CONSEGUENZE ECONOMICHE DEGLI SHOCK

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CONSEGUENZE ECONOMICHE DEGLI SHOCK
CONSEGUENZE ECONOMICHE DEGLI SHOCK MILITARI: VERIFICA
DEGLI SCENARI E CONFRONTO TRA GLI INDICATORI
Nel Rapporto dello scorso settembre avevamo proposto un esame delle conseguenze economiche dei conflitti politico-militari che negli ultimi sessant’anni hanno coinvolto in prima linea gli
Stati Uniti. Gli eventi considerati furono: l’attacco giapponese a Pearl Harbour (8 dicembre 1941),
la guerra di Corea (25 giugno 1950), il conflitto Usa-Urss sull’installazione dei missili sovietici a
Cuba (22 ottobre 1962), l’intervento militare americano in Vietnam (6 agosto 1964), la guerra del
Kippur (5 ottobre 1973) e la guerra del Golfo (2 agosto 1990). Le date inserite tra parentesi segnano il momento iniziale dello shock e sono utili per porre a confronto la reazione immediata dei
mercati finanziari (fig. 1). Fatto 100 l’indice Dow Jones il giorno prima dello shock, in quasi tutti
gli episodi studiati (con l’eccezione della guerra del Kippur) si è registrata una caduta delle quotazioni azionarie nel giorno dello shock e in quelli successivi. La flessione è stata generalmente di
breve durata. La figura 1 permette di notare come la caduta dell’indice di borsa dopo gli eventi
dell’11 settembre (unico caso in cui la borsa americana è stata chiusa per quattro giorni) sia stata più forte sia rispetto sia alla guerra di Corea che a quella del Golfo. La ripresa, alimentata dall’azione della Fed e delle altre banche centrali (attraverso una immediata iniezione di liquidità e
il continuo taglio dei tassi), è stata però più rapida rispetto ai due episodi citati.
Fig. 1 - Confronto tra gli indici Dow Jones
(Indice=100 giorno antecedente l’episodio)
Una prima conclusione dello studio del Rapporto dello scorso settembre era che le conseguenze economiche più gravi si ebbero nei casi in cui alle tensioni politico-militari si legarono forti aumenti dei prezzi delle materie prime.
Durante la guerra del Golfo ad esempio, l’incremento del prezzo del greggio si sommò alle
prospettive della guerra nel generare la caduta dei corsi azionari e della fiducia dei consumatori.
Nell’agosto 1990, il Brent passò da 16 a oltre 40 dollari al barile. Solo nel febbraio 1991, con il ritiro dell’Iraq dal Kuwait, il Brent ritornò a essere quotato a 20 dollari a barile (fig. 2). Dopo l’iniziale caduta di agosto, la fiducia dei consumatori americani continuò a scendere anche nei mesi
autunnali e invernali del 1990 (fig. 3), cioè per tutto il periodo in cui i forti rincari dei prodotti
energetici causarono una consistente perdita di potere d’acquisto. La fiducia risalì nel febbraio
1991 quando, finita la guerra, il prezzo del petrolio tornò a scendere.
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Fig. 2 - Confronto prezzo del Brent
(Indice 100=gen. 90, feb. 01)
Fig. 3 - Confronto tra gli indici di fiducia dei consumatori Usa
(Indice 100=giorno antecedente l’episodio)
Subito dopo gli attentati dell’11 settembre il prezzo del petrolio è sceso da 26,6 a 21,5 dollari
al barile, nell’ultimo trimestre del 2001 è poi continuato ad oscillare tra i 17 e i 20 dollari. Poiché
lo shock attuale è coinciso con una forte decelerazione dei prezzi delle materie prime, non solo
energetiche, dovremmo attenderci un profilo dell’andamento della fiducia e dei consumi privati
dissimile da quello avutosi durante la guerra del Golfo. Tuttavia, i primi dati post-attentati mostrano una profonda correzione al ribasso di fiducia e spesa della delle famiglie (fig. 3 e 4).
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Fig. 4 - Confronto tra i consumi degli Stati Uniti
(Indice 100=mese antecedente l’episodio)
Dopo una lieve flessione registrata all’indomani degli attentati dell’11 settembre, ad ottobre
infatti la fiducia dei consumatori ha subito una forte contrazione, di entità superiore alla caduta
che si ebbe con la guerra del Golfo. Il clima di paura si è sommato alla forte caduta dell’occupazione nei settori maggiormente colpiti dagli attentati di settembre. Le incertezze occupazionali
dovrebbero però essere compensate nei mesi futuri dalle consistenti politiche di sostegno ai redditi, alla spesa dei consumatori e ai settori colpiti dagli attentati, approvate dall’amministrazione
Bush. È plausibile attendersi dunque un profilo diverso dell’andamento della fiducia e della spesa per consumi rispetto a quello osservato nei due trimestri invernali a cavallo tra il 1990 e il
1991.
Una seconda conclusione dello studio di settembre era che la guerra di Corea nel 1950 si prestava meglio di quella del Golfo a capire le conseguenze economiche dello shock dell’11 settembre,
proprio per l’assenza di rilevanti tensioni sulle materie prime. Tuttavia, le prime indicazioni suggeriscono un andamento del settore industriale negli Stati Uniti, successivo all’11 settembre, peggiore sia di quello della guerra di Corea sia, come si è visto, di quello della guerra del Golfo (fig.
5 e 6). La differenza è largamente attribuibile alla diversa situazione di partenza.
Nei mesi precedenti l’intervento Usa in Corea la produzione industriale cresceva ad un ritmo
mensile superiore al 3%; l’indice Napm dei responsabili degli acquisti — la cui rilevazione iniziò
nel gennaio 1950, — aumentò da gennaio a giugno del 29,6%, e rimase ben superiore a quota 50
(che separa la fase di espansione da quella di contrazione dell’economia) sino al giugno 1951. Nei
mesi precedenti l’attacco terroristico dello scorso settembre l’industria manifatturiera americana
era invece in recessione da 10 mesi. L’indice Napm oscillava dall’agosto 2000 su valori inferiori a
50, mentre aveva cominciato a recuperare nei mesi antecedenti l’attentato. Tale recupero era stato interpretato come un segnale di svolta del ciclo. Fatto 100 l’indice Napm un mese prima deglieventi, il confronto tra i tre episodi (fig. 6) mostra un peggioramento delle attese di produzione di
dimensioni molto superiori al calo registrato allo scoppio della guerra del Golfo; l’indice addirittura aumentò all’indomani dello scoppio della guerra di Corea. Attualmente il forte calo dell’indice
Napm indicherebbe che il punto di svolta del ciclo è stato spostato in avanti nel tempo: quanto in
avanti, dipenderà in larga misura dai tempi di assimilazione delle politiche economiche espansive adottate negli ultimi mesi.
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Fig. 5 - Confronto della produzione industriale negli Stati Uniti
(Indice 100=mese antecedente l’evento)
Fig. 6 - Confronto indici Napm
(Indice 100=mese antecedente l’evento
Fonte: Elaborazioni Csc su dati Thomson Financial.
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