
l’impatto della guerra sulle loro vite.
UN VIAGGIO ATTRAVERSO IL DESERTO,
IN SAHARA OCCIDENTALE E NEL SUD
DELL’ALGERIA, PER SCOPRIRE, ATTRAVERSO
GLI OCCHI E LE VOCI DI QUESTE DONNE, LA
STORIA DIMENTICATA DEL POPOLO SAHARAWI.
CAST TECNICO
Regia
Simona Ghizzoni - Emanuela Zuccalà
Sceneggiatura e riprese
Emanuela Zuccalà
Fotografia
Simona Ghizzoni
Montaggio
Aline Hervé
Sound design
Simonluca Laitempergher
Musiche originali
Simonluca Laitempergher
Produttore esecutivo
Raffaella Milazzo
Prodotto da
Simona Ghizzoni - Emanuela Zuccalà - Giulia Tornari for ZONA
In associazione con
Sos Femmes en Détresse
Con il patrocinio di
Amnesty International - Sezione italiana
RASD (Repubblica Araba Saharawi Democratica)
Rappresentanza italiana del Fronte Polisario
Con il supporto di
Otto per mille Chiesa Valdese
The Aftermath Project
Durata 64 minuti
Prodotto nel 2013
NOTE DI REGIA
Da tempo il nostro lavoro si concentra sulla condizione femminile in diversi
luoghi del mondo. Siamo giunte in Sahara Occidentale spinte dalla volontà
di indagare sulla popolazione saharawi, quella che ha avviato le cosiddette
“primavere arabe” nel 2010 con l’accampamento di protesta di Gdeim Izik.
Abbiamo così scoperto che le donne saharawi, nonostante la loro società sia
profondamente conservatrice e musulmana, godono di una rara e totale parità
di genere, occupano posizioni di prestigio anche nella politica e sono
riconosciute dalla loro società come autentiche icone di resistenza pacifica.
Elghalia Djimi, Soukheina Jid Ahloud, Leila Dambar, Degja Lachgare e le altre
protagoniste del documentario ci hanno raccontato le loro storie personali di
sparizioni forzate, prigionia e tortura. Vicende durissime che compongono la
sceneggiatura corale di un conflitto che si trascina dal 1975 e, insieme, il resoconto
della vita quotidiana nei territori occupati del Sahara Occidentale. Mentre gli
uomini combattevano contro l’esercito marocchino, dal 1975 al 1991, le loro
donne sono rimaste a lottare e a resistere dentro le loro case, prendendosi cura
delle proprie famiglie e subendo, in moltissimi casi, prigionie arbitrarie.
Il nostro secondo viaggio ci ha portate nei campi di rifugiati in Algeria, dove
i saharawi hanno fondato una Repubblica con un Parlamento e un governo,
ospedali e scuole: si respira la libertà, in questo che è uno dei deserti più inospitali
al mondo, sebbene la popolazione dei 200 mila rifugiati sia del tutto dipendente
dagli aiuti umanitari internazionali e le condizioni di vita siano estremamente
difficili. Per comporre questa storia a più voci, abbiamo scelto di utilizzare diversi
linguaggi tra cui la fotografia, che è in grado di fissare l’evocazione di ricordi ed
emozioni vissuti dalle donne durante la detenzione o l’esilio. Abbiamo chiesto alle
nostre protagoniste di scrivere i loro pensieri in un diario, per tracciare una storia
collettiva attraverso le emozioni intime degli individui. Abbiamo poi utilizzato
video d’archivio della guerra, dell’occupazione marocchina, del campo di Gdeim
Izik, oltre alle musiche originali di cantanti saharawi.
Questo non è solo un film: è un passo importante del nostro attivismo per i diritti
delle donne e del nostro impegno nel porre in luce, attraverso il nostro lavoro, le
storie dimenticate di cui il nostro mondo è purtroppo largamente popolato.
SINOSSI
Degja Lachgare è stata prelevata con la forza dalla sua casa, in un pomeriggio
del 1980, da quattro poliziotti in borghese. Gettata nel retro di una Land
Rover, trasportata da una prigione segreta all’altra, ha passato undici anni
della sua giovinezza prigioniera e con gli occhi bendati, nella costante attesa
dell’interrogatorio e della tortura. La sua unica colpa: essere sposata con un
soldato del Fronte Polisario, il movimento di liberazione del Sahara Occidentale,
che allora combatteva una guerra contro il Marocco.
Soukheina Jid Ahloud ha vissuto per dieci anni in una cella angusta. Poco dopo
il suo arresto, la figlia minore è morta di stenti perché nessuno poteva prendersi
cura di lei. Non aveva ancora compiuto un anno. Leila Dambar, come una
moderna Antigone, non può ancora dare sepoltura al cadavere del fratello Said,
morto nel dicembre del 2010: la sua famiglia non fa che chiedere al governo
marocchino l’autopsia sul corpo del ragazzo, ucciso dalla polizia in circostanze
ambigue, ma le autorità non rispondono.
Sparizioni forzate, tortura, prigioni segrete, fosse comuni, nessun processo
e nessuna giustizia. Il Sahara Occidentale, il territorio a sud del Marocco dallo
status politico ancora indefinito, ha una storia scandita da una cupa sequenza
di violazioni dei diritti umani. È considerato l’ultima colonia d’Africa: il
referendum per l’indipendenza, nonostante le numerose risoluzioni ONU,
è sempre stato rimandato.
Dal 1975 i Saharawi vivono per metà in Sahara Occidentale e per metà nei campi
di rifugiati in Algeria, separati da un muro di 2,700 km costruito dal Marocco
durante la guerra. Solo per farti sapere che sono viva dà voce alle donne saharawi che
sono state vittime di violenza, sia in Sahara Occidentale che nei campi di rifugiati.
Ricostruendo attraverso le loro testimonianze, i diari e le vecchie fotografie, la
storia del loro popolo da una prospettiva intima e femminile.
Simona Ghizzoni
Portati a termine gli studi classici, si diploma all’Istituto di Arti Visive e
Fotografia di Padova. Nel 2007 consegue il master in Storia della Fotografia
all’Università di Bologna. Dal 2005 si dedica completamente alla fotografia,
con un interesse particolare all’approfondimento del tema della condizione
femminile, e a progetti di ricerca personale.
Nel 2006 vince il primo premio al concorso Attenzione Talento Fnac con
Cicatrici, un reportage sulla città di Sarajevo a dieci anni dalla fine della guerra.
Dal 2006 al 2010 lavora al progetto Odd Days sui disturbi del comportamento
alimentare, vincendo il terzo premio nella categoria ritratti al World Press Photo
2008 e il PhotoEspaña Ojodepez Award for Human Values nel 2009. Il suo
cortometraggio Lie in Wait, sulle donne irachene rifugiate in Giordania, vince
nel 2011 l’NGO World Vision Prize al Milano Film Festival. Con il progetto
Afterdark sulle donne vittime dell’operazione Piombo fuso nella Striscia di Gaza,
guadagna il terzo premio nella categoria Contemporary Issues al World Press
Photo 2012.
Emanuela Zuccalà
Giornalista freelance, dal 2001 è contributor per Io Donna, il settimanale
del Corriere della Sera.
Nel 2009 il suo reportage sugli stupri di guerra nella Repubblica Democratica
del Congo vince il premio giornalistico Enzo Baldoni della Provincia
di Milano, uno dei più prestigiosi in Italia. Nel 2008, con un articolo sulla
sterilizzazioni forzate delle donne rom in Repubblica Ceca, è la vincitrice italiana
al Premio giornalistico del Parlamento europeo. Vince anche, nel 2007,
il Premio giornalistico della Commissione Europea For Diversity. Against
Discrimination e, nel 2012, il Press Freedom Award di Reporters Sans
Frontières, con il suo articolo sulle donne del Sahara occidentale.
È autrice di video, documentari e libri: la sua ultima pubblicazione è
La mia ‘ndrangheta (Edizioni Paoline), sulle donne vittime delle organizzazioni
criminali nel sud Italia.
Il suo blog è emanuelazuccala.blogspot.com
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