MGF Per lo sviluppo e la tutela dei diritti delle donne Il

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MGF Per lo sviluppo e la tutela dei diritti delle donne Il
MGF
Per lo sviluppo e la tutela dei diritti delle donne
Il fenomeno dell’ immigrazione di milioni di persone che si muovono dalle aree meridionali del
mondo verso i paesi industrializzati in cerca di un migliore futuro per sé ed i loro bambini,
determina notevoli cambiamenti culturali e sociali.
I movimenti migratori hanno reso visibile nei paesi occidentali realtà e situazioni non ben
conosciute e la presenza di uomini, donne e bambini provenienti dai Paesi in via di sviluppo hanno
messo le popolazioni di fronte a culture ed abitudini diverse.
Tra queste, abbiamo potuto osservare in Europa la diffusione del fenomeno della Mutilazione
Genitale Femminile (MGF), un termine che descrive diversi rituali tradizionali.
Secondo la dichiarazione congiunta emessa nell’aprile 1997 da parte dell’OMS, dell’UNICEF e
dell’UNFPA, per Mutilazione Genitale Femminile "si intendono tutte le procedure che comportano
la rimozione parziale o totale dei genitali esterni femminili o altri interventi dannosi sugli organi
genitali femminili tanto per ragioni culturali che per altre ragioni non terapeutiche.
Riteniamo opportuno porre una particolare attenzione a questa pratica, sia perché coinvolge la vita
di milioni di donne e bambine immigrate residenti in Italia, sia perché attualmente il nostro Governo
se ne sta occupando con una proposta di legge.
Per questo daremo uno sguardo informativo d’insieme alla problematica in generale, alle
ripercussione dal punto di vista della salute, alle normative europee e dei paesi africani in materia
e in particolar modo a quella italiana.
Che cosa sono?
Mutilazioni dei genitali femminili è il nome che è stato dato nel corso della III Conferenza del
Comitato Inter-Africano, sulle pratiche tradizionali rilevanti per la salute di donne e bambine a tutte
quelle pratiche tradizionali in cui si ha l’esportazione e/o l’alterazione di una parte dell’apparato
genitale esterno della donna.
Cenni storici sull’origine delle MGF
L’origine della pratica della MGF è sconosciuta. Non ci sono testimonianze certe che indichino
come e quando l’usanza sia iniziata e in che modo si sia diffusa. La più antica fonte conosciuta che
registra la pratica della circoncisione è l’opera di Erodoto (484-424 a.C.). Egli afferma che l’
escissione veniva praticata dai fenici, dagli hittiti e dagli etiopi, come pure dagli egiziani. Attorno al
25 a.C., Strabone, geografo e storico greco, racconta che gli egiziani circoncidevano i ragazzi e
praticavano l’escissione del clitoride alle ragazze. Altre testimonianze le ritroviamo nella letteratura
medica antica. Ad esempio, Soramus, un medico greco operante intorno all’8 d.C. ad Alessandria
d’Egitto e a Roma, descrive dettagliatamente l’intervento e le tecniche usate, riferendo inoltre che
esso veniva praticato per diminuire il desiderio sessuale femminile. Più tardi, Aetius e Paolo
d’Egina, rispettivamente nel 500 e nel 700 d.C., riportano una descrizione analoga e approvano
l’intervento stesso, sostenendo che il clitoride dovesse essere necessariamente rimosso prima che
potesse diventare troppo grande, in quanto, potendo erigersi analogamente al membro maschile
avrebbe
permesso
il
coito
lesbico.
Anche il termine "infibulazione" tradisce una derivazione latina. La fibula: una spilla che serviva a
tenere agganciata la toga, veniva usata dai Romani sulle proprie mogli, in modo da prevenire
rapporti illeciti, e veniva imposta anche agli schiavi e schiave per impedire ai primi di stancarsi coi
rapporti sessuali e le gravidanze delle seconde che avrebbero ostacolato il lavoro.
Ma il centro della diffusione dell’infibulazione femminile sembra che sia stato l’Egitto faraonico,
come attesterebbe la denominazione di “circoncisione faraonica”.
Comunque allo stato attuale l’origine delle mutilazioni dei genitali femminili sembra destinata e
restare indeterminata. L’unica cosa certa è che non è stato l’Islam a introdurre in Africa tali
mutilazioni che erano già presenti in loco assai prima della sua diffusione. Si tratta infatti di usanze
indigene profondamente radicate nelle società locali e preesistenti alla penetrazione dell’Islam
nell’Africa subsahariana e centro orientale iniziata a partire dal 1050, dopo essersi assestato nei
secoli precedenti nell’Africa mediterranea e avervi praticamente cancellato la presenza delle
antiche chiese cristiane.
La classificazione dell’OMS
L’OMS ha distinto quattro tipi principali di modificazione degli organi genitali femminili esterni:
- il I tipo consiste nel recidere il prepuzio o nella asportazione parziale o totale della clitoride
(clitoridectomia). Sunna è il nome tradizionalmente usato per questo tipo di mutilazione;
- il II tipo o escissione, consiste nel recidere il prepuzio e nell’esportazione, oltre che della
clitoride, di parte o di tutte le piccole labbra;
- il III tipo, cioè l’infibulazione o circoncisione faraonica, è la forma più cruenta e consiste
nell’escissione della clitoride e delle piccole labbra e nella cucitura dell’apertura vaginale ridotta
a un piccolo pertugio per la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale;
- il IV tipo include tutta una serie di procedure che vanno dal trafiggere o punzecchiare
lievemente la clitoride per farne uscire alcune gocce di sangue a tutta una ampia casistica di
manipolazioni che variano da una etnia all’altra: allungamento del clitoride o delle labbra,
cauterizzazione dal clitoride, taglio della vagina, introduzione in vagina di sostanze corrosive
per restringerla o renderla asciutta.
Dove si praticano le MGF?
Le MGF al giorno d’oggi riguardano soprattutto un’usanza africana, sono 28 infatti i paesi africani
dove si praticano una o più forme di MGF. Sulla mappa, le mutilazioni dei genitali femminili si
praticano in tutta la fascia centrale del continente. L’infibulazione riguarda praticamente la totalità
della popolazione femminile in Somalia, Gibuti e Sudan (fatta eccezione per le popolazioni non
musulmane del Sudan meridionale), l’Egitto meridionale, la costa etiopica del Mar Rosso, il Kenya
settentrionale, la Nigeria del Nord e alcune zone del Mali.
Fuori dal continente africano, l’escissione è praticata in Oman, nello Yemen, negli Emirati Arabi
Uniti, in alcune zone dell’Indonesia e della Malesia.
Il numero bambine mutilate nel mondo si aggira intorno ai 100/130 milioni: ogni anno circa 2 milioni
di bambine e ragazze sono a rischio.
Recentemente si è scoperto che le mutilazioni dei genitali femminili vengono praticate anche da
alcuni immigrati africani in Europa, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti.
Quando si praticano?
L’età delle MGF cambia a seconda delle etnie e del tipo di mutilazione. Schematizzando si può
dire che l’escissione viene praticata nella primissima infanzia (dal 3° al 40° giorno di vita)
soprattutto nelle società cristiane, ma anche in alcune società animiste e musulmane, e tra i 4 e i
14 anni nelle società musulmane e animiste. L’età dell’infibulazione varia dai 3 ai 12 anni e rari
sono i casi di interventi nei periodi neo-natale.
Conseguenze sulla salute psico-fisica
Tutti questi interventi nella maggior parte dei casi vengono effettuati senza anestesia da praticanti
tradizionali, e comportano un alto tasso di mortalità, di complicazioni sanitarie e di disturbi
psicologici.
Le conseguenze possono essere immediate o a lungo termine. Tra le prime possiamo sottolineare:
shock, emorragia, infezioni, ritenzione urinaria, lesione dei tessuti adiacenti, tetano ed HIV.
Le conseguenze a lungo termine sono molteplici, tra queste: incontinenza, sterilità, neuroma,
disfunzioni sessuali, problemi durante le mestruazioni e, nel caso dell’infibulazione, a causa della
chiusura dell’osteo vaginale che ostacola i rapporti sessuali e il canale del parto, è stato rilevato il
rischio di morte del bambino o della madre e la formazione di fistole ostetriche; una condizione che
si traduce quasi sempre con l’emarginazione della donna dal proprio nucleo familiare e dalla
comunità.
L’infibulazione può creare ulteriori problemi. Infatti è pressoché impossibile praticare un esame
pelvico, per cui risulta molto difficile, se non impossibile, valutare una gravidanza a rischio o
diagnosticare alcune malattie. Se l’apertura lasciata dall’infibulazione risulta molto stretta, è inoltre
impossibile prevenire le infezioni all’apparato riproduttivo. Anche il pap test non si può effettuare,
per cui diventa impossibile diagnosticare alcuni tipi di tumore.
Tra i problemi psicologici e sessuali: disturbi del comportamento, malattie psicosomatiche, ansia,
depressione, incubi, psicosi, frigidità, mancanza di piacere nei rapporti.
Perché si praticano?
Il profondo radicamento delle MGF in larga parte delle culture africane è dovuto ad una complessa
costellazione di fattori che, pur variando da una cultura all’altra, presentano alcuni tratti comuni. Si
tratta del ruolo fondamentale che esse hanno nella costruzione dell’identità di genere, nella
formazione dell’appartenenza etnica e nella definizione dei rapporti di potere tra sessi e tra
generazioni.
Con esse siamo nell’ambito dei riti di passaggio ovvero di quelle pratiche che guidano, controllano
e regolano i mutamenti di status, di ruolo, o di età delle persone e così facendo scandiscono le
varie fasi del ciclo di vita trasformandole in un percorso ordinato e dotato di senso che ne soddisfa
i bisogno di identità e di riconoscimento.
In particolare le MGF sono una componente essenziale dei riti di iniziazione, attraverso cui nelle
società tradizionali si diventa “donna”. Donna infatti non si nasce, nel senso che la connotazione
biologica non riesce ad essere di per sé un fattore sufficiente di identificazione. A questo
provvedono i riti che trasformano l’appartenenza sessuale ascritta in uno status acquisito,
riscattando il destino biologico legato al sesso per trasformarlo in una “essenza sociale”: la donna.
Sono infatti i riti che decidono l’identità delle persone proprio a cominciare da quelle appartenenze
ascritte come il sesso e l’età. Sottraendola alla biologia, sono i riti che notificano alla persona la
sua identità, indicandogli ciò che è e ciò che deve essere. Attraverso tali riti inoltre vengono
garantite delle prerogative senza le quali la donna non potrebbe essere accettata dalla comunità e
sarebbe destinata ad un futuro di isolamento e solitudine, quali: la verginità, la purezza del corpo in
vista del matrimonio, un marito, una famiglia.
Una violazione dei diritti umani
Le MGF si configurano come una violazione dei diritti umani delle donne e delle bambine, in
particolare del diritto alla vita e alla salute, garantiti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani
(1948), dalla Convenzione europea per la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali
(1953), dalla Carta Sociale europea (1965) e dalla Carta africana sui diritti umani e dei popoli
(1981), i cui articoli rilevanti rispetto a questo tema sono l’art. 5 (contro ogni degradazione,
umiliazione e trattamento degradante e disumano), l’art. 16 (sul diritto di ciascuno di godere del
miglior livello di salute fisica e psichica ottenibile), l’art. 18, terzo comma (contro ogni forma di
discriminazione delle donne e per la tutela dei diritti di donne e bambini).
Inoltre, quali pratiche tradizionali nefaste, sono vietate dalla Convenzione internazionale sui diritti
dell’infanzia (1989);
configurandosi come un atto di violenza contro le donne e bambine sono vietate dalla
Convenzione internazionale contro la tortura (1984);
in quanto strumento di discriminazione contro le donne, dovrebbero essere abolite in base alla
Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (1979,CEDAW).
Il Comitato diritti umani dell’ONU ha più volte affrontato il tema nelle sue risoluzioni, e l’obiettivo di
abolirle è stato incluso nel Programma d’azione della Conferenza del Cairo su popolazione e
sviluppo (1994) e nel Piano d’azione della Conferenza di Pechino sulle donne (1995).
Nel 2003, l’Unione Africana (UA) ha approvato il Protocollo aggiuntivo alla Carta africana sui diritti
umani e dei popoli, dedicato ai diritti delle donne, nel cui art.5 si chiede il divieto delle MGF
(Protocollo di Maputo).
La legislazione nei paesi africani
Alcuni dei paesi africani e asiatici, dove le mutilazioni dei genitali femminili sono pratica
tradizionale diffusa ed estesa, la vietano esplicitamente.
Ma il diritto ufficiale, statale, confligge qui con il diritto consuetudinario, che è ben più cogente e
vincolante. Si è dunque in presenza di un pluralismo giuridico già nei paesi di origine, che dà luogo
a un pluralismo, e a un conflitto normativo, ancora più acuti nei paesi di accoglienza.
La contraddizione tra sistemi normativi diversi nei paesi d’origine è esemplificata dal caso
dell’Egitto, dove il divieto ufficiale è stato dapprima abolito, introducendo il permesso di effettuare
le mutilazioni in ospedale, e poi, a seguito di pressioni da parte di associazioni e gruppi nazionali e
internazionali, reintrodotto.
In Guinea le MGF sono vietate ormai da più di trent’anni, infatti l’articolo 265 del Codice penale del
1920, revisionato nel 1965, recita testualmente: “La castrazione è l’ablazione degli organi genitali
sia dell’uomo che della donna. Ogni persona colpevole di questo crimine subirà la pena ai lavori
forzati perpetui. Se alla castrazione è seguita la morte della vittima nei 40 giorni successivi, il
colpevole subirà la pena di morte”. Ma l’articolo 265 non è mai stato applicato all’escissione.
Nel 1966 nella Repubblica Centroafricana il presidente Bokassa pubblicò un’ordinanza che
proibiva le mutilazioni dei genitali femminili, con l’obiettivo esplicito di conformarsi al dettato della
Dichiarazione universale dei diritti umani.
Per riassumere:
- Paesi africani che hanno promulgato leggi specifiche che vietano le MGF1:
Benin, Burkina Faso (1996), Costa d’Avorio (1998), Djibouti (1995), Egitto (1996/7), Etiopia (1994),
Ghana (1992), Gibuti, Guinea, Kenya, Madagascar, Nigeria, Senegal (1999), Togo (1998),
Tanzania (1998), Uganda (1995);
- Paesi africani dove le mutilazioni dei genitali femminili rientrano nella fattispecie di reato
di “lesioni personali” sancita dal Codice penale:
Ciad, Mauritania
- Paesi africani che stanno discutendo una legge contro le MGF:
Sudan ( già vietate con decreto del Ministro della sanità nel 1946, di fatto non applicato);
Mali ( nuova legge in discussione in Parlamento)
- Paesi che non hanno una legge contro le MGF:
Guinea Bissau, Liberia, Niger (tasso di prevalenza delle MGF molto basso), Rep. Dem. Del Congo,
Zimbawe ( tasso di prevalenza molto basso), Sierra Leone
La legislazione nei paesi europei
Solo Gran Bretagna, Svezia e Norvegia hanno un reato specifico di mutilazione dei genitali
femminili.
In Norvegia la legge che proibisce le MGF è entrata in vigore nel 1998.
La Svezia ha approvato nel 1982 una legge che proibisce “operazioni sulle parti esterne degli
organi genitali femminili che hanno lo scopo di mutilarli o di produrre altre modificazioni
permanenti”. Questa legge è stata modificata nel 1998, incrementando le pene.
La Gran Bretagna ha approvato nel 1985 il “Prohibition of Female Circumcision Act”, secondo il
quale è un crimine “praticare l’escissione, l’infibulazione o mutilare in altro modo, interamente o
parzialmente, le grandi labbra, le piccole labbra o il clitoride di un’altra persona”.
Negli altri paesi europei esse invece possono integrare fattispecie di reato diverse, come lesioni
gravi e gravissime, il tentato omicidio e naturalmente l’omicidio quando alle mutilazioni consegua la
morte.
L’unico paese in cui tuttavia si sono effettuati diversi processi per MGF è la Francia, che le ha
perseguite in un primo momento secondo l’art. 312 del Codice penale che punisce la mutilazione,
amputazione, privazione dell’uso di un membro o morte provocate volontariamente sui minori di 15
anni, senza che l’autore l’abbia voluto intenzionalmente; e dopo il 1° marzo 1994 sulla base di due
nuovi articoli (222-9 e 222-10) aggiunti al Codice penale e relativi alle mutilazioni (non
specificatamente alle mutilazioni dei genitali femminili) in cui si prevedono 10 anni di prigione e/o
una multa di 1 milione di franchi francesi per l’autore del reato. La pena è aumentata a 15 anni di
prigione se la vittima ha meno di 15 anni.
Nei paesi europei (quasi tutti) dove non esiste una legislazione specifica, l’iniziativa è dunque
totalmente giudiziaria: laddove le mutilazioni venissero denunciate e perseguite, lo sarebbero
grazie a interpretazioni giurisprudenziali che le facessero ricadere dentro fattispecie di reato
esistenti.
Oltre al versante più specificatamente penale tuttavia, le mutilazioni potrebbero essere
contemplate da altre misure, in primo luogo quelle che si riferiscono alla tutela dei minori.
In Gran Bretagna per esempio, l’art. 47, primo comma, del Children’s Act del 1989 obbliga le
autorità locali a investigare qualora abbiano il sospetto che un bambino ricadente nella loro
giurisdizione sia a rischio di subire un danno o un’ingiuria e, in tal caso, a prendere le misure
necessarie compresa la sospensione della potestà genitoriale.
La legislazione in Italia
1
Le date tra parentesi si riferiscono alle leggi in materia più recenti
Il diritto alla salute e alla integrità fisica è inscritto nell’art. 32 della Costituzione italiana, secondo il
quale la repubblica italiana tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse
della collettività. Le MGF costituiscono una lesione grave o gravissima, a seconda del tipo di MGF
praticata, punita dagli articoli 582 e 583 del Codice penale con la reclusione da 3 mesi fino a un
massimo di 7 anni.
La questione sulle MGF è ritornata all’attenzione dell’opinione pubblica italiana a seguito della
proposta del medico somalo Omar Abdulkadir dell’ospedale Careggi di Firenze sull’“infibulazione
soft”, il quale, con lo scopo di sottrarre le bambine al rituale più doloroso delle mutilazioni, ha
proposto un’alternativa consistente in una puntura di spillo sul clitoride anestetizzato, una puntura
di spillo che però i medici possono praticare solo con l’autorizzazione scritta dei genitori. Questa
proposta ha suscitato molte perplessità poiché è difficile immaginare che i fautori dell’infibulazione
si accontentino di una puntura di spillo, ma anche se così fosse e si volesse semplicemente
mantenere il rituale, è inaccettabile che una struttura pubblica (le Asl) possa legittimare, anche
simbolicamente, una pratica com’è quella delle mutilazioni ritenuta una violazione dei diritti umani
delle donne e delle bambine.
Il problema principale che ha visto la dura l’opposizione delle donne immigrate a tale proposta è
stato, prima di tutto, il fatto di non essere state interpellate su tale proposta che riguarda in primo
luogo loro stesse e sulla cui questione in Africa si stanno battendo da anni.
Il secondo è che questa pratica non risolve il problema alla radice dal momento che il significato
simbolico dell’infibulazione resta, infatti la priorità è stata quella di ridurre il danno invece di evitarlo
con una campagna di informazione che denunci tutti i danni di questa pratica, dato che
l’inviolabilità del corpo è un valore universale che non può essere mercanteggiato in nome della
riduzione del danno che peraltro non è solo fisico ma anche psicologico.
Tale questione è poi andata incrociandosi con la proposta di legge presentata in Parlamento
riguardante le “Disposizioni concernenti il divieto delle pratiche di mutilazione sessuale”.
Anche in questo caso non è stata rispettata l’opinione delle donne immigrate le quali hanno chiesto
alla relatrice della legge, la deputata Carolina Lussana, di venire ascoltate stabilendo delle
audizioni riguardo a tale legge che oltre a non informare e quindi a far capire il problema a chi ne è
stata o può esserne una futura vittima, si pone solo come legge punitiva nei confronti di chi pratica
le mutilazioni. Non affronta il problema ma lo punisce a priori, in tal modo potrebbe anche risultare
pericolosa poiché potrebbe creare un “mercato illegale di mutilazioni” che andrebbe a peggiorare
ulteriormente la situazione.
Inoltre dato che la pena contro le mutilazioni era già prevista dal Codice penale, sotto il capitolo di
lesioni personali gravissime (in quanto permanenti), non vi è alcun motivo per cui questa legge
dovrebbe entrare in vigore, dato che non dice più di quanto sia già stato detto, e dato che in tal
modo il reato assumerebbe una connotazione etnica, una “etnicizzazione”.Le donne africane che
da anni si battono in Africa per abolire tale pratica sono rimaste stupite e sconvolte da tale
proposta che le ha lasciate in disparte, poiché esse sostengono che “tale pratica non si combatte
né con la stigmatizzazione, né con il relativismo culturale”, come ha sostenuto Mariam Ismail delle
Donne in rete di Milano.
E’ per tale motivo che hanno insistito molto sulla necessità di venire interpellate ed ascoltate,
riuscendo ad ottenere una giornata di audizioni per il 2 marzo 2004.
In tale occasione hanno fatto sentire la loro voce, il loro parere, hanno preteso un loro contributo,
un contributo di donne che, non bisogna dimenticare, sono state le prime a combattere per tale
causa da anni in Africa ottenendo anche dei significativi risultati, per cui è assurdo che nel
presentare una proposta di legge su tale tema, tra l’altro così delicato, esse non siano state prese
in considerazione, e ciò sia stato fatto solo da donne italiane che è evidente che non possono
conoscere il problema come invece chi lo ha vissuto o chi lo vive indirettamente poiché fa parte
della cultura che approva e “legittima” le MGF. Sono tali donne che bisogna ascoltare e da cui
prendere spunto per arrivare ad ottenere una legge consapevole ed efficiente che non si soffermi
solamente su aspetti punitivi ( e risultare in tal modo un semplice proseguimento della Bossi-Fini),
ma che tenda soprattutto ad informare in primo luogo chi può esserne la potenziale vittima, e che
affronti la problematica dal punto di vista sociale e culturale.
A seguito di ciò il 29 marzo sono stati approvati degli emendamenti che, grazie all’intervento di tali
donne, promuovono l’aspetto dell’informazione e della formazione, e offrono lo status di rifugiata a
quelle donne che vogliono sottrarsi a tale pratica, ma che non sono tutelate ed hanno bisogno di
protezione. Inoltre verrà introdotto in base a tale proposta di legge un nuovo articolo al codice
penale, il 583bis, che introdurrà il reato specifico delle mutilazioni genitali femminili.
Questo per ora è un risultato molto importante rispetto alla prima proposta di legge, che era
davvero scandalosa.
In ogni caso il problema potrà essere risolto solo con l’informazione, con il dialogo e l’incontro tra le
donne che vivono il problema e le donne che possono aiutarle a risolverlo.
Va sottolineato il fatto che a rompere il ghiaccio tra donne immigrate e deputati parlamentari è
stato un incontro organizzato il 17 febbraio presso l’ex Hotel Bologna dall’Aidos, l’associazione che
da vent’anni si occupa di mutilazioni genitali femminili e grazie alla quale ho avuto modo di reperire
numerose informazioni.
29/03/04
Dott.ssa Colasanti Michela
Volontaria del servizio civile
Progetto “Osservatorio Donna”