Gabriele Ranzato : “L`eclissi della democrazia. La guerra civile

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Gabriele Ranzato : “L`eclissi della democrazia. La guerra civile
Ranzato
Gabriele Ranzato : “L’eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue
origini.1931-1939”.
Bollati Boringhieri, Torino,2004. Euro:40, pagine 692.
Si esce dalla lettura di questo libro come si vien fuori da una volontaria e soverchiante clausura in
cui le nostre capacità di vedere e di capire sono state catturate da una forza di suggestione empatica.
Tale è infatti il potere di immedesimazione che una bella pagina di storia riesce a trasmettere
quando la capacità di raccontare si riversa con talento su una vicenda ancora vibrante, presente e
viva. Ranzato disegna un quadro di insieme della guerra civile spagnola, e delle sue radici, con
rigore e con passione e snoda la fitta trama di quegli eventi in un tessuto narrativo ricco di
testimonianze estrapolate da un’ampia tipologia di testi: opere di storia, diari e memorie di
protagonisti, testi letterari, biografie, dispacci diplomatici, resoconti parlamentari. Il ritmo ne
acquista in vivacità, si fa più fluido e partecipato come se molte voci risuonassero in quelle pagine.
Le note a piè pagina, inoltre, dilatano ulteriormente il testo, configurano un secondo livello di
lettura e attestano la accurata conoscenza della sterminata bibliografia ( più di 20.000 volumi)
sinora pubblicata sull’argomento. L’opera di Ranzato si impone come un lavoro divaricante rispetto
alla precedente tradizione di studi storici che , salvo alcune rare eccezioni come il classico volume
di Thomas, era di parte e operava per blocchi contrapposti. L’autore volta pagina e punta con
decisione al cuore del problema ossia l’esplicitazione delle ragioni del crollo, sotto l’urto golpista,
della Repubblica nata nel 1931 tra grandi entusiasmi e grandi speranze. E’ uno spostamento
rilevante della prospettiva di indagine: la storiografia precedente non aveva realmente indagato le
ragioni della rovinosa sconfitta dei repubblicani poiché non era mai andata al di là di una
affermazione ovvia: la Repubblica era caduta perché i suoi nemici avevano prevalso. Ranzato ci
consegna invece una ricostruzione meno schierata ma più problematica e più credibile: il fallimento
della Repubblica, la sua grande occasione perduta, è attribuibile in primo luogo proprio a coloro
che la democrazia avrebbero dovuto sostenere e difendere e soprattutto diffondere in una nazione
che giungeva in ritardo all’appuntamento con le istituzioni liberal-democratiche. Il radicalismo, la
mancanza di mediazioni, le spinte anarchico- rivoluzionarie, il brutale anticlericalismo, il continuo
oscillare, anche da parte di importanti forze politiche e sindacali, tra adesione e ripulsa degli istituti
democratici hanno precipitato la Spagna in due fronti contrapposti e convergenti verso la catastrofe
della guerra fratricida combattuta con quella ferocia e quella crudeltà delle ideologie che tanto
hanno caratterizzato il Novecento europeo. Anche per questo la guerra civile spagnola appare come
un tassello di quella storia della violenza del potere che si è mostrata in tutta la sua distruttiva
spietatezza nel secolo trascorso. Fascismo italiano, nazismo tedesco e comunismo sovietico si
affrontano nella prima battaglia campale dell’imminente conflitto mondiale e imprimono una
curvatura nuova, un orizzonte di tenebra al crollo della Repubblica.
La guerra civile ha alimentato l’immaginario politico del Novecento con una forza mitopoietica di
straordinaria portata; i suoi miti hanno ispirato un leggendario epos politico e letterario: terra e
libertà, lotta antifascista, comunismo libertario, rivoluzione tradita, antimilitarismo e
anticlericalismo. Sono temi ampiamente conosciuti , ancora rielaborati dalla letteratura militante e
ricchi di fascinazione. Pochissimi episodi del secolo passato hanno avuto una cosi intensa capacità
di immortalarsi, di diventare modello e paradigma di una intera epoca. Si guardi, per avere un’idea
della mitopoiesi elaborata sul conflitto, agli opposti significati con cui le due parti confliggenti
hanno rappresentato quasi visivamente lo scontro: da parte franchista la guerra è una crociata
contro l’eresia comunista; dall’altra parte domina invece il paradigma della guerra antifascista.
Torneremo su questo universo simbolico e sulle implicazioni sottese. Rimaniamo ancora un po’ sul
terreno della feroce contrapposizione e sui meccanismi generatori della violenza già ampiamente
operanti prima dell' ’alzamiento”. Violenza politica , di classe, di religione: quella esplosa in
Spagna a partire dalla rivolte delle Asturie del ’34 è stata una violenza di massa che ha dissanguato
il paese. Ranzato racconta, in pagine che non hanno perduto il senso dello sgomento per quelle
lontane brutalità, l’esercizio quotidiano della sopraffazione, dell’agguato, dell’esecuzione,
dell’eccidio. “ La guerra di Spagna- ha scritto Bernanos- è una fossa comune. La fossa comune
dove imputridiscono i principi veri e quelli falsi, le intenzioni buone e quelle cattive”.
Abbiamo detto che il conflitto spagnolo ha configurato alcuni grandi simboli della lotta politica
novecentesca, paradigmi, modelli con cui spiegare il reale e leggere la storia. Uno di questi lo
abbiamo già segnalato: lo stretto legame tra politica e violenza; l’altro è quello che interpreta il
conflitto spagnolo come scontro all’ultimo sangue tra fascismo e antifascismo e come anticamera
della seconda guerra mondiale. Questa interpretazione è indubbiamente vera, ma altrettanto
indubbiamente essa è parziale ed elusiva. Elaborato soprattutto dalle forze della sinistra comunista,
questo paradigma tace gli altri conflitti compresenti e propone una identità compatta ed unitaria
dell’antifascismo combattente in Spagna. Il fronte antifascista, in realtà, già dai primissimi giorni
della guerra e per tutta la durata del conflitto, ha vissuto al suo interno duri scontri tra egemonie e
strategie politiche contrapposte. Anche su questo il libro di Ranzato è documentatissimo e senza
reticenze. Il modello
“esplicativo”
fascismo-antifascismo rischia di incorrere in un
depotenziamento interpretativo della guerra civile spagnola se non viene integrato con la messa a
fuoco di almeno altri tre processi attivi in quel contesto storico. Ci riferiamo innanzitutto al
processo, estremamamente difficoltoso, di coesistenza tra la democrazia repubblicana, di impianto
lberal-democratico, e lo stalinismo, introdotto nelle sue vene dalla massiccia assistenza militare e
politica dell’Urss.
Il secondo processo- ampiamente illustrato nel libro di Ranzato- riguarda la modernizzazione e la
secolarizzazione della società spagnola. La guerra civile è stata anche, e in misura decisiva, uno
scontro tra un tentativo di laicizzazione radicale e giacobino e la difesa di una tradizione religiosa
che aveva un rilevante potere di controllo sociale, un potere sempre indirizzato nel sostegno pieno
delle classi dominanti e pochissimo attento ai bisogni delle classi subalterne. La modernizzazione
e la laicizzazione dello Stato spagnolo, avviata sin dal ’31 dal leader Manuel Azana, aveva
prodotto un impatto enorme su un paese ancora pervaso da forme di religiosità antiquata e da una
diffusa e zelante devozione. La Spagna dell’Ottocento e del Novecento aveva però conosciuto
frequenti e violenti episodi di furore antireligioso in cui si sprigionava i raptus distruttivi delle
classi popolari che si sentivano tradite da quella Chiesa e da quel clero. Anche questo scondo
processo, comunque, non è omologabile allo schema fascismo-antifascismo.
Il terzo processo che ha prodotto una forte destabilizzazione nelle vicende della Repubblica è stato
il conflitto tra la politica di centralizzazione dello Stato e le aspirazioni dell’autonomismo. Il
nazionalismo regionale, catalano e basco, ha giocato un ruolo fondamentale sia nella prima fase
della repubblica dal ’31 al ’36, sia negli anni della guerra civile. Senza una considerazione attenta
del ruolo giocato dalle tensioni tra Stato e regioni si rischia di perdere un importante elemento di
spiegazione delle disavventure della democrazia spagnola.
L’impegno di Ranzato ad esplicitare nuovi e più aderenti parametri di lettura della guerra civile si
rivolge anche al fronte franchista. L’autore conferma un dato storico indubitabile ossia il carattere
conservatore, militarista e “fascista” dell’ alzamiento. Ma ci sono anche delle opportune
chiarificazioni. La paura del comunismo è stata certamente un elemento ideologico forte del
franchismo insieme ad una forte avversione al liberalismo e ad una acuta consapevolezza della
“decadenza” della nazione spagnola:“In più occasioni Franco espresse una condanna del
liberalismo, non già nella prospettiva fascista della necessità di un superamento di una ideologia e
di un sistema politico invecchiati e regressivi, bensì in quella retriva e nostalgica di un più glorioso
passato ispanico legato all’assolutismo monarchico”. L’altra importante componente del franchismo
è stato il nazionalismo: c’era una forte sinergia tra antiliberalismo e nazionalismo, tra sostegno alla
centralizzazione e lotta al regionalismo. Lo Stato spagnolo doveva essere restaurato non solo
sconfiggendo i comunisti ma anche i baschi e i catalani: “Il nazionalismo fu il più solido cemento, il
sentimento più condiviso- ancor più di quello religioso- nella Spagna di Franco. La Repubblica non
fu capace di scoprire il potere mobilitante del sentimento nazionale. Gridare “Viva la Spagna” era
considerato una provocazione sovversiva”.
Josè Antonio occupa, nel libro di Ranzato, una posizione defilata. Ma defilato non significa né
disattento né evasivo. Il fondatore della Falange non viene mai confuso né con il conservatorismo
ed il tradizionalismo reazionario né con le ricorrenti attitudini cospirative dei militari. L’autore gli
riconosce una intelligenza politica assolutamente superiore a quella di altri leader della destra
spagnola. E’ stato certamente l’unico uomo politico spagnolo pienamente mussoliniano ed è stato
Josè Antonio a sottrarre l’estrema destra spagnola dall’ombra della storia: egli fu un uomo di
qualità superiore, forte di una discendenza e di una appartenenza alla èlite dei Grandi di Spagna che
ne faceva una figura carismatica e potente. Si orientò verso il fascismo dopo aver criticato la
debolezza e gli egoismi della potente aristocrazia: “ Al di là della demagogia – scrive Ranzato – era
vero che Josè Antonio - così senza cognome, come lo si cominciò a chiamare pubblicamente aveva una certa insofferenza per l’ambiente aristocratico e monarchico di provenienza…proprio per
gli egoismi e la miopia che, a suo avviso, impedivano a quei privilegiati di farsi vera èlite”. Il
fascismo italiano gli appariva dunque un superamento della difesa degli interessi conservatori.
Ranzato dà grande rilievo al ruolo svolto dal comunismo di ispirazione sovietica. Il ruolo del
comunismo nella Spagna pre-golpe era assolutamente irrilevante data la pochezza del partito e la
sua rigida ortodossia leninista. La presenza di forze di gran lunga più radicate e movimentiste come
gli anarchici e i socialisti di Caballero e di Prieto rendevano marginale ed ininfluente il Pce. Il
ruolo dei comunisti evolve lentamente sino alla stagione dei Fronti popolari e diventa centrale
quando, scoppiata la guerra civile il ruolo dell’Urss diventa vitale. Ranzato evidenzia la stretta
dipendenza dalla politica estera sovietica delle strategie dei commissari della Internazionale
comunista inviati a Madrid. Stalin temeva sopra ogni cosa un attacco tedesco all’Urss e quindi
teneva aperta la strada di una alleanza per “la sicurezza comune” con la Francia e con la Gran
Bretagna e sosteneva una politica di apertura anche alle forze politiche socialdemocratiche e
radicali, coinvolte nei Fronti popolari. Il comunismo in Spagna però doveva fare i conti con
movimenti e forze schierate alla sinistra del Pce. Ecco quindi il secondo criterio d'azione: eliminare
ogni “nemico” a sinistra e lottare per l’egemonia politica e militare. Da qui l’impegno dei comunisti
operanti in Spagna per riorganizzare lo Stato repubblicano dopo la polverizzazione autonomistica
in cui sprofondarono le istituzioni della Repubblica subito dopo il golpe. La Spagna lealista si
frantumò in mille pezzi come una granata e l’esperienza del “consiglismo” dilagò. La lotta dei
comunisti si attestava su più fronti: ricompattare lo Stato per vincere i ribelli, togliere di mezzo tutti
coloro che contrastavano con i piani sovietici, trovare alleanze tra le forze democratico-borghesi,
imprimere una direzione di militanza comunista alle gerarchie militari. La lotta fu tortuosa e
complessa e si delineo vincente solo dopo la liquidazione degli anarchici e dei trockisti a partire dal
maggio del ’37. La Repubblica democratico-borghese da quel momento, cedette ai comunisti
quote sempre maggiori di sovranità e di potere; ne riceveva in cambio una milizia disciplinata,
decisa, determinata. I comunisti furono il vero “partito della guerra” della Repubblica e dopo la
caduta del governo Caballero e la nascita del governo Negrìn sovietizzarono la Repubblica
spagnola: “Tra la primavera e l’estate del ‘38- scrive Ranzato- i comunisti assumono posti chiave
nell’esercito, nella polizia, nel controspionaggio. Si intensificarono le sparizioni di quegli uomini
che al fronte o nelle retrovie erano su posizioni politiche anarchiche o trockiste, uomini che accusati
di diserzione sparivano misteriosamente dal fronte, o incolpati di tradimento o spionaggio, venivano
prelevati dal Sim ( il servizio di controspionaggio) e condotti in luoghi di detenzione o tortura da
cui raramente si tornava”.
Il libro di Ranzato ha una tale ricchezza di dettagli e di ricostruzioni di episodi da destare
ammirazione: nessun avvenimento, nessun protagonista della storia spagnola dal 1931 in avanti
viene trascurato. La Spagna arriva alla democrazia in grave ritardo e con una struttura sociale
fortemente differenziata tra una classe dirigente “tutta dedita alle sue particolari convenienze,
incapace di una visione ampia degli interessi collettivi e del senso di responsabilità necessario” e la
vastissima area delle classi subalterne che soprattutto nelle campagne vivevano in condizioni di
estrema indigenza, estranee al senso dello Stato e ai valori della democrazia liberale, favorevoli
invece all’anarchismo e alle forme ribellistiche del “comunismo libertario” e della insorgenza
violenta contro il potere rappresentato ai loro occhi dalla Chiesa e dalla Guardia civil.
L’anarchismo è l’altra , profonda anomalia della Spagna: radicato nella cultura del localismo e
dell’autonomismo delle comunità contadine, ostile alla proprietà privata della terra, l’anarchismo
spagnolo era nato nelle campagne come difesa dei diritti collettivi, contro la privatizzazione
generalizzata delle risorse naturali; si era poi diffuso nelle città dove erano nate le prime
organizzazioni sindacali e politiche. Secondo Ranzato l’anarchismo era una risposta radicale ed
estremista al deficit di democrazia del sistema politico spagnolo.
Anche il regionalismo ed il separatismo hanno avuto una componente simile a quella
dell’anarchismo ovvero il bisogno di identità e di appartenenza ad una comunità oppositiva al
potere dello Stato: una specie di supplenza di uno statalismo declinante ed impoverito.
La Chiesa spagnola, per le ragioni dette, si schierò quasi unanime dalla parte di Franco. Agli inizi
degli anni Trenta essa era ostile alla laicizzazione dello Stato e identificava se stessa con la nazione
(nazionalcattolicesimo). Di fronte a questa Chiesa, la Repubblica avviò un laicismo assolutamente
controproducente, incapace di trovare la giusta misura nella eliminazione delle prerogative
ecclesiastiche nel diritto matrimoniale, nel diritto familiare, nell’educazione scolastica. Le misure
prese ed inserite nella Costituzione del ’31 scalzavano un antico sistema di privilegi ma
introducevano anche norme penalizzanti: “ Tra esse di particolare gravità erano quelle che
imponevano lo scioglimento della Compagnia di Gesù e la nazionalizzazione dei suoi beni –un salto
nel remoto passato dell’Europa dei lumi-, e quelle che vietavano agli ordini religiosi non solo
l’esercizio dell’industria e del commercio, ma anche dell’insegnamento”. La politica di
secolarizzazione via via seguita dalla Repubblica portò al divorzio irrevocabile del cattolicesimo
spagnolo dalle istituzioni laiche del paese. Lo scoppio della guerra civile trasformò l’opposizione in
persecuzione, in vendetta, in distruzione sistematica dei luoghi di culto, in uccisioni di massa. Si
scavò un fossato tra i più profondi tra le due Spagne che si combattevano con ferocia.
La domanda con cui Ranzato ha aperto il suo libro, perché la grande occasione di modernizzazione
e di democrazia offerta dalla Repubblica del ’31 sia poi miseramente fallita, ha una risposta che già
conosciamo e che l’autore ripropone come chiusura del suo lavoro: “ In quegli anni la democrazia
liberale, stretta tra fascismo e comunismo, aveva rischiato di soccombere. Anche in Spagna essa
aveva dovuto cedere all’aggressione militar-fascista e alla rivoluzione anarco-comunista. Ma prima
ancora, quella democrazia era rimasta vittima della sua interna fragilità: In Spagna e nel resto
d’Europa”.
Michele Del Vecchio