Il golf e la riduzione del danno

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Il golf e la riduzione del danno
Natras,
Viaggio nel mondo del lavoro infantile del Nicaragua di oggi.
di Paolo Bosio/Collettivo DonQuixote
Traka traka, il nome di un giocattolo semplice, due palline di plastica legate ad un
filo. Lo scopo è farle colpire l’una contro l’altra, producendo un rumore secco e
ritmato. Traka traka è il giocattolo preferito dai bambini del Nicaragua, tutti ne
posseggono uno, anche e soprattutto quelli che non hanno niente, quelli che
vivono per strada e quelli che sono costretti a lavorare per sopravvivere. Girando
per i mercati e per le stazioni dell’autobus del Nicaragua, tra le urla dei venditori e
il trambusto del viavai frenetico della gente, si sente sempre il suono assordante
del traka traka. E’ un segnale della presenza dei bambini, se lo si segue li si
incontra, piccole bande di randagi chiassosi, che girano senza sosta lavorando,
cercando spiccioli, cibo, o semplicemente attenzione.
Il suono del traka traka è il rumore del bisogno di essere ascoltati, è l’energia di
chi combatte tutti i giorni in un mondo duro, da adulti, è l’urlo dell’infanzia
negata. Questo suono mi ha accompagnato in tutte le tappe del mio viaggio in
Nicaragua, è stato una presenza amica, stazione dopo stazione, tappa dopo
tappa, da Managua a Leon, a Estelì, a Granada, fino ad arrivare a San Carlos dopo
aver attraversato il maestoso Lago di Nicaragua.
San Carlos, capoluogo del Dipartimento del Rio San Juan, una delle zone più belle,
incontaminate e selvagge di tutto il Centroamerica, posto di frontiera, crocevia,
porto senza logica, cresciuto disordinatamente man mano che arrivava la gente.
San Carlos è casa di emigranti e immigrati, allevatori in cerca di terre, sfollati dalla
guerra e dalla miseria, famiglie in cerca di una nuova vita, ragazzi che sognano un
lavoro mal pagato nella vicina Costa Rica, quella che chiamano “la Svizzera del
Centroamerica” e che basa gran parte della sua ricchezza sullo sfruttamento della
manodopera nicaraguense a basso costo.
San Carlos, posto di paradossi, l’incanto della natura selvaggia, l’inizio del
maestoso Rio San Juan, un tempo crocevia di pirati, punto strategico in quanto
collegamento tra Mar Caribe e Pacifico, fino al declino seguito all’apertura del
Canale di Panama. Da sempre il fiume è stato una perla naturalistica di
inestimabile valore, dove anche gli squali si avventurano abbandonando le acque
salate dell’Atlantico per quelle dolci del grande Lago di Nicaragua e diventando
specie unica al mondo. A una tanto idilliaca cornice si contrappone la realtà della
vita dura, dell’abbandono da parte delle istituzioni, della povertà diffusa.
A San Carlos sopravvivere è difficile, l’isolamento dovuto alle pessime
infrastrutture di collegamento con il lato pacifico civilizzato crea miseria; i dieci
anni di guerra ed embargo degli anni 80, che in queste zone sono stati
particolarmente violenti, sembrano vicinissimi. Il sogno infranto della Rivoluzione
Sandinista ha lasciato posto alla corruzione dei governanti, al vassallismo nei
confronti degli USA e alla mancanza di opposizione politica e sociale dovuta alla
stanchezza e alla disillusione della gente. Non ci sono soldi, le vecchie attività
sono state abbandonate o sequestrate durante il conflitto, la disoccupazione è
diffusa, la gente si arrangia come può, si inventa il lavoro, fatica tutto il giorno
per pochi spiccioli e solo alcuni hanno la fortuna di venir assunti dal Comune o da
una delle tante O.N.G. europee e statunitensi. La normalità è il lavoro informale,
l’abbandono, il salario di cento dollari al mese, l’alcolismo, il grande numero di
ragazze madri, e poi, mondo a parte, inascoltato, l’universo dei bambini
lavoratori. La condizione dei bambini è lo specchio più fedele della situazione di
un popolo: conoscendola si può capire molto di cosa vuol dire vivere in Nicaragua
dalla fine del Sandinismo in poi. Dietro alla lotta quotidiana per la sopravvivenza
che la maggior parte dell’infanzia nicaraguense deve affrontare c’e’ un mondo di
corruzione, di individualismo spietato e di dominio di una oligarchia totalmente
indifferente alle condizioni di vita della popolazione. In questo ambiente i bambini
perdono il diritto all’infanzia, rinunciano al gioco , alla spensieratezza, alla facoltà
di disobbedire e si fanno carico delle responsabilità degli adulti. Lustrascarpe,
venditori ambulanti, facchini, domestiche, pescatori, faticano senza sosta dall’alba
al tramonto per una paga media di due dollari al giorno. Sfruttati, maltrattati,
affrontano condizioni familiari disastrose e se ne fanno carico. I padri, quando
presenti, sono spesso figure dure, incattivite dall’alcool, dalla disillusione, dalla
guerra e dalla disoccupazione. Le madri, sempre giovanissime, spesso sole,
devono badare a proli numerose affrontando miseria, malattie, machismo e
ignoranza. Questo fa sì che un bambino, già dall’età di sei o sette anni, diventi
una indispensabile fonte di sostentamento per una famiglia intera, e per la scuola,
il gioco, la spensieratezza, non c’è più spazio.
Le giornate cominciano presto per l’infanzia lavoratrice di San Carlos. All’alba
alcuni cercano legna per cucinare, altri portano l’acqua dai pozzi, altri
accudiscono i fratelli più piccoli. Un po’ di riso e fagioli per colazione, poi subito
fuori ad aspettare i primi autobus sgangherati per vendere tortillas, caffè, oggetti
di tutti i tipi, oppure per lustrare le scarpe dei viaggiatori in sosta alla stazione, o
per caricare sui carretti i sacchi pieni di mercanzia dei commercianti. Le femmine,
oltre vendere per la strada, lavorano nelle mense, servono i clienti, cucinano
dall’alba al tramonto. Altre servono nelle case dei più benestanti, badano ai
bambini, lavano vestiti, puliscono, tutto il giorno, tutti i giorni della settimana, per
meno di cento dollari al mese e spesso subiscono maltrattamenti e violenza
sessuale da parte dei capifamiglia della casa in cui servono.
Alla fine della giornata l’esercito dei piccoli lavoratori torna a casa. Quasi tutti
vivono in quartieri marginali con nomi beffardi come Linda Vista o Bello
Almanecer, poco più che bidonville, agglomerati di casette di legno e lamiera,
senza acqua, spesso senza energia elettrica, regno di fango, insetti, rum da due
soldi. Quasi nessuno ha potuto dedicare qualche ora della giornata allo studio, la
maggior parte dei genitori non riconosce il valore dell’educazione scolastica, i figli
sono forza lavoro, un modo per sopravvivere, e spesso, quando non sono riusciti
a portare a casa nulla, vengono puniti e bastonati.
Traka traka, un giocattolo che fa rumore, che dovrebbe essere assordante, che
dovrebbe essere ascoltato, anche solo per guardare e stupirsi della mancanza di
rabbia negli sguardi dei bambini lavoratori. Determinazione, entusiasmo per ogni
cosa, voglia di farcela, insieme, di essere diversi da noi adulti. Tutto questo negli
occhi di un bambino di nove anni.Voglia di urlare.