29.08.2011 - Festival di narrazione

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29.08.2011 - Festival di narrazione
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 29 agosto 2011 • N. 35
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Cultura e Spettacoli
In equilibrio tra qualità e mercato
Mostra del cinema Dal 31 agosto al 10 settembre gli occhi dei cinefili di tutto il mondo saranno puntati su Venezia
Piero Zanotto
Promette di volare alto la 68. Mostra
del Cinema di Venezia che si aprirà il
31 agosto col film, ancora «politico» di
e con George Clooney, The Ides of
March, in prima mondiale come tutti i
22 titoli in gara per il Leone d’oro.
Marco Müller direttore (forse all’ultimo dei cinque anni della sua gestione
in seno alla Biennale), non nasconde la
sua ambiziosa sicurezza. Sulla formula
sempre inseguita ch’egli sintetizza per
il concorso e le altre sezioni che compongono il multiplo calendario del festival, dicendo che negli ultimi anni
egli e i suoi collaboratori hanno sempre cercato di «sintonizzarsi sulle correnti sotterranee e sulle onde visibili e
invisibili del cinema del mondo». Dichiarazione impegnativa. Che non nasconde anche scelte destinate alla prova del mercato.
Müller da sempre
cerca di conciliare
la qualità dei film
con quelli che sono
i gusti del mercato
Sono cinque i film americani che
saranno offerti per le scelte della giuria
internazionale guidata dal regista, produttore e sceneggiatore statunitense,
Darren Aronofsky cui toccò il privilegio
di aprire la mostra dello scorso anno
con Black Swan (Il cigno nero), dopo essersi portato a casa nel 2008 l’aureo Leone alato per The Wrestler.
Cinque film a stelle e striscie. Troppi? Müller risponde che potevano essere anche sei se Francis Coppola avesse
«The Ides of
March», il film
diretto da
George Clooney
che aprirà la
Mostra del
Cinema di
Venezia.
potuto terminare per tempo quello cui
sta lavorando. Come forse potrebbero
sembrare in numero eccessivo i tre film
italiani ammessi alla competizione, firmati da Emanuele Crialese, Cristina
Comencini e Gipi (Gian Alfonso Pacinotti) figura inoltre, quest’ultimo, di regista esordiente.
Anche di fronte a tale obiezione
Müller risponde che potevano essere
quattro se Ermanno Olmi non avesse
ostinatamente preferito questa volta
(nonostante i successi riportati in più
occasioni sullo schermo lidense) fosse
fuori concorso la sua nuova opera Il villaggio di cartone. E che comunque l’italico cinema dimostrerà tutta la sua vitalità nel rappresentare la «realtà contemporanea», con privilegio per il proble-
ma dell’emigrazione, nella rinnovata e
potenziata sezione «Controcampo Italiano» che mette insieme lungometraggi narrativi, cortometraggi e documentari. Tra gli autori Ricky Tognazzi e…
Maria Grazia Cucinotta. Premi per il
miglior lungometraggio e il miglior cortometraggi saranno 30’000 e 10’000 euro di pellicola negativa offerti da Kodak.
E vi sarà la sezione «Orizzonti» sulla
quale Müller punta molto, soddisfatto
per la decisione di agganciarla alla»retrospettiva» che è da considerarsi totalmente anomala rispetto alle «sue» precedenti, influenzate dalla spinta dell’amico Quentin Tarantino «innamorato» oltre misura del cinema italiano di
serie B. Quella dello scorso anno si imperniò sulla «situazione comica», con
chicche per altro divertenti pescate
dall’oblio grazie alla Cineteca Nazionale
che si sobbarcò il delicato lavoro di restauro. Questa volta mette in campo il
cinema italiano «dimenticato», ma più
realisticamente rimasto fuori mercato,
di ricerca (sperimentazione di linguaggi
d’avanguardia o semplicemente contro
corrente e di sfida alla tradizione, e in essa troviamo anche il nome di Carmelo
Bene) prodotto tra il 1961 e il 1978. Dice
Müller: «Un cinema aperto e liquido che
interroga se stesso come dispositivo linguistico, come tecnica capace di scandagliare e sollecitare le realtà e come forma
d’arte che vuole dialogare con feconda
disinvoltura con le altre forme d’arte».
E su questa linea ha aperto lo schermo del Lido pure a… Madonna, regina
del pop, col suo secondo film W.E.. Così
come con un occhio di riguardo ha
iscritto in calendario per la serata inaugurale (dopo quello del liberal Clooney
che prende di mira questa volta gli «inganni» elettorali del partito democratico) Vivan las Antipodas! documentario
del russo Victor Kossakovsky: curiosità
sulle realtà del globo tra loro antipode.
Un ideale filo che trapassando il centro
della terrà fin dall’altra parte porterebbe
un villaggio di pescatori dell’Argentina
a Shanghai. Pare opera di insolita suggestione visiva.
Vedremo. Come si dice, contando
le altre due sezioni «autonome»: la Settimana delle Critica e le Giornate degli
Autori, il piatto è più che colmo. Su di
esso peserà anche il Roman Polanski
(ma lui fisicamente non ci sarà per le
ben note personali vicende) del suo ultimo lavoro: Carnage. Mentre a Marco
Bellocchio andrà il tradizionale Leone
d’oro alla carriera e ad Al Pacino sarà
attribuito il premio della Biennale Jaeger-Le-Coultre Glory to the Filmmaker
2011, con la proiezione del suo terzo
film da regista (prima mondiale) Wilde
Salome, da lui definito «il mio progetto
in assoluto più personale»: indagine dal
privato di Pacino sulle complessità di
Salomè, celebre opera di Oscar Wilde.
Film di chiusura il 10 settembre,
fuori concorso, dopo la cerimonia di
premiazione, una commedia di Whit
Stillman (altro autore statunitense)
Damsel in Distress. Giovanilista, leggera, d’ambiente universitario.
Un’ombra peserà invece sul festival
veneziano: si tratta del buco nero scavato lì vicino per far sorgere il nuovo Palazzo del Cinema. Lavori desolatamente
interrotti per il ritrovamento di una
enorme quantità di amianto di problematico smaltimento.
«Io non sono un cantante, compongo versi…»
Festival di narrazione Laura Curino conquista Arzo raccontando il poeta Fabrizio De Andrè
Giorgio Thoeni
Una serata d’eccezione. Magica, per le
sensazioni, fra emozione e commozione, che nascono dalle parole. Un mito,
un eroe senza volerlo, un poeta che ha
viaggiato nell’animo e nella coscienza
del nostro tempo, Fabrizio De Andrè
rivive nel racconto dei suoi stessi ricordi in uno spettacolo-collage sapiente,
dove si dà per scontata la conoscenza
del personaggio perché non serve spiegare tutto. Perché c’è tutto. Genova, la
Sardegna, il Mediterraneo e pure una
fetta di Piemonte. Ma soprattutto c’è
lui, Faber, personaggio schivo e delicato, con l’eredità intellettuale di un artista, di un uomo il cui desiderio era quello di «essere socialmente utile».
La voce è quella di Laura Curino
che dopo aver dato spazio alla dinastia
Olivetti e tratteggiato il profilo di un altro grande industriale, Enrico Mattei,
torna con Ho visto Nina volare, dal titolo di una delle ultime canzoni del cantautore genovese dedicate alla bambina
della cascina accanto a quella in cui la fa-
miglia De Andrè abitava da sfollati durante la guerra e dove sono ancora andati a trascorrere diverse estati con i loro
bambini, Fabrizio e il fratello Mauro.
Revignano d’Asti, appunto. Ma la piazza ora è quella di Arzo che diventa una
platea stracolma al punto da creare
qualche imbarazzo organizzativo per la
prima serata della 12. edizione del Festival Internazionale di Narrazione, una
manifestazione nata quasi in sordina
ma diventata un appuntamento irrinunciabile di fine estate per appassionati e per famiglie. Cucito su brandelli autobiografici, gli stessi che il fotografo
Guido Harari ha utilizzato per il bellissimo libro Una goccia di splendore (Bompiani), costruito su immagini e scampoli di testi, lo spettacolo rapisce per semplicità e armonia fra musica e racconto.
La Curino è in scena davanti a un leggìo.
Ma per la prima volta non proviamo fastidio nell’assistere a una lettura teatrale.
Anzi. Con lei ci sono l’ottimo chitarrista
Gigi Venegoni e Bruno Maria Ferraro,
appassionato cultore e interprete delle
canzoni di De Andrè. La musica è così
parte di novanta minuti di narrazione.
Ma non invade. È spesso accennata in
sottofondo per ricordarci i motivi più
significativi, i successi più popolari di
De Andrè: Marinella, Bocca di Rosa, Via
del Campo, La guerra di Piero, Creuza de
Mâ… Talvolta si canta e Ferraro s’immedesima con un timbro vocale straor-
dinariamente evocativo (bastava chiudere gli occhi). Insomma, il trio si amalgama senza esagerazioni per un rapimento programmato sulle pagine più
intense ma anche più ironiche dei ricordi autobiografici. Dall’infanzia e dalla figura del padre con cui Faber si riconcilierà tardi ma per il quale ha sempre nu-
Laura Curino.
trito un profondo rispetto, ai pigri studi
liceali. Dalle grandi amicizie (per esempio con Paolo Villaggio) all’amore per
Genova, la sua città accanto alla saggia
asciuttezza del suo dialetto («La salute
senza palanche è come una mezza malattia»). Dalle sconcertanti affermazioni
(«ho inciso dischi per far piacere agli
amici ma non mi è mai piaciuto») a
semplici confessioni o ai più intimi segreti di un poeta che ha saputo meglio di
tutti a parlare alle nostre coscienze cantando le anime salve di quei perdenti dimenticati che rinascono come eroi vincenti a cui lui restituisce il diritto di cittadinanza anche se, suo malgrado, in un
«mondo monotono».
Suggestioni, pensieri, volo d’immagini, sogni, riflessioni e contrappunti musicali. Niente retorica, solo emozioni. E il buio seguito da applausi scroscianti fanno da cornice alle ultime parole scelte per raccontarci Fabrizio De
Andrè con la voce di una Laura Curino
ispirata: «Forse è vero: in una vita passata ero stato uno sciamano». Ne siamo
convinti.
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