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LA CULTURA - Canzoni e danze Brani tratti dalla tesi di laurea (anno accademico 2005/2006) in Comunicazione Interculturale di Rosa Solinas “Il popolo Saharawi tra passato e presente”. Medej. Canti antichi saharawi. La musica raccoglie l`influenza arabo-berbera insieme a quella dell`Africa nera. Il ritmo e gli accordi sembrano ripetersi all`infinito per rivelare poi, come il paesaggio del deserto, le differenze e le ricchezze di cui e` impregnato. Il Medej raccoglie una tradizione musulmana di canti spirituali, in nessun caso liturgico, i cui temi si concentrano in elogi al profeta Maometto e nella narrazione dei fatti più rilevanti della sua vita: la nascita, l’infanzia, la sua scelta per Allan come profeta e il viaggio che realizzò di notte da La Mecca fino a Medina. Ogni territorio ha adattato questi canti al contesto sociale e culturale, sono interpretati nella loro lingua, l’hassaniya, La voce è accompagnata dal t’bal, un tamburo di circa 60 cm di diametro, fatto di una ciotola di legno scavata di cuoio di pelle di cammello o di capra, è suonato quasi esclusivamente dalle donne con le mani, viene prodotto un suono secco e profondo allo stesso tempo. Si usa inoltre la Tidnit, uno strumento di legno scavato e un coperchio di cuoio, è simile a una chitarra con 4 corde. Il medej si canta spesso in sessioni notturne, come la notte del Ramadan o in generale la notte tra il giovedì e il venerdì. La sessione inizia di solito con ritmi lenti e tranquilli che si sviluppano piano fino a raggiungere un climax intenso. Gli esgari, le grida di giubilo che emettono le donne, i palmi delle mani, gli applausi e le tberb sono le vibrazioni che degli uomini producono con le labbra muovendo la testa aiutano a scaldare l’ambiente e ad accrescere la tensione. Il medej, col passare degli anni, è diventata la musica tradizionale dei Saharawi, alla quale ricorrono nei momenti di riposo e di tranquillità, celebrando un matrimonio o festeggiando l’incontro con un familiare o un amico. Il carattere spirituale del medej non è andato perduto completamente, ma non tutti i musicisti e cantanti sono ora in grado di potersi accostare a questo tipo di canzone in quanto presenta particolari difficoltà per quanto riguarda la tecnica e l’interpretazione. Mariem Hassan: una donna, una voce, un popolo, una speranza. Un messaggio dolce, eppure fermo e determinato, quello della famosa cantante sahrawi, popolo nomade del Sahara ocidentale in lotta per la sopravvivenza. Nata nel 1958 da una famiglia di pastori nomadi, nei pressi di Smara nello Uadi di Saggia el Hamra, ex avamposto coloniale spagnolo nel Sahara Occidentale, terza di dieci figli, ha iniziato cantando in famiglia. Nella società saharawi la musica ha un forte legame con la poesia ed è molto importante in ogni ambito celebrativo. Quando c'è un matrimonio o un battesimo o una festa ci si riunisce per cantare, suonare e danzare. Per fare musica spesso basta molto poco, qualche tebales (grossi tamburi di legno su cui è fissata una pelle di capra) e le voci. Se non ci sono i tebales, si batte il tempo sulle caraffe dell'acqua o con le mani, e si canta tutti insieme. Come per gli altri popoli islamici, anche nella cultura saharawi c'è una stretta relazione tra musica e religione. Quelli del Medej, per esempio, sono canti religiosi che appartengono alla tradizione musulmana, sono dunque dedicati al Profeta. Si tratta di composizioni molto antiche, alcune delle quali in arabo classico e altre in hassanya, la lingua saharawi. Alcuni canti del Medej non mancano mai nei concerti che Mariem Hassan e il suo gruppo tengono in ogni parte del mondo. Mariem è autodidatta, non ha mai studiato la musica, l'ha imparata dai suoi amici e dalla sua famiglia, dal suo popolo. Era molto giovane quando ha cantato per la prima volta in pubblico, ad una festa. Più tardi, nei campi profughi, è entrata a far parte del gruppo musicale El Wali che con le sue canzoni rivoluzionarie ha fatto conoscere la causa del popolo saharawi in tutto il mondo. Oggi Mariem è un'artista affermata e impegnata, che gira ininterrottamente con il suo gruppo da una città all'altra, da un paese all'altro. Il suo messaggio è forte e chiaro: far conoscere al mondo la cultura del suo popolo, tenere alta l'attenzione sulla causa sahrawi, su un conflitto che dura da oltre trent'anni e che deve essere risolto dagli organismi internazionali in tempi rapidi se non si vuole consumare l'ennesimo genocidio. "Io e il mio gruppo portiamo nel mondo le canzoni di un popolo rifugiato che è stato allontanato con la forza e con le armi dalla sua terra trent'anni fa. Il mio desiderio e quello di tutta la mia gente è che si sappia dunque cosa è accaduto perchè ognuno possa fare qualcosa per aiutarci". Mariem Hassan vive oggi in Spagna, nei pressi di Barcellona. Quando non è in tournèe si dedica alla professione di infermiera e sogna di ritornare presto nel suo Sahara, in quei luoghi di straordinaria bellezza che canta nella bellissima e struggente "Sahara te quiero". DANZE IL TOUIZA. La parola Touiza fa riferimento ad una antica tradizione conosciuta nel paese: quella del lavoro collettivo. Si tratta di un auto-aiuto al momento del raccolto. Il Touiza è anche il nome di una festa. Nel Sahara, una volta, dopo che gli uomini avevano rasato cammelli e capre, le donne si riunivano per lavorare la lana. Era già una danza, divenuta nel tempo una vera danza. Il gesto è quello delle donne che puliscono la lana, battono per ammorbidirla, la posano in pacchetti, uno sopra l’altro, la cardano, tenendo la conocchia con la mano destra sopra la spalla; filano la lana e l’arrotolano in gomitoli con i quali realizzano poi le tende e gli abiti. Tutto questo è mostrato con gesti pieni di delicatezza, in questa danza che esalta la gioia del lavoro comune. Passa un giovane uomo: gli si getta una palla per invitarlo a partecipare. Anche lui effettua gli stessi gesti delle donne e balla insieme a loro, attirato dal loro entusiasmo. Alla fine le donne gettano alcune palle tra il pubblico per invitarlo ad unirsi al loro sforzo comune. Poi, all’improvviso, il gruppo scompare con un movimento ordinato. LA DANZA dello struzzo. È una danza molto antica. In precedenza il Sahara Occidentale era ricco di animali e persone, in totale armonia con la natura che lo circondava, vissuto nella familiarità con questi animali. Si andava a caccia solo in caso di bisogno, ma il saharawi conosceva tutte le sue abitudini . Fino a poco tempo fa gli struzzi ancora abbondavano. E 'stato un animale che è stato amato per il suo portamento nobile. Questo ballo sembra che lo imiti. Si formano diverse coppie: quando uno della coppia custodisce le uova, l’altro va in cerca del cibo. Poi la femmina buca le uova da cui emergono i piccoli che iniziano a camminare goffamente (i danzatori riducono la loro statura, avanzano esitando, portano i gomiti indietro per imitare il battito delle ali). La femmina serve il maschio. I piccoli li raggiungono e tutti se ne vanno insieme con gesti maestosi che rendono evidente l’ampiezza dell’ abbigliamento dei ballerini. LA DANZA DI AUSERD. E’ una danza di guerra che rappresenta anche un molto discreto gesto di seduzione. L'uomo e la donna compiono lo stesso gesto, uniti a difesa della loro libertà. Il movimento delle braccia simboleggia una pistola che è brandita. Poi intorno alle loro teste ruotano le "Lithàm" o "El Tarf mlafa" (copre il capo rispettivamente per uomini e donne) Questa danza significa l’ uguaglianza, la conquista tra uomo e donna e il coraggio nella lotta.