Non è difficile dire qualcosa sul lavoro pubblico, ognuno potrebbe
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Non è difficile dire qualcosa sul lavoro pubblico, ognuno potrebbe
Non è difficile dire qualcosa sul lavoro pubblico, ognuno potrebbe parlarne a lungo per raccontare esperienze positive, disavventure, lungaggini burocratiche, complicazioni amministrative e così via, questo proprio perché è lavoro pubblico quindi reso dallo Stato a tutti i cittadini, ed è da qua che vorrei cominciare. Da come la pubblica amministrazione è spesso ritenuta un carrozzone che complica le nostre vite anziché semplificarle e un contenitore di fannulloni/finti malati pieni di privilegi. Intendiamoci, non ho intenzione di farne la difesa d’ufficio, tutti noi sappiamo che per tanti anni, dal dopoguerra in poi, i lavoratori pubblici sono stati considerati dai partiti come “riserve” di voti e quindi non sono mancate assunzioni sconsiderate, leggi ad hoc, carriere fulminanti, tutele privilegiate. Ma non sono mancate neanche le modernizzazioni, i sempre maggiori servizi dati a tutti quelli che cominciavano ad essere davvero i cittadini di un’unica nazione, non sono mancate le grandi riforme, a partire dalla struttura dello stato, alla sanità pubblica a quella che conosco meglio, la pubblica istruzione. Ed è da questo a mio avviso che dovremo ripartire, facendo tesoro di tutto ciò che di buono è stato fatto ma anche dagli errori commessi, o semplicemente da ciò che non funziona più e che ora di cambiare. L’attacco al mondo del lavoro in generale e a quello pubblico in particolare è cominciato principalmente col governo Berlusconi, proseguito senza soluzione di continuità col tecnico Monti, con Letta e ora con Renzi. Tutti hanno cercato di demolirlo, cominciando con le indegne campagne mediatiche che hanno fatto apparire tutti i lavoratori pubblici disonesti e fannulloni, timorosi di perdere i propri privilegi senza dare in cambio niente. Nel mio settore, l’università, hanno cominciato ad abbattere i costi bloccando il CCNL, siamo al sesto anno oramai, riducendo i fondi per il salario accessorio, cominciando subito con l’abbattimento del 10% e impedendo di incrementarli anche solo con risorse derivanti dai singoli atenei attraverso la contrattazione decentrata; hanno bloccato le progressioni economiche all’interno delle categorie, hanno reso di fatto impossibili le progressioni verticali (gli avanzamenti di categoria) bloccando le assunzioni e introducendo dei complicati meccanismi di conteggio dei punti organico, che vedono ad esempio il personale tecnico amministrativo in competizione con il personale docente quando si tratta di fare la programmazione del personale negli Atenei. Tutti questi provvedimenti hanno di fatto vuotato di contenuto molti articoli del CCNL e ridotto l’attività sindacale negli Atenei. L’attacco è poi continuato con norme vergognose, come la trattenuta del salario accessorio per i primi dieci giorni di malattia o la riduzione dei permessi per visite ed analisi mediche in orario di lavoro, per citare le più eclatanti. Infine l’attacco al sindacato, che non è tanto o non solo la riduzione dei permessi sindacali, quanto l’eliminazione di tante materie di contrattazione: a cosa ti servono tante ore di permesso se non hai niente da contrattare? Nelle Università questo attacco si è fatto sentire in maniera più pesante perché la contrattazione decentrata nei singoli atenei è stata sempre determinante non solo per recuperare risorse (i fondi si aggirano su alcuni milioni di euro) ma anche per gli accordi sugli avanzamenti di carriera, progressioni economiche, organizzazione, orario di lavoro, diritti e, certo, anche doveri. Devo dire che non sempre il mio sindacato ha reagito con fermezza a questi attacchi, e se si escludono le categorie interessate, il lavoratore pubblico non ha ricevuto la solidarietà che gli spettava. Ribadisco, per difendere i diritti, non i privilegi, o quelli che sono ritenuti tali da una analisi superficiale della categoria. Non staranno meglio i lavoratori delle altre categorie, o i precari, o i cassaintegrati, o i disoccupati, se tolgono al pubblico dipendente il diritto di ammalarsi, di fare carriera, se lo potranno licenziare senza motivo; di sicuro staremo meglio tutti se ci sarà un grande movimento dei lavoratori dipendenti che lotta per i diritti di tutti. Tornando brevemente all’università, in questi giorni a Firenze stiamo facendo assemblee decentrate per illustrare ai colleghi quello che sta accadendo, e soprattutto delle ricadute che i provvedimenti del governo hanno avuto e avranno su di noi. Cerchiamo di spiegare come sia stato importante il ruolo del sindacato e delle RSU di Ateneo, di come la forza dei numeri sia oramai l’arma più importante che abbiamo. Cerchiamo di spiegare come sia fondamentale prima di tutto la partecipazione, che una RSU votata dalla stragrande maggioranza dei lavoratori darà forza ai rappresentanti eletti, farà capire alla controparte che dietro la RSU ci sono i lavoratori, e quindi sono rappresentativi e credibili. Cerchiamo di far capire che divisi siamo più deboli, che se non partecipiamo abbiamo già perso, perché se non lottiamo per rivendicare i nostri diritti nessuno lo farà al posto nostro. Per quanto ci riguarda, noi candidati della CGIL cerchiamo di spiegare quello che abbiamo fatto ma soprattutto quello che potremo e dovremo fare, spiegando le difficoltà ma senza aver paura di cambiare, laddove occorre, cercando di essere credibili perché fare sindacato vuol dire pensare al benessere dei lavoratori sapendo anche andare incontro ai cambiamenti, ma quelli veri, che migliorano, semplificano e sanno adeguarsi ai tempi senza buttare quello che c’è di buono. Non i cambiamenti che riempiono i giornali solo di slogan e luoghi comuni ma poi distruggono per poter applicare le teorie di Bce e Confindustria. Il nostro “cambiare verso” significa ritrovare parole come CCNL, contrattazione decentrata, diritti, rivendicazioni, lotte. I lavoratori e i loro rappresentanti sanno cosa e come cambiare. La strada che abbiamo davanti è molto difficile per tutti i motivi ricordati, tanti di noi sono stanchi, sono nelle RSU dal 1998, ma è anche una bella sfida, prima tra tutte quella di dimostrare che i lavoratori ci sono, sono uniti e hanno fiducia in noi. Come ci ricordava una collega in una delle nostre assemblee, il padrone, l’imprenditore, lo Stato hanno il capitale, le imprese, il governo; anche il lavoratore, operaio o dipendente pubblico che sia, ha la sua ricchezza: il proprio lavoro. Gli uni non possono fare a meno degli altri …. ed è da qua che dobbiamo ripartire. Firenze, 24 febbraio 2015 monica piccini