le mille e una lirica

Transcript

le mille e una lirica
1
2
Le mille e una…lirica
3
4
(Riflessi classici nella lirica orientale)
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
6. Topoi e metafore riscontrati come tratti peculiari nella lirica del mondo greco e latino trovano sorprendenti affinità
con l‟altrettanto ampia produzione in versi araba e, di riflesso, neopersiana. Quest‟ultima nasce nel IX secolo
27
28
29
Ha sollevato l'aria un velo azzurro,
l'orto ha piegato il tappeto di seta,
lo stagno ha fatto turchine le guance,
come esperimento letterario di una élite di corte, volto a creare composizioni in lingua persiana secondo
modelli arabi. La prima tra le corti ad attrarre attorno a sé una grande pleiade di poeti è la corte
ghaznavide di Sultân Mahmud: ad essa appartengono, fra gli altri, il “re dei poeti” 'Onsori (m. 1040 o
1049), il celebre Farrokhi (m. 1038) e il poeta epico Ferdousi1. I primi due portano alla perfezione
soprattutto la forma poetica della qaside, composizione monorime di lunghezza variabile tra i 15 e i 200
versi e dai contenuti prevalentemente panegiristici. La struttura tipica di questa composizione prevede un
insieme di sezioni trattanti ciascuna temi diversi: di esse la più interessante dal punto di vista estetico è
senz'altro la prima, il nasib, in cui il poeta solitamente descrive la primavera o le feste (come il
Capodanno - Nouruz), loda il vino o piange la separazione dall'amato2. Le qaside di poeti, quali 'Onsori e
Farrokhi, sono ricche di descrizioni del mondo naturale, ma queste si caratterizzano soprattutto per
staticità e mancanza di valenze simboliche. Il paesaggio naturale, che consiste per lo più nelle immagini
di un giardino di corte, si arricchisce di metafore preziose, di valore per lo più esornativo: si paragonano,
ad esempio, il giardino alla seta, le foglie d'autunno a tavolette di rubino, lo stagno ad uno specchio, ecc.
Immagini che restano per ora entro i limiti interpretativi della pura denotazione, estranee ad
approfondimenti psicologici da esprimere attraverso allegorie. A offrirne un esempio il nasib di Farrokhi,
che descrive un giardino all'arrivo della fredda stagione in una fantasiosa gamma di colori:
1
Ferdousi (Khorasan, 935 -1020) fu autore di componimenti in versi e dedicò 35 anni della propria vita alla scrittura di una
grandiosa opera epico-letteraria chiamata “Shāhnāmeh” ("Libro dei Re"), ovvero la storia dell‟ impero persiano, con i suoi valori
culturali, le sue antiche religioni (Zoroastrismo), e il suo profondo senso nazionale. I suoi lavori sono annoverati come una
componente crucialedella sopravvivenza della tradizione linguistica della Persia, in quanto tali opere hanno permesso a buo na
parte della lingua di rimanere intatta e codificata.
2 Già nella qasida originaria, come si vede anche dalle Mu‟allaqat, la più famosa raccolta di questa antica forma poetica, erano
l‟amore, il viaggio e l‟encomio intrecciati a motivi diversi quali la descrizione e la satira. Motivi rappresentati, in mass ima parte,
non nel momento dell‟accadimento bensì vissuti nella memoria: il poeta rievoca l‟amore per la sua donna ricordando incontri e
situazioni passate, rievoca il viaggio compiuto, i luoghi attraversati, le esperienze vissute, gli animali incontrati, la sua cavalcatura e
conclude, in linea di massima, esaltando se stesso o un capo (sayyid) tribù o un re arabo, lakhmide o ghassanide che fosse, o
denigrando i nemici. Era proprio quest‟ultima sezione, secondo alcuni studiosi, il vero scopo della composizione poetica. Dopo il X
secolo, infine, si cominciarono a comporre qaside anche in persiano, ebraico, turco osmanli e ancora in urdu, curdo, pashto, malese,
indonesiano e nelle lingue dell‟Africa occidentale quali il swahili e il hausa.
30
31
32
33
il cielo è diventato argenteo in volto.
[…] L'erba converte in limatura d'oro!
Che fa, se gialla è diventata l'erba?
Rosea e florida guancia ha il mio signore!
34
35
36
37
38
39
40
41
Nel XII secolo la poesia persiana inizia però un nuovo corso grazie all'incontro con il sufismo. I poeti
sufi, tra cui il celebre Hâfez,3 sin dall'inizio adattano ai loro scopi le forme poetiche preesistenti, cui si
aggiungono, nel corso di più generazioni, il masnavi, poema più o meno lungo di natura didattica o
narrativa, la quartina o robâ'i, ed infine il ghazal, componimento di circa 5-15 versi dedicato in prevalenza
a tematiche amorose. Un esempio di masnavi, opera di Sana‟i, è il “Seyr al-'Ebâd ela 'l-Ma'âd” (Viaggio
dei servi di Dio nel regno dei fini), dove il poeta esorta il vento, simbolo del messaggio divino, artefice
delle mille metamorfosi in cui consiste la vita del mondo, ad ascoltare le sue stesse parole, quelle che
raccontano, come spiega Sanâ'i, la “visione” della propria “creazione”:
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
61
62
63
64
65
66
67
Salve o messaggero imperiale,
che trono hai d'Acqua e di Fuoco corona!
Sei il Tappezziere della terra, ma di terra non sei,
e sei il Pittore dell'acqua, ma non sei fatto d'acqua.
Nella sorte fausta e nell'infausta,
tu le nubi sospingi e guidi i vascelli.
[…] Per tua virtù il fuoco è come messe corallina
e l'acqua è simile a corazza di smeraldo.
[…] T'innalzi sino all'Etere ma non lo superi,
vagabondi per l'Oceano ma senza bagnarti.
[…] Sei calamo che disegna il moto della conoscenza.
[…] Per te il manto si schiude sul corpo della rosa,
il colletto dei cipressi e la veste dei fiori.
Innalzi padiglioni sulla superficie del mare
e il capo sollevi alle altezze dell'Etere.
A primavera i germogli trai dalla terra,
l'inverno dall'acqua trai cristalli di ghiaccio.
[…]Or s'è vero che voli agilmente
tra le vette e gli abissi dell'orbe terrestre,
libera, o natura angelica,
dalla morsa dell'Acqua e del Fuoco,
a calci prendi e l'Etere e il Mare,
e innalza le tue tende sulla corona delle Pleiadi!
68
69
70
Come il vento, calamo del mondo, libero si diffonde tra gli abissi e gli spazi celesti, e l‟amore si fa
danza, attesa, armonia, così l‟acqua, il fuoco, gli alberi e i fiori che “corrono” sui rami si innalzano,
compagni dell‟aria, in una eterna e divina melodia:
3
Hafez (Shiraz, 1320 - 1389) frequentò soprattutto l'ambiente della corte di Shiraz, città da cui pare si sia allontanato solo per un
breve periodo. Un motivo dominante informa tutti i versi di Hafez: l'amante respinto, con il cuore infranto, tormentato dalla
crudeltà del fato e dall'indifferenza di un'amata lontana. Deluso dal mondo, cerca conforto fra i reietti della taverna, vagheggiando
la propria estinzione. Assai noti i versi tratti da “Golestan” (= Roseto), adottati come motto delle Nazioni Unite: <<I figli di Adamo
sono membra dello stesso corpo/perchè nella creazione ricevon tutti l'identica natura./Quando sventura getta un membro nel dolore, alle altre
membra non resta più riposo./Oh tu, che non ti curi del dolore altrui, certo non meriti d'esser chiamato Uomo!>>.
71
72
73
74
75
76
77
78
79
80
81
82
83
84
85
86
87
88
89
90
91
92
93
94
95
L'acqua del mare è tutta agli ordini Tuoi;
tuoi, o Signore, sono l'Acqua e il Fuoco.
[...] Rami e foglie si sono liberati dalla prigione della terra,
alto han levato il capo e sono diventati compagni dell'aria.
Quando le foglie erompono dalla scorza del ramo
e s'affrettano alte sull'albero,
con la lingua del germoglio cantano la lode di Dio,
ogni frutto e ogni foglia, una per una.
Gli spiriti legati entro l'acqua e la terra,
quando lieti si liberano dalla prigione del fango,
si levano alti a danza nell'aria, ebbri d'amore di Dio,
puri e limpidissimi come il disco bianco della Luna.
Danzano i corpi loro; quanto alle anime,
quel che esse provano non chiederlo neppure!
Ma è soprattutto nella lirica del “ghazal” che la mistica persiana trova la sua più alta espressione.4La
fusione completa di fede e poesia si esprime ivi in immagini cariche di senso, anelli che congiungono
mondi e valori tracciati dalla pura fantasia. Simboli, talora, polisemici e complessi, ma sempre rapportati,
nell‟animo dell‟uomo, al mondo naturale e a necessarie e superiori realtà5. La notte (shab) rappresenta, ad
esempio, il regno del Mistero ma anche il regno della Potenza Divina (jabarut), che divide l'Essere (vojud)
dal Nulla (adam); la rosa (gol) indica invece la conoscenza al suo manifestarsi nel cuore, laddove il
tulipano (lâla) il risultato della più perfetta gnosi (ma'âref). Un medesimo percorso ascensionale guida il
devoto, attraverso il deserto (biyâbân) e la brezza (nasim), alla Grazia Divina ('enâyat), al tesoro prezioso
della perla (gouhar), come luce di suprema verità. Può però accadere, similmente alle correnti poetiche
4
Il ghazal, il cui nome arabo significa “canzone o elegia d'amore”, oscilla tra i 5 ed i 15 versi ma può arrivare ad averne anche più di
30; in essa ogni verso rima con gli altri e inoltre, nel primo, detto “matla”, anche il primo emistichio segue la rima generale (a-a-b-ac-a-d-a-ecc.). L'ultimo verso, il “maqta”, contiene solitamente lo pseudonimo poetico, o “nom de plume” dell'autore, inserito con
qualche abile giro di parola nel contesto del verso. La tradizione letteraria persiana identifica Sanâ'i come l' "inventore" o
l'iniziatore del ghazal sufi. In realtà i suoi ghazal sono ancora “acerbi” riguardo ai contenuti mistici e molto spesso le loro immagini
paiono più legate alla dimensione cortese/terrena che non a quella mistico/metaforica. È quasi sicuro però che i suoi ghazal
venissero recitati e musicati durante i “samâ”, le riunioni mistiche con canti, suoni e danze che si svolgevano all'interno delle
confraternite sufi, ed è molto probabile che le immagini in essi descritte servissero ad illustrare e simboleggiare dei conce tti
religiosi. Dell'usanza di recitare e cantare ghazal durante le riunioni mistiche abbiamo testimonianza sin dall'XI secolo, grazie al
primo trattato sul sufismo scritto in persiano, il Kashf al-mahjub (Disvelamento dell'occulto) di 'Ali Ebn 'Osman Hojviri (m. 1057). In
esso, parlando del sama', l'autore si sofferma su quanto viene recitato durante queste sedute. Oltre al Corano, egli scrive, alcuni
mistici sono soliti recitare poesie in lingua persiana che fanno largo uso di metafore ed allegorie. Queste, per loro, ricordano Dio, e
permettono a colui che ascolta di entrare in uno stato d'estasi e di comunicare con Lui. Hojviri però considera sconveniente questo
genere di poesia e si direbbe memore delle correnti ascetiche del primo sufismo, affermando che solo la poesia «di saggezza,
d'edificazione e riflessione sulle manifestazioni divine» può essere considerata '”buona” e lecita. Di opinione diversa è per ò un
altro autore d'origine persiana, il grande teologo e mistico Mohammad Ghazâli (m. 1111), che tratta la questione in una vasta
discussione, sempre sul sama', contenuta sia in Ihya' 'olum al-din (Ravvivamento delle scienze religiose, in arabo) sia in Kimiyâ-ye
sa'âdat (L'alchimia della felicità, in persiano). Egli ritiene che le poesie d'amore o “bacchiche”, recitate dai sufi o dai partecipanti al
sama, non siano sconvenienti, poiché ogni Concetto (ma'ni) espresso in esse si riferisce a Stati mistici (hâl) ben determinati; egli
afferma inoltre che <<i termini metaforici tipici del linguaggio poetico si collocano su un piano diverso da quello dei termini tecnici e denotativi
del sufismo come fanâ (annullamento) o baqâ (permanenza eterna in Dio) e cioè sul piano della poesia, dell'immaginazione creatrice e non della
ragione>>.
5 Se cerchiamo alcuni di questi simboli tratti dal mondo naturale nel trattato Rashf al-alhâz fi kashf al-alfâz di Sharaf al-Din
Hoseyn Ebn Olfati Tabrizi (o Resâla-ye Estelâhât / Trattato di terminologia mistica di 'Erâqi).
96
97
98
99
100
101
102
103
104
cortesi, siciliane e soprattutto dello Stilnovo, che al centro della poesia vi sia la bellezza, contingente e
fenomenica, di una donna o di un uomo, la cui contemplazione equivale per il mistico all‟ accostarsi alla
suprema realtà suprema. In questo vario e fantasioso inventario, i riccioli dell'Amato, ad esempio,
diventano metafora degli intricati ed imperscrutabili misteri divini, il suo volto come la rivelazione di
essi, le labbra come la compassione e la misericordia con cui Dio accorda l'unione, l‟occhio come il
distacco con cui Dio osserva a mantiene al loro posto i suoi servi, e così via. Metafore desunte dal mondo
naturale intervengono in questo quadro, arricchendolo ulteriormente: il volto può essere così sostituito
dall'immagine del sole o della luna, il ricciolo da quella delle tenebre, le labbra dal rubino, la bocca dal
pistacchio, l'occhio dal narciso, il corpo dell'Amato dal cipresso.
105
106
107
108
109
110
111
112
La gioia che può nascere dalla semplice contemplazione cede il passo, ben presto, al tormento della
passione. Così scriveva, ad esempio, la poetessa araba Rabia Balkhi6, accostandosi inconsapevolmente a
Saffo, Catullo o Properzio, testimoni, in diverse vicende, di una stesso –e ricercato- dolore:
113
114
115
116
117
118
119
120
121
122
123
124
125
126
127
Sono prigioniera nella infida ragnatela dell‟Amore,
nessuno dei miei sforzi porta frutto.
Quando cavalcavo la volontà sanguinante,
io non sapevo che più forte tiravo le redini
e meno mi ascoltava.
L‟Amore è un oceano così vasto
che nessun uomo saggio lo può attraversare a nuoto.
[…] Quando vedi cose insopportabili,
immaginale splendenti,
Bevi il veleno,
ma senti la dolcezza dello zucchero.
128
Rabia Balkhi (Balkh, 914 -943) fu una famosa principessa di grande fascino, amante della poesia. L‟incontro con Baktash, un
servo di suo fratello governatore della città, e il conseguente innamoramento determinarono la sua tragica fine: il fratello ,infatti,
disapprovando il loro comportamento, allontanò e fece uccidere il servo. Alcuni dicono che fece uccidere anche Rabia, altri che la
principessa cadde in una profonda depressione e si suicidò tagliandosi le vene. Con il sangue scrisse i suoi ultimi versi sul muro
della sala da bagno diventando così la prima poetessa del mondo islamico.
6
129
130
131
Il travaglio passionale si riscatta, tuttavia, nella catartica adesione a una forma superiore di Amore, quello
che investe e permea di sé l‟universo e le sue forme di vita. Della mistica unione, cui la natura fa da
sfondo e proiezione, è un esempio, tra i primi, un ghazal di „Attar:
132
133
134
135
136
137
138
139
140
141
142
143
144
145
146
147
148
149
150
151
152
153
È‟ un mare l'Amore e l'intelletto sta sulle sue sponde,
può solo guardare chi rimane sulle sponde.
Se fosse l'intelletto una guida nel mare dell'Amore
mai troverebbe l'approdo,
il mare dell'Amore tocca l'anima e il cuore
è muto l'intelletto, è un lattante la ragione.
Come puoi sapere tu com'è il dolore d'Amore
se mai la sua spada ti ha trafitto al cuore?
Ogni mille anni, però, alla costellazione del cuore
giunge dal cielo dell'Amore una simile stella!
E come l‟uomo si volge a Dio in una eterna e inappagata tensione, così è Dio stesso, altrove7, a porgergli la mano, a
condurlo, come lieve primavera, in palazzi al di là delle stelle, nella eterea letizia di trascendenti armonie:
154
155
156
157
158
159
160
161
162
163
164
165
166
167
Sono venuto a prenderti, a tirarti per l'orecchio
a privarti del tuo cuore e di te stesso e a metterti nel Cuore e nell'Anima!
Son venuto qual lieve primavera da te, o cespo di rose,
ad abbracciarti a me stretto, e a sfogliarti dolcemente!
Son venuto a darti posto splendente in questo sublime palazzo
per portarti, come preghiera d'amanti, al di là del firmamento!
Son venuto perché hai rapito un bacio a un bell'Idolo:
restituiscilo allora in letizia, ché son pronto a prenderlo io!
7
I versi sono tratti dalle “Poesie mistiche” di Rumi, edite da A. Bausani.
168
169
170
171
172
173
174
175
176
177
178
179
180
181
182
183
184
185
186
187
188
189
190
191
192
193
Lascia il Fiore (gol), ché tu sei il Tutto (kol),
sei colui che ordina la divina parola (qol),
Se gli altri non ti conoscono, poiché sei me, ti conosco!
Scenari naturali diventano, come visto, lo schermo di tensioni emotive e spirituali, il quadro in cui si traccia, in forma
di metafora, l‟innata aspirazione a più elevate e infinite realtà. Ma se nella lirica persiana maggiore e più fine è la
capacità immaginifica, è nella lirica araba, in origine, che immagini simili o di poco variate, compaiono in forme più
lineari e stilizzate. Come infatti dimostrato in un saggio di Shafi„i Kadkani8, dal momento in cui prende vita la poesia
dari (III-IV sec.d.C.), le due tradizioni tendono sempre più spesso a fondersi in una sorta di koiné letteraria, favorita,
tra l‟altro, da una certa affinità culturale nonché territoriale, la stessa che avvicina ai poeti orientali quelli andalusi,
della Siria e dell‟Irak. Tra i temi più diffusi, affidati a metafore arricchite talora da artifici di stile9, il vino e la gioia
conviviale. Originali nel loro vigore espressivo i versi del poeta arabo Ghazayeri, per il quale il vino è <<figlio
dell‟amore e della luna>> (Dissi: “E’ amore?” Rispose: “L’amore l’ha allevato”, / dissi: è luna? Rispose: “La luna l’ha
generato”). Con Ibn al-Mu„tazz, imitato a sua volta da poeti persiani, al termine “vino” si sostituisce il più
indeterminato “calice”, luna d‟argento, nella trasposizione metaforica, in cui il vino risplende come il sole (Giorno e
notte abbevera da quel calice: / in una luna che è come la figlia del sole) o come un bacio e un sorriso di stelle (porgendo
sulla bocca un calice pieno di vino / sembra la stella che bacia la luna).
Echi oraziani, che inneggiano al vino come fonte di gioia e di poesia, si colgono altresì nelle quartine di Omar
Khayyam10, lieto abbandono a un‟ebbrezza soave che fa del mondo, come accadeva in Li Po e in generale nella lirica
cinese, un piccolo e segreto paradiso:
Voglio un carico di vino di rubino, e un libro di versi.
Mi occorre appena lo stretto necessario, e un pezzo di pane.
194
195
196
197
198
199
200
201
Poi io e te seduti in un luogo deserto...
Questa e' una vita superiore al potere d'ogni sultano.
[…] Per quanto d'ogni lato io volga lo sguardo,
scorre nel giardino un rivo di paradiso.
La piana e' divenuta un paradiso, non parlare d'inferno!
Siedi qui in paradiso, assieme a un volto di paradiso11.
8
Mohammad Re_a Shafi„i Kadkani, nato nel 1939 in Iran, docente di letteratura persiana, è un autorevole critico, filologo e poeta,
che svolge una intensa attività di ricerca nell‟ambito della letteratura mistica, della critica letteraria e stilistica. Il testo, a cui si fa
riferimento, è un importante capitolo (L’influsso delle forme dell’immaginario poetico arabo) dell‟opera “Sovar-e khiyal dar she„r-e
farsi” (=Forme dell‟immaginario nella poesia persiana), Agah,Teheran 2004, pp. 327-374.
9 Frequente il ricorso a lettere o segni grafici per evidenziare un concetto o una metafora. Ad es., il n ome di una lettera dell‟alfabeto
arabo-persiano composta da una linea ricurva e un punto possono richiamare
rispettivamente un ricciolo e un neo: U.
10 Omar Khayyam (Nishapur, 1048 - 1131) fu scienziato e teologo, esperto in matematica e astronomia, iniziato a circoli esoterici,
condiscepolo di Hasan-e Sabbah, il famoso "Veglio della Montagna" capo della famigerata setta degli Assassini. Le sue
"Quartine"(in arabo” Rubayyāt”), sono incentrate, in particolare, sul motivo del vino ma contengono pure altri temi, assai più
profondi, come ad esempio: una meditazione originale sulla morte e sui limiti della ragione umana "impotente" di fronte al mistero
dell'esistenza.
11
La medesima associazione tra donna e banchetto è uno dei leit -motiv della lirica oraziana (cfr . Carm. 1,6, 17-19: <<Nos convivia,
nos proelia virginum / sectis in iuvenes unguibus acrium / cantamus ...>>). Per Orazio la donna deve essere anzitutto buona amica, poi
ottima conversatrice, dolce, disponibile tanto all'amplesso amoroso quanto alla buona tavola, graziosa quanto basta, giovane (ma
neppure tanto); deve inoltre saper suonare e cantare ed essere libera da preoccupazioni che intristirebbero il poeta, alieno da legami
duraturi. Notevole è infatti l'impegno del poeta nel cercare di eliminare alla radice stessa del sentimento, per così dire, amoroso (e
non solo di quello), ogni traccia di asperità; lo scrittore, in tal modo, conferisce ad esso la levigatezza necessaria perché il sentimento
risulti armonizzato, integrato nella temperie spirituale di stampo epicureo da cui deriva l‟equilibrata "Weltanschauung"(P.
Balestrieri).
202
203
Nell‟ebbrezza di una lieta primavera, al poeta cantore si unisce l‟usignolo melodioso12, mentre nel vino
risplende il “rubino” di un fiore:
204
205
206
207
208
209
210
211
212
213
214
215
216
217
218
219
220
221
222
223
224
225
226
227
228
229
230
231
232
233
234
235
236
237
238
239
240
241
242
243
244
245
246
Da quando ha mostrato il volto la rosa color di rubino,
mai non si stanca di cantar la sua gioia l'usignolo.
E‟ lungo tempo che, come me, l'usignolo
è stato innamorato del giardino.
Schiavo son io della lingua di quell'usignolo,
che ieri lodava cantando la rosa color di rubino.
O Coppiere! È tempo di fiori, e tu porgi il vino fiorito13.
Dalla metafora del vino scintillante come un astro, fragrante e colorato come un fiore, si passa ben presto a un più
esplicito accostamento tra il topos conviviale e l‟effimera e preziosa armonia di giardini e paesaggi naturali.
Frequenti le immagini di fiori, accostati come in epigrammi ellenistici, a limpide costellazioni (ad es., le “rosee”
Pleiadi) o ai bagliori incandescenti del fuoco, come in una lirica di Manjik (<< Le viole di Abarestan sono sbocciate in
abbondanza / di color viola, come fuoco che assale lo zolfo>>).
Ma la gioia è come sempre fugace, mera illusione come il tempo che passa, tra un presente che è già passato e un
domani che appena ci sfiorerà:
(XXIX)
Ah, riempi la coppa, come devo ripeterti
che il tempo scivola via sotto i nostri piedi:
il domani non è ancora nato e ieri è già morto,
perché preoccuparti di loro se l‟oggi è dolce?
Vengono alla mente le parole di Orazio, che invitava, nell‟ode 914, a pensare a ogni giorno come a un dono prezioso,
a reagire alla morte che incombe nella gioia dell‟istante. Legato al suo mondo, in cui si scopre inevitabilmente
“polvere ed ombra”, l‟uomo oraziano non trova in credenze religiose conforto o spiegazione, rimuove l‟ angoscia
della morte nell‟amore per la vita. Una vita che ignora passioni durature, dove tutto si livella e si equilibra in
un‟aurea medietas, e che affida la certezza di una sopravvivenza al ricordo e al miracolo della poesia.
Diversamente i poeti orientali, nutriti di dottrine neoplatoniche, che vedono nel mondo imperfetto il gradino più
basso di un‟ascesa, il primo anello di un ciclo esistenziale che risplende << nel cristallo del cuore umano>>15:
Sono passato attraverso i regni dei minerali e dei
vegetali, poi lo strumento della mia mente mi ha
condotto nel regno animale.
Da notare che, nella mistica persiana, la rosa e l‟usignolo rappresentano la coppia di amanti, ovvero dell‟uomo e di Dio.
Similmente in questa lirica dell‟afghano Zaher , nato a Mazar i Sharif nel 1991 e morto minorenne il 10/12/08 in un incidente
stradale a Mestre(<<Ahimè, la primavera svanirà con la Rosa!/L‟usignolo che cantava tra i rami/Ah, da dov‟è arrivato? e dove è volato
ora?/Giardiniere, apri la porta del giardino;/ io non sono un ladro di fiori,io stesso mi son fatto rosa,/ non vad o in cerca di un fiore qualsiasi>>).
Ancora un usignolo, alla vana ricerca del suo nido, è nelle parole della figlia di Tsura-yuki, come si legge in un romanzo giapponese, a cui
l’imperatore ordinò di trapiantare il susino del suo orto nei giardini delpalazzo. La ragazza non si oppose, ma fece accompagnare l’albero da
questi versi:<<Se è l‟ordine del Signore – io m‟inchino con rispetto – ma quando l‟usignolo – verrà a cercare il suo nido – cosa potrò
rispondergli?>>.
14
Cfr. Ode 9, I, vv.14-15: <<Quem Fors dierum cumque dabit, lucro/Adpone...>>. Le immagini del vino e della rosa, associate alla caducità
della vita e della primavera, compaiono altresì in numerose liriche europee moderne e contemporanee. Così, ad es., nei versi della poetessa
finlandese Sirkka Turkka (Helsinki, 1939): << Il tempo del vino e delle rose/ sarà passato per te/quando la tua bella persona ti lascerà./Quando
ti lascerà, la rosa sarà sola, il vino come statua nel bicchiere>>.
15I versi sono tratti da uno dei più noti componimenti di Khwaja Abdullah Ansari (Herat, 1006-1088). Non fu un autore molto
considerato dai contemporanei, ma aprì la strada a molti discepoli che seguirono le sue orme e ne trascrissero gli insegnamenti. Ci
sono giunti così i suoi libri di filosofia e misticismo islamico scritti in persiano e in arabo. I suoi versi rappresentano un intimo
colloquio tra l‟anima e Dio sotto forma di monologhi.
12
13
247
248
249
250
251
252
253
254
255
256
257
258
259
260
261
262
263
264
265
266
Arrivato fin qui, sono passato oltre,
poi nella conchiglia di cristallo del cuore umano
ho avvolto la goccia di consapevolezza in una Perla.
In compagnia di uomini buoni
ho vagato intorno alla Casa della preghiera,
e fatta questa esperienza, sono passato oltre.
Poi ho imboccato la strada che conduce a Lui
e sono diventato uno schiavo presso il suo cancello.
Allora è scomparso il dualismo
e sono stato assorbito in Lui.
L‟occhio del poeta, arabo, afghano o persiano, si volge altresì agli spazi celesti, ne scorge, e la rende parola, la limpida
e profonda armonia. Nascono così metafore, estranee al mondo greco, che vedono nella luna una barca in un fiume di
stelle16 o un prezioso braccialetto d‟argento che adorna la più splendida tra le costellazioni17.
E come in ogni forma di lirica, la parola si fa immagine, il colore melodia.
Come nella lirica di Abu Nuwas18:
267
268
269
270
271
272
Così rossa è la rosa che sulla gota splende
che sa ingannare il cuore.
[…] Che importa se poi il cuore si fa liuto
e in musica convertono le dita il suo lamento?
273
274
275
276
277
278
279
280
281
282
283
284
285
286
Poesia universale, questa come ogni forma di liricità, in cui si scorge come in filigrana il mondo
contingente e personale, singola espressione di un cosmo tropologico, in cui voci e tradizioni arrivano
distinte <<come specchio e cristallo>> (L. Capezzone). Poesia che si fonde con la vita, come nell‟ aneddoto che si
narra di Nuwas (<< Abu Nuwas, avendo pregato il suo maestro Khalaf al Ahmar di autorizzarlo a comporre dei versi,
colui così gli rispose: “Te lo permetterò soltanto quando avrai imparato a memoria mille poemi antichi”. Abu Nuwas
s‟eclissò per qualche tempo, poi ritornò ad annunciare al suo maestro che aveva imparato il numero desiderato di
poemi. E glieli recitò, in effetti, impiegando parecchi giorni. Dopo di che, reiterò al maestro la sua prima domanda.
Khalaf fece allora comprendere al suo allievo che non l‟avrebbe autorizzato a scrivere versi finché non avesse
dimenticato completamente i poemi che aveva appena imparato.“E‟ molto difficile, disse Abu Nuwas: ho fatto tanta
fatica ad impararli”. Ma il maestro restò della sua opinione. Abu Nuwas si vide allora costretto a ritirarsi per un
certo tempo in un convento dove si occupò di tutto tranne che di poesia. Quando ebbe dimenticato i poemi, venne a
farne certo il maestro che infine l‟autorizzò a cominciare la sua carriera di poeta.>>), metafora metapoetica, a
indicare che il sapere poetico confluisce per poi svanire, si rinnova per sopravvivere all‟oblio. << Come un palmo che
accarezza la sabbia, ricomincia a scriverne la storia, nella stessa materia di granelli >> (L. Capezzone).
287
288
289
290
291
Così in una lirica del persiano Farrokhi (<<Dinanzi alla sua vista è comparso un fiume: / mezzaluna di barca, àncora di baia e
chiarore di stella>>).
17
Si può citare ad esempio la similitudine di Manuchehri (<<come le due estremità schiuse /dell’oro puro del braccialetto>>),
che ricorda quella usata da Ibn al-Mu„tazz (<<La mezzaluna sembra metà d’un braccialetto/ e le Pleiadi una mano che la indica>>).
Simile l‟immagine dell‟arcobaleno, in una poesia di _aher ibn Fal Chaghani, <<come una cintura / in giallo, rosso e bianco ben
chiari>>.
18 Nato ad Ahvaz in Persia nel 756, da madre persiana e padre arabo, operò in prevalenza a Baghdad, crogiuolo all‟epoca di diverse
culture. Pur avendo coperto quasi tutto lo spettro dei generi allora praticati, dalla qasida tradizionale, alle satire, dai panegirici alla
poesia ascetica, a detta dei più grandi storici e critici, non esenti, nel loro giudizio da un certo moralismo, Abu Nuwas avrebbe
trovato le sue espressioni più mirabili nella poesia bacchica e nella lirica erotica e soprattutto omoerotica, in uno stile c hiaro e
diretto, che accoglie e impone termini dalle più importanti lingue dell‟impero.
16