Il mio impatto con il Comelico

Transcript

Il mio impatto con il Comelico
Il mio impatto con il Comelico
Fino ad una settimana prima non sapevo
nemmeno che esistesse e dove fosse una
località del Veneto con questo nome.
Dopo un giorno e mezzo di viaggio smonto da
una corriera, un po' frastornata, proprio davanti
alla porta di una osteria.
E' il 30 dicembre 1950. Il fondo stradale è neve
e ghiaccio così subito sono costretta a guardare
dove metto i piedi, poi alzando gli occhi mi si
dispiega davanti il gruppo del Popera illuminato
come un immenso altare, ricoperto da una
tovaglia candida di neve fresca, emergente dal
piedistallo verde cupo di boschi velati di bianco.
Il freddo è pungente ma il sole è dardeggiante in
un cielo di cobalto; mi innamoro a prima vista di
questo luogo geografico. Sono qui in questo
paese per prelevare la farmacia del dr. Guido
Mina. Un signore piccolino con una moglie alta
e bionda e un contorno di figlioli ormai cresciuti.
Mi mettono a disposizione la stanza per
dormire, ma per mangiare vado all'Albergo
Tobolo gestito da Dirce Festini, una donna
esuberante, dalla figlia Graziella e dal marito
Urbano Gasperina, proprio di fronte all'Osteria
"da Aldo" nel punto della strada in cui fermano
le corriere.
Fatto l'inventario in due giorni viene l'alba
dell'anno 1951. Il 1' gennaio, riposo. Vado per la
Messa di Capodanno e mi presento al Pievano
Don Giuseppe De Cassan (che sarà poi il
pastore di almeno tre generazioni di comeliani).
Questi, a sua volta, mi presenta la maestra Elia
De Lorenzo, la capogruppo dei maestri.
Il giorno dopo per ragioni di lavoro e di trasporti
conosco l'Esattore locale, il signor Titta Fiori, zio
dei Giacobbi. Questo personaggio, certamente il
più ricco e potente del luogo, mi mette un po' di
soggezione, per il suo modo burbero fin che intuisco che è il suo modo d'essere. Alla fine si
complimenta, mi da il "benvenuta in Comelico" e
mi offre perfino denaro in prestito. Cosa che
ricuso subito, avendo io, in quel momento,
anche troppi debiti... Entra nel suo ufficio un bell'
uomo dagli occhi chiarissimi e intelligenti e me lo
presenta: "il medico condotto, dottor Pio Necca"
dice. "Zandonella" fa eco lui. Una persona molto
preparata con cui in seguito avrò più confidenza
per ragioni di lavoro.
Nevica molto sovente in quel gennaio e il freddo
umido si fa sentire specialmente da me che non
sono abituata. L'acqua in camera si gela nella
brocca e i due localetti della farmacia sono
riscaldati a segatura con un carico al giorno.
Subito dopo l'Epifania cade tanta e tanta neve
ed essendo tutti i passi e le strade chiusi, un
gruppo di turisti triestini decide di partire da
Padola con slitte, cavalli e campanelli come in
Russia. Dopo una o due settimane, in febbraio
nevica ancora di più. Per ben due o tre volte
restiamo intrappolati nel nostro "bianco"
Comelico perché grosse slavine cadono nella
Valle dell'alto Piave ostruendo, per giorni e
giorni, l'unica via di accesso e il transito delle
corriere. Il disagio è grande perché vengono a
mancare i rifornimenti di viveri e medicinali. E le
corriere sono indispensabili dato che, a quella
data, nessuno possiede l'automobile. (Sembra
un sogno!). Il medico condotto per spostarsi si
serve di una motocicletta con cui raggiunge
anche Soppalù, giù per il Col della vecia. Una
vecchia berlina per il servizio pubblico
appartiene al signor Venturi. Un servizio simile
c'è anche a Padola.
L'aria, priva dei miasmi dei motori, è sanissima
e, poi, lavata da tanta neve, è immacolata.
Lascia sentire il profumo del pane che esce dal
forno di Natalina proprio di fronte alla farmacia,
oppure quello del caffè tostato sui fuochi
domestici, o del burro fuso per poterlo
conservare, o della polenta. Il silenzio è
profondo durante la notte, direi assoluto, se non
si ascolta il brontolare del Padola giù sotto.
Le strade in primavera si rivelano sterrate,
battute e polverose e solo il ramo della Carnica
sarà asfaltato in quell'anno.
Chiedo per il mio lavoro l'allacciamento
telefonico. A manovella, come nei vecchi films
americani, ci si mette in contatto con il
centralino di S.Stefano che poi ti collega al
numero desiderato.
Come farmacista nuova e come donna suscito
in questo paese una certa curiosità. Così
Dirce, l'albergatrice, non perde l'occasione di
far conoscere, a me di natura piuttosto schiva,
man mano, molti compaesani che si affacciano
al suo ambiente; me li presenta nella breve
pausa del pranzo e poi mi ragguaglia sul loro
stato anagrafico, sulla loro posizione sociale e
sul loro lavoro. Il primo è un giovane suo
cugino, il maestro Aurelio De Martin, poi il
Sindaco Barba Chin, il caporegola Oreste
Tobolo, il forestale Dal Cin, il maresciallo dei
carabinieri, il barbiere Sandro, il macellaio
Vito, ed altri e poi la sarta Imelda Zambelli,
una donna interessante e bella, che mi ispira
subito grande simpatia e mi invita a casa sua.
Insomma la signora Dirce mi rende un servizio
e mi fa sentire meno sola e sperduta.
Tante altre persone ho l'occasione di
conoscere, durante il lavoro in farmacia,
specialmente mamme e anche una singolare
figura
di
religioso,
Padre
Bartolomeo
passionista, napoletano di origine, ma per ora
comeliano di adozione perché è il confidente di
tutti, con un cuore grande molto di più di quello
che sta disegnato sulla sua tonaca nera. E' il
compassionista del paese.
Nelle giornate di sole e negli intervalli del
lavoro mi muovo alla scoperta delle vie e delle
frazioni del paese che mostrano una grande
diversità perfino nella parlata, mi sforzo di
capire il difficile dialetto ladino. Per la verità
non mi è di grande inciampo perché di fronte a
un "foresto" la gente si esprime subito in
italiano. Non ci sono differenze fra loro: tutti
sono poveri e tutti sono ricchi, tutti hanno la
stessa cultura di base fino alla sesta
elementare. Una certa discriminazione fra
uomo e donna come avevo già osservato nei
paesi del Trentino. In Chiesa gli uomini
davanti, le donne dietro. All'osteria gli uomini
sì, le donne no. Inoltre le cure dei figli sono
tutte a carico delle donne.
E di figli ce ne sono tantissimi in quegli anni, i
maschietti con le braghe corte ma le calze di
maddalana lunghe, sfrecciano come stormi di
balestrucci fuori di scuola e con lo slittino giù
per le discese di "Sciamazzegn", nonostante il
divieto di Micelutu, la Guardia. Fra questi uno
di nome Andrea, ricci neri e due stelle al posto
degli occhi e due candele fra naso e bocca
come hanno quasi tutti. Chi ha, fra loro, il
tempo di pulirsi il naso o solo di sentire il
moccio col freddo che fa?
Così passeggiando in salita scopro le strade
alte dai nomi poetici: via Sole, via delle Alpi,
via Crodi, via San Leonardo, che porta alla
chiesetta omonima in posizione dominante su
di un cucuzzolo: un luogo che più bello di così
neanche in sogno lo vedi!
Conosco altre persone; il calzolaio Tavan, il
vecchio e strano Alberico con la chitarra e sua
sorella Adelina camiciaia. I Mina e i Minuta, i
Festini Cucco, i Zambelli del maestro Lorenzin,
famiglia, questa, che come dice il cognome
appartiene alla Regola di Candide ma che gli
eventi della vita hanno portato ad abitare più
su a Casamazzagno; eccezione alla regola
delle
Regole.
Imelda,
già
conosciuta
all'Albergo di Dirce, mi invita ad entrare.
Conosco così il capofamiglia, Lorenzin, una
volta maestro e ora impiegato comunale, sua
moglie Tonina, Menina una convivente, e il
figlio Gigetto che abita nella casa dei Minuta
perché a sua volta è padre di cinque bambini;
tre ragazzotti, Fortunato, Lucia e Renzo; il
giovane Antonio appoggiato alla stanga del
forno con gli occhi tristi e una meravigliosa
chiosura di denti che scopre parlando. Due
bimbi di circa due anni razzolano ai suoi piedi.
Il più piccolo fa la pipì bagnando le lunghe
calze di lana e il pavimento (mancano ancora
venti anni alla scoperta dei pannolini di carta!).
Sarà la prima famiglia con cui entro in
confidenza.
Carla Bovo